Paolo Bozzi

 

 

Unità

Identità

Causalità

 

Una introduzione allo studio della percezione

1969

 

 

Il presente volume è stato edito a stampa da Cappelli Editore nell’anno 1969

Edizione digitale Spazio Filosofico - «Il dodecaedro»: 2001

Redazione: Katarzyna Sowa

 


Aristotile

 

 

Non si può ragionare bene se non si intende completamente l’idea di cui si ragiona, e non è possibile intendere perfettamente quest’idea se non se ne rintraccia l’origine, e non si esamina quella prima impressione dalla quale essa nasce; l’esame dell’impressione dà chiarezza all’idea, e l’esame dell’idea dà uguale chiarezza ai nostri ragionamenti.

Hume

 


Indice generale

 

F. Metelli, Prefazione

Nota: Introduzione allo studio della percezione

 

Capitolo primo

L’unità come problema per la psicologia

1. Introduzione

2. Critica all’interpretazione empirica del concetto di numero

3. Critica all’interpretazione empirica del concetto di unità

4. L’unità come fatto empirico

5. Osservazioni di Aristotile sulle strutture unitarie

6. La critica di Hume: le sensazioni elementari

7. Uno schema psico-fisico

8. Helmholtz

 

Capitolo Secondo

L’unità come problema per la psicologia

(continuazione)

 

1. Alcune proposte della teoria della gestalt

2. Unità e omogeneità

3. Vicinanza e somiglianza

4. Destino comune e impostazione obbiettiva

5. Direzione e chiusura

6. La pregnanza

7. L’esperienza passata

8. Gli esperimenti di Gottschaldt

9. Il «tutto « e le «parti»

10. « Parti» e « frammenti»

11. La quantità come qualità

12.La percezione della molteplicità

Sommario dei Capitoli Primo e Secondo

Capitolo Terzo

L’identità

1. Introduzione
2. Identità e mutamento
3. L’identità come proprietà degli oggetti

4. Il punto di vista elementaristico (Hume)
5. Russell e Quine
6. L’identicità
7. Identità e identicità
8. Identità e movimento
9. Gli esperimenti di von Schiller

Capitolo Quarto

L’identità

(continuazione)

1. L’identità nelle strutture: gli esperimenti di Ternus

2. Identità e permanenza. La « presenza amodale»

3. Le unificazioni «amodali»
4. Il « passare dietro»
5. Apparire e sparire. Nascita e annullamento

6. Una ricerca di A. C. Sampaio
7. L’effetto « tumnel «
8. L’identità come dato e l’identità come giudizio

Sommario dei Capitoli Terzo e Quarto

 

Capitolo Quinto

La causalità

1. Introduzione
2. Evento e rapporto
3. Causalità e implicazione
4. L’espressione probabilistica di connessioni causali

5. Esistono « fatti « causali?

6. Alcune tesi di Aristotile
7. Sesto Empirico
8. La critica di Hume
9. Maine de Biran
10. Bergson e Sommer
11. L’interpretazione di Dunker
12. L’interpretazione di Koffka
13. La teoria di Köhler
14. Un’interpretazione « storica « della causalità

 

Capitolo Sesto

La causalità

(continuazione)

1. La percezione della causalità
2. Il « lancio» e lo « spingimento «
3. Le condizioni del « lancio»: gli oggetti

4. Il « raggio d’azione»
5. La percezione della forza
6. Le proprietà degli oggetti
7. Le condizioni del lancio: spazio, tempo, moto

5. La velocità dei mobili. Le traiettorie
9. La struttura generale del « lancio»

10. Lo «spingimento»

11. La « trazione»
12. L’ampliamento del moto
13. La base fenomenologica dei concetti fisici
14. La causalità qualitativa
15. Nuove ricerche nel territorio della causalità
16. Discussioni intorno alle tesi di Michotte. Causalità e espressività
17. Sulla teoria generale della causalità (Nota)

Sommario dei Capitoli Quinto e Sesto

 

Elenco delle illustrazioni
Elenco dei nomi citati

 


 

Prefazione

 

Il mondo della percezione è il nostro mondo, il mondo delle cose e degli uomini con cui abbiamo direttamente a che fare, tanto diverso dal mondo astratto della fisica e delle scienze naturali in generale. Studiare la percezione significa esplorare sistematicamente questo mondo delle apparenze, mettere in luce le condizioni che ne determinano le varie proprietà e i diversi aspetti.

