Cristina De Vecchi

LA RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO
Funzione documentaria e riproducibilità tecnica
 
     
 
 
I


La rappresentazione del paesaggio tra arte e documento

 
     
   
 
 
§
Funzione documentaria della fotografia  
 
Carlo Naya
Venezia,
1880 c.a.
   


 
 


Il riferimento alla funzione documentaria, presente nel titolo, intende delimitare la vastità e la complessità degli argomenti evocati dal tema della rappresentazione del paesaggio. Il termine documento, anche se possiede indubbiamente una connotazione negativa dal punto di vista estetico, torna tuttavia utile per indicare una tipologia della rappresentazione che si trova, per così dire, a metà strada tra l'interesse di tipo «scientifico» per il paesaggio e quello che può essere definito «turistico».

Per chiarire subito la nostra idea diciamo che la funzione documentaria, che s'impone senz'altro nella «illusione referenziale» della fotografia, non è una conseguenza dell'invenzione o dello sfruttamento del mezzo fotografico, ma appartiene a una tradizione più antica. La funzione documentaria, infatti, si fonda sulla struttura stessa della rappresentazione, o meglio su quella della raffigurazione, e l'epoca dell'immagine di massa, fenomeno al quale la fotografia ha dato un fondamentale contributo, non è il tempo del suo trionfo ma piuttosto quello della sua fine.

Con ciò non vogliamo certamente sostenere che la natura della rappresentazione fotografica sia quella del documento, non vogliamo fare la parte di quegli ingenui messi in caricatura dai teorici della fotografia, che scambiano l'immagine fotografica con la realtà. Eppure siamo convinti, e in questa convinzione ci sentiamo in buona compagnia, che gli ingenui non abbiano poi tutti torti.[1]

Conosciamo anche i rischi che comporta la «sottovalutazione meccanicamente naturalistica e documentaria, che consiste[in ultima analisi] nel mantenere la fotografia dentro quella continuità estetico-figurativa che essa, appunto, ha interrotto, e nell'aspettarla alle prove di una annosa concezione dell'"opera d'arte"».[2] Tanto più che è nostra ferma intenzione evitare di discutere se la fotografia sia o non sia arte e, ancor più, di addentrarci nel campo della rappresentazione del paesaggio come genere artistico.

Ponendo l'accento sulla funzione documentaria vogliamo infatti di proposito lasciare da parte quelle rappresentazioni in cui l'intento espressivo è dominante. Il genere pittorico del paesaggio, come pure le diverse poetiche artistiche, possono quindi solo fare da sfondo a questa ricerca. Rientra invece nel nostro ambito di interesse la rappresentazione «scientifica», quando ha per oggetto il paesaggio, come nel caso del disegno scientifico e dell'illustrazione dei testi geografici.[3] Mentre il documento cartografico, inteso come rappresentazione sistematica e convenzionale dello spazio e dei luoghi, si trova di fatto al di fuori della nozione di raffigurazione del paesaggio.[4]

Se non è nostra intenzione confondere la fotografia col documento, è opportuno chiarire che cosa intendiamo per funzione documentaria della fotografia. Nella prospettiva storica non solo un testo scritto ma ogni cosa può essere considerata un documento e, a maggior ragione, una raffigurazione può diventare una miniera di informazioni preziose sulla civiltà a cui appartiene. In questo senso l'oggetto è il supporto, diremmo così inconsapevole, di informazioni storiche.[5] Ma neppure questa nozione di documento ci sembra adeguata alla fotografia, anche perché, in ultima analisi, non è diversa da quella presa di mira dalla citazione precedente.

La funzione documentaria, che si impone all'indomani della invenzione della fotografia, sembra piuttosto coincidere con l'uso dell'immagine fotografica come strumento attivo di inventariazione e, innanzi tutto, di inventariazione del paesaggio. Certamente è la natura dell'immagine fotografica, la sua perfezione analogica, a suggerire che «Un vasto campo di lavoro si apre alla fotografia come strumento di unificazione. Occorre inventariare, catalogare, classificare, per far conoscere, mettere in comune, esaltare».[6] Ma il progetto contiene anche il presupposto che l'immagine fotografica sia un supporto consapevole dell'informazione. La funzione documentaria di questo tipo di rappresentazione è dunque intenzionale e, come tale, deve possedere una struttura, iconografica, di informazione.

Questa nozione di documento, o meglio di documento visivo, salta all'occhio soprattutto se si considera l'uso della fotografia nel periodo che seguì la sua invenzione. Essa sembrò poter incarnare quella funzione che già l'illustrazione paesaggistica e scientifica, il disegno dal vero e persino il genere documentario della pittura di paesaggio si sforzavano da tempo di realizzare.[7] «Ai gradi più alti la fotografia è in ottimi rapporti con la scienza positiva, intenta a riordinare l'intero universo del sapere, e con la letteratura e l'arte percorse da aspirazioni al realismo e al verismo».[8]

[1] Si vedano le tesi di Roland Barthes sulla funzione deittica della fotografia e sull'immagine fotografica come «il reale preso alla lettera» in La camera chiara e nei due saggi Il messaggio fotografico e Retorica dell'immagine.

[2] Giulio Bollati, Note su fotografia e storia, p.5.

[3] Anche in ambito scientifico è oggi esplicitamente riconosciuta l'origine estetica del concetto geografico di paesaggio; a questo proposito si vedano in particolare gli studi di Franco Farinelli e la pubblicazione della Documentation Française.

[4] Per una discussione approfondita di questa distinzione si veda in particolare il saggio di Franco Farinelli, Dallo spazio bianco allo spazio astratto: la logica cartografica.

[5] Si veda a questo proposito il concetto di «indizio» nel saggio di Carlo Ginzburg Spie. Radici di un paradigma indiziario, che ha la funzione di mettere a fuoco una nozione di documento alla quale può essere fatto risalire uno dei metodi dello storico. In contrapposizione, il testo scritto, grazie alla selezione dei tratti riproducibili, mette capo a una nozione ben più astratta e moderna di documento.

[6] Giulio Bollati, Note su fotografia e storia, p.31.

[7] A questo proposito si vedano le ricerche che sono state condotte sulla rappresentazione dei luoghi, in ambito strettamente pittorico, come ad es. il volume di Maria Cristina Gozzoli e Marco Rosci, Il volto della Lombardia.

[8] Giulio Bollati, Note su fotografia e storia, p.31.

 
 
 
 

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