4 - Arte, creazione e libertà

 

 

Le tematiche di M. Dufrenne pongono l'accento, in primo luogo, e al di là di critiche che potrebbero accusare di ideologia il rifiuto sovversivo delle ideologie (rischiando tuttavia sia una regressio ad infinitum sia la piena comprensione del radicamento «naturante» di queste nozioni), su alcuni momenti che, esaltando la parcellizzazione della creatività, costituiscono utopicamente una società «estetica» . Non è tuttavia prestata particolare attenzione - in questo ottimismo, in una gioia estetica così radicale che un nulla, un momento di vuoto (propriamente, un'impotenza individuale o sociale) potrebbe trasformare nel più assoluto pessimismo - a ciò che viene fondato dall'azione, al prodotto, al naturato, in termini filosofici allo statuto dell'oggetto in quanto risultato «sociale» di una serie di processi che pur sempre in una società (anche se «perversa») si svolgono.

Questo problema della creazione dell'oggetto artistico nelle sue nuove dimensionalità è tuttavia oggi molto studiato in Francia, in particolare da Olivier Revault d'Allones e da René Passeron che, pur non lontani da Dufrenne (il primo con lui dirige la «Revue d'esthétique»), provengono dall'area di pensatori formatisi intorno a E. Souriau. Inoltre, anche recenti analisi di Jean Baudrillard hanno introdotto in Francia nuove prospettive per osservare i «sistemi degli oggetti»delle nostre società comprendendone le funzioni relative al loro «consumo», che è una modalità attiva di rapporto non soltanto con gli oggetti ma con la collettività e con il mondo, «una modalita di attività sistematica e di risposta globale su cui l'intero sistema culturale contemporaneo si fonda»[40]. Infatti il consumo «e una prassi idealista totale che non ha più nulla a che fare (al di là di un certo limite) con la soddisfazione dei bisogni né con il principio di realtà»[41].

Ciò implica che, per Baudrillard, occorre

«evitare contemporaneamente sia una lettura 'fenomenologica' (i 'quadri' di oggetti riferiti ai caratteri o ai tipi sociali), sia la mera ricostruzione formale del codice degli oggetti, il quale. in ogni caso, sebbene includa una logica sociale rigorosa, non è mai parlato come tale, ma sempre restituito e manipolato secondo la logica propria di ogni situazione»[42].

Gli oggetti, la loro sintassi e la loro retorica rinviano dunque a obiettivi sociali e a una logica sociale, alla stratificazione della società alla sua divisione in classi: sotto il segno degli oggetti e sotto i sigillo della proprietà privata si svolge un «processo sociale continu del valore». Anche la stessa innovazione formale nel campo degli og getti - il «nuovo» - «non ha come scopo un mondo di oggetti ideali ma un ideale sociale proprio delle classi privilegiate: quello di rende re sempre di nuovo attuale la loro situazione di privilegio culturale» Allo stesso modo, «il calcolo estetico è sempre immerso nella logica sociale» [43]e i suoi oggetti in una serie di logiche stratificate ch spesso si confondono fra loro in modo contraddittorio: l'oggetto quindi riconducibile a questi sistemi logici in cui è pensato e socialmente coinvolto nelle sue stesse specifiche strutture (non riducibii al «bisogno» o al «feticcio»), nell'autenticità segnica che ne stabilisce il «valore» (pur nella serie).

La miglior cosa, per Baudrillard, è nella volontà

«di abbandonare ogni nostalgia, di mettere da parte ogni maledizione, per ammettere finalmente che, nel movimento stesso della propria autenticità, sistematizzandosi per una costrizione formale, costituendosi per un gioco di successive differenze, l'opera d'arte si offre di per se stessa come immediatamente integrabile a un sistema globale che la declina come qualsiasi altro oggetto, o insieme di oggetti»[44].

A questo livello si deve parlare di oggetto riferendosi alla sua socialità, e quindi con il linguaggio dell'economia politica che rappresenta proprio tale immensa trasmutazione di tutti i valori (lavoro, sapere, rapporti sociali, cultura, natura) in valore di scambio economico. L'antico valore «simbolico» dell'opera d'arte diviene così un valore segno, parallelamente all'assunzione del valore di scambio economico a valore segno[45]. L'opera d'arte circola solo all'interno della «casta» che se la può permettere e che identifica il «piacere estetico» nel rapporto privilegiato con l'opera stessa[46].

Questa socializzazione dell'oggetto, ed il suo inserimento in una economia politica del segno, non è per nulla respinta dagli attuali rappresentanti dell'estetica francese, che tuttavia tendono a rifiutare sia una riduzione dell'oggetto a segno sia una considerazione che ne limiti la realtà all'inserimento esclusivo nell'area del «consumo»: l'oggetto è considerato invece come possibile «implosione» - altro concetto caro a Baudrillard - della società in cui è inserito. Come scrive Revault d'Allones:

«Dietro l'esplorazione tranquilla o gioiosa, liberata dalla furia degli scambi, l'oggetto propone molto, apre più che se stesso, ma promette e mantiene solo in stretta funzione alla sua propria natura. Non è il mio specchio, o il luogo del mio incontro con me stesso; mi trascina altrove, ma non importa dove: da qualche parte, come se già conoscessi quel luogo. È per me un'avventura, non un errore»[47].

