INTRODUZIONE

 

 

1 - L'estetica francese, nel suo frastagliato divenire di teorie, movimenti, rapsodiche idee individuali, spesso non accordabili o in polemica fra loro, potrebbe apparire, considerata nel suo insieme da un punto di vista che sappia unire la sintesi storica al percorso teorico, un movimento sostanzialmente unitario che tende alla costruzione «fenomenologica» di una «scienza estetica» in dialettico confronto con l'intero ambito delle scienze dell'uomo, in particolare sociologia e psicologia. Una «fenomenologia» che è senz'altro differente da quella husserliana ma che comunque ispira quella grande sintesi fenomenologica dell'estetica francese rappresentata dall'opera di Mikel Dufrenne e che può in ogni caso venire intesa come ricerca delle principali figure costitutive dell'autocoscienza scientifica dell'estetica all'interno di campi in cui, prima dei suoi sforzi teorici, i fenomeni dell'artistico e dell'estetico erano considerati in modo ingenuo o asserviti ai contesti logici e metodologici di scienze complementari.

Il terreno comune originario «che feconda tale ricca messe» deve essere individuato nella tradizione positivista che, all'interno delle singole impostazioni filosofiche fra Ottocento Novecento, lievita «come forza viva anche negli antipositivismi della cultura francese»[1], tentando di offrire all'estetica, sul modello della Kunstwissenschaft, uno statuto epistemologico. In questo quadro sostanzialmente unitario, il primo storico dell'estetica contemporanea, Valentin Feldman, crede di riuscire a individuare tre correnti specifiche: l'idealismo romantico di Basch, collegato al pensiero bergsoniano; il «realismo razionalista» di Focillon, E. Souriau e Bayer; il positivismo vero e proprio, intellettualista con Alain e Delacroix, sociologico con Lalo. Questa distinzione, peraltro fondamentale da un punto di vista storiografico, ovviamente limitata nel tempo ai primi quarant'anni del secolo ed eccessivamente schematica, tende a rimanere legata al solo ambiente culturale parigino, in particolare universitario, mettendo quindi in secondo piano «scuole periferiche» (come quella di Aix-en-Provence) e forse ricercando a tutti i costi una «sistematicità» che voci individuali avrebbero potuto spezzare.

Al di là delle singole posizioni di pensiero e dei complessi intrecci, è comunque il gruppo «parigino», raccolto intorno alla «Revue d'esthétique», a offrire le linee direttrici dell'estetica francese del Novecento, intendendo con il termine «estetica» «ogni riflessione più o meno filosofica sull'arte, e anche ogni ricerca sufficientemente metodica (anche scientifica, se possibile), concernente l'arte, l'artista (la sua attività, le sue facoltà specifche), il bello e le altre qualificazioni dello stesso genere (il sublime, il grazioso, il drammatico, il comico) e tutti i giudizi apprezzativi della critica e della contemplazione non tecnica delle opere d'arte, e anche della natura considerate sotto le stesse categorie apprezzative»[2]. L'evidente unità di questo piano introduttivo non deve venire a priori piegata ad alcun indirizzo metodologico particolare poiché il suo fine ultimo è rendere «solida, sostanziale e costantemente pregnante» la conoscenza estetica nelle sue fondamentali interrelazioni con la filosofia, la storia e la critica delle arti, la sociologia, la psicologia ma anche la fisiologia, la biologia e la fisica.

L'inserimento della filosofia solo fra le scienze particolari ausiliarie dell'estetica non deve eccessivamente stupire anche se ha un sapore polemico che accompagna tutta l'estetica francese; infatti, come scrive Feldman, «il problema riguardante l'opera d'arte, le sue condizioni e i suoi effetti, non è, in Francia, strettamente connesso alla storia della filosofia»[3]. L'estetica, d'altra parte, «si è venuta costituendo come disciplina autonoma nella misura in cui, separandosi dalla metafisica e dalla logica, ha rinunciato ad essere una scienza normativa per diventare una scienza delle norme»[4], norme che trovano nella filosofia il loro radicamento e un'intima giustificazione teorica ma che tuttavia, di fatto, non possono venire ricondotte, almeno sino agli anni cinquanta, alle posizioni filosofiche loro contemporanee se non in linee estremamente generali e assolutamente aspecifiche, né appaiono legate ad ambiti ideologici o ad attuali polemiche culturali, pure ricorrenti in Francia dal surrealismo, agli anni del Fronte popolare, dal' «impegno» del secondo dopoguerra ai dibattiti dei giorni nostri sul ruolo dell'intellettuale di fronte al potere politico.

Il gruppo che si viene formando intorno a Lalo, Souriau e Bayer, pur distante dal pensiero di Basch, ha come unico scopo riprenderne l'esigenza di una fondazione scientificamente autonoma dell'estetica, riscattandola dallo stato baumgarteniano di «gnoseologia inferior» e quindi liberandola dai complessi di inferiorità nei confronti della filosofia in quanto «gnoseologia superior». L'estetica francese prosegue infatti il proprio cammino, nella linearità dei suoi fini, rimanendo per lo più indifferente alle varie tematiche filosofiche offerte dalla fenomenologia, dall'esistenzialismo e dallo strutturalismo che pure dominavano la vita culturale della capitale. Dufrenne stesso, che della tradizione fenomenologica ed esistenzialista è erede e continuatore, non dimentica mai di sottolineare la specificità dell'estetica e la necessità di ricondurre ad essa i momenti fondamentali della fenomenologia.

