5 - L'oggetto e il metodo

 

 

La «dialettica interna» dell'opera, in virtù del carattere di «esperienza aperta» proprio all'estetica, potrà dunque esplicare pienamente il senso del bello solo se inserita a sua volta in una più ampia dialettica che ne studi i rapporti con le nozioni di vero, bene e piacevole e sia quindi finalizzata alla comprensione dei legami fra l'estetica, la teoria della conoscenza, la metafisica e la morale. In questo «gioco serio» fra le dialettiche e le loro esigenze conoscitive in senso ampio, se non cosmologico, l'opera ha la funzione fondamentale di mettere «in forma» dei valori, valori che sono «reali» e quindi, a diversi livelli, metafisici, morali, ecc. L'oggetto estetico, di cui si sono delineati i primi aspetti all'interno dell'attività pratica e sensibile, viene ulteriormente «riempito» di significati e compiuto in riferimento al suo senso anche al di fuori ditale attività: è il risultato di una dialettica, un «sistema di relazioni», un sistema dì risposte, un equilibrio fra somme e consegne»[52].

Bayer, tuttavia, non studia la genesi costitutiva del valore ma si rivolge piuttosto, su di un livello esclusivamente descrittivo, ai processi della sua instaurazione, al loro ruolo nella significazione artistica. I valori, come scrive G. Morpurgo-Tagliabue, «sono riconosciuti, ma come un materiale precostituito, che l'operazione estetica ha la funzione di mettere in forma e di fare apparire»[53].

L'estetica si presenta quindi chiaramente come una «scienza di aspetti» guidata da una dialettica dello stesso e dell'altro che, se non è ancora un metodo preciso rigorosamente comprovato, permette comunque di rigettare i metodi dell'Einfühlung e della simpatia simbolica, che rilevano un tipo di rapporto soggetto/oggetto assolutamente incapace di sottolineare la specificià dell'oggetto estetico, rimanendo piuttosto in un alone confuso dove la simpatia occupa integralmente la realtà dell'oggetto senza riuscire tuttavia a spiegarla. La rappresentazione analogica dell'oggetto da parte dell'io è invece, a parere di Bayer, «un certo ordine nell'oggetto e un quadro di certi elementi ben determinati, scelti e prelevati dal gioco dell'astrazione qualitativa»[54]. Ugualmente insoddisfacente, d'altra parte, sarebbe tuttavia una teorizzazione puramente intellettiva e astraente poiché l'esperienza del bello è «aperta», non mistica né formalistica bensì attività che ha le sue origini nella sensibilità generalizzatrice e nel movimento sensibilizzante dell'astrazione qualitativa dove l'oggetto bello si rivela, attraverso il giudizio estetico soggettivo di cui è protagonista, una realtà stratificata di aspetti e di valori.

L'estetica non è quindi una semplice «scienza del bello» ma anche una «scienza del sentimento», «cioè dell'impressione che produce nei nostri spiriti l'opera d'arte»[55], una scienza non riducibile ai rapporti quantitativi, che pure in essa giocano un certo ruolo, poiché è scienza di qualità dove la cosalità dell'oggetto «diventa supporto e spunto per un processo costituitivo dell'oggetto in quanto esperito, vale a dire in quanto attuato pienamente»[56].

La piena attuazione dell'oggetto comporta di conseguenza una comprensione dei suoi molteplici aspetti, dei suoi vari livelli di presenza e di presentificazione dove i valori vengono alla luce. L'estetica non può infatti ignorare, in primo luogo, la sua stretta relazione con la componente sociale nel processo di formazione delle singole arti o con la società che influenza «dall'interno», coscientemento o meno, la stessa estetica. Tale presenza della sociologia non significa peraltro che il sociale debba dominare sull'arte: essa è solo una via di ricerca, sulla strada aperta da Lalo, nei complessi rapporti arte/vita, che vanno considerati solo partendo dalla realtà dell'oggetto, evitando le mistiche bergsoniane o esoterici estetismi che vedono l'opera in un'impossibile solitudine. Il relativismo sociologico di Lalo ha invece compreso, a parere di Bayer, che l'arte non è né tutto ne nulla della vita ma un oggetto costruito che mantiene con essa rapporti che non potranno mai presentarsi come univoci e unidirezionali. D'altra parte, bisogna sempre ricordare, anche contro Lalo, che il lato sociale dell'arte è solo un aspetto di quella dialettica essenzialmente realizzatrice fra lo spirito e la natura con cui si identifica l'estetica stessa.

