Cristina De Vecchi

LA RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO
Funzione documentaria e riproducibilità tecnica
 
     
 
 
III


Struttura dell'immagine fotografica

 
     
   
 
 
§
L'immagine documentaria: trasformazione e registrazione  
 
Anonimo
Porto di commercio, Brest, 1874
   


 
 


Se riconsideriamo brevemente le quattro tesi, appena analizzate, circa il rapporto tra arte e fotografia vediamo che, nonostante le diverse sfumature, l'idea «continuista» è dominante. Tutti d'accordo anche nel porre in evidenza la funzione documentaria della fotografia. Da semplice documento di supporto all'attività creativa del pittore, per Scharf, l'accezione si fa più complessa e interessante con Galassi che individua nella funzione documentaria un'area di omogeneità formale, ove riconsiderare lo schizzo di paesaggio e la fotografia. Immagine documentaria descrittiva, anche la fotografia è, secondo la Alpers, animata da una intenzione conoscitiva e tassonomica, grazie al valore che le conferisce la continuità con la tradizione empiristica di tipo baconiano. Infine, documento da consultare, è per Recht l'ultimo stadio di un processo di obiettivazione del paesaggio che si realizza nel corso dell'Ottocento. Una immagine compromessa con la circolazione e con il consumo delle informazioni, imparentata più con la proprietà che con la conoscenza.

In queste analisi la constatazione della funzione documentaria non è il punto di avvio delle riflessioni ma, eventualmente, il punto di arrivo. La fotografia è vista come l'approdo di tradizioni diverse: la prospettiva lineare, la rappresentazione descrittiva dell'arte nordica, il paesaggio romantico. Anche se la camera oscura è riconosciuta da tutti come il suo antecedente tecnico, il risultato è che, in questo modo, parafrasando la Freund, non facciamo altro che scoprire nella fotografia l'eredità tecnica o ideologica di altri sistemi di rappresentazione. Per questa strada non si giungerà mai a considerare la fotografia come una rappresentazione fornita di una autonomia strutturale.

Vogliamo allora capovolgere il percorso: constatiamo nella fotografia il realizzarsi della funzione documentaria della immagine. Da qui ci volgiamo a considerare la famiglia delle immagini analogiche per fare emergere le differenze di struttura che rendano conto di come un'immagine può essere un documento. Abbiamo già anticipato la nostra ipotesi: con l'avvento della rappresentazione fotografica, assistiamo a una mutazione della natura dell'immagine raffigurativa e nello stesso tempo, a partire dalla fotografia, è possibile riconsiderare rappresentazioni del paesaggio eterogenee (sia per la loro struttura di immagine sia per il loro valore estetico), in un'area omogenea, definita da una comune funzione documentaria.

Dove risiede la funzione documentaria nella fotografia? Una risposta al quesito si trova nelle notissime tesi di Barthes: 1. la fotografia è un messaggio senza codice; 2. il contenuto del messaggio fotografico è il reale preso alla lettera. La funzione documentaria si impone senz'altro, per il senso comune, non certo perché l'immagine viene scambiata con la realtà ma perché l'immagine fotografica si presenta come l'analogon perfetto. Perfezione analogica che, pur comportando una riduzione (di proporzione, prospettiva e colore), non è mai una trasformazione. [72]

Secondo Barthes, la fotografia possiede una struttura originale che si rivela solo a un'analisi immanente. Perciò si tratta di capire se possa darsi un messaggio senza codice e se, nella grande famiglia delle riproduzioni analogiche della realtà, esistano altri messaggi senza codice. Nella prospettiva di una semiologia dell'immagine, il cuore del problema si presenta sotto forma della domanda se la rappresentazione analogica, la copia, sia concepibile come un sistema di segni, in altre parole se sia possibile un «codice» analogico e non più digitale.[73]

Enunciate sinteticamente le tesi di Barthes, prima di seguire la sua analisi, è opportuno introdurre brevemente alcune osservazioni. La riproduzione analogica, che possiamo chiamare anche raffigurazione, definisce una famiglia di immagini (disegni, dipinti, stampe e fotografie), dove un oggetto viene rappresentato da un altro oggetto. Si tratta di una relazione tra due oggetti: un originale e una copia. La riproduzione analogica prevede in ogni caso una mediazione tecnica.[74] L'immagine come raffigurazione è dunque una cosa: perché una cosa possa divenire immagine di un'altra è necessaria una mediazione tecnica. La qualità analogica dell'immagine è il risultato intenzionale di una prassi. Conosciamo anche la possibilità del contrassegno, in cui una cosa diviene immagine di un'altra sulla base di una convenzione. Oppure, quella del test psicologico, in cui, per esempio, una macchia diventa l'immagine di un pipistrello, sulla base di una proiezione soggettiva, privata. Ma questi due casi limite, posti agli antipodi, non sono già più raffigurazioni.

L'immagine analogica non è né arbitraria (astratta) né proiettiva (soggettiva) ma «intuitiva»: nella rappresentazione vedo la cosa rappresentata.[75] Si tratta del messaggio iconico letterale di Barthes, di cui si dice «Il sapere implicito nel messaggio letterale è un sapere quasi antropologico, che corrisponde alla lettera dell'immagine».

