4 - La psicologia del genio di G. Séailles

e il vitalismo nel pensiero estetico

 

 

 

L'opera di G. Séailles, spesso accostata a quella di J.M. Guyau per la comune impostazione sociologica e psicologica, possiede in realtà specifiche e particolari caratteristiche che influenzeranno non marginalmente Bergson, Delacroix, Valéry, Alain e Segond.

La psicologia della creazione nella molteplicità dei suoi significati e indirizzi d'azione costituisce il punto d'avvio e il campo prediletto delle sue analisi e ricerche. Il genio non deve essere considerato un «mostro»: esso è umano, è una differenza di grado fra le facoltà soggettive individuali e non di natura o essenza. Non c'è una frattura fra l'umanità e la personalità geniale ma una «continuità» che permette al genio di svilupparsi come se fosse un naturale «a priori della realizzazione» insito in tutte le facoltà dell'uomo, con la capacità di condurle al massimo grado della loro espansione. Il genio è quindi «oggettivo», «e la bellezza vivente nelle sue leggi e divenuta potenza, una potenza regolata, capricciosa e feconda, capace di tutte le metamorfosi» [120] e sottomessa alle leggi della natura senza alcun romantico alone di «miracolosità».

Per comprendere il genio come un fenomeno caratteristico del. l'uomo nei vari aspetti della sua attività è dunque necessario «studiare questa potenza creatrice a tutti i suoi gradi, in tutte le sue forme, sottolineare il suo ruolo nei diversi atti dell'intelligenza, il suo intervento nello studio della natura; mostrare infine come l'immagine gli permette di affrancarsi, di esprimersi liberamente in una materia che non più gli resiste»[121].

La vita interiore delle immagini - quasi un kantiano «libero gioco» dell'immaginazione - permette la creazione di quel mondo integralmente spirituale che è l'universo dell'arte, sintesi «geniale» dei movimenti vitali e multiformi delle immagini dello spirito. Il genio, vivente unione fra lo spirito e le cose, mostra dunque il passaggio incessante e insensibile della natura allo spirito e dello spirito alla natura, il legame fra soggetto e oggetto, fra la bellezza in noi e quella che realizza l'universo sensibile.

Il genio, nel senso più ampio del termine, «e la fecondità dello spirito, è la potenza di organizzare idee, immagini, segni, spontanea mente, senza impiegare i processi lenti del pensiero riflessivo, gli approcci successivi del ragionamento discorsivo»[122]. In questa genialità, che Séailles chiama dell'intelligenza e che mira a un ordine armonico degli oggetti nel soggetto, l'attività spirituale costruttiva si impone in primo luogo nella presenza sensibile, in quella sintesi di sensazioni elementari (tattili, visive, ecc.) che costituiscono la vera e propria sensazione attraverso il corpo senziente, fornendo una base concreta al pensiero che tali «eterogenei» combinerà nella nozione di «oggetto». Lo spirito estende poi la sua vita nella durata collegando fra loro i diversi momenti del pensiero in un'unità, preparata dal - l'unità dei fatti, che ricorda il Tempo e la Durata di Bergson: «così il genio di cui tutto l'essere è slancio (élan) verso l'armonia è dappertutto presente»[123].

Il genio non è dunque una «facoltà» specifica dell'arte ma appartiene a tutte le manifestazioni della vita e in primo luogo alla scienza che ne è un'evolutiva «forma superiore». Qualsiasi cosa faccia lo spirito, come affermerà anche P. Souriau, lavora per l'ordine, per mettere una certa bellezza nelle cose: è un «bisogno d'essere» che viene espresso da tutte le metafisiche e da tutte le religioni, una neoplatonica identificazione fra armonia e bellezza che rivela il substrato metafisico del pensiero di Séailles, differenziandolo da quello di Guyau. Il genio è quindi «ordine» e «armonia», stato «normale» dello spirito, segno inequivocabile della sua salute e non, come sostenevano Lombroso e gli antropologi suoi seguaci, una «nevrosi» o una «malattia mentale».