Si può quindi affermare che Baudrillard non comprende sino in fondo l'esteticità dell'oggetto nei suoi diversi e correlati livelli: quando riduce la realtà e i suoi oggetti alla volontà di potenza delle classi privilegiate e ai loro sistemi, «estende sull'intera società i suoi inganni 'semici' burlandosi del tempo e della storia». La negatività appare infatti quasi come esteriore, trascendente e non immanente, all'oggetto stesso, oggetto che peraltro ha la sua autonomia e il suo rapporto con il sistema solo in un legame con il soggetto «senza che sia lecito dissociare queste relazioni per autonomizzame i poli o per ridurli l'uno all'altro»[48]. La critica all'ideologia diviene così in Baudrillard, come scrive Dufrenne, un tentativo marxista di superare il marxismo attraverso la teoria del segno: «lo schema fondamentale dì questo processo non è più la costituzione del soggetto, è la 'riduzione semiologica'» [49]- una rinuncia alla logica del senso.

Logica che è invece ben presente negli esponenti dell'estetica e che Revault d'Allones vede emergere -nella creazione «pluralista, multiforme, variegata», messa in luce dall'opera come virtualità promossa all'essere, dialettica soggetto/oggetto dove il secondo termine è il punto cruciale della pratica artistica:

«cogliendo in un certo modo questo oggetto, utilizzandolo in modo particolare, l'artista giunge a dargli un contorno o piuttosto a rovesciarlo, a imporgli delle funzioni che a priori questo oggetto rifiuta»[50].

L'«uso» delle cose da parte dell'arte è «provocatorio» e, in un certo senso, «rivoluzionario» perchè da un processo che può essere incoerente e contraddittorio certamente conflittuale, nasce qualcosa diinedito, di assolutamente nuovo. In questo senso, come in Dufrenne, l'arte è il segno fondativo di una speranza:

«speranza di un nuovo universo in cui l'artista e l'arte non avranno senza dubbio più nomi perchè saranno diventati la realtà quotidiana stessa» (....):«la morte dell'arte annunciata da Hegel coinciderebbe allora con la fine della preistoria, con la nascita dell'uomo»[51].

L'opera d'arte ha quindi uno statuto storico, che è indissolubile dal suo essere poetico. È infatti indubbio che l'opera d'arte - oggetto sensibile, palpabile o udibile - è «nulla» isolata dal suo senso e dal suo ruolo nella cultura che l'ha prodotta; ma tale ricerca «costitutiva» (nel significato fenomenologico) non può riguardare, a parer nostro, la singolarità di un'opera bensì deve studiare la genesi e lo statuto soggettivo e intersoggettivo dell'oggetto stesso. Revault d'Allones, con un atteggiamento che ha fatto scuola nella contemporanea estetica francese, sostiene invece, rischiando forse un'identificazione dell estetica con la «poetica» delle singole forme, che l'opera non è l'oggetto prodotto ma, in un universo di pensiero, attraverso una tecnica specifica, la produzione di un singolo oggetto. Di conseguenza l'estetica, pur non essendo, come la storia dell'arte, lo studio delle produzioni materiali dell'arte stessa, è in ogni caso «la ricerca delle realtà dette 'soggettive' attraverso e a proposito queste produzioni materiali»[52]. L'estetica francese, continua Revault d'Allones, ha già sottolineato nel corso della sua storia l'importanza della analisi delle opere mettendo al centro del suo interesse, contro i vari psicologismi, la nozione di «oggetto» e quella di opera, dal momento che, come era chiaro in Souriau e in Bayer, «l'attività creatrice, la contemplazione, le funzioni sociali, morali, ecc., e la storia stessa delle forme, degli stili, del linguaggio artistico, hanno un punto d'intersezione unico e stabile: l'opera»[53], che ha relazioni con l'ambito intero della sensibilità.

L'estetica come teoria dell'oggetto deve quindi riconoscerne la storicità e, a partire da questa posizione iniziale, studiare i vasti campi della sensibilità estetica soggettiva senza alcun intento definitono e normativo proprio perchè l'arte riesce sempre a «debordare» l'ambito delle estetiche. La conclusione di Revault d'Allones, per molti aspetti nuova nel panorama dell'estetica francese, è che l'estetica ha come suo campo l'universo infinito delle mediazioni, l'ambito intero del sapere. Così come le altre scienze umane, l'estetica, realista dopo Bayer e Souriau, «ha rinunciato, almeno a parole, ai grandi problemi dell'origine dell'arte, della sua destinazione, del suo posto nella vita dello spirito per consacrarsi a una descrizione tanto variata quanto più rigorosa possibile dei fenomeni artistici»[54]. Di conseguenza, l'estetica si è definita rispetto alla storia dell'arte come «la scienza degli a priori» che studia e definisce le condizioni di possibilità delle opere e non la loro- reale produzione. Questa prospettiva «kantiana» va oggi integrata da un esame effettivo anche delle condizioni di possibilità della creazione, senza che per questo ci si debba rivolgere alle rivelazioni dei singoli artisti o agli schemi che dirigono le loro opere; si tratta invece, come già voleva Bayer, di afferrare i «sistemi» oggettivi e soggettivi che sono in azione nel processo operativo.