Nella natura, possibilità permanente d'esperienza del bello, apertura stessa dell'esperienza, vi è la prima origine di un movimento che si svilupperà pienamente solo nell'arte, nell'opera come oggetto costruito che apre la realtà di un mondo oggettivo, risultato di processi tecnici dove, come voleva H. Delacroix, coincidono lo stato dì coscienza e l'espressione, un insieme di sentimento e atto che solo una minuziosa indagine descrittiva potrà giustificare.

E' quindi evidente - sia pure in modo non sempre esplicito, e senza mai scordare il valore fondativo della sensibilità in qualche modo «costitutiva» - che l'impostazione generale del discorso di Bayer, e comunque le sue analisi più profonde, appaiono orientati verso lo studio della creazione e dei processi - memoria artistica, sensibilità artistica, giudizio e ragione artistici - che caratterizzano l'estetica come una «poetica generale», non limitata ciò è ai processi considerati nella singolarità di meditazioni personali, che si confonde con la «poietica» di Valéry. L'arte, scrive Bayer, «è fabbricatrice, e l'opera non è che un dispositivo fabbricato»[57], un'obiettività qualitativa di aspetti.

Bayer, ancor più di E. Souriau e seguendo piuttosto H. Delacroix e Alain, sottolinea così l'importanza e i livelli qualitativi della creazione artistica, finalizzandola tuttavia non all'esame psicologico della personalità creatrice bensì all'oggetto prodotto, all'opera che si presenta al giudizio soggettivo come una combinazione simbolica di effetti, combinazione che costituisce insieme, senza che Bayer li distingua, l'estetico e l'artistico. Si potrebbe forse affermare, ponendosi su un piano interpretativo, che l'esteticità e l'artisticità sono per Bayer «aspetti» della realtà generale dell'opera; rimane tuttavia assente la spiegazione teorica del loro costituirsi in quanto tali nell'intersoggettività e nella storia. Malgrado questa indubbia carenza, che forse è soprattutto metodologica, Bayer ha saputo vedere che, pur radicandosi nell'estetico come sensibilità generale e schematismo dell'immaginazione, la realtà dell'oggetto-opera d'arte non può limitarsi alla sola esteticità in quanto essa va posta su altri piani che implicano differenti atteggiamenti soggettivi e intersoggettivi.

Bayer diffida dunque di chi si fa sostenitore di estetiche «soggettiviste» od «oggettiviste», del «creatore» o del «ricettore», delimitando in modo a prioristico e formale il campo oggettuale di quell'esperienza «aperta» che è l'estetica, in cui l'opera non può mai rinchiudersi in un solipsistico riconoscimento di se stessa in quanto tale senza riferirsi all' «altro», agli sfondi, direbbe Husserl, relativi alla sua posizione nel mondo circostante e nel tempo storico. Questo atteggiamento non è semplicemente «critico», come a volte Bayer stesso lo definisce, o di mera «comprensione» dell'opera e della sua instaurazione: è, o dovrebbe essere, in primo luogo, un tentativo di determinare in via teorica i procedimenti esperienziali soggettivi, estetici in senso stretto, e, successivamente, su queste basi, descrivere e costituire degli orizzonti di senso che l'opera stessa apre al soggetto. Questa prospettiva, che apparirà con maggiore chiarezza nell'opera di Dufrenne, è soltanto abbozzata in Bayer che, come scrive Eco, rimane legato alla «denotazione», cioè alla «catalogazione per nozioni generali e omogeneizzanti» piuttosto che alla comprensione costitutiva, «trasparenza della cosa a noi e del nostro discorso a chi dovrà riavvicinarsi alla cosa»[58].