La reazione di Séailles a certo «riduzionismo» di matrice tardo-positivista non vuole tuttavia negare il valore della scienza come prosecuzione della vita, espressione stessa del suo bisogno di ordine e organizzazione, ma solo cercare di comprendere i possibili limiti della conoscenza scientifica. Là dove, riprendendo echi spenceriani, non è più in grado di costruire nella scienza, l'armonia del genio riverserà le sue energie nella fabbricazione di opere d'arte e mostrerà, nell'energia del suo slancio, incapace di fermarsi, che dalle sensazioni alle leggi più generali dello spirito si pone come sforzo verso l'armonia. Il genio si identifica quindi, come in Guyau, con la vita ma la vita non è mistica capacità di creare bensì l'organizzazione del sensibile attraverso l'intelligenza nella direzione dell'ordine e dell'armonia. Pensare, scrive Séailles, è vivere: «l'uomo vuole vivere e sottomette tutto alle leggi della vita, che non si distinguono dalle leggi del pensiero»[124]. Il genio è l'espressione «vivente» della vita, ciò che fa dell'uomo l'opera più compiuta della vita stessa imponendogli di organizzare e trasformare in qualcosa di vivente tutto ciò che gli proviene dall'esterno per affermare il proprio essere e l'armonia organizzatrice della vita. Il positivista, a parere di Séailles, riprende l'errore degli scettici e vive e pensa solo a patto di non riflettere sulle condizioni che pone per la vita e per il pensiero: vuole con ciò fermare la vita senza comprendere l'impossibilità del suo compito, lo slancio di sviluppo dell'uomo e del mondo non riducibile a mero «fatto». La funzione della riflessione è invece condurre questo slancio verso l'essere, frenandolo se necessario o potenziandolo con la propria fecondità. Vivere è sempre affermarsi: «l'azione sopprime il dubbio», la vita spirituale come attività continua del genio incosciente è la lotta stessa per la vita che aspira all'ordine e che ha nella bellezza il suo risultato e nell'arte la sua evidente concretizzazione.

L'arte, come si è già accennato, nasce da una sensazione che può rinascere nel nostro spirito attraverso «immagini». L'immaginazione quale facoltà «riproduttiva» testimonia, in un'evidente fusione con la memoria, la «durata» dello spirito e la continuità temporale della vita. L'immagine e un «punto vivente» che è parte integrante dello spirito e che spesso si confonde con la sensazione divenendo quasi una «sensazione spiritualizzata». È allora evidente che, nell'unità della vita, nel monismo di Séailles, non vi può essere spazio per distinzioni essenziali e strutturali fra i vari elementi costitutivi dell'esperienza, la sensazione, l'immagine e il ricordo. Le differenze, quando vengono postulate, sono di grado e non, come affermerà Bergson, di «natura». Nell'unità metafisica di uno slancio vitale che è spesso simile a quello di Séailles, Bergson, saprà cogliere, attraverso il metodo dell'intuizione, le «differenze» che conducono dalla percezione pura alla memoria pura, dalla visione pratica del mondo al coglimento della sua realtà ontologica, quando Séailles, invece, vede nella continuità solo la garanzia dello sforzo finalistico - prospettiva assente in Bergson - dell'azione creatrice del genio nel suo stesso ordine armonico, armonia che può, in certi suoi aspetti, ricordare quella di Ravaisson.

L'immagine non è tuttavia in Séailles una realtà inerte ma si prolunga in movimento, interviene nel mondo delle forze attraverso movimenti che danno loro l'energia propria dello spirito. La vita stessa è caratterizzata dal movimento, dall'azione fisiologica, dal muoversi del corpo e dei suoi organi: «in questo rapporto fra l'immagine, lo spirito e il movimento è contenuto il germe dell'arte»[125].

Le immagini non rimangono infatti isolate e distinte ma attraverso il movimento si organizzano nell'unità di forme visibili, «espressioni dei sentimenti e delle idee che dominano la coscienza»: se immaginare è vivere «ogni uomo, a gradi diversi, è artista»[126]. Gli oscuri bisogni dell'organismo, le percezioni sensibili, i ricordi e le emozioni, quindi tutta quanta la vita psicofisiologica, suscitano corrispondenti immagini che, a loro volta, cercano di costruire un corpo che le simbolizzi concretizzando i movimenti cui danno luogo.

L'immagine non è dunque semplice «riproduzione passiva» delle cose: ha in sé la vita psicologica e sociale di chi immagina, le sue abitudini e le sue profonde emozioni in «corrispondenze simboliche» che ricordano il non citato Baudelaire, così come precorrono il romanzo proustiano o, in ambito filosofico, le rêveries di Bachelard o gli a priori dell'immaginazione di Dufrenne: le «cose» sono cariche di immagini e di metafore involontarie, l'oggetto che contempliamo non è mai solo ma vive su uno «sfondo», «e compreso in un quadro la cui bellezza dipende dalle ricchezze interiori e dal genio poetico che le ordina»[127]. È questo il rêve reel che sta a base della creazione artistica e che permette di vedere le cose nella ricchezza delle immagini che risvegliano e di cui si circondano. In ciascuno di noi vive un poeta nascosto perché in ogni spirito - grazie alle «corrispondenze» - si compone una «poesia incomunicabile» che, attraverso l'immaginazione, trasforma la natura e la vita, anima le cose e dà loro un senso, un'espressione, un linguaggio. L'immagine è in primo luogo legata al ricordo e al suo alone poetico che si radica nell'infanzia individuale e nelle speranze che costituiscono nell'uomo un poema interiore di desideri o ispirate tensioni desideranti.

