2 - La morale estetica

 

 

Pur occupandosi di un campo specifico, l'intellettuale estetologo è in Francia, per usare la terminologia di Foucault, un intellettuale «generale» e non un intellettuale «specifico». È dunque relativamente facile giungere a teorizzare, attraverso l'estetica e l'arte, come vuole Dufrenne, una rottura di tutti gli spazi prestabiliti (dall'istituzione o dal potere, dalle industrie culturali o dalle ideologie) in una tensione utopica che riassume in sé la multidimensionalità stessa del campo dell'artistico che ne assume la medesima «naturalità». Questa posizione «utopica» è infatti ben radicata sia nella Natura, potenza naturante che è di per sé libertà del possibile, sia nella tradizione dell'estetica francese rivolta al problema della creatività artistica (che Dufrenne stesso aveva «messo fra parentesi» nella Phénoménologie de l'expérience esthétique); le sue finalità appaiono tuttavia molto vicine a quelle di Marcuse, ma anche di Lyotard, nel perseguire un collegamento fra la realtà dell'opera d'arte con la potenza del desiderio, desiderio che divenendo creazione potrà spezzare i canoni del sistema per costituire una società dove tutti saranno artisti.

L'esigenza ideologica che sta a base di questa estetica sans entra-ve si rivela quando, mettendo in gioco gli statici canoni della valutazione artistica, ci si dispone, riprendendo antiche esigenze già presenti in Véron, Guyau, Séailles e Lalo, a spostare la problematica dal valore «estetico», propriamente «critico» (il valore di Lalo), al valore morale, presente nell'arte e nell'estetica come riflessione teorica su tale realtà: se l'arte può e vuole cambiare la società significa che èportatrice di un messaggio che, come dice il titolo di un'opera di Dufrenne del 1968, è «per l'uomo», contro quelle filosofie che ne proclamano la morte non cogliendo la tensione morale che, nell'arte, spinge verso l'utopia dell'instaurazione di una nuova società.

Il termine «instaurazione» suggerisce che Souriau non è completamente estraneo neppure a questa nuova stagione dell'estetica fran- cese: non solo perché molti suoi esponenti, da R. Passeron a Revault d'Allones, provengono dalla sua «scuola», ma anche per un intervento diretto nella questione con il volume La cauronne d'herbes del 1975, che ha l'esplicito sottotitolo di «schizzo di una morale su basi puramente estetiche». Infatti, mai, nessun uomo «è stato conquistato da un'idea morale attraverso un ragionamento ma unicamente per l'irraggiamento di questo ideale, per l'ammirazione che causavano coloro che l'incarnavano e per il suo appello verso un dono di tutto il nostro essere»[6]. Una «morale estetica» ha oggi la necessaria funzione di «rimpiazzare» le antiche morali, che si sentono e sono ormai superate: non è quindi una morale «estetista» (alla Oscar Wilde) ma ha un carattere, come l'arte, inventivo e creatore. Dal momento che il fatto estetico è l'intima saggezza del compito instaurativo, una morale da porre - da instaurare, appunto - è nel suo fondo «estetica» e acquisirà quegli stessi caratteri specifici del fatto artistico e del processo che porta al suo compimento: non la staticità e la passiva contemplazione ma l'azione creatrice e la forza costruttiva.

In definitiva, anche nella morale, siamo di fronte a un'opera da fare, a una situazione interna o esteriore da realizzare:

«il nostro io come la nostra vita sono di fronte a noi nel modo d'esistenza dell'opera da fare, per la quale tutto l'insieme del dato è di fronte a noi come l'argilla vicino allo scultore, come la tela, la paletta e i colori fra le mani del pittore»[7].

Vivere significa allora, per la morale estetica, tracciare attraverso il mondo il mio itinerario personale, operando insieme alle cose e, se necessario, con esse lottando. Questa poetica universale che l'atto stesso del vivere offre conduce verso la bellezza come pieno svolgimento di un sistema armonico di forze instaurative che trascende la particolarità delle singole categorie estetiche e conduce verso una «vita sublime», il cui presupposto fondamentale è la libertà di fare, che è poi la vera libertà di un artista.

La morale di Souriau senza dubbio non possiede alcun afflato politico o ideologico, non è «impegnata» nel senso che Sartre ha reso comune in Francia, né è orientata verso la dimensione utopica di Dufrenne, nè, infine, si oppone in modo esplicito alle filosofie della «morte dell'uomo»: e anzi una morale «armonica», per nulla rivoluzionaria nelle sue regole di fondo. Tutti questi temi sono però rintracciabili in questo «testamento» di Souriau, dall'impegno all'umanesimo, dall'utopia alla spinta politica sino alle polemiche nei confronti delle «ontoteologie»: e infatti una morale «costruttiva» che «sogna» socialmente un mondo migliore che sarà, di necessità, un mondo «più bello»: «la bellezza non è altro che l'evidenza di uno stadio superiore dell'essere» e una ricerca così ricca, feconda, «umana che coloro i quali ne misconoscano l'interesse e l'utilità possono venire considerati spiriti così ciechi nei loro pregiudizi da non riuscire a mobilitare lo spirito in una direzione forse nuova, in ogni caso pratica»[8].