Non è quindi casuale che, pur intuendo il superamento di una rigida compartimentazione dell'estetica, Bayer ritorni spesso a un lavoro «denotativo», a un'analisi minuziosa e raffinata di quegli aspetti che costituiscono la realtà dell'oggetto mostrandone il contenuto espressivo, la portata cosmologica. C'e infatti nell'opera d'arte, come aveva scritto nell'Esthétique de la gêce, «una specie di emozione, di slancio primitivo, di sentimenti ritmici che l'artista mira a ritrasmettere». Mettersi «sulla lunghezza d'onda» dell'opera è quindi in ultima analisi, il vero compito dell'estetica per Bayer: cogliere l'espressività denotativa dell'oggetto estetico, comprendere che, in senso ampio e non limitato alla sfera del verbale, ogni «fatto estetico» e un «fenomeno del linguaggio». E ciò accade non solo nella poesia dove, con una frase simile a quella che Sartre userà in Che cos e la letteratura, «lavoro sulla parola come su un oggetto», ma in tutte le arti, per esempio nella musica in cui l'espressione, potere di comunicazione, si rivela come linguaggio manifestandosi attraverso segni.

L'espressività dell'opera, nella sua autonoma cosalità significante, e «orientata verso lo spirito, con i fenomeni di concezione dell'opera, di ispirazione, di messa a punto dove il fattore personale, l'idea, sono predominanti»[59]. L'arte è quindi separata dal mestiere poiché è un complesso procedimento formativo di un oggetto artistico che ha un suo proprio specifico stile. Per usare le parole di Wölfflin, forse non estraneo, insieme a Fiedler, alle tematiche di Bayer, «ogni forma di visibilità ha come premessa un oggetto della visione e ce da chiedersi quanto l'una dipenda dall'altra»[60]. Quindi, come scrive Fiedler, «che altro è, in fondo, l'attività spirituale dell'uomo, se non un salvarsi continuo dall'eterno fluire del sensibile nella sfera delle forme fisse? E questa salvazione si compie nella figurazione artistica non meno che nella costruzione concettuale»[61]. Il ritmo sensibile dell'opera si organizza attraverso l'astrazione qualitativa in una forma artistica che, come afferma Wölfflin, «non accompagna sempre la vita solamente come un docile, uniforme strumento di espressione» ma «possiede un suo proprio sviluppo e una sua propria struttura»[62].

Bayer ha infatti un atteggiamento essenziale rivolto alla ricerca delle leggi qualitative dell'estetica, «analisi metodica del bello» in grado di discernere, all'interno delle singole arti del sistema, i problemi che si pongono con la presenza dell'opera da quelli che invece pone l'artista stesso: «bisogna dunque ordinare le arti secondo ciò che indica l'esperienza aperta, e ciò riunisce i materiali e i sistemi tecnici»[63]. Ogni opera d'arte è quindi il tracciato e la traccia di un'attività: l'oggetto bello è una traccia d'azione, una traccia di manovra» poiché il realismo operativo, processo produttivo del bello e di conseguenza dell'arte, indirizza su ogni oggetto artistico il suo segno, «il percorso immobilizzato di un'attività»[64], un'attività che va dall'opera d'arte agli aspetti e alle strutture, da questi alle categone e solo in ultimo al suo nome in un procedimento comprensivo. Il problema «umano» dell'estetica come scienza, afferma infatti Bayer, non è sapere se ci sono delle leggi ma darsi da fare per trovarle, per riconoscere gli aspetti qualitativi dell'opera.