In questo senso l'estetologo potrà porsi «al servizio dell'arte» con la ricchezza dei suoi propri metodi, che vanno dalla psicologia comparativa alla documentazione storica, concludendo in una «comprensione relativista, mediatizzata, stonicizzante» che «fa rivivere ogni avventura, la ritrova allo stato nascente e restaura così il senso del rischio, dello sforzo creatore, del coraggio necessario per spingere un'impressione fugace sino all'opera degna di proclamazione»[55]. Il fine di questa ricerca, come in Dufrenne e in Souriau, e l'abbozzo di un'etica poichè la creazione artistica sempre di nuovo dimostra che, malgrado le varie pressioni che tendono a mantenere l'ordine prestabilito, può instaurarsi qualcosa di nuovo. E questa novità che la creazione artistica porta in sé è l'oggetto proprio dell'estetica, che si apre a un nuovo metodo capace di evitare le aporie dell'estetica oggettivista e dell'idealismo:

«tale metodo è, fondamentalmente, ispirato dalla 'psicologia comparativa' come l'ha definita Ignace Meyerson, come è applicata nel suo seminario e come la praticano i ricercatori che lavorano secondo questa prospettiva»[56].

Con un'impostazione simile a quella di R. Passeron, questo metodo, che non ignora, come accadeva ai primi del Novecento, e in particolare nel gruppo della «Revue philosophique», il contatto attivo con la psicologia «oggettiva», ha come idea essenziale che «la creazione e tutte le funzioni psicologiche hanno una storia, che sono sottomesse a un divenire e che la conoscenza delle opere è inseparabile da quella dell'evoluzione di queste funzioni»[57]. Per non venire accusati di relativismo è impossibile, a parere di Revault d'Allones, trattare nella loro generalità i vari momenti dell'atto creativo -intuizione iniziale, lavoro di documentazione, selezione, abbozzo, esecuzione, ecc. - perchè non sono mai uguali fra loro; così, invece di cercare il significato «estetico» (sensibile intuitivo) e «artistico» (stonico-intersoggettivo) della creazione e dell'instaurazione del «valore» dell'opera, Revault d'Allones afferma che è indispensabile ricostituire, ad ogni momento della ricerca, l'universo di un atto o di un insieme di atti creativi, in modo che l'analisi dell'estetologo si concentri in una successione di monografie.

Se è dunque derivata da Souriau l'impostazione instaurativa, l'estetica di Revault d'Allones non si indirizza verso una ricerca, nella singolarità delle arti, di un comune slanciò ontologico instaurativo ma si rivolge invece a ricerche sulle specifiche poetiche nei loro elementi fondanti di poieticità, alle individualità artistiche come esempi della storicità concreta della creazione. Questa scelta non è casuale poichè deriva da una «scommessa teorica», dalla convinzione, caratteristica di tutta l'estetica francese contemporanea, che il reale «èpìu accessibile nella sua infinita ricchezza caotica e lacerata che negli schemi teorici dei concetti unificati ma impoveriti»[58].

Revault d'Allones ha tuttavia piena coscienza che un metodo che consiste in una serie di monografie successive sui creatori è per natura infinito e non può quindi condurre a conclusioni sulla creazione come principio poietico. È quindi necessario, seguendo Meyerson (ma forse ricordando anche Lalo), ricercare le «funzioni» che soggiaciono alle singole creazioni, le «costanti» che ne mettono in luce gli elementi di novità, se non le «strutture». In questo senso un ruolo di rilevanza centrale avranno i motivi storici, politici e sociali che sempre accompagnano i processi della creazione: il metodo che regola l'analisi poietica delle poetiche non consiste dunque «ne nel limitarsi volontariamente allo studio dell'opera né nell'accettare per oro colato le teorie della creazione prodotte dalla nostra tribù ma in qualche modo nel confrontare implicitamente i due discorsi o le due serie di discorsi»[59]. Né, dunque, pura indagine formali-sta ne adesione alle varie psicologiche teorie della creazione, che non si rendono conto (ma in verità H. Delacroix l'aveva intuito) che i processi costruttivi sono, per così dire, un bricolage, un inestricabile insieme di esitazioni nell'azione, di confusione nel pensiero e di debolezza nella tecnica. È infine impossibile parlare della creazione come se fosse una facoltà o una funzione che esiste indipendentemente dalla situazione singolare e datata del segno in cui si manifesta e della singolarità soggettiva attraverso cui si concretizza affermando la propria specificità.

Il soggetto che si coglie nella creazione non è tuttavia, in primo luogo, come vorrebbe la storia dell'arte, un soggetto individuale ma un «desiderio» che è decisione e scelta: una soggettività «piena», fatta dalla storia, dai suoi contenuti e dai suoi conflitti. Bisogna dunque rifiutare sia le dottrine idealiste della creazione (da Platone a Bergson) sia quelle meccaniciste di certo positivismo: contro ogni determinismo, la creazione si presenta come il determinismo del contrario, contro cioè l'adattamento alle istituzioni artistiche, alla società, al potere, alla storia, alle scuole, al mercato, al valore p refissato, al gusto quotidiano. Il contrario della creazione è per Revault d'Allones l'accettazione mentre il rifiuto ne è la condizione necessaria, che deve venire integrata da una condizione sufficiente dove l'arte rende costruttiva la negazione e creando acquisisce una responsabilita morale, una rivendicazione di libertà e un punto di partenza per un processo di liberazione. Il rapporto arte/libertà, che per Revault d'Allones scaturisce dall'esame frammentato di singole poetiche, passa così attraverso l'atto della creazione e il suo insorgere si pone contro l'ordine delle cose, contro il sistema di repressioni della nostra attuale società: «se l'arte come istituzione può far parte dell'apparato repressivo, l'atto di creazione non vi è interamente sottomesso benchè le costrizioni pesino su di lui»[60].