Tale studio costituisce uno dei più importanti capitoli della psicologia. Infatti la conoscenza del mondo fenomenico é una premessa necessaria per lo studio della condotta, che la maggioranza degli psicologi considera l’oggetto della psicologia. Senza la conoscenza dell’ambiente in cui ogni essere vivente, uomo o animale, agisce, l’applicazione della più raffinata metodologia allo studio della condotta è vana.

Benché conti non pochi cultori appassionati, non si può dire che tale campo di studi sia propriamente popolare, nemmeno tra gli stessi psicologi. Forse perché è un tema che appare estraneo a quella capacità di capire gli altri e di prevedere ed influenzare le loro azioni, che costituisce la nozione di psicologia propria del senso comune, la quale probabilmente ha contribuito a dirigere verso la psicologia scientifica coloro che vi si sono dedicati e sta tuttora al fondo delle loro aspirazioni. E forse anche per una particolare difficoltà propria di questo campo di studi.

Nel campo della percezione è altrettanto difficile «vedere» i problemi quanto risolverli. È infatti difficile sottrarsi a quella forma di realismo ingenuo che tutti adottano spontaneamente a fondamento della loro condotta, per cui le cose «ci sono» indipendentemente da noi e non presentano alcun problema psicologico. Ma anche per chi constata continuamente il divario che sussiste tra stimolazione e percezione, ed è abituato a mettere a confronto la povertà dei dati trasmessi dagli agenti fisici agli organi di senso con la ricchezza del mondo percettivo, riesce molto difficile isolare e mettere a fuoco il singolo problema. Arrivare a chiedersi che cosa fa sì che un oggetto sia percepito come unitario e distinto dagli altri, che cosa fa si che un’ombra sia percepita come tale e non come una macchia, che un oggetto sia percepito come illuminato e non come emettente luce propria, quali sono le condizioni che determinano la percezione di movimento o di quiete è forse altrettanto difficile quanto risolvere questi problemi. Non per nulla a queste problematiche sono legati dei nomi come quelli di Helmholtz, Hering e Wertheimer.

Questo libro presenta in modo limpido, senza presupporre conoscenze specialistiche, ma senza trascurare nessuna difficoltà, in modo critico ed euristico ad un tempo, una scelta sistematica delle più interessanti indagini sui caratteri del mondo fenomenico. Un pregio dell’opera sta nella novità dell’impostazione. Anziché procedere ad un esame sistematico dei classici campi di indagine del mondo percettivo, l’autore ci porta ad esaminare quelli che sono stati considerati, fin dai tempi in cui la psicologia era filosofica, i fondamenti di ogni conoscenza: l’unità, l’identità e la causalità. In questa nuova cornice i problemi della percezione trovano il loro posto naturalmente, e ci si rende conto (non senza una certa sorpresa) che sono questi gli argomenti ai quali gli studiosi della percezione hanno dedicato molte delle più vitali ricerche.

Questo libro è dunque una risposta implicita all’obbiezione che in confronto ai grandi temi della personalità e della condotta la psicologia della percezione tratti di questioni marginali e di scarso interesse.

Ma c’è un altro aspetto per cui quest’opera diverge dall’impostazione tradizionale della moderna psicologia: esso parte dalla filosofia per giungere alla psicologia. Il rifiuto di ammettere che sussista una frattura fra scienza e filosofia è giustificato dall’autore da diversi punti di vista: la validità delle osservazioni fenomenologiche compiute dai filosofi - anche dai più antichi - al pari di quelle compiute dagli psicologi contemporanei, e il buon diritto dei primi come dei secondi di formulare delle teorie per spiegare tali fatti; e l’ineliminabilità del dato concreto (quello che poi viene studiato dalla psicologia scientifica) nelle impostazioni logiche o filosofiche dei problemi. Ma certamente ha agito in lui il vivo interesse per i problemi filosofici e logici come per quelli psicologici, e il bisogno di mediare per questa via la problematica psicologica a chi si appressa alla psicologia scientifica partendo da una problematica storico-filosofica.

Certo questa tesi dell’unità e della continuità dei problemi dalla filosofia antica alla psicologia contemporanea non può aspirare all’unanimità dei consensi. Molti tra gli psicologi condivideranno invece, come me, l’opinione che l’introduzione della metodologia scientifica e dell’esperimento abbia creato un salto qualitativo, e che analogamente a quanto è avvenuto per la fisica pregalileiana la psicologia prima di Fechner rappresenti la preistoria della psicologia. Ma ciò non toglie nulla all’interesse dell’opera, interesse che si estende ugualmente alle parti introduttive logico-filosofiche come alle trattazioni psicologiche degli argomenti.