I vari aspetti e le costanti strutturali che in un'opera si sovrappongono e intrecciano danno origine alle «categorie estetiche», «qualità fondate» e «modi tipici» del sentire che sono «gli effetti diversi del potere messo nell'opera» e «i modi diversi in cui l'artista riesce nel compimento dell'opera»[65]. Il realismo estetico di Bayer nasce così, sin dal suo primo lavoro, con l'esame delle categorie, con la minuziosa descrizione delle caratteristiche essenziali, strutturali, metaforiche della grazia, del sublime, del bello e del brutto, del comico e via dicendo: analisi strutturale che, nella sistematizzazione delle generalità essenziali dell'artisticità, vuole soprattutto cogliere i livelli dell'espressività comunicativa dell'arte. Queste sono le realtà estetiche che, con la loro apparenza sensibile, comandano la nostra disposizione affettiva, l'attività stessa che è inscritta nell'opera e non si esaurisce nella sola contemplazione. L'arte, scrive Bayer, «è autenticamente solo attraverso una virtù operativa: l'opera è il bilancio stesso delle operazioni dell'artista»[66]. Il valore estetico nasce da questa «riuscita» operativa che organizza l'universo estetico attraverso le categorie. Il bello è un mondo omogeneo dove le categorie che formano l'universo artistico si presentano come un dato «sul quale la dialettica non può nulla, che si constata, di cui si descrivono i tratti, come delle specie o delle varietà botaniche. E' una realtà, come tutto ciò che resiste al pensiero e che gli impone dei contorni prestabiliti e predeterminati»[67]. Al di sotto di una categoria estetica definita vi è dunque «una costanza di strutture e di aspetti»: le categorie sono «qualità fondate» che «prendono il loro posto fra le realtà del mondo sensibile»[68].

In questa ricchezza di temi e analisi descrittive, comincia quindi a rivelarsi il «sistema» di Bayer. Dal punto di vista del soggetto, allora, le opere d'arte, nel loro porsi come strutture organizzate di fronte a noi, possiedono uno specifico «valore», che è appunto il riflesso nell'oggetto della soggettività. L'universo dei valori, scrive Bayer, e «il mondo dei nostri fini, lo schematismo della nostra attività e, per cosi dire, la sua ideologia»[69], sempre relativa, tuttavia, non a colui che opera ma all'oggetto bello, all'oggetto riuscito. Si viene così ricondotti all'opera, alla sua presenza sensibile come un insieme, una combinazione di regimi e aspetti, «modi strutturali» «che l'estetica individua e raggruppa sotto categorie omogenee»[70]. L'oggetto dunque, pur correlato di necessità a un giudizio soggettivo, non si esaurisce nel giudizio che il soggetto ne può dare: esso rimane «il termine di riferimento di tutte le predicazioni che ne faccio, e ogni predicazione deve essere commisurata alla realtà strutturale dell'opera»[71]. Il giudizio è un sistema di referenze al centro del quale è posto l'oggetto estetico, limite comune di tutti i nostri possibili giudizi su di lui, vera e propria «adequatio mentis et rei»: qui, nell'oggetto, si trova dunque «il senso dell'obietti-vità in estetitica»[72].

Queste conclusioni sono, in definitiva, molto simili a quelle implicitamente presenti nell'Esthétique de la grâce: l'estetica è un realisme opératoire che ha come centro l'oggetto estetico, da Bayer identificato con l'oggetto bello e l'opera d'arte, nozioni che si identificano nel loro comune ricondursi alla nozione di «oggetto», concetto «aperto», schema espressivo e comunicativo, «messaggio» e idea che domina tutta l'estetica. Esiste infatti un linguaggio in ogni opera, «un mezzo di comunicare, di restituire un'emozione in cui l'oggetto è un termine di passaggio stabile e definito»: «la messa in chiaro della nostra emozione che è nell'oggetto, è un equilibrio intimo, trasmesso e ricomposto, filtrato un istante e captato per l'eternità in differenti sistemi»[73]. In questa «chiusura del cerchio» compiuta dall'oggetto e nell'oggetto il metodo che ha guidato la ricerca - la descrizione analitica, «fenomenologica» in senso aspecifico - sembra identificarsi con lo stesso «stile» di Bayer, accurato ma non pedante esegeta dei valori e delle categorie dell'opera secondo una tradizione che ricorda Taine, ma che in realtà appartiene a gran parte della saggistica filosofica francese[74].

Il metodo di Bayer ripercorre infatti linee polemiche comuni a gran parte dell'estetica «oggettivista» europea, che ha accolto la lezione del Positivismo ma che tende ormai a un suo irreversibile superamento. L'estetica scientifica deve infatti rifiutare tutte le metodologie preesistenti, dall'estetica «fisica» di Fechner allo psicologismo dei vari tipi di Einfühlung, dall'oggettivismo rigoroso, unilaterale di Utitz alla psicosociologia di Lalo, dai vari indistinti misticismi agli oggettivismi ingenui. L'estetica, per Bayer, come realismo operativo, è l'esatto contrario di qualsiasi estetica mentale o dell'estetica «negativa» di Bergson. Il metodo deve così «aderire» all'oggetto, riconoscere che l'opera «è ciò che è», ovvero un multiforme «blocco di scrittura», un oggetto fabbricato, uno slancio creatore e un'intuizione rivista «da un'energia del dire», un «artificio dell'homo faber», «figlia dell'intelligenza e dell'industria»[75].