L'esame delle poetiche ha dunque condotto Revault d'Allones, nel suo volume La création artistique et les Promesses de la liberté del 1973, vèrso quella «politicizzazione» di cui parlerà anche I)ufrenne (che pure si interessa più ad estetizzare la politica): l'intrinseca liberta dell'atto produttivo dell'arte non si pone all'interno della razionalità industriale ma, pur avendo con essa connessioni storiche, la deborda in continuazione e la combatte. Non bisogna tuttavia considerare realtà il mito- marcusiano della «libertà estetica» (in cui Dufrenne, in virtù della filosofia della Natura che fonda l'utopia, rischia a volte di cadere) non studiando le varie repressioni che ne intralciano il campo: la creazione e un'«autogestione» che consiste nel «trattare una situazione, che è data in un certo modo, per conseguire degli obiettivi e realizzare dei 'desideri' che senza dubbio sono anch'essi dati, ma dati in un altro modo»[61].

Si tratta quindi di affermare il valore «rivoluzionario» della creazione artistica e, andando in direzione contraria a numerose correnti del pensiero contemporaneo, riconoscere i suoi rapporti con il lavoro come sua forza materiale, qualitativamente diversa ma unita nella funzione, e rifiutare, nello stesso tempo, ogni estetismo, che non conosce la destinazione sociale dell'arte (che bisogna comunque specificare e delimitare), Va infatti respinto l'affiato «utopico» che riveste il potere di «irrealtà» dell'immaginazione sartriana, ammettendo invece che l'arte non è una soddisfazione immaginaria o simbolica ma una soddisfazione «effettiva» che si radica nel concreto substrato sociale: il discorso non deve rimanere sul piano del mero desiderio ma spostarsi su quello del bisogno, che vive la nostra stessa vita e le sue contraddizioni. Non è quindi l'arte che trasformerà la vita ma

«sono le lotte umane che si cambiano in lotte capaci di avvicinare, poi un giorno di assorbire il mondo estetico, trasformando di nuovo se stesse in questa integrazione e trasformando radicalmente al tempo stesso tutt'intera l'arte»[62].

È evidente che, in questo contesto, come già si è notato in Dufrenne, cambia il significato stesso del termine «politica», che non supera solo le usuali sue forme istituzionalizzate ma anche il canonico modus operandi dei movimenti d'ispirazione marxista: non si tratta infatti di imitare il sistema (Gome potrebbe fare un'arte istituzionalizzata) per sorpassarlo ma soprattutto e in primo luogo di sorpassarlo per differenziarsi da esso in senso assoluto. Qui la politica si incontra con la creazione artistica, il cui movimento produttivo ha ormai - con vari movimenti dell'arte (o dell'anti-arte) contemporanea - distrutto l'istituzione artistica e le gerarchie prefissate dei valori. La creazione artistica si afferma così come «una modalità di esistenza, un certo modo di situare le cose e di situarsi in rapporto a loro» e si definisce «attraverso la modalità della sua azione, non attraverso .la natura del suo oggetto o attraverso il suo campo di attività»[63]. E questa azione tende a eliminare la ripetizione che domina nella società per instaurare la creazione quale «promessa» di libertà.

Tutte le necessità dell'arte - materiali, tecniche, tradizionali, sociali, ideologiche - sboccano nella necessità stessa di distruggerle:

«La grande legge della creazione artistica è che la sua potenza è proporzionale a quella dei sistemi che vogliono soffocarla. Più si estendono le regole e più esse comandano, più si allarga il campo in cui l'arte nuova va a traboccarle e più aumenta la forza che le spezzera. È probabile che questa legge non sia limitata all'attività estetica, non più di quanto quest'ultima sia oggi limitata al campo dell'arte. In una società che tende ad abolire ogni creazione, l'abolizione di questa società diviene la sola creazione possibile»[64].

Siamo quindi, con Revault d'Allones, su quella stessa strada, per molti aspetti marcusiana, che porterà Dufrenne a presentare nella sovversione, rivolta parcellizzata e quotidiana contro i sistemi, un vero e proprio «atto estetico».

Revault d'Allones vuole tuttavia far notare, per non cadere in vuoti «utopismi», che le strutture immaginarie oggettivate nell'opera non ne esauriscono la realtà bensì rimandano a «altro», inserendosi nelle strutture del mondo extraestetico. Non si vuole costruire un'estetica intorno a un oggetto reificato ma coglieme la spinta utopica, ben consapevoli che «l'utopia non è un oggetto come gli altri, è inserita nel mondo degli oggetti con il fine di denunciarlo, di farlo eclater» [65]. L'arte non è dunque né ideologia né riflesso: gli influssì storici e sociali non possono venire ridotti a questi caratteri normativi - «concettuali e terroristi» - che mirano a considerarla in una unità, forse ideale ma senz'altro falsa. Pur nell'indubbio significato ideologico di numerose manifestazioni artistiche, la stessa antica nozione di espressione suggerisce che l'arte è qualcosa di più, è un complesso intervento prassistico, un particolare modo di significare

«che non si lascia assimilare né al sapere, di cui non possiede l'organizzazione razionale non più del carattere cumulativo, né all'ideologia di cui non possiede né la funzione alienante né il carattere di rovesciamento»[66].