La bellezza, o meglio la pratica instaurativa in generale, ha quindi un carattere sociale perchè «il problema di instaurare una società di uomini liberi è essenzialmente un problema poetico», intendendo con poesia «l'atto di proporre un modello sublime che abbia la potenza di ispirare a uomini liberi un unanime desiderio di realizzazione». Con ciò Souriau pone, senza estremismi verbali o ideologici, senza richiami a «nuove dimensioni», un'esplicita critica della società contemporanea in nome di una «società estetica», una società capace di costruire e quindi opposta alle società di «gestione» o di «amministrazione»: «le società instaurative sono quelle in cui la mediazione delle libertà si fa per il loro orientamento convergente verso un opera comune da realizzare»[9]. Le società di gestione rinunciano invece alla costruzione accontentandosi di principi regolatori che operano in senso conservatore e, evidentemente, non costruttivo e operativo. Come afferma Dufrenne in Art et politique, il problema dei rapporti fra l'estetica e la politica ha due volti: l'influenza della politica sull'arte (di cui non si occupano né Souriau né Dufrenne) e l'influenza dell'arte (e dell'estetica) sulla politica; questione che, a sua volta, si divide in due problemi, l'intervento dell'arte negli affari politici e l'intervento diretto dell'estetica per una «estetizzazione» della politica: non un discorso «passionale» o «ideologico» ma un'instaurazione «ludica» e «stocastica».

La Couronne d'herbes esercita dunque una duplice funzione, la prima interna alla filosofia di Souriau, dimostrando che la vivace prospettiva dei processi instaurativi che sempre si rinnovano non può mai ossificarsi; la seconda riferita all'ambito generale dell'estetica francese che alla «politicizzazione» giunge senza dubbio attraverso antichi discorsi «morali», così come Cartesio stesso si preoccupava, nel Discorso sul metodo, di istituire insieme alle norme del corretto conoscere indicazioni di morale provvisoria. La situazionalità dell'uomo nel mondo, il suo «essere-per-la-libertà» di Sartre, l'«umanesimo» di Merleau-Ponty sono altri esempi, in un campo più generale, di comuni tendenze che pervadono l'intera cultura francese. La morale estetica e «sans entrave» perchè, in definitiva, riflette una situazione in cui l'estetica ha acquisito una sua propria nuova immagine di fronte alle filosofie, alle ideologie, ai maestri del sospetto, della fine delle scienze umane o della morte dell'uomo, contro i quali propone sempre di nuovo una «differenza» che non è mai ripetizione, la visibilità dell'opera d'arte che non può ridursi alla dimensione limitata del segno.

La «morale estetica», l'introduzione alla «Vita sublime» di cui parla Souriau, è dunque il segno dell'affermarsi di un'estetica «libera», rivolta in particolare al problema della creazione, alla novità dell'opera «da fare», alla sua «umanità». Come scrive G. Lascault si ha oggi un ulteriore mutamento della figura dell'esthéticien, senza più catene e «distratto»: «questa libertà non è assenza di rigore ma scelta fra numerosi stili di rigore, di cui alcuni sono ancora da inventare»[10]. È questo il momento in cui gli estetologi non guardano soltanto alle opere «istituzionalizzate», ufficializzate nei musei in quella che Benjamin aveva chiamato la loro «aura», ma frammentate in una serie di oggetti, fatti, avvenimenti che acquistano appunto, venendo intenzionalizzate con nuovi atteggiamenti soggettivi, un nuovo «valore» che si instaura anche nella «dispersione» e nella «decentralizzazione».

Sia dunque che, con Souriau, ci si richiami a una morale instaurativa sia che, con Dufrenne, riprendendo Proudhon, Tolstoi e anche Bakunin, ci si colleghi a un umanesimo etico con vaghi addentellati «francofortesi», il problema centrale è quello dell'opera in cui i caratteri «quasi-soggettivi» - autenticità, spontaneità, originalità, innocenza, disinteresse - «sono suscettibili di fare muovere le strutture sociali in cui è prodotto»[11]. Come già scriveva Guyau, l'emozione morale è di per sé emozione estetica e, comunque, entrambe si realizzano soltanto in una prospettiva che è «per l'uomo», mentre, afferma Dufrenne, l'ontologia di Heidegger, lo strutturalismo di Levi-Strauss, la psicanalisi di Lacan o il marxismo di Althusser hanno alcune tematiche comuni che conducono, in breve, solo alla messa da parte del senso del vissuto e alla dissoluzione dell'uomo[12].

 

Note

[6] E. Souriau, La couronne d'herbes, Paris, U.G..E.; 1975, p. 9.

[7] Ibid., p. 54.

[8] Ibid., p. 265.

[9] Ibid., p. 275.

[10] G. Lascault, Préambule a AA.VV., Vers une esthétique sans entrave. Mélanges offerts a Mikel Dufrenne, Paris, U.G.E., 1975, p. 7. Sans entrave, può essere tradotto con «senza ostacolo».

[11] A. Cauquelin, Mikel Dufrenne: portrait chinois, in AA.VV., Vers une esthétique sans entrave, cit., 29.

[12] Si veda, in particolare, M. Dufrenrne, Pour l'homme, Paris, Edition du Seuil, 1968, parte Prima.