Gli avvertimenti metodologici che il realismo operativo offre all'estetica sono più volti sintetizzati dallo stesso Bayer in tre regole elementari: «1) Rigettare ogni estetica mentale; 2) Non porsi, in estetica, che i problemi che si pongono; 3) l'oggetto dell'arte è cosa visibile, non commentare che ciò che si vede»[76]. Si noterà, tuttavia, che il primo principio è soltanto negativo, rifiuto di estetiche idealistiche o psicologiste ma non effettiva presa di posizione a favore di un metodo positivo; il secondo punto è poi un corollario del primo e un'introduzione al terzo: i «problemi che si pongono» sono quelli che riguardano gli ambiti «reali» della nostra vita spirituale, il mondo degli oggetti da un lato e i processi percettivi dall'altro. Il terzo punto, infine, con il suo richiamo alla «visibilità», contiene forse il vero e proprio insegnamento metodologico positivo, malgrado i dubbi che possono sorgere per la riduzione delle opere d'arte a «cose visibili»: dal momento che non c'e bellezza che non sia realizzata, che non sia «reale», compito dell'estetologo è in primo luogo descrivere tale realtà cogliendone, attraverso un processo di omogeneizzazione, il lato «qualitativo»[77], che pure, per il carattere «aperto» dell'estetica, sempre di nuovo sfugge e si ripresenta in nuovi aspetti, che, ancora, devono venire vagliati attraverso l'analisi e ricondotti nell'ambito della qualità. Ci si può chiedere, allora, se è veramente l'oggetto che, secondo Bayer, «vediamo» nell'estetica o non, piuttosto, la riduzione in «categorie» di quest'oggetto: come scrive U. Eco, la categoria «introduce un nuovo tipo di diaframma, un nuovo ben più immobilizzante schematismo tra esperienza diretta ed esperienza riferita; il linguaggio, diventato formale, ci fa conoscere la cosa solo attraverso il fantasma generico del predicato»[78].

Al di là di questi limiti intrinseci, dove si scorge una visione «predata» delle categorie e dei valori dell'oggetto, non costituentesi con l'oggetto stesso - prospettiva che avrebbe avvicinato in modo ben più evidente Bayer alla fenomenologia - il realismo di Bayer ha avuto in Francia il merito storico di aprire la via alla considerazione della realtà specifica dell'oggetto estetico e delle sue categorie in connessione assiologica con il giudizio soggettivo. Già Lalo, secondo Bayer stesso, aveva conservato la nozione di valore e si era liberato dai vari miti dell'ispirazione e del genio: «il campo era ormai libero per un estetica autenticamente epicritica, che intende conoscere i fenomeni attraverso le cause», anche se permaneva il rischio di sostituire all'opera una «statistica delle opinioni e ai valori la «borsa dei valori»[79].

La «dementalizzazione» dell'estetica implica comunque una concezione «attiva» dell'arte, che genera nell'opera aspetti e strutture costanti rivelate all'osservatore da quelle qualità fondate che sono le categorie estetiche. La visione estetica, contrariamente a quanto sosteneva Bergson, deve quindi saper cogliere nella realtà fluente il suo frammento immobilizzato, carico di espressione nascente: «nello scorrere delle durate, un istante o un aspetto è all'improvviso prelevato come eminente, l'occhio artista lo eternizza; è tutto il meccanismo della visione estetica»[80]. Al di là di qualsiasi vitalismo o misticismo, Bayer ha riaffermato che l'opera d'arte è un oggetto del mondo, che ha la sua definizione nello spazio e prende le sue coordinate nel tempo: è un oggetto «estetico» che si impone con la varietà dei suoi aspetti ed effetti nella totalità dell'universo sensibile, che ha in sè una specifica struttura ritmica che appartiene sia agli aspetti dell'oggetto sia all'attività costruttiva e spirituale del soggetto. Tutto il problema dell'estetica di Bayer è infatti «condurre lo spirito più vicino alla realtà nell'interiorità dell'oggetto creato»: «per noi il fondo delle cose è estetico e l'estetica è il risultato delle metafisiche dell'intuizione»[81]. «Ogni valore estetico, continua Bayer, è per noi il centro di un problema operativo; ciò che bisogna cercarvi è il realismo particolare delle riuscite, e ciò attraverso un'investigazione dell'universo degli effetti»[82].

