1. I problemi della «scienza estetica»

 

 

I vari momenti dello sviluppo dell'estetica francese che abbiamo sin qui visto svolgersi, anche quando ponevano il problema come proprio fine teorico, ben raramente erano in grado di affrontare in tutta la sua complessità la questione di una fondazione scientifica dell'estetica. Se infatti la maggior parte degli studiosi «tardo-positivisti» (da Véron a Lalo) aveva compreso che il «posto» dell'estetica era fra le scienze, era proprio il termine «scienza» non venire chiarificato cosicché le teorie dell'arte erano ricondotte ai campi collaterali della psicologia, della fisiologia e della sociologia e asservite ai loro metodi ancora incerti fra un rigoroso obiettivismo deterministico e una sintesi di un monismo spiritualistico o naturalistico che sfiorava rinascite mistiche.

In ogni caso, pur con notevoli incertezze, è senza dubbio la psicologia, così come accadeva in Germania, a portare i contributi più importanti per l'estetica, una psicologia «sperimentale» che, risentendo degli influssi di Fechner e degli associazionisti, si sviluppa in Francia in modo relativamente autonomo sia dal lato teorico (con Ribot) sia da quello clinico (con Janet) e, su queste basi; che sono poi quelle di Paulhan e Séailles, anche dal lato dell'esame dei processi della creazione artistica con l'opera importantissima di H. Delacroix, che li considera come già indirizzati all'instaurazione di una «forma».

La psicologia non si sviluppa tuttavia solo da questo lato «oggettivo», attento alla costruttività della tecnica artistica, ma, fondendosi con alcuni elementi di carattere spiritualistico o metafisico, appare anche, con Bergson e Segond, come una «scienza dell'anima» che deve ricercare nell'interiorità un'armonia, una bellezza o una «grazia» di cui le opere d'arte sono, in definitiva, soltanto dei media; essa è qui «scienza» di uno spirito che è incessante creazione.

Sia «oggettiva» sia «soggettiva» la psicologia della creazione lascia dunque in secondo piano la questione della realtà categoriale specifica dell'oggetto estetico e della sua differenza dall'opera d'arte e disperde le comuni «basi» positiviste nella confusa ricchezza di elementi extraestetici. La consapevolezza di una specificità di metodo e atteggiamento per l'estetica è raggiunta, nei primi anni del Novecento, solo da due pensatori, che sono peraltro l'esatta antitesi l'uno dell'altro: Victor Basch e Charles Lalo.

V.Basch infatti, anche in seguito alla profonda conoscenza dell'estetica tedesca contemporanea, parla consapevolmente di una «scienza dell'arte» con una sua propria facoltà soggettiva - il sentimento come «simpatia simbolica» - capace d'indagare e penetrare entropaticamente in un ben preciso campo oggettuale. Il soggettivismo di Basch, anche se spesso orientato verso affermazioni d'indistinto misticismo, ha così un ruolo centrale scientifico e didattico nella fondazione di quella scienza che la generazione a lui successiva (formata in larga parte da suoi allievi) chiamerà «scienza estetica». Oltre ad accostare un'oggettiva scienza dell'arte a un'estetica soggettiva, Basch ha rivestito il fondamentale ruolo istituzionale di primo cattedratico francese di Estetica e Scienza dell'arte alla Sorbona nel 1918 rompendo, come ricorda E. Souriau, una tradizione filosofica decisamente ostile agli studi estetici e dando loro un'ordinata direzione di ricerca. In Francia infatti, e in particolar modo agli inizi del secolo, le discipline filosofiche potevano svilupparsi e acquistare adepti solo se venivano inserite - con una decisione che era comunque politica - all'interno dei programmi accademici[1]. Solo dopo l'istituzionalizzazione dell'insegnamento dell'estetica essa potrà così trovare largo seguito anche al di fuori dell'Università fra gli artisti e gli «amatori».