Vi è dunque nell'opera un momento «formale» che, come voleva Souriau, è la perenne ricerca della realizzazione e del compimento dell'opera stessa: la poetica, le poetiche nel loro presunto affiato rivoluzionario, sono modellate necessariamente sulla poietica, su quelle modalità costanti della creazione artistica che R. Passeron vorrà innalzare a «scienza». Ma una volta che l'oggetto e compiuto e dato, che viene giudicato - e qui non si spiega né l'origine né la genesi del giudizio e del valore correlato - non si può vedere in esso, senza conflitti e mediazioni, uno strumento di «liberazione» senza inquadrarlo in una dimensione sociale dove la sua esteticità o artisticità diviene in primo luogo, se non esclusivamente, un processo di «desublimazione liberatrice», che è insieme sia alienazione del sogno e possibilità di sognare sia desublimazione repressiva e liberazione di forze creative in grado di trasformare il mondo. Perché non è l'arte «che ha il torto di essere bella ma il mondo che ha il torto di essere brutto» e quindi, contrariamente alla desublimazione repressiva, «la liberazione non consiste nel distruggere l'ideale della bellezza ma le muraglie che la circondano, ovvero l'arte»[67].

La vera scissione dialettica non si pone così fra la sublimazione e la desublimazione ma fra il repressivo e il piacevole o, in termini più politici, fra il dominio e la libertà, il capitalismo e la rivoluzìone. In questa lotta non c'e nulla da salvare, né l'ideale antico o medievale della bellezza, né la reificazione capitalistica della vita: «niente da salvare ma tutto da costruire: un mondo o i valori non saranno più bloccati nelle banche della cultura, nè i piaceri codificati dalla sublimazione»[68]. Il tendere dell'opera alla «perfezione formale» significa così separazione dalla realtà e tentativo di sostituire all'ideale di fedeltà alle cose o di olleratività su di esse una nuova qualità estetica di realizzazione, correlata a un «piacere estetico». Questa nuova terminologia, che potrebbe condurre a un'analisi genetico-costitutiva dell'opera nella sua realtà concreto-sensibile al di fuori di schematismi ontologici o tecnico-pragmatici, tende invece in Revault d'Allones a un'esclusiva analisi della realtà socio-ideologica della creazione, non sempre chiara nel distinguere i livelli teorici generali (descrizione e comprensione dei processi soggettivi e intersoggettivi in essi coinvolti) dalle loro singole applicazioni pragmatiche. «Perfezione», «valore» e «piacere» sono termini che, contrariamente alla tradizione francese stessa di Bayer e Souriau, possono essere usati, a parere di Revault d'Allones, solo in un contesto sociale, quindi in un rapporto dialettico fra l'arte e il mondo - «dialettico», ovvero non privo di negatività, scissioni, conflitti. Infatti solo le operazioni «dell'estetica più reazionaria, per la quale l'arte realizza già realmente l'universale fra le classi, in breve le estetiche alla Malraux, sono rese possibili soltanto grazie al superamento virtuale delle contraddizioni fondamentali»[69].

Una semplice teoria del «piacere estetico» - tradizionalmente connessa, sin da Kant, al lato contemplativo - rimarrebbe sul piano di un'assoluta passività non cogliendo ciò che fa dell'arte il contenuto di un vero e proprio movimento dialettico, il suo lato pratico, fabbricatore, in una parola «poietico», originalità del fare artistico che insieme afferma e nega le sue condizioni di apparizione. L'arte esercita quindi un'attività «critica» (nel senso «francofortese»): di fronte all'isolamento degli individui nei molteplici processi alienanti della società contemporanea, l'arte propone una soluzione che non è nostalgica ma si rivolge verso la scoperta in se stessa di una poietica desublimata. La prospettiva di una «desublimazione liberatrice» «riconcilia le nozioni di piacere e di realtà, che Freud oppone nella sua descrizione non critica della società coercitiva»[70]. L'arte come sogno reificato, sublimato, conservato ormai scisso dai suoi oggetti: il suo nuovo senso può rivelarsi ponendo la creatività sui piani correlati della teoria e della prassi sociale. Questa «rivoluzione culturale» «consiste fondamentalmente nel desublimare l'arte per liberare ciò che conserva, non per dare ogni accesso ai suoi oggetti ma per rendere a ciascuno l'uso delle sue proprie facoltà» [71]. Non si tratta quindi di aprire i musei o di cambiare la nozione stessa di museo, come potrebbe affermare certo sociologismo interciassista, ma di mutare radicalmente le relazioni fra gli uomini e gli oggetti, di spezzare la reificazione mediante la quale il soggetto diventa cosa e di scoprire un mondo dell'attività in cui l'opera è soltanto un momento o un mezzo attraverso i quali l'arte dimostrerà che la gioia di vivere può soppiantare la costrizione del lavoro. Il punto nodale di questa logica poietica dell'immaginario non è quindi l'opera fatta ma la «gioia di fare», la volontà di realizzare senza reificare. Non c'e verità in sé dell'arte, scrive Revault d'Allones, né un valore che le sia specifico né una funzione ad essa riservata:

«ci sono soltanto dei momenti, che non sono né soltanto sociali né soltanto artistici ma sempre simultaneamente l'uno e l'altro dove (...) è sempre possibile definire la relazione fra l'arte e la società»[72].