L’autore di questo libro rappresenta un singolare punto d’incontro di un gusto genuino per la filosofia con la stoffa del ricercatore. Seguendo il corso di un’argomentazione teoretica sembra che sia lì l’essenza della trattazione; ma poi, in un punto in cui la sintesi dei risultati sperimentali rivela una lacuna, interviene lo sperimentatore con un contributo originale; e le classiche ricerche sui fondamenti della percezione rivelano tutto il loro significato e rivivono nell’esposizione di uno specialista che si pone naturalmente dal punto di vista di chi le ha compiute.

In questo libro i problemi della percezione sono presentati dal punto di vista della Teoria della Gestalt. Chi conosce l’opera dei gestaltisti sa che è proprio la percezione il capitolo della psicologia in cui la Gestalt ha letteralmente rivoluzionato le nostre conoscenze. Basta sfogliare le prime 17 annate della Psychologische Forschung per renderci conto di quanto siamo debitori a questo indirizzo di studi.

Si può osservare che dopo la Gestalt altre teorie sono venute alla ribalta proprio nell’ambito della percezione; ma condivido pienamente l’opinione dell’autore di questo libro: che se anche punti di vista e teorie più recenti hanno creato nuovi approcci ai problemi della percezione, essi non reggono il confronto con la Teoria della Gestalt, perché ben poco sono riusciti a far avanzare le nostre conoscenze. Quanto trascurabili sono, di fronte all’enorme ricchezza costituita dai frutti dell’indagine gestaltistica, i fatti nuovi, i nuovi effetti, le nuove osservazioni dovute alle nuove teorie! È proprio qui che va giudicato un indirizzo di ricerca: nella sua capacità di stimolare la fantasia creatrice dei ricercatori, di trovare i passaggi nelle barriere che ci dividono dalla terra ignota che resta da scoprire.

Fabio Metelli

 

 

Introduzione allo studio della percezione

 

 

Nota

 

Buona parte dei capitoli che compongono questo volume è dedicata alla descrizione di esperimenti ideati da psicologi che hanno lavorato nel campo della percezione nel corso degli ultimi sessant’anni; quasi tutti gli Autori all’opera dei quali abbiamo attinto sono legati direttamente, o attraverso chiare linee di derivazione alle tesi della teoria della «gestalt». Gli esperimenti descritti vertono su tre temi, corrispondenti a tre rilevanti caratteristiche degli oggetti e degli eventi avvertibili nell’immediata esperienza del mondo esterno: l’unità, l’identità e il rapporto causa-effetto. L’esposizione degli esperimenti è generalmente preceduta, seguita o inframmezzata da discussioni intorno a teorie. A volte si tratta di problemi teorici delimitati da stretti confini e direttamente connessi con il lavoro sperimentale. Altre volte si tratta di discussioni teoriche più ampie che ci è sembrato di dover riprendere per rendere con maggiore efficacia il senso del lavoro sperimentale su quella particolare materia che è l’esperienza diretta; «dopo aver compiuto una esperienza, ideato un esperimento, non potremo mai decidere di aver indagato con sufficiente cura quanto confina immediatamente con esso, ciò che viene subito oltre; ed è proprio qui che dobbiamo vederci chiaro, più ancora che nel merito dell’esperimento stesso» [1] ha scritto Goethe, un autore che i gestaltisti hanno considerato sempre con particolare simpatia.

Infine, altre pagine destinate alla teoria sono quelle in cui vengono toccati i temi dell’unità, dell’identità e della causalità sotto il profilo che più direttamente interessa lo studioso di logica e di filosofia; accenni doverosi non solo perché è giusto che risultino indicati con chiarezza i confini tra quelle sfere di competenza e la nostra, ma anche (e soprattutto) perché i problemi di fenomenologia sperimentale legati a tali temi emergono in modo autonomo nella loro piena autenticità solo quando il corrispondente problema logico sia precisato ed isolato nei termini che gli sono propri.