La situazione - ed è questo un indice di raggiunta stabilità - non muta quando, C. Lalo, insegnante nei licei parigini ma già notissimo cultore della materia, viene chiamato a succedere a V. Basch sulla Cattedra alla Sorbonne: un filosofo che si ispira a un relativismo positivista e che ha più volte polemizzato con il misticismo, sostituisce un pensatore romantico e soggettivista che ha tuttavia condotto una politica culturale estremamente feconda e decisa fondando la Società francese d'estetica, dando origine, con la «Revue d'art et d'esthétique» alla progenitrice della «Revue d'esthétique» portando a Parigi, nel 1937, il II Congresso internazionale d'Estetica e Scienza dell'arte. Si può quindi dire che, se anche da un punto di vista teorico i due filosofi erano molto distanti, il curriculum intellettuale e universitario di Basch abbia avuto, come scrive Souriau, una incidenza particolare su quello di Lalo costituendo per lui una sorta di continua presenza che lo spingeva, mentre ne mutava l'impostazione teorica, a confermare e allargare le istituzioni promosse dal predecessore: infatti «la personalità potente, autoritaria, dinamica, ardente in tutte le lotte sino all'eroismo finale di una morte tragica e bella, fece correre all'estetica francese alcuni pericoli di cui la saggezza sorridente e modesta di Lalo fu molto spesso il palliativo[2]. Il primo di questi pericoli è da individuare, per Souriau, nel fatto che Basch, prima di Estetica, insegnasse alla Sorbona non una disciplina filosofica ma, pur dedicandosi quasi esclusivamente alla filosofia, la lingua e la letteratura tedesca; inoltre egli era sostenitore di una corrente estetica che, malgrado le origini francesi con Jouffroy, era all'epoca dominante in Germania con il nome di Einfühlung. Solo con Lalo, dunque, che pure era in rapporto di stima e collaborazione con Basch ed era anch'egli profondo conoscitore dell'estetica tedesca contemporanea, l'estetica francese riesce ad acquistare una sua specificità senza sottomettersi a dottrine straniere pur meritevoli d'attenzione.

Dobbiamo così sottolineare che, con il passaggio della Cattedra d'Estetica e Scienza dell'arte nelle salde mani «filosofiche» di Lalo prima e Souriau poi (1945), l'estetica francese tende sempre più a svolgere una serie di motivi ritrovabili nella tradizione stessa della filosofia francese divenendo peraltro, almeno sino agli anni cinquanta, un movimento piuttosto chiuso agli influssi culturali esterni[3]. Solo le tematiche fenomenologiche ed esistenzialiste riusciranno a spezzare questo indubbio nazionalismo culturale rinnovando in parte una raffinata «trattatistica» estetica che rischiava sempre più di cadere in un inconsapevole narcisismo.

Ciò non toglie che questa stagione in cui l'estetica francese ha un saldo posto nell'Università, prospera a contatto con un folto pubblico di amatori nelle sedute e nelle conferenze della Società d'estetica, dà origine, nel 1948, alla «Revue d'esthétique», costruisce in rue Chaptal, nel cuore di Pigalle, un Istituto di Estetica, lascia spazio a nuovi «sottosettori» come l'estetica «sperimentale» e l'estetica «industriale», è senz'altro una stagione felice, entro certi limiti quasi eccezionale ed unica in Europa.

Lalo offre quindi, in ultima analisi, una definitiva «sistematizzazione» all'estetica francese integrando, per così dire, l'impostazione «psicologista» di Basch con un «oggettivismo» dei valori ispirato dalla Kunstwissenschaft di Dessoir e dal sociologismo del pensiero positivista francese ed in particolare del suo maestro Durkheim, E proprio tale «esprit positif» è forse la più consistente eredità che Lalo lascia ai suoi successori e allievi, le tracce per una «estetica concreta» che, «rigettando definitivamente il 'paradosso dei romantici' e i deliri dell'ispirato o del solipsista come la quasi-abdicazione dell'espressionismo tedesco di Dessoir e Utitz, preferisce l'analisi più modesta delle funzioni che i più nobili dei giochi umani compiono normalmente nella vita individuale e sociale, e che caratterizzano anche i complessi psico-estetici e socio-estetici»[4].