All'immaginazione individuale si affianca un'immaginazione collettiva, correlata a quella che opera nell'organismo, poiché la società è essa stessa un organismo, composto di individui più o meno indipendenti, con una sua vita fisica, i suoi organi e le sue funzioni, la sua stessa intelligenza e immaginazione in cui si esprimono i desideri, i sentimenti e i sogni di ciascuno. Come aveva sostenuto Guyau, la vita è essenzialmente sociale perché la società è una forma dì vita che continua la natura all'interno del divenire e degli accadimenti storici. La concezione della società e delle sue formazioni sovrastrutturali, morale e religione in primo luogo, denota quella che oggi si direbbe una concezione «laica», comunque legata all'illuminismo e al positivismo; la religione è infatti considerata il prodotto del lavoro di molte immaginazioni individuali «contagiate» da una medesima ispirazione come in una «poesia collettiva».

L'immaginazione creatrice - individuale e sociale - è dunque, in sintesi, il genio interiore che dispone a suo piacimento una materia spirituale che è il proseguimento stesso della natura. Le immagini riproducono il mondo ma vivono realmente solo attraverso lo spirito obbedendo al suo movimento e seguendone le leggi. Ciò rende la vita una «perpetua poesia» che «trasforma tutte le cose attraverso le immagini di cui essa le circonda e che sembrano raggiarne», una poesia che è la legge della vita interiore e non un miracoloso prodotto di una sovrannaturale ispirazione. L'immaginazione è inoltre, con alcuni richiami kantiani, ciò che media il rapporto fra corpo e spirito:

«l'immagine è ancora la sensazione e già se ne distingue: materia per la sua origine, spirito per la sua vita tutta interiore, essa unisce il mondo e il pensiero»[128].

Al di là tuttavia di tali impliciti accenni kantiani, Séailles insiste sulla produttività della vita quale indistinto principio monistico in cui si confondono, a differenti livelli, il genio, la scienza, l'intelletto, la morale, la religione, la società, l'immaginazione e la poesia. In tale contesto, l'immaginazione acquista la funzione predominante di allargare l'ambito della mera sensibilità costruendo realtà spirituali oggettive e autonome; come in Dilthey è creatività che possiede un Lebensgefühl, un «sentimento della vita» con i suoi oggettivi processi di formazione spirituale. La vita non è infatti incoscienza e spontaneità ma armonia che si compone in elementi organizzati: il sentito della vita presente alla coscienza «si rappresenta in un corpo di immagini attraverso un lavoro analogo a quello in cui la natura costruisce un corpo vivente»[129]. L'immaginazione creatrice è quindi, nella sua stessa naturalità, il genio che dirige il pensiero scientifico verso la verità, la cui strada si identifica con quella della vita.

L'immaginazione crea attraverso i movimenti del corpo, attraverso una «memoria motrice» che partecipa alla vita interiore dei ricordi e agli atti armonicamente organizzati del nostro corpo, che è la vita nel suo intimo divenire di tensioni ed impulsi costruttivi. Il genio ha quindi a disposizione una materia che da lui non si distingue e per affermare la propria autonomia e libertà deve costruire un suo mondo specifico che realizzi la sua potenza e, insieme, manifesti la realizzazione piena della vita e delle sue immagini. Questo mondo è il mondo dell'arte che la vita crea «per possedersi nella sua pienezza» in un gioco che offre «lo spettacolo e l'illusione di una natura tutta spirituale»[130].

Così come «il genio non è un mostro», l'artista non ha bisogno di nuove e speciali «facoltà»: in lui si producono i fenomeni caratteristici dell'uomo, le immagini che con i loro movimenti si realizzano in uno slancio che dà forma alla materia sensibile. Il genio suppone soltanto dei sensi «delicati», una vasta memoria, un'«immaginazione insieme viva e tenace, che lasci alle sensazioni la loro freschezza e la loro intensità, una sensibilità squisita, che vivifichi la natura e mischi agli elementi la poesia dello spirito in cui vivono»[131]. In tal mondo delle immagini l'artista poi raccoglierà, secondo il suo temperamento e la sua posizione nella vita collettiva, quelle che risvegliano il suo sentimento: da questi elementi, in rapporto con la sua natura, a poco a poco si compone un mondo che non è il mondo reale ma quello specifico dell'opera d'arte.

