Cristina De Vecchi

LA RAPPRESENTAZIONE DEL PAESAGGIO
Funzione documentaria e riproducibilità tecnica
 
     
 
 
V


Il paesaggio

 
     
   
 
 
§
La raffigurazione del luogo: dalla veduta topografica al panorama  
 
Caspar David Friedrich
Paesaggio con figura maschile, 1837-1840
   


 
 


Alcuni parametri si sono venuti chiarendo attorno alla rappresentazione documentaria, attraverso un confronto con la struttura dell'immagine fotografica e con la dialettica Documento / Monumento. Né illusione percettiva, né proiezione soggettiva, essa possiede una struttura di informazione, promuove l'attività di inventariazione e implica la riproducibiltà, la nozione di copia.

Inoltre l'immagine documentaria, pur se intenzionale, è per definizione analogica. La funzione documentaria, pur essendo deittica, non è referenziale: il suo compito non è designare l'oggetto, ma raffigurarlo. La particolare resistenza al senso dell'immagine-documento, perfettamente analogica, autosufficiente e privativa, suggerisce che la funzione documentaria sia piuttosto una poetica. Il punto di vista della poetica ha il vantaggio di sottrarre, fin da principio, il problema della rappresentazione del paesaggio al dilemma Immagine / Realtà.

E' ancora il confronto con la fotografia a fornire un ultimo e decisivo parametro della rappresentazione documentaria del paesaggio: questa si definisce come raffigurazione di un luogo.

Il linguaggio deittico della fotografia fa sì che in essa il paesaggio si identifichi con la rappresentazione del luogo. Per quanto tale identificazione (una tautologia secondo Barthes) si realizzi di fatto solo nell'immagine fotografica, non si può parlare di rappresentazione documentaria del paesaggio senza il riferimento, più o meno preciso, a un luogo determinato.

Non solo nel disegno «scientifico», ma anche in ambito pittorico, il paesaggio assume, tra Settecento e Ottocento, la funzione di rappresentare il luogo. Il disegno dal vero, come notava Galassi, fa da mediatore in questa trasformazione. La sua costitutiva polivalenza, tra rappresentazione scientifica e rappresentazione artistica, ne fa lo strumento emergente della cultura artistica del Settecento, che realizza l'evoluzione dal capriccio alla veduta documentaria.[112] L'invenzione del panorama segna il momento di massimo splendore della veduta e, nel contempo, la sua trasformazione dalla funzione documentaria all'illusione totale.

Da soggetto di un genere artistico inferiore (sottoposto a una normativa idealizzante) a riproduzione di un luogo preciso, il paesaggio vive il proprio trionfo tra la fine del Settecento e l'inizio del Novecento. E' l'epoca della rappresentazione documentaria e della sua poetica (dalla riproducibilità tecnica allargata all'immagine di massa) che vede la rappresentazione del paesaggio procedere dal disegno scientifico alla fotografia di paesaggio. Pur mantenendo le distanze dall'interrogativo che verte attorno alla natura del concetto di paesaggio, notiamo che, nel frattempo, il sentimento paesaggistico evolve dall'interesse scientifico per la natura fino all'idea del paesaggio come luogo da proteggere, idea che si concretizza all'inizio del Novecento, con le prime leggi di tutela.[113]

Sull'esempio dell'arte e della cartografia olandese, sull'esperienza delle rappresentazioni topografiche e catastali, sull'onda delle poetiche romantiche, si viene delineando un tipo di sensibilità nuova, con accenti profondamente diversificati, che spinge ad un approccio visivo diretto dello spazio fisico.[114] La rappresentazione del luogo è alla base tanto delle vedute topografiche quanto dei panorami illusionistici. Essa si dispiega in un arco estremamente vario e complesso di interessi che vanno dal disegno scientifico del paesaggio, a tendenza cartografica, alla rappresentazione spettacolare del panorama, che manifesta già un'inclinazione turistica. Ma, già la stessa nozione teorica di luogo può essere intesa come il risultato di un processo di obiettivazione dello spazio fisico in cui la funzione deittica diventa dominante.[115] Il luogo si costituisce materialmente sotto l'effetto di una azione di delimitazione reale o immaginaria e lo spazio è ciò che si apre, sconfinato, oltre i limiti del luogo.

La rappresentazione di paesaggio non solo delimita il luogo ma, determinando materialmente l'immagine del paesaggio, ne inaugura la poetica. Vogliamo notare ora come almeno tre tipologie della rappresentazione del paesaggio corrispondano ad altrettanti momenti teoreticamente differenti del processo di obiettivazione del luogo: indicare; delimitare; andare oltre i limiti, allontanandosi.

Il primo passo (indicare), anche se può sembrare strano, ci pare interpretato da quella rappresentazione romantica del paesaggio di cui Friedrich è l'interprete più conosciuto e che abbiamo già incontrata precedentemente.[116] Certamente anche la tradizione descrittiva dell'arte nordica risponde alla parola d'ordine mostrare, ma proprio qui si colloca la differenza che abbiamo già sottolineato, e che avrà conseguenze decisive, tra l'indicazione enfatica di un soggetto sommerso dall'emozione del paesaggio e il mostrare impersonale, via d'accesso alla conoscenza del mondo fisico.