Dal punto di vista teorico, infatti, come già si è notato, Lalo, ancor più che Delacroix, riduce l'estetica non ad uno sperimentalismo psico-fisiologico o ad un'indistinta intuizione metafisica ma alla psicologia e alla sociologia, con un indirizzo di pensiero che non verrà seguito ne dal suo successore sulla cattedra alla Sorbonne, E. Souriau né dal condirettore della «Revue d,esthétique», R. Bayer. Un punto importante unisce tuttavia i tre fondatori della «Revue» e della moderna estetica filosofica francese, un punto che Lalo delinea con chiarezza sin dall'Introduction à l'esthétique del 1912 e che appare come il momento unitario degli studi estetici francesi da allora sino ad oggi: «per un'estetica positiva il fatto fondamentale, il fatto proprio e scientifico, l'oggetto, è fornito dall'opera d'arte e non dal giudizio sul bello»[5]. L'estetica e «scienza dell'oggetto»- dell'oggetto estetico che è la «forma» dell'opera d'arte - e non deve quindi ricercare il proprio metodo in campi scientifici collaterali.

Attraverso differenti posizioni di pensiero si afferma così, dopo la prima guerra mondiale sino agli anni cinquanta, fondandosi sulle basi critiche offerte dai «positivisti» Delacroix, Benda e Lalo e sulla polemica antibergsoniana, un «movimento» che, sin dal 1936, V. Feldman chiamerà «realismo razionalista», movimento che completa il «secolo d'oro» dell'Estetica francese e che vede al suo interno la presenza viva di filosofi, letterati, poeti, artisti e storici dell'arte. Esso non forma senz'altro una «scuola» e, in senso stretto, neppure un «movimento» poiché troppo differenti sono le prospettive di pensiero dei suoi tre maggiori rappresentanti - H. Focillon, E. Souriau e R. Bayer - ma una corrente che, partendo dalle solide basi istituzionali dell'Università, si sviluppa avendo come fine la rigorosa determinazione dell'oggetto estetico (assimilato all'opera d'arte) come «forma». Alle letture degli psicologi tedeschi da parte di Basch o dei teorici della Kunstwissenschaft da parte di Lalo sembrerebbe essere qui subentrato l'influsso del «formalismo» tedesco. Tuttavia è chiara la completa assenza di Herbart o Zimmermann e solo relative sono le influenze di Fiedler o Wölfflin (mentre Hanslick agirà in modo ben più evidente sull'estetica musicale di Strawinsky e G. Brelet). Il nome di «formalismo» è quindi inadeguato perché mai in Francia la forma è concepita come un contorno superficiale, una cornice vuota o un oggetto di asettico valore: l'estetica è piuttosto, come afferma Feldman, una «sistematica delle strutture», un «regno delle forme», intendendo con «forma» un oggetto concreto che deve essere contemplato ed esplicato sia attraverso l'intuizione sensibile sia mediante la conoscenza intellettuale.

L'estetica delle forme trova quindi un riferimento polemico non nel «positivismo» di Lalo, i cui «statici» valori estetici tendevano sempre più a identificarsi con la forma, ma nel «misticismo» che Lalo stesso aveva combattuto, nella psicologia metafisica di Basch, Brémond e, soprattutto, Bergson e Segond. L'esperienza estetica non è uno slancio indistinto verso una Bellezza sovrasensibile ma un esperienza razionale e reale dove lo spirito non si afferma come antitesi della materia ma in quanto forza ed energia dell'atto che possiede tutta la sua potenza nell'incontro con l'oggetto, incontro dal quale si svilupperà l'ordine razionale di un'instaurazione cosmica. Il movimento instaurativo non scorda dunque neppure l'importante ruolo attribuito da Alain, Delacroix e Lalo non solo ai concreti processi della, tecnica propriamente materiale ma anche alla loro connessione operativa con il mondo interiore delle immagini, con il gioco ritmico delle rêveries. Come scrive V. Jankélévitch: «Creare non è dunque solo porre l'effettività empirica di un questo-o-quello reperibile secondo data e luogo, è piuttosto porre l'esistenza di qualcosa in generale, porre il fatto che in generale qualcosa esiste: un mondo, un universo di mondi e un universo di universi all'infinito»[6].