L'opera d'arte non è quindi, malgrado alcune influenze spiritualiste, né la dimostrazione di una tesi filosofica, né l'imitazione della natura, né l'apparizione dell'idea o di una pura forma: e una concreta costruzione della vita che nasce dall'emozione di un artista in cui si confondono e interagiscono idee, sentimenti ed immagini che, vivendo insieme nello spirito, si organizzano in sentimento e, successivamente, in una forma vivente. L'opera d'arte - scrive Sèailles - «si fa pensandovi sempre, anche quando non vi si pensa» , nell'organizzarsi delle immagini e delle idee in un libero movimento della vita che tende a una forma armoniosa.

Il complesso processo costruttivo del genio si verifica tuttavia solo perché l'artista è «lavoratore», capace di concentrare tutte le proprie forze in ciò che sta facendo, forze che fisiche quanto intellettuali, spirituali e naturali, in una parola forze vitali che si sintetizzano nell'atto unico e geniale dell'ispirazione

«la gioia dell'artista nel momento dell'ispirazione è la gioia di vivere, di sentire insieme tutte le proprie forze e di trovare per un istante in questo accordo perfetto dell'essere interiore l'illusione di una vita divina»[132].

L'opera l'arte è in primo luogo un'idea confusa, un'emozione intensa e indeterminata che si «segmenta» nella vita dello spirito trasformando in forma vivente le immagini e le idee; è anche, tuttavia, un sentimento dell'artista che risveglia analogo sentimento nello spettatore che «sente» e «prova» l'opera ancor prima di giudicarla. La personalità dell'artista è un altro fattore che non va sottovalutato: bisogna intatti considerare il contesto sociale in cui vive, la sua stessa «tipicità psicologica»[133], la sua vita fisiologica e spirituale. Questi fattori positivi e concreti nulla tolgono all'essenza «disinteressata» dell'opera d'arte che, contrariamente a quanto aveva sostenuto Guyau, è considerata da Séailles un «lusso» della vita, un gioco, uno specchio in cui la vita si presenta e in cui, guardandosi, contempla la bellezza. L'arte non cerca l'oggetto al di là dell'immagine, che, nella sua intrinseca armonia, è sufficiente perché, nel movimento, si costruisca il suo «gioco» di apparenze. Il movimento è la «lingua attraverso cui l'artista parla, una lingua di linee, di suoni, di colori, quella lingua dei movimenti multipli della mano, dell'orecchio» che è «più della lingua del suo spirito»: «è la lingua del suo corpo, la lingua di cui tutta l'organizzazione fisiologica e psicologica è lo strumento, è più della sua lingua materna, è il suo linguaggio naturale»[134]. L'analisi del genio è quindi un'anatomia del corpo vivente, del corpo dell'artista che lavora e che acquista genio solo lavorando, attraverso quel «sentimento» della vita che è, nell'arte, il lavoro. Solo così operando l'artista si costruisce uno «stile», ovvero il pensiero visibile nella sua espressione che appartiene alla vita dell'autore e della società nelle stratificazioni delle sue componenti. L'artista è «l'artigiano della sua anima» e la sua genialità consiste nell'unità creativa che riesce a porre fra sentimento, concezione ed esecuzione: «l'opera eseguita è lo spirito visibile nel corpo che si è creato»[135].

La psicologia del genio di Séailles, che ha in sé elementi dell'estetica di Kant come di quella contrapposta di Guyau, si conclude dunque con un interrogativo sull'essenza della bellezza. Proprio la non risposta a questa domanda ha originato, fin dal primo apparire dell'Essai sur le gènie, varie critiche riconducibili a una sola ripetuta accusa: il pensiero di Séailles è opera di poesia che non può contribuire alla fondazione di una «scienza estetica». Come Guyau egli è un poeta, un poeta che come tale va letto e apprezzato, ma che non è possibile «prendere sul serio». Scrive testualmente Mustoxidi:

«La reazione contro la corrente scientifica che presentano i sistemi di Guyau e Séailles ci sembra non apporti nulla di nuovo né di fecondo all'estetica. Essa offre delle opere, brillanti per l'immaginazione o per le loro forme poetiche, piacevoli da leggersi, ma pressoché nulle dal punto di vista della conoscenza della vita estetica dell'uomo»[136].

