Cristina De Vecchi

LA RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO
Funzione documentaria e riproducibilità tecnica
 
     
 
 
IV


Il documento visivo

 
     
   
 
 
§
Monumento, traccia, collezione  
 
Guigoni e Bossi
Monumento alle Cinque Giornate,
Milano
, 1895
   


 
 


L'immagine analogica raggiunge con la fotografia la funzione di documento visivo e muta nel contempo lo scenario tradizionale della produzione artistica. Con l'immagine di massa entrano in campo nuove forze e nuovi attori: produttore, messaggio, destinatario; informazione, circolazione e merce. Nella rappresentazione documentaria (per non parlare della pubblicità) l'immagine si fa intenzionale, enfatica. Nello stesso tempo però la nozione di documento tende ad assumere il significato di dato obiettivo.

Per procedere nella nostra definizione di funzione documentaria, in relazione a quella che abbiamo indicato come una tipologia particolare della rappresentazione, è opportuno ora interrogarsi sulla nozione di documento visivo.

Di tutto quanto detto sopra, a proposito della fotografia, riterremo due considerazioni in particolare. Una riguarda l'osservazione che, se l'area dei significati culturali dell'immagine (il messaggio simbolico) si presta sia all'interpretazione sia alla classificazione, di contro il messaggio letterale, ciò che si vede, è inclassificabile. Anzi, un ulteriore paradosso è che la fotografia, inclassificabile per natura, promuove, al suo apparire sulla scena delle immagini, una intensissima attività di inventariazione. Barthes osserva: «si direbbe che la fotografia è inclassificabile» ma da che cosa dipende questo disordine? La prima risposta è che in essa l'avvenimento non è mai sorpassato verso qualcos'altro, essa, riproducendo all'infinito ciò che ha avuto luogo una volta sola, è il Particolare assoluto, la Contingenza sovrana.[95] Nello stesso tempo, proprio il linguaggio deittico e la capacità di rendere contemporaneamente una serie di dettagli meglio della percezione diretta (già sintetica) ne fa, al suo apparire, un potentissimo strumento di inventariazione. Nella lettera sul dagherrotipo, von Humboldt pone l'accento su ciò che, a suo parere, ne costituisce il maggior vantaggio, il fatto di essere un documento, ausilio preziosissimo della nostra memoria.[96] Siamo così giunti alla seconda osservazione, là dove abbiamo notato che l'intenzione esplicita dell'immagine letterale ha a che fare con la memoria, almeno nel senso di una volontà di preservare l'identità di ogni singola cosa o persona.

Memoria e inventariazione: vediamo ora qual'è il rapporto che la nozione di documento intrattiene con questi due termini. I «materiali della memoria possono presentarsi sotto due forme principali: i monumenti, eredità del passato e i documenti, scelta dello storico».[97] Il documento intrattiene rapporti con la memoria secondo due modalità: mentre in un caso si tratta della testimonianza diretta di ciò che è passato, l'altro modo presuppone una scelta, una selezione. Dietro l'uso comune del termine documento intravediamo non solo una diversità semantica ma anche due diverse strutture di riferimento.

Il termine monumento deriva da mens (memoria) e da monere (far ricordare): «Il monumentum è un segno del passato». Attraverso il monumento è il passato stesso che si manifesta, mediante segni concreti, cose, oggetti che perpetuano il ricordo. Il monumento rimanda a testimonianze visive e, solo in minima parte, scritte. Il termine documento, invece, deriva da docere (insegnare) e si è poi evoluto nel significato di prova, ampiamente usato nel vocabolario legislativo.«..il senso moderno di testimonianza storica data solamente dal XIX secolo... Il documento che, per la scuola positivistica della fine del XIX secolo, sarà il fondamento del fatto storico, sebbene sia il risultato di una scelta, di una decisione dello storico,... pare possedere una obiettività che si contrappone all'intenzionalità del monumento. Per di più si afferma essenzialmente come una testimonianza scritta».

Queste osservazioni sono per noi ricche di conseguenze. Anzitutto la distinzione proposta induce immediatamente a caratterizzare il documento visivo come monumento. La non completa riducibilità dell'immagine all'informazione, la sua resistenza al senso, il suo essere innanzi tutto cosa, ne fa appunto un monumento piuttosto che un documento.

Operata questa scelta possiamo trarre ulteriori considerazioni. Il monumento ha un rapporto diretto con la memoria in quanto non conosce la mediazione di un sapere codificato, scritto. Ma il monumento non si identifica con il ricordo, per lo meno con il ricordo come esperienza soggettiva. Il ricordo soggettivo non è un'informazione. Il ricordo può essere perpetuato sotto forma di quell'oggetto che è il monumento. Il monumento possiede, come la raffigurazione, una struttura di riferimento (di informazione), il ricordo no. La rappresentazione documentaria, in tutte le sue forme, dal disegno alla fotografia, intende far ricordare, costituire una traccia dell'esperienza visiva.

