5 - Psicologia del genio

e immaginazione creatrice

 

 

L'estetica di Séailles, in particolare per quanto concerne la concezione dell'arte come «gioco d'immagini», è punto di partenza anche per l'opera di Frederic Paulhan La mensonge de l'art, pubblicata nel 1907. Paulhan, psicologo che considera la vita psichica come una composizione di elementi, essayiste svincolato dall'ambiente universitario ma che opera, con Ribot, Séailles stesso e vari specialisti di psicologia e sociologia, all'interno dell'importante e prestigiosa «Revue philosophique», incentra il proprio interesse sullo statuto sociale e morale dell'opera d'arte considerata nel suo valore «ideologico», e quindi «menzognero», tendente cio è al nascondimento della realtà «reale»: una concezione pessimista dell'anima umana che forse non è estranea alla lettura di Schopenhauer. La vita dell'umanità, sostiene, è resa possibile da grandi funzioni sociali quali l'arte, la religione e la scienza che dirigono l'uomo ingannandolo. Nell'arte, infatti, non vi è nulla di assoluto o eterno: essa, radicalizzando il pensiero di Séailles e Guyau, è una funzione sociale dell'atteggiamento dell'uomo che tenta di ricostruire un'armonia inesistente fra l'uomo stesso e il suo ambiente circostante. La «menzogna dell'arte» deriva quindi dall'evocazione di un insieme di elementi psichici, idee, sensazioni, movimenti che, invece di adattarci alla realtà esteriore, ce ne distaccano e, per certi versi, ce ne isolano. L'estetica, come avevano affermato i suoi predecessori, è sempre in rapporto con la fisiologia, la psicologia e la sociologia ma il suo statuto e quello di un mondo che, attraverso tali mezzi «reali», costruisce un universo al di là della realtà, una vita «falsa» che ricopre d'ombre la realtà quotidiana. L'arte non e né conoscenza né trasformazione del mondo né, aggiungiamo, un suo rispecchiamento ideologico ma una sua progressiva soppressione attraverso una menzogna. L'arte, come il gioco, ma senza con questo assimilarsi, nasce dal «fatto primitivo» del disaccordo fra lo spirito e le condizioni della sua attività.

Ogni attività umana, ogni avvenimento od ogni fatto può, peraltro, divenire materia d'arte così come vari tipi di oggetti, anche se prodotti industriali, non differiscono fra loro in modo assoluto. Il campo dell'artisticità non è infatti determinato dagli oggetti ma coincide totalmente con ciò che Paulhan chiama attitude artiste, è che e una «contemplazione disinteressata» di un insieme armonizzato di percezioni, di immagini, di sentimenti. La bellezza di un'opera d'arte è soltanto un invenzione umana che corona l'edificio artistico ma non ne è il fondamento. Su queste basi di critica ideologica Paulhan, a nostro parere con estrema consapevolezza, smantella il plurisecolare sistema delle «arti belle» e allarga il campo dell'arte un arte che non può più usare la maiuscola - alle cosiddette arti minori quali l'arte ornamentale, l'arte industriale, persino l'arte culinana e anche un'arte «primitiva» nascosta nella rêverie, in una rêverie «muscolare» dove il gesto è una traduzione esteriore di uno stato psico-organico: seguendo Binet e lo stesso Ribot, Paulhan è infatti un sostenitore del parallelismo «psico-fisico» oltre che dell'associazionismo degli stati psichici. L'arte infatti, pur concretizzandosi in una materia, ha la sua origine, come in Séailles, solo nel mondo intenore: «l'essenza nell'arte è la creazione, la realizzazione non al di là ma in uno spirito, del mondo fittizio sostituito al mondo reale»[149]. La «creazione interiore» e cio che Pauhlan, con un termine che avrà grande fortuna da Delacroix e Bachelard, chiama réverie, il mondo immaginario in cui intervengono, in proporzioni variabili, il ricordo, l'imitazione, le suggestioni e l'immaginazione creatrice. Anche se non è sempre artistica, questa réverie soggettiva e psicologica - con i suoi sentimenti ed emozioni - è la materia stessa dell'arte, che a sua volta la fissa, la prolunga e cristallizza, la estende a una dimensione eminentemente sociale. L'arte ha infatti cause ed effetti sociali: le forme dell'arte derivano dal mondo reale e vi ritornano anche se la sua stessa ragione ultima

«è isolarci dalla vita, suscitare in noi una vita artificiale e fittizia, armonizzata in se stessa, ed a causa di ciò, morale in se stessa, ma al di fuori del sistema della vita, immorale in rapporto all'insieme degli esseri»[150].