Non è quindi completamente casuale che uno dei primi rappresentanti di questo non sia un filosofo ma uno storico dell'arte abituato allo studio costante della concreta «materia» artistica. Henry Focillon, grande ed eclettico uomo di cultura, era infatti titolare, dal 1924, della Cattedra parigina di Archeologia medioevale e, in tale posizione, fu, con V. Basch, un punto di riferimento per i più giovani studiosi di estetica, in primo luogo Feldman e Bayer, pur senza mai dedicarsi agli studi filosofici. Ciò malgrado, come scrive A. Baratono nell'Introduzione alla Vita delle forme, il punto di vista di Focillon è «nuovo» ed «attuale» nei confronti della massima parte dell'estetica francese «la quale insiste di solito in una fine analisi psicologica del piacere e del gusto estetico dell'artista e del suo ambiente, positiva nel metodo ma sul presupposto di un incerto spiritualismo, e orientato in senso contrario a quello dell'estetica idealista che fiorisce presso di noi». «Grande è quindi - continua Baratono - la mia gioia nel potere confermare con l'autorità del Focillon la possibilità di un'estetica della pura forma sensibile»[7].

La «dinamicità» del sensibile (tanto che si è parlato di «dati bergsoniani» in Focillon) [8]permette di «rendere viva» la forma senza ipostatizzarla in un dato immutabile platonicamente Opposto alla materia: essa è, forse, «formatività», divenire delle forme nella concretezza dello spazio e del tempo, un farsi di questi «mondi immaginari attraverso una logica» connessa alla vita della storia poiché l'uomo non è un prodotto passivo ma «lavora perpetuamente su se stesso», «cerca senza soste la sua forma e il suo stile»[9]. Come già affermava Alain, il «delirio» dell'immaginazione corporea può venire placato soltanto agendo sulla materia e costruendo una «forma», che così ritrova la sua genesi e il suo fondo costitutivo nell'originarietà della materia e della più elementare vita psicologica, nella stessa creatività del tempo[10].

Prima ancora di Focillon è tuttavia E. Souriau, con L'avenir de l'esthétique (titolo emblematico per un cosciente progetto scientifico) del 1929, a parlare dell'estetica come «scienza delle forme» (o «morfologia»), scienza che deve mostrare il loro vivere ed intersecarsi nell'operatività totale della vita. L'estetologo non è infatti un puro e semplice ricercatore perché in lui non può esistere frattura fra lo studio e la vita quotidiana, fra la ricerca e il contatto vivo con lo spettacolo dell'arte e della natura.

Il «realismo razionalista» dunque, pur «filosofia universitaria», non è solo il primo vero e proprio momento di sintesi scientifica della moderna estetica francese ma anche un punto di aggregazione per amatori e artisti che operano al di fuori dell'Università e nei più disparati settori della vita sociale. In virtù di tale concezione «ampia» e «attiva» dell'estetica, che definisce l'arte semplicemente come «fabbricazione di certe cose», essa sottolinea, più che la contemplazione estetica, la «poeticità» dell'artista, i suoi atteggiamenti «instauratori». E tale tendenza, che comporta peraltro uno stretto legame organico fra il soggetto e la struttura dell'oggetto o dell'opera, sarà dominante per molti anni (fors'anche sino ad oggi) nell'estetica filosofica francese. In tale contesto, inoltre, e seguendo la tradizione aperta da Basch e Lalo, è oggi presente in Francia una solida struttura istituzionale capace di «produrre» e accogliere sempre nuovi ricercatori; struttura che ha il suo asse portante nell'Università (dove si sviluppano ormai dottrine fra loro molto differenti) e nei gruppi di lavoro del Cnrs (che fanno ora capo all'Institut della rue St. Charles e ai suoi «laboratori») ma che si estende, ramificandosi e frammentandosi, in numerose al tre iniziative, riviste, associazioni, correnti di pensiero che spesso, più che ricerche teoriche di estetica, accolgono riflessioni pragmatiche sui campi delle varie arti o gli sviluppi sociologici e psico-fisiologici della cosiddetta «estetica sperimentale». Bisogna infine ricordare, anche se non le tratteremo qui in modo specifico, le varie ricerche che, sia pure apparentate con l'estetica, mantengono nei suoi confronti la specificità delle proprie origini filosofiche sostanzialmente estranee alle radici del «movimento» dell'estetica francese contemporanea. È il caso, per esempio, di alcune opere di Derrida, Blanchot, G. Deleuze e R. Barthes ma anche, in un ambito più vicino al discorso «fenomenologico-esistenziale», di Lyotard e Baudrillard.