Critiche di tal genere - che sembrerebbero lasciare non molto margine alla discussione - potrebbero peraltro venire vanificate solo ricordando l'influenza importantissima di Guyau e Séailles sull'estetica contemporanea e l'oblio in cui sono invece cadute le meditazioni di filosofi dal linguaggio maggiormente «accademico». Ciò, beninteso, non significa che le critiche rivolte a Guyau e Séailles da Mustoxidi o Lémaitre non abbiano alcuna validità. Quest'ultimo, per esempio, nota giustamente che Séailles dimentica di indicare il «criterio» del genio, il cui concetto è senza dubbio considerato con eccessiva «larghezza» e sostanzialmente identificato con la vita, nozione monistica che dovrebbe spiegare «tutto» e che, proprio per tal motivo, rischia di spiegare poco o nulla.

La «vita», tuttavia, in quanto concetto filosofico, ha una sua tradizione che, pur non volendo in questa sede esaminare nella sua completezza, non può neppure venire liquidata come residuo di un confuso misticismo monistico: Nietzsche, Dilthey, Simmel, Lukacs ed ancora prima Schopenhauer vedono in essa il principio dell'attività, il punto d'unione della realtà esteriore e della nostra soggettività psicologica, il vivificarsi in forme e idee della tentacolare vita della natura. Vi è inoltre, su questo problema, una «tradizione» francese, completamente slegata da quella germanica, con cui Guyau e Séailles implicitamente si confrontano: le filosofie di Cousin, Jouffroy e Sully-Prudhomme, quel «naturalismo romantico» da cui senza dubbio scaturisce in Francia sia la nozione di vita sia quella, ugualmente importante per Basch e Bergson, di «simpatia».

Cousin infatti, già dal 1818, parla di «analisi psicologiche» e di studio dello «stato dell'anima» come punto di partenza per l'estetica[137]. Jouffroy, che Souriau considera colui che, ben prima di Lipps e Volkelt, ha dato all'Einfühlung un valore estetico, fonda, nel 1822, la propria estetica sui concetti di «simbolo» e di «simpatia»: «il mondo non è che un simbolo materiale che permette alle forze di parlarsi e di conversare fra loro, di esprimersi a suo favore in qualche linguaggio e di comunicare le une con le altre»[138]. Il sentimento estetico fondamentale è il «sentimento simpatico», la «disposizione dell'anima umana a riprodurre o a ripetere in sé gli stati della natura vivente che gli oggetti esteriori gli suggeriscono»[139]. Sully-Prudhomme, infine, per molti versi continuatore di Jouffroy, scrive la sua opera più importante - L'expression dans les Beaux-Arts - nel medesimo anno (1883) dell'Essai sur le génie di Séailles e considera la «simpatia» non solo, come Jouffroy, come una «forza» ma in quanto rapporto d'infusione del soggetto nell'oggetto. In questo senso getta le basi per una psicologia che ha vari punti in comune con quella del vitalismo ma che le è decisamente inferiore per l'assoluta indifferenza nei confronti della lezione positivista di ridimensionamento dell'esaltazione romantica dell'espressività soggettiva.

Questi riscontri storici, se inseriscono in un dibattito nazionale il pensiero di Séailles e Guyau, non considerano tuttavia che esso si pone anche nel contesto di un discorso che coinvolge l'intera filosofia europea dell'ottocento post-positivistico sulla possibilità di costruire un metodo e un apparato concettuale per scienze quali la psicologia e la sociologia che, pur essendo nate come specifiche discipline scientifiche in ambito positivista, non possono più venire ridotte a una matematizzazione assoluta o ad una obiettivazione naturalistica. L'estetica, considerata come disciplina psicologica e sociologica, sembra porsi, almeno in Francia, quale crocevia sintetico in cui tali scienze mostrano la loro specifica autonomia di «scienze dell'uomo», con un proprio metodo e con un loro caratteristico contenuto epistemologico. Nell'organizzazione di tale discorso filosofico, Guyau è Séailles (e in seguito Delacroix e Lalo) superano l'accademismo delle «filosofie del bello» e il positivismo «sperimentale» e riduzionistico inserendosi, quasi senza consapevolezza, nel dibattito filosofico europeo sulla fondazione delle scienze dell'uomo e dell'estetica come loro «introduzione» generale quale scienza della sensibilità corporea e della «vita» che si oggettivano nella società e nella storia attraverso le opere d'arte. Questo dibattito - ovviamente fondamentale per la costituzione della moderna estetica filosofica - nasce dalla dissoluzione delle problematiche positiviste, derivato dalla loro incapacità metodologica a comprendere la vita della coscienza e dei suoi «vissuti», così come della società nel molteplice delle sue strutture costitutive. Si tratta invece, come in Dilthey, di considerare in una nuova luce il mondo dell'esperienza interna nel suo rapporto «produttivo» nei confronti dell'esperienza esterna, tenendo sempre presente che «la vita spirituale di un essere umano è una parte, isolabile solo per astrazione, dell'unità vivente psico-fisica in cui si configura una esistenza e una vita umana. La realtà di fatto che costituisce l'oggetto delle scienze storico-sociali, è il sistema di questa unità di vita»[140].