L'arte, anziché essere il prodotto della vita come in Guyau e in Séailles, si oppone ad essa ed alle grandi funzioni dell'uomo, alla scienza, alla morale, all'industria, all'attività sociale, alla politica e a tutte le tecniche in genere; diviene quasi «fine a se stessa», un divertissement nel senso pascaliano del termine, un'immoralità di fronte alla morale sociale. Questa immoralità di essenza non è tuttavia in Paulhan né categorica né assoluta perché l'arte salva il proprio valore morale testimoniando la disarmonia fra il mondo e l'uomo. Essa appare dunque, in una conclusione che torna ad avvicinare Paulhan a Séailles, come «una ricerca di armonia, un bisogno di sistematizzazione che produce il disaccordo»: «l'immoralità essenziale dell'arte è una conseguenza della sua essenziale moralità»[151]. Questa possibile salvezza dell'arte da parte della «ragion pratica» certo non invalida il processo della sua genesi, che la vede nascere dall'interruzione e dall'impotenza della vita reale e pratica, da una discordanza primitiva che si impone alla vita e la invade. Il mondo dell'arte come «alterità» non nasce tuttavia, in Paulhan, da una dialettica coordinata di fenomeno ed essenza o apparenza e realtà; è invece, con un'influenza bergsoniana da non sottovalutare, il risultato di un sentimento, di una rêverie, di un'energia non direzionata verso scopi pratico-utilitari. L'arte e «inutile», non soddisfa alcuno dei bisogni materiali dell'uomo né accresce la sua conoscenza o dignità morale: è un bisogno «emotivo» che sorge da una frattura fra l'io e il mondo, da una trennung che viene postulata come a priori senza ricercarne le cause genetiche. Pur uscendo dagli schemi retorici e neoplatonizzanti delle estetiche accademiche e pur accettando, in questo senso, alcuni insegnamenti di Séailles, il pensiero di Paulhan non pone alcuna valida premessa per una teoria estetica di carattere scientifico, esito forse naturale per chi volesse analizzare nel profondo le intuizioni di Guyau e Séailles.

L'aspetto più importante dell'estetica di Paulhan non è quindi da ricercare nella definizione dell'arte come «menzogna» ma nella teoria dell'invenzione e del genio che, ispirandosi a Guyau, Séailles e Ribot, delinea in due saggi del 1898 pubblicati dalla «Revue philosophique». In ciascun fatto psicologico, afferma Paulhan precorrendo Delacroix, vi è sempre una parte d'invenzione e una parte di istinto che, uniti, trapassano nel genio, pienezza dello spirito. Con ripresa quasi letterale del pensiero di Séailles, l'invenzione è definita come una risposta pronta e vivace, attraverso un lavoro lungo e faticoso, della totalità dell'organismo fisico: qualsiasi creazione intellettuale - non di necessità artistica - è il risultato di un'idea sintetica fornita dalla nuova combinazione di elementi preesistenti nello spirito con un nuovo elemento che permette la loro sintesi, il loro pro. cesso di trasformazione simbolica. Uno di questi caratteri - non gerale ma così diffuso da apparire essenziale - è l'affettività, il sentimento, soggettivo o intellettualmente mediato, che mette in moto l'immaginazione creatrice e, nell'arte, permette di sostituire alla realtà vera una realtà ideale costituita da un complesso gioco spontaneo di immagini e idee. Ciò significa - con un'intuizione che verrà ripresa da H. Delacroix, legato anch'egli all'ambiente «psicologico» della «Revue philosophique» - che l'invenzione vera e propria è l'ultimo momento di un processo che tenta di portare nel compimento di una sintesi sistematica e intellettuale vari ed eterogenei elementi. E, come in Séailles, essa non si limita alla produzione di oggetti artistici o concetti scientifici ma vive in tutti i fenomeni psicologici e fisiologici, in tutte le cellule vitali del nostro organismo, nella stessa intera comunità sociale. È il pensiero di Th. Ribot che, a parere di Paulhan, porta a compimento scientifico l'analisi psicologica del processo creativo. Egli infatti comprende, sintetizzando i vari concetti di estetica fisiologica e psicologica dell'Europa di fine Ottocento, che l'invenzione creatrice è un procedimento che si sviluppa attraverso una fase puramente fisiologica, una istintuale psicofisiologia e infine una psicologica, che costituisce, propriamente, l'immaginazione creatrice.