In questo senso hanno contato molto nella progettazione di questo libro le innumerevoli domande, obiezioni, critiche e richieste di discussioni avanzate da quegli studenti che essendo iscritti al corso di Filosofia dell’Università di Padova, hanno partecipato negli ultimi anni alle lezioni ed ai seminari dell’Istituto di Psicologia Sperimentale.

Le obiezioni e le domande formulate dagli studenti riguardavano soprattutto, come è naturale, le possibili connessioni tra quanto essi già sanno degli argomenti che io tratto ed il modo in cui li vedono trattati nell’ambito di una disciplina scientifica che ha per oggetto le strutture dell’esperienza diretta.

Sarebbe molto facile evitare ogni problema negando che esistono tali connessioni. La psicologia è una scienza per conto suo si potrebbe dire e non tocca mai questioni che riguardino direttamente o indirettamente temi filosofici. Può sembrare a volte che succeda così, ma in realtà le analogie sono del tutto esteriori, se addirittura non si limitano all’uso comune di qualche vocabolo che nei due contesti possiede, ovviamente, significati differenti: parole come «io», «identità», «causalità», «mondo esterno» e altri simili modi di dire.

Questa soluzione, però, non soddisfa nessuno; o meglio, soddisfa solo coloro che desiderano evitare la posizione del problema.

In realtà vi sono serie ragioni che impediscono di adottare una scappatoia così congegnata.

Basti pensare a questo: il mondo delle cose in ogni attimo presenti intorno a noi è stato assunto a oggetto di attente osservazioni e di penetranti analisi teoretiche da quando i1 mondo è mondo e l’uomo è uomo.

Per la teoria della percezione, oggi (e cioè dal momento in cui è stata compresa la sterilità delle indagini sulle «sensazioni» pure ed isolate), il campo di indagine è costituito proprio dall’insieme degli aspetti avvertibili che presentano le cose in ogni attimo presenti intorno a noi: «quando parlo di percezione -scrive Koffka non intendo riferirmi a qualche specifica funzione psichica; tutto ciò che intendo esprimere con questo termine è il regno delle esperienze che non sono meramente «immaginate», «rappresentate» o «pensate».Così, chiamerò percezione il tavolo sul quale sto scrivendo, come l’aroma del tabacco che adesso aspiro dalla mia pipa, o il rumore del traffico in strada, qui sotto la mia finestra il mio progetto è quello di proporre una teoria di questi fatti quotidiani[2].

Se è così a meno di non supporre che il mondo delle esperienze immediate (dei colori, dei suoni, delle forme, del moto) sia, nel corso degli anni o dei secoli, cambiato radicalmente - le osservazioni compiute duemila anni fa possiedono lo stesso valore di quelle fatte tre secoli or sono, oppure adesso: sono autentici tentativi di esplorare le complesse strutture di quanto può essere visto o sentito, alla ricerca del particolare significativo, o del fatto che forse spiega altri fatti. Sono, in ogni caso, enunciati suscettibili di trovare riscontro nell’esperienza attuale.

L’ipotesi che tutta la sfera delle cose constatabili cambi profondamente col passare del tempo e col mutare delle culture è possibile, naturalmente; ma rende assai difficile capire come mai in un tale flusso di trasformazioni certi frammenti siano rimasti indietro, intatti: vi sono descrizioni di percezioni (nel senso di Koffka) redatte duecento o duemila anni fa a proposito delle quali c’è da domandarsi come mai collimino così bene, oggi, con le corrispondenti possibili esperienze. Quando Aristosseno scrive: «aggiungendo ad un’ottava un intervallo consonante qualunque, sia esso più grande o più piccolo o di uguale grandezza dell’ottava, l’insieme è una consonanza»[3], egli dice qualcosa che è attualmente verificabile: avendo a portata di mano uno strumento ben accordato si può fare la prova, e risulta che è vero.

Così diventa difficile immaginare che cosa fossero consonanze e ottave come proprietà udibili degli eventi sonori ai tempi di Aristosseno, se insistiamo nel credere che dovevano essere esperienze assai diverse dalle nostre.

Quando Aristotile, Eulero o Berkeley cercano di spiegare le dimensioni apparentemente diverse che ha la luna allo Zenith e all’orizzonte, ragionano di un fatto che possiamo ben vedere in qualunque notte serena di plenilunio; e naturalmente, leggendo le teorie che essi espongono e sostengono, possiamo senza difficoltà confrontarle con le nostre se ne abbiamo proprio perché c’è sotto, in comune, quel fatto. Inoltre, se tale confronto fra le teorie riesce, e non importa con quale esito, vorrà dire che noi e l’Autore letto c’intendevamo sufficientemente bene anche su termini come «distanza» «diametro» «orizzonte» «volta celeste» «maggiore» «minore», e sulla loro applicabilità nel campo dell’esperienza diretta.