Di fronte all'odierno frammentarsi delle ricerche il «realismo razionalista» mantiene, per così dire, il ruolo di «estetica ufficiale» e «universitaria» del nostro secolo, un'estetica che ha il suo punto fermo nella nozione di oggetto e di opera, nell'«universo dell'opera»o «nell'opera come universo» in un'identificazione assoluta fra l'oggetto estetico e l'opera d'arte cui consegue una costante sovrapposizione dei piani dell'estetico e dell'artistico, finalizzata all'instaurazione di un mondo, di un cosmo ordinato, autonomo e autosufficiente, di una realtà espressiva come risultato di procedimenti operativi dove la tecnica assume un ruolo di primaria importanza. È tuttavia importante ricordare che uno dei primi rappresentanti di tale tendenza, Henry Focillon, proviene da un ambiente senz'altro non filosofico e quindi completamente svincolato da quelle assunzioni ontologiche e gnoseologiche che ritroveremo in Souriau. La sua Vie des formes, pubblicata nel 1934, ebbe un eccezionale successo in tutta Europa e in particolare nell'ambiente dello strutturalismo praghense, dove venne tradotta già nel 1936. Quest'opera non è dunque solo uno fra i numerosi testi del formalismo estetico europeo ma la testimonianza che in Francia, anche al livello di un pensiero non specialistico, si era raggiunta la consapevolezza che l'opera d'arte è una realtà spazio-temporale che vive non in un flusso mistico o coscienziale ma nel divenire concreto delle cose.

 

Note

[1] Su come erano, sino a non molto tempo fa, strutturati gli studi filosofici a livello universitario si veda il capitolo introduttivo di V. Descombes, Le même et l'au tre, Paris, Edition de Minuit, 1979, validissima storia del pensiero francese negli ultimi trent'anni.

[2] E. Souriau, La place de C. Lalo dans l'esthétique contemporaine in «Revue d'esthétique», VI, aprile-giugno 1953, p. 188. Lalo e Basch sono in Francia i soli profondi conoscitori della contemporanea estetica tedesca. Si vedano infatti: V. Basch, Les grands courants de 1'esthétique allemande contemporaine, in «Revue philosophique», 1912 e C. Lalo, L'esthétique allemande contemporaine, in «Journal de psychologie», 1923. Inoltre, ispirato da Basch: M. Bites-Palevitch, Essai sur les tendances critiques et scientifiques de l'Esthétique allemande contemporaine, Paris.