Paulhan è tuttavia dell'opinione che la teoria dell'invenzione ribotiana vada «complicata»: essa non è soltanto la tendenza armonizzante dello spirito ma possiede, come aveva notato P. Souriau, vari elementi di disordine e conflitto: «l'invenzione esige un funzionamento a volte logico e a volte illogico dell'intelligenza»[152]. Logico perché l'invenzione è pur sempre una «sistematizzazione» e illogico perché esige anche delle «dissociazioni», delle «rotture di abitudini» e dei «conflitti». Ciò malgrado, è evidente che, accanto a Séailles, P. Souriau e Guyau, oltre che allo stesso Paulhan, vada posto, fra gli ispiratori della più matura estetica psicologica novecentesca, l'intero pensiero di Theodule Ribot, uno dei principali protagonisti della filosofia francese di fine Ottocento: oltre a proseguire la migliore tradizione del positivismo «classico» di Comte, Taine e Bernard, è il fondatore della psicologia sperimentale francese (dì cui ha la cattedra alla Sorbona nel 1885) e il maestro attento e rigoroso di un intera generazione di psicologi. Particolarmente importante è il suo Essai sur l'immagination creatrice pubblicato nel 1900. Tale lavoro, infatti, che è tra gli obiettivi critici di Bergson per le sue decise posizioni antimetafisiche, ha il merito di aver fatto conoscere in Francia la contemporanea psicologia tedesca e inglese ampliando il campo culturale del cosiddetto positivismo e riprendendo, su basi scientifico-sperimentali l'estensione di Séailles della potenza del genio all'intero ambito della creatività, non limitandolo quindi all'arte e alla scienza. È così ovvio che l'opera di Ribot eserciterà un'influenza esterna sull'estetica anche se, di per sé, mostra la specificità dell'immaginazione creatrice, vedendola all'opera in tutti i campi, dalle invenzioni meccaniche e militari alle istituzioni religiose, sociali e politiche.

Il principio fondamentale dell'immaginazione creatrice è costituito dall'unione del movimento, che appartiene ad ogni rappresentazione come sua tendenza all'obiettivazione esteriore, con un fattore «nuovo» e originale di carattere intellettuale, affettivo o incosciente. In tal modo ogni emozione si concretizza in un'idea o in un'immagine che le dà corpo: «questo principio di unità, centro di attrazione e punto d'appoggio di ogni lavoro dell'immaginazione creatrice, cioè di una sintesi soggettiva che tende a divenire oggettiva, è l'ideale», ovvero «una costruzione in immagini che deve divenire una realtà», «l'ovulo che attende d'essere fecondato per dare inizio alla sua evoluzione»[153]. Così strutturata in generale, l'immaginazione creatrice si specifica in tre forme costruttive, una «abbozzata», primordiale e originale, che compare nel sogno prima e nella rêverie poi, una seconda «fissata», che comprende le creazioni mitiche ed estetiche, le ipotesi filosofiche e scientifiche e un'ultima, infine, «obbiettivata» che appare nelle invenzioni pratiche, meccaniche, industriali, militari, sociali o politiche.