La desublimazione liberatrice è una ricerca, in ultima analisi, dell'origine stessa dell'arte, di quella gioia di creare, di quel piacere di vedere e intendere che hanno costituito il suo significato originario. Essa quindi si rivolge non agli oggetti o ai «valori» ma alle attività della creazione e al piacere. Attività desublimate che sono universali senza essere uniformi perché

«rompendo con i valori accumulati nel passato e ufficializzati dall'apparato istituzionale dell'arte, la desublimazione liberatrice permette di fare appello presso tutti gli uomini a ciò che, attraverso l'amore delle loro differenziazioni qualitative e creatrici, soltanto li unisce identificandoli»[73].

Revault d'Allones mette quindi l'accento, anche in quest'ottica «politica», sulla «poietica», che ha le sue origini nelle singole creazioni artistiche e che rivela i suoi poteri nei grandi attuali mutamenti del mondo delle arti. Come infatti scrive E. Migliorini, riferendosi ai numerosi elementi di novità delle arti contemporanee, «chi si accinga oggi a discorrere di estetica deve essere ben consapevole della frattura che si è generata all'interno della disciplina in ordine al mutamento di quello che dovrebbe essere il suo oggetto, dell'attività umana cui la sua riflessione era dedicata»[74]. Ma proprio in virtù di questi elementi dirompenti di novità, l'estetica si vede costretta a rimeditare la propria posizione e i propri contenuti: deve risalire alle sue origini storiche e teoriche riscoprendo i suoi rapporti antepredicativi con la sfera del «sentire» ma anche ripensare il valore dell'oggetto come costituentesi in una descrizione che ne colga i significati storici e intersoggettivi, che ne afferri i rapporti fondanti con gli ambiti collaterali delle scienze umane, da cui pure nasce l'estetica stessa.

Un'estetica che sorga come teoria o scienza esclusiva delle arti, e di quello che sono le arti oggi, dei loro processi di produzione, del loro significato sociale, più o meno vincolato alla creatività stessa, rischia sempre l'assenza di fondazione, un relativismo di fondo che renderebbe indistinguibile l'estetica stessa dalle poetiche e queste ultime delle critiche dell'arte. Dufrenne, a differenza di Revault d'Allones, in virtù delle origini fenomenologiche del suo pensiero, ha ben compreso che, per non diventare sociologia dell'arte, o critica sociologica attraverso gli strumenti singolari delle poetiche, della società contemporanea, o utopismo soggettivistico, il messaggio politico-culturale dell'arte (e della non-più-arte contemporanea) deve sempre radicarsi in un fondo che scaturisce da una genesi di carattere percettivo, dove, come voleva Merleau-Ponty, vi è inseparabilità di soggetto e oggetto: mancando questi elementi le «promesse della libertà» che l'arte porta potranno giustificarsi solo su un altro piano, quello dell'analisi sociale, economica, politica della società, che l'arte potrà trascendere ma che mai sarà in grado di allontanare da se stessa; l'estetica rinuncerà allora alla comprensione di quei processi corporeo-materiali nei quali le opere vengono alla luce e che si ripetono «nel tempo», al di là delle singole poetiche, perché sono il tempo stesso della costituzione d'oggetto.

Teorizzare l'arte a partitre dalle arti contemporanee, oltre a possedere numerosi «rischi», come ben nota ancora Migliorini[75], può significare una «rinuncia» all'estetica come scienza filosofica. Non è quindi un caso che sia Reyault d'Allones sia, in modo particolare, Rene Passeron parlino oggi di una scienza «poietica» che non deve confondersi né con le singole poetiche (ad essa riconducibili come esemplificazioni particolari) né con l'estetica, pur avendo in esse un necessario precedente storico e teorico. L'estetica è infatti essenzialmente esplicativa mentre la poietica accompagna l'artista sino all'opera e lo segue in tutto il processo della sua «instaurazione (termine che, da solo, chiarifica le origini del pensiero di Passeron): e, in questo senso, anche per gli scarsi richiami di carattere politico», la poietica di Passeron si inserisce in modo «naturale» nella tradizione dell'estetica francese, là dove le acute analisi di Re vault d'Allones, pur incentrate sulla creazione, allargavano il dibattì to a problemi dove Souriau viene coniugato con Freud e Marcuse, subendo inevitabili trasformazioni.