Il «formalismo», che deriva a Bayer dalla tradizione tedesca, e tuttavia integrato, come accade in Focillon e in E. Souriau, da una prospettiva dove «l'a priori» autostrutturantesi della «forma» e dello «stile» permea in sè, attraverso la «dialettica» dell'attività tecnica, la totalità degli schemi «materiali-concreti» che realizzano l'opera. Come scrive Morpurgo-Tagliabue - il pensiero di Bayer implica un percorso «che va dal formalismo al contenuto, da un'estetica formale a un'estetica materiale, dagli schemi stilistici formali a dagli schemi emozionali, e di conseguenza a dei valori» [83]. La missione dell'arte è per Bayer rivelare il reale e se l'intuizione filosofica va più lontano dell'arte nella rivelazione diretta, «l'opera d'arte e il sistema del filosofo non sono per questo in misura minore traduzioni autonome dell'universo»[84].

L'estetica non è teoria della conoscenza ma teoria critica dell'oggetto, un espressivo «sistema degli oggetti» (per usare un'espressione di Baudrillard) che, prima di ogni considerazione politica, ideologica ed economica, vede in essi la traccia di un percorso e di un'azione, traccia che si rivela in quella che potremmo chiamare la loro «artisticità». Un'artisticità che Bayer tuttavia ipostatizza (o rischia di ipostatizzare) nella fissa obiettività delle categorie, predato di per sé significante indipendentemente da una dimensione storica e dall'intersoggettività della ricezione. Allo stesso modo, l'importante nozione di valore, di cui pure è necessario recuperare la specificità di significato, non sempre appare con chiarezza sullo sfondo di una fenomenologia costitutiva dell'oggetto estetico. Bayer, infatti, ha ben compreso il fondamentale ruolo del soggetto nell'instaurazione del valore estetico, attraverso una serie di atti specifici riconducibili alla sfera del «sentimento», ma non sempre ha saputo porre in relazione, all'interno della tematica dell'oggetto estetico da costituire in quanto valore, i vari atti intuitivi - percettivi, memorativi, immaginativi - che, nella loro sintesi progettuale, costituiscono «l'ontologia regionale» del sentimento estetico. E' indubbio - e questo è il merito di Bayer in relazione alla fondazione di un'estetica fenomenologica in Francia - che abbia toccato tutti questi temi; tuttavia non sempre li ha saputi ordinare in una coerente costituzione assiologica - teorica e non critica o retorica - dell'oggetto estetico nei vari livelli della sua realtà - realtà in primo luogo intersoggettiva proprio perché carica di espressività significante.

L'opera è in lui, come sarà in Dufrenne, un oggetto espressivo che apre un mondo autonomo irriducibile alla conoscenza razionale: ma attraverso quali atteggiamenti soggettivi e intersoggettivi, attraverso quali processi genetici riesca a esprimersi il mondo dei valori e delle categorie dell'oggetto Bayer non sa dire proprio per difetti metodologici di fondazione del discorso. La sua stessa critica all'Einfühlung e al soggettivismo psicologico a essa collegata, non sfiora neppure di passaggio la possibile importanza di tale nozione, depurata da vizi «mistici» e puramente «sensibili-emozionali», per la costituzione del valore dell'oggetto, tematica che pure in Germania già avevano affrontato Geiger, Scheler e lo stesso Husserl (sia pure nell'inedito Manoscritto A VII del 1907).