Al di là dunque della veste scientifica del discorso, l'immaginazione creatrice, pur non essendo, come in Guyau, un istinto creatore, si identifica con una tendenza vitale, con una potenza onnipresente di costruzione di immagini, con un'attività «mitologizzante» attraverso cui essa «penetra la vita tutt'intera, individuale e collettiva, speculativa e pratica, in tutte le sue forme: essa è dappertutto»[154].

È allora chiaro che le differenze fra i pensieri di Guyau, Séailles, Ribot e Paulhan vanno ricercate, più che nei principi generali, all'interno delle pieghe culturali e metodologiche di ciascun discorso; comune a tutti, infatti, è la considerazione aspecifica del genio creatore e la connessione fra la sua psicologia e una teoria dell'immaginazione e del sentimento, problemi che costituiscono il comune substrato del pensiero post-positivistico francese e che influenzeranno a fondo lo stesso Bergson. In questo contesto, il pensiero di Ribot appare caratterizzato da un'esigenza di ricerca di genere empirico-sperimentale sulla realtà psicologica dell'affettività. Esiste infatti, a suo parere, una forma di immaginazione creatrice che raccoglie e combina gli stati affettivi dando origine alle opere d'arte musicali. Opponendosi al formalismo di Hanslick, Ribot sostiene che la musica è in primo luogo il risultato dei sentimenti soggettivi dei compositori, siano essi incoscienti, coscienti od analitici. I sentimenti si organizzano nella musica poiché «il lavoro creatore è anche organizzatore, esso trova ed insieme coordina»[155], obiettiva sentimenti soggettivi attraverso serie di immagini variamente coordinate. Con prospettive tratte dall'estetica sperimentale tedesca (Grosse) ed inglese (Spencer e Grant Allen), Ribot, affermando che la musica «traduce» delle emozioni, giunge a delineare, contemporaneamente a Bergson e con un metodo opposto, l'esistenza di una «memoria affettiva» e di un «sentimento estetico» che esprimono il piacere stesso dell'agire, del movimento corporeo all'interno di un contesto sociale[156].

Si dovrà dunque notare che non ha più molto senso definire tali posizioni «positiviste»: esse, pur derivando dallo sperimentalismo teorizzato dal positivismo, si pongono ormai nel contesto autonomo della fondazione scientifica di una nuova scienza psicologica, che trova fra i suoi problemi nodali quelli dell'immaginazione e dell'invenzione. Ribot non ha dunque una posizione «riduzionista» - come l'accusava Bergson, che tendeva ad annullare le «differenze», da cui è costituita la vita di coscienza, e che egli stesso afferrava in Matiére et mèmoire, nell'unità ontologica della durata interiore - ma semplicemente analitica, sia pure non priva di alcune ingenuità e; peraltro, senza velleità di instaurare una compiuta teoria estetica. Criticabile, piuttosto, così come in Séailles e Paulhan, è il suo tentativo di limitare la realtà della coscienza soggettiva al «fatto» della sua vita psichica, cadendo così in quel difetto che Husserl, negli stessi anni, coglie nelle psicologie tedesche, che pongono decisamente da parte «ogni analisi diretta e pura della coscienza - ossia la descrizione o analisi, sistematicamente condotta, dalle datità che si offrono nelle diverse direzioni possibili della intenzione immanente - in favore di tutte le fissazioni indirette dei fatti psicologici o psicologicamente rilevanti»[157]. Si può quindi dire che la «psicologia sperimentale non è che un metodo per stabilire fatti e regole psicofisiche rilevanti, che però; senza una scienza sistematica della coscienza che studi il dato psichico in modo immanente, si sottraggono alla possibilità di essere intesi a fondo e di essere definitivamente valutati in senso scientifico»[158]. Nel campo dell'estetica, di conseguenza, la psicologia può inserire in un ordinato quadro metodologico molti «fatti» che ineriscono alla produzione artistica ma non sarà in grado di fondare una regione autonoma dell'artisticità.