Passeron, valutando invece la positività della tecnica artistica (come Alain e H. Delacroix) e mettendone in rilievo, con I. Meyerson, la specifica «funzione psicologica» inserisce il discorso «creativo» nelle problematiche «tradizionali» dell'espressività costruita e da costruire, della forma da instaurare e del dato da valutare, con una rinnovata indistinzione fra «oggetto estetico» e «opera d'arte». La poietica non è quindi un'indagine di psicologia (più o meno empirica o applicata) sulle personalità creatrici ma un'analisi rigorosa delle specificità funzionali e operative della creazione stessa, dei fatti artistici nelle loro strutture e nei momenti fondamentali del loro farsi. Così, per quanto riguarda l'opera pittorica, cui Passeron dedica un ampio studio, si dovranno esaminare il lavoro del pittore, i suoi mezzi materiali e tecnici, la sua «mano» e il suo «occhio» insieme agli elementi dell'opera dipinta, plastici, compositivi, simbolici e linguistici. A queste analisi, per così dire, «strutturali» si dovrà aggiungere una ricerca sui rapporti multiformi fra la pittura e la natura (che coinvolgono problemi di mimesi e di rappresentazione immagìnaùva), e fra l'opera e il pittore dal lato «sociale» seguendo i mutamenti storici della «figura» del pittore[76].

La poietica si manifesta quindi soprattutto nelle opere, ma senza per questo frammentarsi in una varietà priva di confini. Il «manifesto» della poietica - pubblicato nel 1974 nel primo dei quattro volumi delle Recherches Poiétiques condotte dal «Groupe de recherches esthétiques» del C.N.R.S. presso l'Istituto di Estetica e Scienze dell'arte in rue S. Charles a Parigi - tenta infatti di offrire un'unità teorica che sappia individuare un «luogo» preciso alla poietica distinguendola dall'estetica e dalla «scienza dell'arte». Funzioni psicologiche, sociali, instaurative in genere debordano infatti nel campo dell'estetica e costituiscono la positività «fattuale» (per certi versi «positivista») delle «scienze dell'arte». L'estetica si presenta invece come una riflessione normativa sull'aisthesis: «questa parola designa una sensazione che apre le porte alla conoscenza, una facoltà di percepire e di comprendere nella percezione stessa»[77]. Partendo da queste radici, e attraverso Kant, l'estetica ha acquistato l'odierno, significato che, a parere di Passeron, la vede consacrata «alla percezione emozionale, qualunque sia l'oggetto che la colpisce, l'arte o la natura»[78].

Da ciò si deduce, anche senza citare Fiedler, Dessoir e Utitz, che l'estetica «non ha nulla da perdere nel limitarsi ai problemi che pongono la sensibilità, il gusto, il bello nell'arte e nella vita»[79], lasciando alla poietica l'insieme degli studi che riguardano l'instaurazione dell'opera e in particolare dell'opera d'arte. Il punto di partenza è dunque Valéry che, opponendola all'estesica, riferiva la poietica non all'insieme degli effetti di un'opera percepita, né all'opera fatta o come progetto ma all'opera che si sta facendo, dimostrando che l'uomo è, come scrive I. Meyerson, «costruttore».

L'opera d'arte prende così posto fra il poiein e l'aisthesis, fra l'artista che la propone e il pubblico che la riceve ed è il centro di tre differenti discipline scientifiche e filosofiche: l'estetica, la poietica e le scienze dell'opera in quanto tale - discipline che, pur avendo in comune i campi di ricerca, si differenziano in vari momenti essenziali. La poietica, infatti, «è la promozione filosofica delle scienze dell'arte che si fa» mentre l'estetica «è la promozione filosofica delle scienze dell'arte che si consuma»[80], come Passeron illustra nel seguente schema:

 

IL schema

 

Se la «lettura estetica» delle opere si occuperà dell'opera compiuta, o almeno presentata, la lettura «poietica» deve portare, in relazione a quanto aveva insegnato Souriau, sulle tappe dell'instaurazione, sui processi particolari della sua genesi. Dal momento che, come ha ben mostrato Revault d'Allones, i procedimenti della creazione sono multiformi e differenziati, il livello metodologico della poietica è quanto va indagato in modo prioritario, notando che in essa agiscono tre ordini di metodo correlati. In primo luogo avremo - ed è importante che Passeron lo metta in rilievo - tutti i metodi adottati dalle scienze umane, applicati in una sorta di pluralismo; si potrà poi ricorrere all'introspezione dell'artista, ovvero all'analisi fenomenologica dei suoi rapporti con l'opera e infine integrare questa conoscenza dei fatti con una riflessione normativa, con «la scienza normativa dei criteri dell'opera e delle operazioni che la instaurano»[81]. Una scienza che è quindi in grado di esaminare il valore dell'opera nel suo farsi, la sua novità contenutistica e le sue varie «specie».

Vi saranno così una «poietica formale», che cerca di cogliere quanto c'è del creatore in ogni atto, una «poietica dialettica», che si occuperà dei campi in cui l'oggetto creato richiede un certo modo di creazione da parte dell'artista e, infine, una «poietica applicata» a ciascuna arte particolare. Se dunque la poietica non può limitarsi solo all'arte perchè, come già diceva Souriau, c'e un'attività instaurativa ovunque un'attività umana sia sussumibile nella nozione di opera, il suo campo privilegiato rimane sempre l'arte grazie ai caratteri della sua interna logica costruttiva, per la «novità» e l'apertura verso l'avvenire che implica, per il suo slancio e la sua lotta dove l'uomo vede un vuoto da riempire.