Nell'iconografia romantica del paesaggio è la meraviglia dello spettatore ad essere rappresentata più che il paesaggio stesso. Tuttavia la presenza del soggetto nella rappresentazione non rinvia all'interiorità del soggetto, bensì a una presenza esteriore, corposa. La figura umana, secondo uno stilema che avrà grande fortuna, volge la schiena e in tal modo proclama il carattere spettacolare del mondo esterno.

Delimitare: l'inquadratura è il gesto che caratterizza il paesaggio come frammento nel giardino paesaggistico e nella pittura di paesaggio dell'Ottocento.[117] Anche nella tradizione nordico-olandese il paesaggio si caratterizza come frammento ma, in quanto tale, è una rappresentazione il più possibile esatta e non selettiva della natura. In questo caso, invece, l'inquadratura è il gesto che attua il passaggio dalla contemplazione del paesaggio alla sua rappresentazione o, se vogliamo, alla sua «finzione». L'inquadratura delimita il campo dell'immagine, come spazio discreto, frammentario del luogo e fa da confine con il contnuum dello spazio infinito. La rappresentazione del paesaggio è rappresentazione di uno spazio discreto, per lo meno finché la fotografia non riuscirà a compenetrare le due dimensioni nel campo dell'immagine: «Sarà caratteristica della fotografia mettere in scena ad un tempo il finito e l'infinito, quel che è interessante e quel che non lo è, quel che guardo e quel che non guardo. L'immagine fotografica conserva nel quadro del suo campo degli elementi eterogenei».[118]

Andare oltre i limiti, allontanandosi: accedere allo spazio infinito, apparizione unica di una lontananza, questa la parola d'ordine del panorama e insieme la definizione dell'«aura» allo stato naturale.[119] Questa apertura del campo dell'immagine, nel panorama, coincide con un allontanamento del punto di vista: già a partire dal Settecento si viaggia di più, si cominciano a scalare le Alpi e si può guardare la terra dall'alto della mongolfiera. L'orizzonte diventa il lointain, lo sfondo, l'infinito e la rappresentazione del paesaggio si avvicina alla poetica dello spazio. Inoltre, negli artifici stilistici del panorama converge l'uso di strumenti ottici, quali la lente, il cannocchiale e la camera oscura, capaci di potenziare la visione e di interferire nel processo percettivo. L'ampliamento del campo dell'immagine, inteso come abolizione della delimitazione, ha soprattutto lo scopo di creare un'illusione percettiva: privato dei suoi limiti, il frammento (la finzione) viene confuso con la realtà. Il panorama è una rappresentazione spettacolare del paesaggio che invece di raffigurare il luogo vuol creare l'illusione della sua presenza fisica: «Nel loro tentativo di produrre, nella natura rappresentata, trasformazioni fedeli fino all'illusione, i panorami rinviano in anticipo, oltre la fotografia, al film e al sonoro».[120]

Non si può parlare di rappresentazione documentaria del paesaggio senza il riferimento, più o meno preciso, a un luogo, ma nel disegno «scientifico» del paesaggio e nel panorama sono già contenuti elementi i cui sviluppi porteranno fuori dalla semplice funzione documentaria. Nella veduta topografica l'interesse conoscitivo per lo spazio fisico apre la via a un'evoluzione del genere in senso cartografico. Nel panorama il coinvolgimento illusionistico dello spettatore lascia intravedere un'ambizione spettacolare, che va ben oltre il documento. Tuttavia, disegno «scientifico» del paesaggio e panorama, pur collocandosi agli estremi, rientrano, a nostro avviso a pieno titolo, nella fenomenologia della rappresentazione documentaria del paesaggio. Al contrario, uno spazio illusionistico, in cui sia perso ogni riferimento alla raffigurazione del luogo (come potrebbe avvenire in una scena teatrale), non è una rappresentazione documentaria. Così come non lo è una rappresentazione cartografica, che faccia riferimento a un concetto totalmente astratto e matematico di spazio, reticolo di relazioni tra gli oggetti.

[112] Per questo argomento si veda in particolare Maria Cristina Gozzoli, Marco Rosci Il volto della Lombardia.

[113] A questo tema dedicato, in particolare, il primo capitolo del volume di Yves Luginbuhl, Paysages.

[114] Cfr. Svetlana Alpers, Arte del descrivere, il capitolo dedicato alla Vocazione cartografica, pp.195-275; Franco Farinneli, Dallo spazio bianco allo spazio astratto: la logica cartografica; Roland Recht, La lettre de Humboldt

[115] Cfr. Giovanni Piana, Osservazioni sul luogo.

[116] Roland Recht, La lettre de Humboldt, si veda in particolare il capitolo L'oeil intérieur.

[117] Ibid., in particolare pp.149-150.

[118] Ibid., p. 150, cfr. anche ciò che Barthes chiama il «disordine costitutivo dell'immagine».

[119] Un'analisi documentatissima del genere del panorama si trova in Silvia Bordini, Storia del panorama e in Stephan Ottermann, Das Panorama. Die Geschichte eines Massenmediums.

[120] Walter Benjamin, Daguerre e i Panorami, p.148.

 
 
 
 
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