È tuttavia indubbio che l'esame psicologico della personalità creatrice darà luogo in Francia ad una «nuova estetica». È questa, infatti, già dal 1910, la convinzione del poeta e romanziere Leon Paschal che, con la sua Esthétique nouvelle fondée sur la psychologie du gènie, coglie come la psicologia della creazione abbia trasformato gli studi di estetica spostandoli dalla definizione di un idealistico «Bello» allo studio dei processi percettivi e costruttivi dell'arte all'interno di un ambiente sociale.

L'origine di quest'opera di Paschal va ricercata in una domanda di Flaubert - contenuta nel suo epistolario - sul senso dell'arte e dell'attività artistica nella realtà storico-sociale. Senza dunque- cadere nei riduzionismi di psicologi e scienziati come Groos, Spencer, Lombroso e lo stesso Ribot si risponderà a tale domanda riprendendo gli spunti positivi delle loro dottrine e aggiungendo ad essi gli importanti risultati dell'opera di Guyau, meditazioni di artisti come Goethe, Hugo e Flaubert.

Risulterà allora evidente che una meditazione sull'arte può nascere solo se sostenuta da un metodo rigoroso, metodo che, a parere di Paschal, è stato offerto in Francia dal solo Comte e che è stato parzialmente adottato da Taine, che tuttavia sbaglia dove confonde le influenze estrinseche con le leggi intrinseche dell'arte. Questa affermazione di Paschal suggerisce il vero ruolo tenuto dalle dottrine classiche del positivismo nel pensiero estetico di fine Ottocento e, soprattutto, dei primi anni del Novecento: esso, al di là delle specifiche affermazioni dei suoi principali autori, fornisce un supporto metodologico che incentra l'attenzione scientifica su fattualità concretamente esistenti del mondo psicologico e sociale. È così indubitabile che le stesse categorie figurative o musicali di un Fiedler o di un Focillon, di un Hanslick o di una Brelet, che hanno una natura esplicitamente trascendentale, si avviino e sviluppino su impulso ed in parallelo con le estetiche naturaliste, psicologiche e sociologiche: «sia la prima direzione, che procede attraverso definizioni di categorie artistiche, quanto la seconda, che intende ricostruire attraverso diversi procedimenti la genesi del processo artistico, evolvono oggi e sboccano in una direzione unica, che possiamo genericamente chiamare fenomenologica»[159]. Da queste comuni basi «positive» nasce dunque la razionalista «estetica delle forme»di Focillon, Souriau e Bayer, le analisi psicologiche di Delacroix e Lalo ed anche l'estetica soggettivista della «simpatia simbolica» di V. Basch, che ha il punto di partenza nelle estetiche scientifiche della Germania di fine secolo.

L'estetica del positivismo, che deriva dalla gran fioritura del pensiero di base empirista del Settecento, comprende dunque, proprio in virtù del suo proprio clima antidogmatico di ridefinizione radicale dei concetti e dei corrispondenti contenuti, che «la parola estetica non è sufficientemente precisa»[160]. Come Fiedler, insti stessi anni e pur provenendo da matrice kantiana, metteva in rilievo che l'estetica e il correlato giudizio di gusto non possono comprendere la totalità del fatto artistico, così in Francia, anche se in modo decisamente meno lucido, si comprende che esiste una «insufficienza di vocabolario» per cui si tende ancora a confondere un'estetica generale come teoria della sensibilità e del sentimento con un'estetica «propriamente detta» - che noi oggi chiameremmo speciale» - che apre un campo del tutto nuovo. Nella percezione di un opera d'arte, infatti, i colori ed i suoni che la compongono servono da mezzi espressivi attraverso i quali l'artista traduce i suoi sentimenti, il suo pensiero, la sua intera personalità. L'estetica «nuova» si rivela dunque per Paschal esaminando «i modi d'attività dell'artista», il suo «genio» dove queste attività si riassumono e raggruppano. Lo studio delle facoltà creatrici «abbraccia un insieme di fenomeni molto complessi e numerosi: sono lo sviluppo di queste facoltà e la loro costituzione, gli apporti dell'ambiente sociale in questo sviluppo, i differenti modi di tale attività spontanea e sistematica»[161].