L'indubbio interesse che possono suscitare le ricerche poietiche, malgradò il loro frammentarsi in vari campi[82], e le novità metodologiche che la poietica porta in sè (anche se «poietica» e stata, in definitiva, tutta quanta l'estetica francese) non devono far dimenticare che in questa prospettiva, che appare come quella teoricamente più giustificata della contemporanea estetica filosofica (pur nel frammento), agisce in modo evidente il pensiero di E. Souriau, integrato, come scrive lo stesso Passeron, da I. Meyerson, M. Merleau-Ponty, J.P. Sartre, G. Bachelard, A. Breton, P.Valéry e la poetica linguistica di Todorov. È Souriau infatti, con la sua «promozione anaforica», ad aver mostrato che «è la condotta instauratrice in se stessa, nell'arte, nei costumi, nella storia, che si presenta subito come oggetto topico della riflessione poietica»- Questa «condotta instauratrice» offre al filosofo, allo psicologo, all'antropologo «un oggetto specificamente umano, per il fatto che comporta un'esperienza del vuoto e dello sradicamento di sè verso l'avvenire»[83], verso la pienezza della creazione.

 

Note

[40] J. Baudrillard, Il sistema degli oggetti (1968), Milano, Bompiani, 1972, p. 249.

[41] Ibid., p.255.

[42] J. Baudrillard, Per Una critica dell'economia politica del segno (1972), Milano, Mazzotta, 1974, p. 19.

[43] Ibid., p.31 e p.32.

[44] Ibid., p. 111.

[45] Per cui, ad esempio, il vero valore di un quadro è il suo valore genealogico, ovvero i fattori che ne determinano il consumo in quanto tale, la sua «nascita», la firma, e l'aureola delle sue successive transazioni.

[46] E alle spalle di questa riduzione del valore dell'oggetto al valore d'uso da parte di una casta privilegiata sta, in Baudrillard, l'estensione della critica dell'economia politica alla critica radicale del valore d'uso, che colpisce anche le teorizzazioni di Marx.

[47] O. Revault d'Allones, Présentation du numero, in «Revue d'esthétique» (Pour l'objet), 1979, nn. 3/4, p. 18-9.

[48] Marc de Launay, L'objet en cause, in «Revue d'esthétique», cit., p. 117.

[49] M. Dufrenne, Art et politique, cit., p. 34.

[50] O. Revault d'Allones, La création artistique et les promesses de la liberté, Paris, Klincksieck, 1973, p. 7

[51] Ibid., p. 8.

[52] Ibid., p. 19.

[53] Ibid., p. 20.

[54] Ibid., p.23.

[55] Ibid., p.30.

[56] Ibid., p. 31. Ci si riferisce al volume, che ha una certa importanza nell'ambito dell'estetica francese contemporanea, del direttore della «Revue de psychologie», Ignace Meyerson, Les fonctions Psychologiques et les ouvres, Paris, Vrin, 1948, e al suo gruppo di ricerca presso l'Ecole pratique des Hautes Etudes.

[57] Ibid., p.31.

[58] Ibid., p.34.

[59] Ibid., pp. 263-4.

[60] Ibid., p. 271.

[61] Ibid., p. 274. Bisogna però separare creazione e lavoro;e non solo farne una separazione «sociale», legata all'attuale e struttura della società, ma una frattura teorica. La «liberazione» sociale non libererà infatti dal lavoro, così come la creazione di per sé non sarà affermazione di libertà. La creazione si prolungherà invece in lavoro, che è la forza materiale della creazione stessa: concetti che si escludono per le loro qualità ma sono invece legati per le loro funzioni.

[62] Ibid., pp. 279-80.

[63] Ibid., p. 284.

[64] Ibid., p. 291.

[65]O. Revault d'Allones, La desublimation libératrice, in AA.VV., Vers une esthétique sans entrave, cit., p. 157.

[66] Ibid., p. 167.

[67] Ibid., p.1577.

[68] Ibid., p. 178.

[69] Ibid., p. 184.

[70] Ibid., p. 189.

[71] Ibid., p. 191.

[72] Ibid., p. 193. Questo passaggio dall'estetica alla politica non è per Revault de Allones soltanto teorico poiché è stato compiuto da numerosi movimenti dell'arte contemporanea, in primo luogo dal Surrealismo, dalla Bauhaus e dai musicisti francesi del «Gruppo dei Sei».

[73] Ibid., p. 197.

[74] E. Migliorini, Introduzione all'estetica contemporanea, cit., p. 136.

[75] Ibid., p. 138.

[76] R. Passeron, che lavora al C.N.R.S., è autore di L'oeuvre picturale et les fonctions de l'apparence, Paris, Vrin, 1962, dove si afferma la centralità di due ordini di proble-. mi, il primò relativo alla specificità dell'ordine plastico e il secondo alla pittura come linguaggio con una sua propria funzione simbolica. Passeron è autore anche di Clefs pour la peinture, Paris, Seghers, 1969.

[77] R. Passeron, La Poiétique, in AA.VV., Recherches Poiétiques, tome I, Paris, Klincksieck, 1974, p. 12. Si veda la bibliografia per le complete indicazioni su tutti i quattro volumi.

[78] Ibid., p.13.

[79] Ibid., p.13.

[80] Ibid., p. 16.

[81] Ibid., p.161.

[82] Le ricerche poietiche, per Passeron, possono riguardare la «condotta instauratrice» nell'arte, nei costumi, nella storia o nell'antropologia.

[83] R. Passeron, Le concept d'instauration et le développement de la poiétique, in «Revue d'esthétique», 1980, nn. 3/4, (L'art instaurateur), p. 196.