Séailles infatti, come Dilthey (che, in modo indipendente, fa simili osservazioni sul genio), si rende conto che la coscienza «non è tutto il pensiero» poiché il lavoro dell'artista è sottomesso a procedimenti corporeo-istintivi che rendono la vita dello spirito la vita stessa del corpo. Il corpo dunque e «artista», è all'origine del significato dell'arte e del genio, apre le strade per entrare nelle sfere interiori e nel contempo intersoggettive del sentimento e dell'affettività in genere. E questo ruolo del corpo in movimento come potenza continuamente creante avrà, al di là dello stile poetico di Séailles, un'importanza centrale nella filosofia e nell'estetica francesi del Novecento da Segond a Alain, da Bergson a Merleau-Ponty e Dufrenne. La vita è quindi un'unità psico-fisica che si identifica con l'attività del genio come «tendenza primitiva» e «desiderio incessante», principio che comanda ogni nostra attività, intellettuale, volitiva, passionale ed emotiva, ogni atto della percezione, della fantasia o della memoria. La vita è una realtà che, costruendo il mondo visibile nella molteplicità delle sue dimensioni, annulla in sé ogni distinzione fra l'estetico e l'extraestetico e tende comunque verso l'ordine, l'armonia e la bellezza. Il genio quale «facoltà della vita» è quindi un complesso accordo fra i fenomeni interni, i sentimenti, le immagini, le idee e i movimenti, accordo che si rivela nella sua massima espressione nell'opera d'arte, alla cui formazione, di conseguenza, concorrono elementi sociali, psicologici e fisiologici fusi in questa «connessione interna». La produttività del genio non deriva da un'ispirazione metafisica ma dal lavoro, che è una «fatalità organica», il meccanismo predisposto da un istinto, una «lunga pazienza» che esiste solo attraverso «lo sforzo continuo, attraverso un lavoro che assorbe, esclusivo, spinto a volte sino all'oblio di vivere»[141]. Il bello, prodotto di questo «genio operaio», non è dunque né nella natura né al di fuori di essa: è spirito che possiede le sue «leggi viventi», e «la vita dello spirito comunicato» che ripugna «le definizioni esclusive e rigide» e che non può quindi venire ridotto a pura e semplice «forma» opposto a una «materia». Esse, infatti, si confondono, «il razionale diviene sensibile, tutto si fa da sé senza sforzo, gli elementi sembrano essersi uniti, concentrati in un movimento naturale e spontaneo per la gioia di realizzare qualcosa di migliore»: «nell'arte il corpo non si distingue dallo spirito, le immagini dall'idea»[142].

Nel monismo della vita la bellezza, che è armonia, vede in sé la sintesi «geniale» del soggetto e dell'oggetto. Si tratta dunque, come si verificherà cinquant'anni più tardi con Dewey, di un monismo nient'affatto ontologico o storicistico ma che vede nell'esperienza come interazione fra uomo e mondo presente in ciascun atto soggettivo un momento energetico che produce stabilità e ordine, ciò che Dewey chiama la «qualità pervasiva» dell'esperienza «che collega tutti gli elementi definiti, gli oggetti di cui siamo focalmente consapevoli, facendone un tutto» [143] e che per Séailles è l'attività costruttiva del genio come espressione della vita.