Queste posizioni, che derivano da quelle di Guyau e Séailles non pongono dunque più il concetto di bellezza al centro della ricerca estetica; così come si andava facendo in Germania è superata anche l'automatica adesione del bello all'opera d'arte: non si rimane più vincolati e limitati al soggettivismo del giudizio estetico e al libero gioco delle sue facoltà ma, a partire da un esame che è necessariamente collegato alla soggettività del creatore, ci si indirizza verso l'analisi di oggettivi procedimenti tecnico-costruttivi dell'opera come realtà storico-sociale autonomamente esistente. Paschal, pur non costituendo una compiuta «scienza dell'arte», ha comunque già senz'altro iniziato a distinguere fra i campi oggettuali dell'estetico e dell'artistico. Proprio a tale proposito; Paschal è infatti molto esplicito, forse risentendo degli influssi di Dessoir: «converrebbe dunque trattare come due scienze differenti queste due estetiche; i loro punti di contatto sono poco numerosi ed esse non sono in alcuna dipendenza l'una con l'altra». È dunque necessario riuscire, in primo luogo, a stabilire la qualita artistica od estetica dei fatti attraverso una «delimitazione molto netta fra l'estetica in quanto si occupa dello studio qualitativo delle sensazioni e l'estetica in quanto studia l'opera d'arte»[162].

Guyau e Séailles, con il loro monismo vitalistico, pur senza arrivare a tale distinzione (e anzi confondendo non poco gli ambiti), si erano già volti verso quei piani che, nella creazione, entrano in contatto con il fatto artistico. In tal senso rigettano le cosiddette «estetiche da tavolino» e guardano invece verso le affermazioni teoriche degli artisti stessi ed alla loro «personalità geniale», che manifesta, come scrive Paschal, «l'insieme della potenza dello spirito». Il bello e «decomposto» nei singoli fattori del genio e dell'attività costruttiva: «Arte» e «Bellezza» sono «fatti secondari» «la cui conoscenza risulta da una semplice deduzione di ciò che noi sappiamo essere il genio, perché tutto in lui si riassume, tutto si svolge a partire da esso ed attraverso di esso tutto si spiega»[163]. Si tratta dunque di ritrovare nella personalità creatrice tutti quegli elementi - emozionali, sentimentali, sociali e intellettuali - che costituiscono, con le loro qualità, una «logica» specifica della creazione artistica. «Bello», come dirà Dufrenne decenni dopo, è la «pienezza» riuscita di tali elementi nell'unità dell'opera d'arte, unità concreta che sussiste indipendentemente da ogni soggettivo giudizio estetico. La funzione estetica infatti ha un campo molto più vasto della sola arte poiché appartiene alla regione intera dell'oggettualità e non solo alla sua specie artistica. Ma anche il campo stesso dell'estetica, a partire proprio da Guyau, non può venire con precisione diviso dalla sfera extraestetica:

«tanto l'arte moderna, che dopo il naturalismo non esclude più nessuna sfera della realtà nella scelta del tema e che dopo il cubismo e le correnti ad esso affini nelle arti non si pone più limiti nella scelta dei materiali e delle tecniche, quanto l'estetica moderna che sottolinea con forza l'ampiezza della sfera estetica (J.M. Guyau e M. Dessoir e la sua scuola, e altri), hanno sufficientemente dimostrato che possono diventare fatti estetici anche cose alle quali tradizionalmente non assegneremmo mai significato estetico»[164].

In Séailles infatti, e soprattutto in Guyau, il «piacevole» - da qui la ripetuta accusa di «edonismo» - ha valore estetico e, con esso, il vivere corporeo, il respirare, il muoversi, il contatto con la natura. Al di là dello stile enfatico di un Guyau, non si tratta tuttavia - o almeno non si tratta soltanto - di un sensualismo edonistico ma di una teorica considerazione estetica di tutti quegli elementi soggettivi «inferiori» - la sensazione, la rêverie, il sentimento, la sfera intera della Sinnlickeit - che la tradizione kantiana (forse più dello stesso Kant) aveva rigettato e che solo con Fechner acquistano dignità fondativa di un'estetica «dal basso». È forse quindi ancora a Guyau ed ai suoi seguaci che pensa Mukarovský quando scrive che la capacità estetica attiva non è soltanto una qualità reale dell'oggetto ma una sua manifestazione in un certo contesto sociale. La funzione «estetica» - proprio in virtù dell'ampliamento del suo campo - non deve rimanere fissata esclusivamente al soddisfacimento dei bisogni corporeo-sensibili, al fisiologico piacere e dispiacere di Fechner ed Henry; l'emozione, scrive Guyau, diviene propriamente estetica e si trasforma in azione quando è inserita in un contesto sociale, in ciò che, propriamente, è extraestetico.