Molti di questi rilievi critici, che possono trovare una loro giustificazione teorica, devono comunque tenere conto della particolare posizione storica non solo di Bayer ma dell'intera estetica francese: posizione che, volendo affermare l'autonomia scientifica dell'estetica e dell'oggetto estetico, tende in primo luogo a distanziarli dai dibattiti «classici» della (o delle) filosofia, pur rimanendo all'interno della sua terminologia e delle sue griglie metodologiche. L'estetica francese, e in particolare quella di Bayer, nasce così in opposizione alla filosofia bergsoniana e alle estetiche soggettiviste, su cui peraltro si erano «formati» durante gli studi universitari. Bayer, E. Souriau, il Focillon, H. Delacroix e molti altri ancora tentano di farsi portavoci e fondatori di una «nuova» estetica che deve opporsi non solo a Bergson ma a tutte quelle estetiche già formulate di cui Bergson è il massimo risultato, ovvero alle estetiche di Ravaisson, Guyau, Séailles e dei teorici dell'Einfühlung: la concezione bergsoniana dell'intuizione, come scrive E. Souriau, è soltanto «una promozione, nell'ordine della teoria generale della conoscenza, delle idee di questi estetologi»[85]. Idee che, sia pure contrastate, rappresentano il punto di avvio dei sentieri - spesso interrotti - dell'estetica francese contemporanea.

Bayer si pone quindi quale momento di cosciente ripensamento di alcuni dei principali temi dell'estetica dei primi trent'anni del secolo, mettendo inoltre in questione quelli che saranno i punti di maggiore dibattito per l'estetica (e la filosofia generale) almeno sino agli anni sessanta: la nozione di oggetto, il suo rapporto con il soggetto e l'inserimento di tale relazione in un «abbozzo» di teoria costitutiva dove assumono rilevanza centrale da un lato la percezione e l'immaginazione nella loro funzionalità soggettiva e, dall'altro, la genesi degli «aspetti» strutturali dell'oggetto. Bayer, inoltre, non dimentica neppure le difficoltà del «linguaggio» dell'estetica di fronte a una realtà oggettuale - estetica e artistica - dove i linguaggi formano stratificati livelli di significato: temi tutti che costituiscono il «fondo» della particolare fenomenologia di Sartre, Merleau-Ponty e Dufrenne. Ciò non significa peraltro che Bayer si sia ispirato alla fenomenologia husserliana, scarsamente ricordata nei suoi scritti, anche perché Husserl rifiuta «una psicologia meramente descrittiva» o «una dottrina empirico-descrittiva delle essenze» identificando invece la fenomenologia con «lo studio delle possibilità ideali degli Erlebnisse» [86]. E' tuttavia ipotizzabile che la fenomenologia francese sia passata attraverso la lezione di Bayer divenendo, come scrive Dufrenne, «descrizione che ha di mira un'essenza, a sua volta definita come significato immanente al fenomeno e dato con questo»[87].

 

Note

[52] R. Bayer, Traité d'esthétique, cit., p. 121.

[53] G. Morpurgo-Tagliabue, op. cit., p. 416.

[54] R. Bayer, Traité d'esthétique, cit., p. 130.

[55] Ibid., p. 155.

[56] U. Eco, op. cit., pp. 98-9.

[57] R. Bayer, Traité d'esthétique, cit., p. 179. Se si considera che l'opera di Bayer èdel 1956, ovvero di tre anni posteriore alla Phénoménologie de l'expérience esthétique di Dufrenne, si può qui vedere una polemica indiretta nei confronti di quest'ultimo, per il quale l'estetica doveva presentarsi come «estetica dello spettatore».

[58] U. Eco, op. cit., p. 100 e p. 101.

[59] R. Bayer, Traité d'esthétique, cit., p. 210.

[60] Wölfflin, Concetti fondamentali della storia dell'arte, Milano, p. 475. Il formalismo tedesco si affermerà in Francia in modo piuttosto evidente. Anche per quanto riguarda l'estetica musicale, rappresentata in modo prioritario da G. Brelet (su cui si veda la conclusiva bibliografia), risente in certa misura del Bello musicale di Hanslick, anche se le sue indagini riprendono tutta una tradizione francese a proposito che va da Emmaflue fino a H. Delacroix, H. Bergson e G. Bachelard.