[3] È effettivamente raro che appaiano nell'estetica francese i nomi di quegli autori che, prima degli anni cinquanta, potevano in qualche modo essere considerati all'«avanguardia» o sostenitori di nuovi settori inerenti all'estetica precedentemente inesplorati. Non troveremo infatti mai citati Adorno, Benjamin, Dewey, Morris, Jakobson, Mukařovsky, ecc. prima del-l'indubbio mutamento culturale succeduto al secondo dopoguerra, anche in funzione di nuovi interessi ideologici e politici precedentemente inesplorati che già il Surrealismo aveva introdotto nella cultura francese e che verranno poi ripresi da Sartre, Merleau-Ponty e Malraux, per non citare che i maggiori. Un vivacissimo quadro della cultura e delle ideologie francesi dal Fronte popolare alla Guerra fredda ci è offerto da H. Lottman, La Rive Gauche, Milano, Edizioni della Comunità, 1983. Scorrendo i nomi che compaiono in questa vivace storia di idee troveremo quelli dei «padri» Alain, Bergson e Benda e dei loro figli e nipoti filosofi e letterati Breton, Camus, Sartre, Merleau-Ponty, Aragon, Gide, Malraux e Celine; ma inutilmente si cercherebbero i nomi di Lalo, Souriau o Bayer: essi procedono per la loro strada, al di fuori delle mode filosofiche e delle passioni ideologiche, apparentemente indifferenti anche nel periodo convulso dell'occupazione nazista. Atteggiamento che, se non altro, ha preservato gli studi estetici da inutili contaminazioni ideologiche ma che, d'altra parte, le ha vietato, sempre sino agli anni cinquanta, ma forse anche oltre, un arricchimento attraverso un legame più stretto con le culture straniere. L'estetica francese rimane così fedele alla sua impostazione originaria, a quella che con grande chiarezza aveva intuito V. Feldman sin dal 1936: mirare al «fatto estetico» e costituire intorno ad esso una disciplina scientifica. E, in ciò si avvicinano piuttosto ad alcuni momenti dell'estetica tedesca sino agli anni trenta del secolo. Si veda infatti: M. Dessoir, Aesthetics and the Philosophy of Art in Contemporary Germany in «The Monist», 1910.

 

 

Note

[4] R. Bayer, La méthode socio-esthétique de C. Lalo, in «Revue d'esthétique», VI, aprile-giugno15953, p. 138.

[5] E.Souriau, art. cit., p. 191.

[6] V. Jankélévitch, Philosophie première, Paris, P.U.F., 1954, p.1625. Si potrebbe dunque affermare che la considerazione data alla tecnica artistica, in quegli stessi anni deprezzata in Italia da croce, è, anche se non al livello di una rigorosa teorizzazione, uno dei momenti «unitari» dell'estetica francese, comune almeno sia agli psicologi d'ispirazione Positivista sia agli spiritualisti di Aix sia, infine, agli esponenti del «realismo razionalista».

[7] A. Baratono, Introduzione a H. Focillon, Vita delle forme, Milano, Minuziano, 1945, p. 9.

[8] Cosi afferma Morpurgo-Tagliabue, L'esthétique contemporaine cit., p.

[9] H. Focillon, Ma Perspective interieure in «Beaux Arts», gennaio 1936.

[10] L'influsso di Bergson su Focillon, di cui parla anche E. Casteinuovo nella sua Prefazione a H. Focillon, Scultura e pittura romanica in Francia, Torino, Einaudi, 1972, pp. XV-XXVI. Stesse idee esprime R. Salvini nella sua antologia La critica d'arte della pura visibilità e del formalismo, Milano, Garzanti, 1977, p. 48 (dove si sviluppa anche il problema dei rapporti con il formalismo tedesco). L'estetica delle forme ebbe comunque molto successo in Francia, anche negli ambienti degli psicologi. Prima ancora di Focillon, lo storico dell'arte Elie Faure, con il suo Esprit des formes del 1927, influenzò gli studi di Edouard Monod-Herzen. Ma ancora, oltre naturalmente agli estetologi professionisti, sono stati influenzati da questa corrente gli scritti di G. Krafft (La forme et l'idée en poésie, Paris, Vrin, 1944) e il libro di Ignace Meyerson Les fonctions psychologiques et les ouvres, Paris, Vrin, 1948. Il «Journal de psychologie», che è appunto diretto da Meyerson, ha dedicato un numero al tema Formes de l'art, formes de 1'esprit, che molto risente del linguaggio di Faure e Focillon.