Questa posizione socio-psicologica, che è ancora atteggiamento poetico in Guyau e Séailles, trova nella psicologia del genio il necessario presupposto che apre la strada, in un più maturo quadro metodologico, alle analisi di Alain, Delacroix e Lalo, che peraltro non riusciranno anch'esse a «mettere ordine» nei complessi rapporti di distinzione e correlazione fra la teoria della sensibilità, l'esteticità della «vita» è la vera e propria «scienza dell'arte». Infatti il soggettivismo - psicologico o monistico - unito all'assenza di una fondazione trascendentale del rapporto soggetto-oggetto, costituisce il vero punto non soddisfacente di tali dottrine. Inoltre, l'ampliamento stesso della sfera estetica operato da Guyau non ha una precisa rispondenza nel campo dell'artistico, che è studiato nei suoi rapporti con tale sfera dell'estetico ma non con quella dell'extra-artistico, rapporti che soli possono dar luogo ad una scientifica sociologia dell'arte.

La sociologia di Guyau non è infatti un'indagine sulle componenti strutturali della società né, per quanto riguarda le opere d'arte, un'analisi delle esigenze sociali connesse alla sua creazione. Guyau guarda solo al «valore» sociale dell'arte ma non riesce per nulla a comprendere anche la sua specifica «funzione» nella società, il suo ruolo strutturale all'interno del divenire storico-sociale, in ultima analisi il campo stesso della artisticità che ogni opera d'arte contribuisce a costituire. In ogni caso, Guyau - con Séailles - ha compreso che se l'esteticità appartiene alla «vita» nella sua generalità, solo nell'arte, come ancora si esprime Mukarovsky, «la funzione estetica è la funzione dominante, mentre al di fuori di essa, quando è presente, ha una posizione secondaria»[165].

Su queste basi di chiarificazione scientifica dell'estetica e del suo ambito si svilupperà il pensiero di H. Delacroix, vera «pietra miliare dell'estetica francese del XX secolo»[166].

 

 

Note

[149] F. Paulhan, Mensonge de l'art, Paris, Alcan, 1907, p. 187. Anche Paulhan è psicologo di formazione. In questo campo la sua opera maggiore è forse L 'activitè mentale et les èlements de l'esprit, Paris, Alcan, 1889, dove presenta la sua concezione della vita psichica come associazione di elementi.

[150] Ibid., p. 197 e p. 294. L'arte è il risultato di una réverie ideale concretizzata in un oggetto che è «altro» rispetto alla realtà del mondo.

[151] Ibid., p. 279. Da queste basi Segond potrà cogliere il carattere «mistico» dell'arte pur mantenendo ferma la materialità della sua costruzione. Il problema della rêverie estetica trova un continuatore in P. Souriau che con la sua Rêverie esthétique, Paris, Alcan, 1906, sembra riprendere il lavoro di Paulhan.

[152] F. Paulhan, L'invention in «Revue philosophique», marzo 1898, p. 254. La «Revue philsophique» svolge in questi anni la funzione che assumerà in seguito la «Revue d'esthetique». Fondata e diretta dallo psicologo T. Ribot, pur non occupandosi in modo specifico di estetica, dedica a essa numerosi interventi in cui sempre la Connette alla fisiologia, alla psicologia e alla sociologia. È inoltre una rivista che apre effettivamente la cultura francese alle opere europee contemporanee, da Husserl alla Kunstwissenschaft di Dessoir e Utitz. «La Revue philosophique» - si legge in un inserto pubblicitario del 1900 - «non ignora alcuna parte della filosofia», pur rifacendosi in modo particolare a quelle discipline che, per il loro carattere di precisione relativa, aderiscono a tutte quante le scuole; tali discipline sono la psicologia, l'anatomia e la fisiologia del sistema nervoso, la patologia mentale, l'estetica e le ipotesi metafisiche.