La fotografia però, lo abbiamo già notato, subisce la sorte del documento, nel senso che assume il senso di prova oggettiva. Si tratta del medesimo paradosso storico che coinvolge nello stesso periodo (il XIX secolo) sia la fotografia sia la nozione di documento: «più la tecnica sviluppa la diffusione delle informazioni (e soprattutto delle immagini) e più essa fornisce i mezzi per mascherare il senso costruito sotto l'apparenza del senso dato».

Inoltre il documento è un modo di interpretare il testo da parte dello storico (e lo storico deve prenderne in esame una quantità sempre maggiore per operare la selezione). Il documento è il risultato di un tipo di lettura, la lettura del documento (una sorta di esegesi testuale). Il monumento è invece un oggetto, costruito secondo l'intenzione di lasciare una traccia concreta e visibile. La sua area semantica è la stessa che appartiene a un'opera di architettura o di scultura a scopo commemorativo (arco di trionfo, colonna, trofeo) oppure a una costruzione destinata a tramandare il ricordo (il monumento funebre, ecc.). Questa differenza è essenziale perché indica una caratteristica strutturale della rappresentazione documentaria. Qualunque rappresentazione può diventare un documento visivo sotto lo sguardo interessato dello storico. Un'opera pittorica può essere letta come documento storico e dire qualcosa sui costumi, sulle abitudini, sul paesaggio del tempo. Qualunque immagine può essere vista come un documento, è solo questione di mutare il contesto.[98] Nella raffigurazione documentaria, invece, non è solo questione di contesto, ma di struttura del riferimento o, se vogliamo, della informazione: nel monumento il messaggio è intenzionale.

Nel corso del tempo si assiste a un lento trionfo del documento sul monumento, che coincide con quello del testo scritto. Già nel Settecento la fiducia nel documento è totale, ciò nonostante si continuerà, fino a tutto il XIX secolo, a parlare di "monumenti" per le raccolte e le grandi collezioni di documenti (testuali e non). Il senso della traccia materiale, dell'oggetto, rimane in quelle istituzioni, gli archivi, che conservano il documento originale, spesso manoscritto, e per le quali il senso pieno non risiede tanto nei singoli oggetti quanto nella loro riunione materiale e nel loro studio sistematico. La funzione della collezione, sia nell'archivio storico sia nel museo, assolve a due diversi compiti: la garanzia dell'autenticità dell'opera e lo studio sistematico. Compresenza di due tendenze contraddittorie, quanto paradigmatiche, per l'epoca e l'argomento che ci riguarda: da un lato, salvaguardare l'autenticità del documento individuale (paradigma indiziario); dall'altro, assolvere alle necessità sistematiche del catalogo, che sorpassa l'individuo verso l'astrazione della classe (paradigma scientifico). E' come se la collezione di documenti originali intendesse far da contrappeso alla selezione dei tratti pertinenti, già in atto per il testo stampato.[99] La permanenza del termine monumento testimonia la sopravvivenza e la validità operativa del paradigma indiziario, il cui organo è la vista, malgrado il processo di smaterializzazione legato alla scrittura e alla stampa. La depurazione dei tratti non riproducibili andrebbe invece di pari passo con il dominio del documento sul monumento e con l'identificazione testo = documento.

Il fatto che per la raffigurazione (il «testo figurativo») questa depurazione non si sia verificata, o si sia verificata solo parzialmente con la stampa e la fotografia, ne farebbe un monumento per eccellenza.[100]

[95] Cfr. La chambre claire, pp.14-16.

[96] Alexander von Humboldt, Lettre sur le daguerréotype, pp.9-12.

[97] Le citazioni che seguono sono tutte tatte da Jacques Le Goff, Documento / Monumento, pp.38-47.

[98] Si noterà che proprio su questa concezione si fonda, secondo Roland Recht, l'invenzione del museo nel clima romantico della Germania dell'Ottocento «E' l'operazione dello sguardo che fonda il vero approccio storico», La lettre de Humboldt, p.79.

[99] A questo proposito si veda quanto dice Carlo Ginzburg nel suo saggio Spie. Radici di un paradigma indiziario, sulla smaterializzazione progressiva del testo, pp.72 e sgg.

[100] Il «paradigma indiziario» di Ginzburg si esercita sui monumenti (orme lasciate sulla terra, astri, feci, ecc. l'indizio un documento individuale) - e non sui documenti - e la storia, dice Ginzburg, ha lontane origini indiziarie. Così come il testo scritto - alle sue origini e ancor oggi in Cina - grazie alla calligrafia, resta monumento.

 
 
 
 
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