È chiaro che in questo contesto monistico sarà impossibile delineare una differenziazione strutturale ed essenziale fra l'oggetto estetico e l'opera d'arte, che sono soltanto gradi diversi del medesimo movimento geniale di produttività della vita. Inoltre, la finalità ultima dell'opera di Séailles sembrerebbe essere, anche se in modo non perfettamente giustificato, «extraestetica». L'arte, infatti, è «il gioco» che dà l'immagine o il presentimento di una «vita divina»: riconciliando tutte le potenze interiori, confondendo la natura e il pensiero, la materia e lo spirito, facendo dei contrasti e delle opposizioni gli elementi stessi dell'armonia, l'arte «dà allo spirito la gioia anticipata di quella vivente concordia, di quell'unità senza confusione, di quella concentrazione suprema che acquisterebbe la natura realizzando Dio»[144]. Con implicita analogia alla kantiana Critica del giudizio, l'arte è il «simbolo» di un ordine morale intersoggettivamente comune e comunicabile attraverso il «gioco» sensibile di un oggetto armonico e compiuto quale l'opera d'arte. Ciò non significa, dunque, che Séailles si opponga a Guyau considerando l'arte «non seria» e mero «gioco» fine a se stesso. La differenza più notevole sta piuttosto nel fatto che, come nota Harding, per Guyau il genio è ben più caratterizzato come un intenso potere di simpatia e sociabilità, come un 'anticipazione della società del futuro, mentre in Séailles esso è in generale più vicino all'indistinta «simpatia» di Jouffroy o Sully-Prudhomme. L'interesse sociologico e psicologico di Séailles è inoltre maggiormente rivolto - come risulta chiaro dagli articoli raccolti in L'origine et les destinées de l'art - verso una psicofisiologia organicistica e, in ultima analisi, romantico-spiritualista che vede il proprio culmine nell'ordine e nell'armonia[145].

Séailles non è stato quindi in grado di approfondire in senso sociologico le intuizioni di Guyau né supera quel concetto «formale» di perfezione che costituisce il limite più grande dell'estetica francese di fine Ottocento; è tuttavia, ugualmente, uno dei maggiori studiosi dell'epoca, non paragonabile ai vari «accademici» premiati e lodati dai filosofi del tempo ma considerati «cretini» da Flaubert[146]. Séailles infatti non vuole determinare un'ideale «bellezza assoluta», che già appare, per esempio a Tolstoi, estranea alla vivente realtà dell'arte, ma comprende, insieme a pensatori di differente formazione e decisamente orientati verso un'estetica di matrice positivista e sperimentale quali Helmhotz, Taine, Guyau, Chevreul, SullyPrudhomme, Henry, Spencer o Fechner, che l'estetica, come afferma M. Griveau nel 1901, non è solo una nuova scienza ma una science à faire. Scienza e poesia non sono affatto, per questi autori, «termini inconciliabili» e «irriclucibili l'uno all'altro»: «uno stesso oggetto suggerisce insieme emozione e nozione, informa ed esprime: è nello stesso tempo realtà che bisogna conoscere e bellezza - o bruttezza - che si deve sentire»[147]. L'estetologo deve perciò «fare la prova» e, senza rinunciare al «piacere ingenuo» che l'arte può offrire, impegnarsi a penetrarne la complessità utilizzando sia le scienze della natura sia quelle dello spirito: per l'esthéticien

«il cielo della bellezza diviene un campo di esplorazione molto arduo; senza privarsi del mondo e senza voler privare gli altri dello spettacolo ingenuo dell'arte o degli splendori naturali, egli cerca di penetrare le segrete risorse, e calcolare le orbite e le distanze, i gradi di attrazione o di repulsione, e scoprire, sotto il movimento apparente che fa il grazioso o il sublime, le leggi del movimento reale, psichico o plastico»[148].

«Sfera» non ha qui solo un significato metaforico: l'arte è quell'universo completo dove si incontrano le scienze e, nel caso particolare di Séailles, dove psicologia e metafisica pongono le premesse per un 'unione che si realizzerà pienamente all'interno della filosofia di Bergson.

 

 

Note

[120] G. Séailles, Essai sur le génie dans l'art, Paris, Alcan, 1883, p. VII (d'ora a-vanti abbreviato con Essai).

[121] Ibid., p. IX.

[122] Ibid., p. 3.

[123] Ibid., p. 26.

[124] Ibid., p. 60.

[125] Ibid., p. 94.

[126] Ibid., p. 98. Séailles parla qui di immagini del rêve. Il lato «notturno» con cui affronta il problema non ci sembra possa aver influenzato Delacroix prima e Bachelard poi. Altro discorso invece per quanto riguarda la concezione bergsoniana dei rêve stesso.

[127] Ibid., p.102. Aggiunge tuttavia (ibidem): «Il principio di questo piacere non ènelle cose, è nell'attività di cui esse sono l'occasione».

[128] G. Séailles, Essai, cit., p. 124.

[129] Ibid., p. 128.

[130] Ibid., p. 153.

[131] Ibid., p. 159.