[153] T. Ribot, Essai sur l'imagination creatrice, Paris, Alcan, 1900, p. 67. L'immaginazione creatrice, per la ricchezza dei suoi contenuti e delle sue produzioni, non è riducibile ad alcuna legge prefissata: solo l'esperienza e l'osservazione potranno permetterci di trarre una formula che generalizzi il suo sviluppo attraverso due periodi separati da una fase critica: «un periodo di autonomia e di effiorescenza, un momento critico, un periodo di costituzione definitiva che presenta numerosi aspetti» (ibid., p. 139). L'immaginazione così strutturata e sviluppata si specifica poi in varie forme che ne determinano il concreto spettro d'azione: il termine «immaginazione creatrice», come tutti i termini generali, rimane un'astrazione se non aderisce a uomini che immaginano. Essa diviene così immaginazione «plastica», «diffluente», «mistica», «scientifica», «meccanica», «commerciale» e «utopica». Esse dimostrano in ogni caso che l'uomo è capace di creare per due ragioni principali: «la prima, d'ordine motorio, consiste nell'azione dei suoi bisogni, appetiti, tendenze e desideri», la seconda «è la possibilità di una riviviscenza spontanea delle immagini, che si raggruppano in nuove combinazioni» (ibid., p. 261).

[154] Ibid., p. 277.

[155] T. Ribot, La logica dei sentimenti, Milano-Palermo-Napoli, Sandron, 1907, p.167. L'edizione francese è del 1897.

[156] Si veda La psychologie des sentiments, Paris, Alcan, 1896 (tr.it., Milano-Palermo-Napoli, Sandron, s.d.) dove compaiono accenni polemici nei confronti di Guyau e dove si comprende la derivazione «anglosassone» (Spencer, Sully,Grant Allen e Bain) della psicologia di Ribot. Tuttavia egli si ispira anche all'estetica sperimentale tedesca di Grosse, Die Anfänge der Kunst, 1894, ed è ottimo conoscitore di tutta la psicologia tedesca contemporanea (Fechner, Wundt, Lotze. Brentano in primo luogo) cui dedica un libro già nel 1879.

[157] E. Husserl, Filosofia come scienza rigorosa, a cura di A. Costa, Milano, Paravia, 1975, p. 26. L'opera di Husserl del 1911.

[158] Ibid., p. 27.

[159] G. Morpurgo-Tagliabue, L'esthétique contemporaine, cit., p. 380. C lare chiarezza, già nel 1948, nella prima edizione della Fenomenologia della tecnica, D. Formaggio aveva indicato il percorso «fenomenologico» dell'estetica contemporanea, in connessione con l'estetica tedesca di Fiedler, Dessoir e Utitz.

[160] L. Paschal, Esthétique nouvelle fondée sur la psychologie du génie, Paris, Alcan, 1910, p. 62.

[161] Ibid., p.65.

[162] Ibid., p.65 e 68.

[163] Ibid., p. 339. Paschal afferma che la sua opera è nata dalle meditazioni degli arti sti e, in particolare, dalle Memorie di Goethe, dalla Preface de Cromwell di V. Hugo e dalla Correspondance di Flaubert. Inoltre dalla critica letteraria di Sainte Beuve, Taine e Hen nequin. Dopo la prima parte cade tuttavia l'originalità del lavoro di Paschal, che cominci a ripetere vecchie tesi di Taine, Zola o dei fratelli Goncourt.

[164] J. Mukařovský, op.cit., p.6

[164] J. Mukařovský, op. cit., p. 6.

[165] Ibid., p. 10.

[166] D. Huisman, op. cit., p. 1103.