[61] K. Fiedler, Aforismi sull'arte, Milano, Minuziano, 1945, p. 163.

[62] Wölfflin, Avvicinamento all'opera d'arte, Milano, Minuziano, 1948, p. 63. Questo lato «strutturale» dell'estetica francese è ben evidente anche nella sociologia dell'arte fran cese e in particolare nella vasta e importante opera di P. Francastel, di cui si veda L'arte la civiltà moderna, Milano, Feltrinelli, 1959.

[63] R. Bayer, Traité d'esthétique, cit., p. 216.

[64] R. Bayer, Essais sur la méthode en esthétique, Paris, Flammarion, 1953, p. 109.

[65] R. Bayer, Traité d'esthétique, cit., p. 223.

[66] R. Bayer, Essais sur la méthode en esthétique, cit., p. 130.

[67] R. Bayer, Traité d'esthétique, cit., p. 224. È qui evidente, e non solo per il richiamo alla botanica, l'influsso del positivismo ed in particolare di Taine, per esempio nella descrizione delle caratteristiche delle varie categorie estetiche. Il sublime sarà allora direzionato verso il contenuto, in grazia verso la forma e la tecnica, il bello verso un equilibrio raggiunto fra le due precedenti categorie, il brutto verso una disarmonia naturale.

[68] R. Bayer, Essai sur la méthode en esthétique, cit., p. 185 e p. 187.

[69] R. Bayer, Traité d'esthétique, cit., p. 231.

[70] U. Eco, op. cit., p. 89.

[71] Ibid., p. 97.

[72] R. Bayer, Traité d'esthétique, cit., p. 264.

[73] Ibid., p. 285.

[74] Benda criticherà violentemente questi modi di ricerca della filosofia francese (anche se non riferendosi, in particolare, a Bayer). Benda, anche se le sue origini culturali si trovano nei razionalismo cartesiano (da qui le sue feroci critiche al soggettivismo bergsoniano e all'estetica da questo derivata), fu in realtà soprattutto un polemista, fustigatore attento e aggressivo di qualsiasi atteggiamento di intellettuali e scrittori che fuoriuscisse anche parzialmente dai suoi canoni prefissati. A testimonianza sono le critiche rivolte a pensatori che, in apparenza, potrebbero sembrargli vicini, come Valèry, Alain o Bachelard. Particolamente violento, anche se interessante per inquadrare ideologicamente il pensiero francese dei primi trent'anni del Novecento, è La trahison des clercs del 1927 (tr. it., Il tradimento dei chierici, Torino, Einaudi, 19762). Per comprendere come effettivamente molti intellettuali francesi tendessero al tradimento o abbiano di fatto tradito (nel periodo dell'occupazione nazista) si veda H. Lottman, La Rive Gauche, Milano, Edizioni di comunità, 1982. Bisogna tuttavia notare come gli «estetologi» non siano mai vittime dirette delle critiche di Benda: ciò è dovuto non a concordanza di opinioni ma alla loro, a volte sorprendente, autoesclusione dai vivacissimi dialoghi culturali che imperversarono in Francia sino alla seconda guerra mondiale.

[75] R. Bayer, Essais sur la méthode en esthétique, cit., p. 36.

[76] R. Bayer, Esthétique mondiale au XX siècle, Paris, P.U.F., 1961, p. 99.

[77] La contraddizione implicita in questo passo è ben colta da U. Eco, op. cit., p. 91.

[78] Ibid., p. 95.

[79] R.Bayer, Essais sur la méthode en esthétique, cit., p. 126 e p. 127.

[80] Ibid.,p. 77.

[81] R. Bayer, Traité d'ethétique, cit., p. 287.

[82] Ibid., p. 288.

[83 G. Morpurgo-Tagliabue, op. cit., p. 415.

[84] R. Bayer, Traité d'esthétique, cit., p. 257-8.

[85] E. Souriau, Art et philosophie, in «Revue philosophique», 79, 1954, p. 10.

[86] E. Husserl, Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica, Libro terzo, Torino, Einaudi, 1976, p. 847.

[87] M. Dufrenne, Fenomenologia dell'esperienza estetica, Milano, Lerici, 1969, p. 447.