[132] Ibid., p. 174. La «salute dello spirito» è la vita stessa del genio, il suo costruttivo momento vitale. L'ispirazione si definisce dunque attraverso la vita e non può essere descritta come «al di là» della natura.

[133] Come si può notare nella bibliografia conclusiva, Séailles ha dedicato molti suoi lavori a «biografie psicologiche» di artisti e scienziati, da Leonardo a Renan, da E. Carriere a Watteau. Peraltro Séailles stesso era psicologo d'origine e di formazione, come gran parte degli studiosi che stiamo considerando: psicologi che, all'interno della «Revue philosophique», mostravano le molteplicità dei loro interessi nei campi delle arti e delle scienze dell'uomo.

[134] G. Séailles, Essai, p. 196.

[135] Ibid., p. 229.

[136] T.M. Mustoxidi, op. cit., p. 227.

[137] Si veda V. Cousin, Du vrai, du Beau et du Bien, p. 145, dove sono riportate le lezioni di estetica del 1818. Ci riferiamo qui alla 23ª edizione (Paris, 1881); di essa si vedano le pp. 136 sg.

[138] Pubblicato postumo nel 1843 con il titolo di Cours d'esthétique è, secondo Mustoxidi, uno dei libri più importanti dell'estetica francese. Più volte E. Souriau riterrà Jouffroy, ben prima di Lipps, lo scopritore della portata estetica dell'«empatia» o della «simpatia».

[139] T.M. Mustoxidi, op. cit., p. 118.

[140] W. Dilthey, Introduzione alle scienze dello spirito (1883), Firenze, La Nuova Italia, 1974, p. 29. Si veda anche, di Dilthey, Psicologia descrittiva, analitica e comparativa (1895-96), Milano Unicopli, 1979 (con un saggio introduttivo di Alfredo Marini).

[141] G. Séailles, Essai, cit., p. 264. Il fatto che la bellezza dipenda dal genio non significa in Séailles esclusione della dimensione «sociale» dell'opera. Anche lo spettatore partecipa infatti, rendendola sempre di nuovo vivente, alia «vita» dell'opera.

[142] Ibid., p. 287 e p. 289.

[143] J. Dewey, op. cit., p. 229.

[144] G. Séailles, Essai, cit. p. 312.

[145] Harding, op. cit., p. 109. L'origine et les destinées de l'art pubblicata da Séailles a Parigi nel 1927 raccoglie vari saggi del periodo 1879-1912.

[146] Sul problema della concezione formale della perfezione in questi autori si veda G Morpurgo-Tagliabue, L'esthétique contemporaine, Milano, Marzorati, 1960. Gli altri storici dell'estetica francese (da Mustoxidi a Huisman) non hanno mai colto in profondità le differenze fra Guyau e Séailles.

Il giudizio di Flaubert (riportato da D. Huisman, L'estetica francese negli ultimi cent'anni in AA.VV., Momenti e problemi di storia dell'estetica, vol. III, Milano, Marzorati, 19 60) è espresso in una lettera a proposito della Science du Beau pubblicata da Lêveque nel 1861: «Sto leggendo l'estetica del signor Lêveque, professore al Collége de France. Che cretino! Un brav'uomo, peraltro, e pieno delle migliori intenzioni, ma come sono buffi gli universitari dal momento che s'immischiano d'arte!». «Ciò vale - aggiunge Huisman (p. 1082) - per la maggior parte dei 'minori' dal 1850 al 1900». L'opera di Lêveque, che ebbe enorme successo accademico, fu scritta per partecipare al concorso indetto nel 1858 dall'Accademia di Scienze morali e politiche sul tema «La scienza del bello». Lêveque vinse il concorso con una ponderosa opera che, nel suo tentativo di determinare, con esempi discutibili o ridicoli, «gli Otto caratteri della bellezza», appare effettivamente fuori luogo in un'epoca in cui Comte, Taine, ma anche i giovani Guyau e Séailles, scoprivano gli ampi orizzonti in cui andava delineandosi la bellezza. Non hanno peraltro maggior valore o interesse le due opere «menzionate d'onore» nel concorso vinto da Lêveque, ovvero: A.E. Chaignet, Les principes de la science du Beau, 1859-60 e P. Voituron, Recherches philosophiques sur les principes de la Science du Beau., Paris, 1861.

[147] M. Griveau, La sphére de la Beauté. Lois d'evolution, de rythme et d'harrnonie dans lesphénomenès esthétiques, Paris, Alcan, 1901, p. 52.

[148] Ibid., p. 919.