Si potrebbe obiettare che la concordanza intorno a osservazioni come queste è cosa di poco momento: sono frammenti, schegge di discorsi legati a teorie più ampie che quegli autori andavano allora proponendo, ed hanno senso solo in quei contesti.

Ma anche tutte le nostre osservazioni sono fortemente integrate nelle teorie, e in teorie diverse fra loro: queste teorie purché siano espresse in maniera comprensibile, chiaramente argomentate, e svolte con espliciti riferimenti ai fatti sono suscettibili di confronti in ogni momento, insieme ai presupposti metodologici che stanno alla loro base e alle possibili conseguenze cui possono condurre in altri settori del sapere; e ciò, indipendentemente dalla nostra inclinazione a condividerle. Dunque: se è possibile un discorso fra noi, oggi impegnati nella ricerca, deve essere possibile anche un discorso più ampio, in cui i contributi di osservazioni e di idee appartenenti ad un passato più o meno remoto non compaiano come pezzi da museo, solo oggetto di curiosità storica, ma stimolino ancora a discutere e a cercare risposte.

Allo stesso modo, tracciare una distinzione tra l’io e il non-io, sostenere che la causalità fa. parte delle nostre esperienze, dire che l’identità appare negli oggetti perché vi è stata messa dal nostro pensiero, o che l’unità non può essere una proprietà delle cose, significa proporre altrettanti problemi, ciascuno dei quali può essere assunto nella prospettiva in cui ora abbiamo considerato le affermazioni di Aristosseno sull’ottava o quelle di Berkeley sull’illusione della luna.

Quando gli Autori appartenenti a zone più o meno distanti del nostro passato storico hanno trattato temi di questo tipo non hanno parlato di cose apparentemente simili a quelle di cui si occupa la psicologia d’oggi, né in un senso diverso.

Hanno proposto idee, come oggi si vengono proponendo, ed hanno suscitato problemi che tuttora (alla luce di nuovi fatti e con l’aiuto di nuovi strumenti logici) possono essere riscontrati, discussi e a volte risolti in termini meglio rispondenti alle esigenze della cultura cui apparteniamo.

E così, dal momento che si è sempre parlato del ruolo che svolge «la percezione», o il regno dei fatti osservabili, nell’economia complessiva dell’esperienza umana, e che se ne è parlato con ricchezza di dettagli, con sottigliezza di argomenti, con concreti rimandi a possibili verifiche fin dagli inizi della storia della cultura occidentale, appare perfettamente giustificata la esigenza di impostare in qualche modo il problema dei rapporti che legano quegli argomenti all’attuale scienza dei fatti percettivi; e chi pone domande e sollecita risposte in questo senso ha ragione di farlo. Non giova, nella cultura scientifica soprattutto, la politica del «cuius regio eius religio».

Per questi motivi nelle prossime pagine compariranno con insistenza citazioni di Autori che, dato il tempo in cui vissero, difficilmente potrebbero figurare come nostri colleghi sul fronte della ricerca, e tuttavia hanno qualcosa da dire. La presenza di quelle citazioni tra gli esperimenti non è decorativa, ma strettamente funzionale. Non solo costituiscono un materiale adatto a mettere in relazione l’«universo di discorso» delle domande e delle obiezioni di cui parlavamo all’inizio con gli esperimenti che espongo e le discussioni che cerco di sviluppare intorno ad essi: spesso rappresentano proprio le tappe naturali dell’elaborazione di un problema, le quali conducono attraverso riformulazioni più ricche e meglio definite alla scoperta di qualche proprietà saliente dell’esperienza immediata, e al relativo inevitabile problema sperimentale.

 

Università di Padova, 1969.

 

 

Note

 

[1] W. Goethe, Die Schriften zur Naturwissenschaft, Weimar, 1949, vol. III, pag. 293.

[2] K. Koffka, Perception: an introduction to the Gestalt-theorie, « Psych. Bull. «, 19, 1922, pagg. 532-533.

[3] Aristoxeni Elementa Harmonica, R. da Rios rec., Roma, 1955, 20, 16-21; cfr. anche 45, 20- 27.

 


 

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