Tornando dunque a Barthes, si può dire che questa caratteristica della riproduzione analogica non è la sola a definire la struttura del senso nell'immagine fotografica. Ma, dei tre messaggi individuati e descritti (messaggio linguistico; messaggio iconico letterale o immagine denotata; messaggio iconico simbolico o immagine connotata), certamente è da quello iconico letterale che si possono trarre il massimo di indicazioni sulla differenza tra disegno e fotografia e sulla funzione documentaria.

Anzitutto nell'immagine fotografica la funzione deittica è dominante: «La fotografia è un canto alternato di "guardate", "guarda", "guarda qui"; essa indica col dito un certo vis a vis e non può uscire da questo puro linguaggio deittico».[76] La fotografia non si distingue facilmente da ciò che rappresenta e, in questo caso, la relazione raffigurativa ha ridotto a tal punto le distanze che le due facce risultano incollate: percepire la sola figura della raffigurazione (o il significante come dice Barthes) può essere il frutto di un'abitudine professionale o il risultato di uno sforzo d'astrazione. Non costa invece alcuno sforzo percepire la figura di un disegno, per quanto «realistico». «Per natura la fotografia ... ha qualcosa di tautologico: una pipa sempre una pipa...».[77]

In secondo luogo Barthes introduce, tra le righe, una distinzione che ha un alto valore operativo, perché mette in luce le differenze strutturali tra disegno e fotografia. Nella relazione di rappresentazione, in generale, ciò che sopra abbiamo indicato come mediazione tecnica si specifica in organizzazione della scena e trasformazione dell'oggetto rappresentato.[78] Alla luce di questa distinzione «Bisogna dunque opporre la fotografia, messaggio senza codice, al disegno che, quand'anche denotato, è un messaggio codificato».[79]

Il disegno è un messaggio codificato e ciò è visibile a tre livelli: «...riprodurre un oggetto o una scena con il disegno obbliga a un insieme di trasposizioni regolate; non esiste una natura della copia pittorica e i codici di trasposizione sono storici (soprattutto per quanto concerne la prospettiva); inoltre l'operazione del disegno (la codifica) obbliga subito a una certa partizione tra il significante e l'insignificante: il disegno non riproduce tutto... senza cessare tuttavia di essere un messaggio forte... infine, come tutti i codici, il disegno richiede un apprendistato (Saussure attribuiva una grande importanza a questo fatto semiologico) ».[80]

La fotografia, invece, può scegliere soggetto, inquadratura e angolazione (quella che abbiamo chiamato l'organizzazione della scena), ma non può intervenire all'interno dell'oggetto (se non mediante il trucco). Nella fotografia c'è solo riduzione dell'oggetto ma non trasformazione. La modalità propria della foto è la registrazione.

Questa analisi, fondamentale, comporta due conseguenze. Una riguarda il disegno: non vi è disegno senza stile. «Non c'è disegno, per quanto "esatto", la cui stessa esattezza non venga piegata in direzione dello stile ("verista") ».[81] Inoltre «E' indubbio che la codifica della lettera prepari e faciliti la connotazione».[82] L'altra riguarda la fotografia: «Sola tra tutte le immagini la fotografia possiede il potere di trasmettere l'informazione (letterale) senza formarla con l'aiuto di segni discontinui e regole di trasformazione».[83] In altri termini la denotazione del disegno è meno pura della denotazione fotografica: perciò la funzione documentaria, meno visibile in altri tipi di riproduzioni analogiche, con la fotografia s'impone senz'altro.

«Nella fotografia, in effetti - almeno al livello del messaggio letterale -, il rapporto tra i significati e i significanti non è di «trasformazione» ma di «registrazione», e l'assenza del codice rafforza evidentemente il mito del «naturale» fotografico: la scena c'è, captata meccanicamente, ma non umanamente (il meccanico è qui pieno di oggettività). Gli interventi dell'uomo sulla fotografia (inquadratura, distanza, luce,...) appartengono effettivamente tutti al piano della connotazione...».[84]

[72] Roland Barthes, Il messaggio fotografico, p.7.

[73] Roland Barthes, Retorica dell'immagine, p.22-23.

[74] Benjamin, in L'opera d'arte nell'epoca della sua riproducibilità tecnica, offre una distinzione non trascurabile tra la trasformazione grafica dell'oggetto per mezzo di segni, che richiede una competenza tecnica manuale, e la tecnica riproduttiva a stampa e fotografica. Cfr., p.21.

[75] Qui intuitivo è sinonimo di una comprensione dell'immagine radicata nei sensi che, per quanto vada oltre la percezione non ha nulla a che vedere con l'intuizione sovrasensibile. Per questo ed altri chiarimenti terminologici e approfondimenti filosofici sul tema della percezione e dell'immagine, si veda Giovanni Piana, Elementi per una dottrina dell'esperienza

[76] Roland Barthes, La Chambre claire, p.16.

[77] Ibid., p.17.

[78] Roland Barthes, Retorica dell'immagine, p.26.

[79] Ibid., p.32.

[80] Ibid., p.33.

[81] Roland Barthes, Il messaggio fotografico, p.7.

[82] Roland Barthes, Retorica dell'immagine, p.33.

[83] Ibid., p.32, sott. nostra.

[84] Ibid., p.33.

 
 
 
 
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