Su questo terreno, così aperto alle problematiche delle scienze non solo dell'uomo - l'estetica francese, in particolare parigina, offre oggi nuovi contributi, in parte influenzati dall'estetica anglosassone e da Ruskin e in parte dall'operativismo caratteristico di Bayer e Souriau, che rifugge le estetiche da «tavolino», puramente teoriche o mentali. Intendiamo qui accennare alla cosiddetta «estetica industriale» e all'estetica «sperimentale» di Francés, Revault d'Allones, Brion-Guerry, Passeron, Zeraffa e Moulod che ha dato origine alla rivista «Sciences de l'art», che ha come sottotitolo «Annales de l'Institut d'Esthétique de l'Université de Paris» e che si situa dunque in quella stessa corrente di pensiero estetico che ha caratterizzato l'originario gruppo parigino. Per non parlare, infine, di quell'estetica «sans entrave» - come la definisce Dufrenne [5] - che ha di sé permeato, in questi ultimi anni, la «Revue d'Esthétique» e che è rappresentata, oltre che dal suo «caposcuola» Dufrenne, da Revault d'Allones, Brion-Guerry, Lascault, Charles, Metz, Noguez ma anche, forse, dall'ultima opera dello stesso E. Souriau - La couronne d'herbes - che ci sembra sintetizzi, con la lucidità che gli deriva da una lunga e appassionante meditazione filosofica, l'esigenza etica - e quindi politica, sociale, engagé in un senso molto più «puro» e «ingenuo» di quello sartriano - della meditazione estetica contemporanea.

L'estetica francese che Feldman divide in tre grandi correnti, che si svolgono attraverso Basch, Bayer, Souriau, Focillon, Lalo, Delacroix e Alain non esaurisce tuttavia né l'esame delle sue fonti originarie né l'articolata ricchezza delle sue dottrine. Non solo infatti dimentica o pone in secondo piano le estetiche di Véron, P. Souriau, Bremond, Landry, Paulhan e, soprattutto, Segond (che anche Bayer, nel suo sguardo sull'estetica francese contemporanea, considera con una certa non giustificata freddezza), ma anche, e in modo più specifico, ignora deliberatamente le «estetiche» degli artisti, spesso, in particolare in Francia, fondamentali per la meditazione teorica sull'arte e sempre comunque dense di ricchissimi spunti.

Uno studio sull'estetica francese non può quindi venire oggi limitato all'estetica universitaria - di cui peraltro si dovrà sempre riconoscere l'importanza teorica e l'enorme lavoro didattico - e di conseguenza scordare il pensiero di Valéry, di Apollinaire, di M. Denis e di Breton o, in giorni a noi più vicini, di filosofi e letterati quali, per esempio, Bachelard, Caillois, Sartre, Merleau-Ponty, Barthes o Derrida. D'altra parte gli ultimi fra questi autori, da Barthes a Derrida, da Blanchot a Foucault (cui si accennerà ma solo per un generico inquadramento culturale), segnano di fatto una direzione sostanzialmente diversa da quella indicata dal patrimonio storico dell'estetica francese, presentando prospettive che, oltre a derivare da differenti matrici culturali, vanno, come nota Dufrenne, in direzione spesso contraria a quanto imponevano i contenuti concettuali dell'estetica. La loro presenza nel quadro degli influssi possibili sul pensiero estetico in Francia indica tuttavia che è un'operazione quasi impossibile separare questa disciplina, anche se si presenta come «scienza» autonoma, dal contesto di un dibattito culturale oggi sempre più vario, frammentato, costituzionalmente refrattario a ogni tentativo di «storicizzazione» schematica.

Anche i primi cinquant'anni del secolo, ovvero quelli che verranno qui esaminati in modo più particolareggiato, vedono peraltro, oltre le singole prospettive, il permanere di comuni dottrine filosofiche fondative. In questo periodo, infatti, scrive Lacroix, «e messa in discussione l'idea stessa di coscienza, o perlomeno, invece di rinchiudere l'individuo nella sua soggettività, essa diventa spesso una sorta di compresenza. Lo spostamento dei problemi, l'eclissarsi dell'essere dinanzi al valore, il discredito della nozione di sistema filosofico, lo sforzo per coincidere con l'esistenza concreta e vissuta, sono i segni di un vero cambiamento»[6]. Cambiamento che, se ha le sue origini in Bergson, Alain, Laberthonnière e Durkheim, viene proseguito, e spesse volte fondato, da interpretazioni «umaniste» di Marx, dalle letture di Hegel da parte di Kojève, dalla fenomenologia di Merleau-Ponty, Sartre e Levinas, dal pensiero originale di G. Marcel, J. Wahl o P. Ricoeur: generazione di filosofi che, sulla precedente «base» kantiana, innestava l'insegnamento, come scrive Descombes[7], delle «tre H», Hegel, Husserl e Heidegger, influenzando senza dubbio l'estetica francese nel momento del suo maggiore sforzo teorico con una nuova esigenza di descrizione della concreta realtà dell'uomo, del mondo e dei loro reciproci rapporti.

Non è quindi del tutto casuale che l'estetica francese «declini» in quanto «movimento» teso a una fondazione epistemologica proprio in coincidenza di una nuova «svolta» del pensiero filosofico negli anni 60-70, legata a un declino delle filosofie esistenziali o umanistiche e indirizzata invece verso quelli che Descombes chiama i «maestri del sospetto», Marx, Nietzsche e Freud, interpretati, spesso assolutizzati, da letture fortemente influenzate dallo strutturalismo: «senza dubbio si parlerà ancora di un Cogito, ma di un cogito che non condurrà più a un'affermazione dell'essere, ma che porrà tutta una serie di domande in cui l'essere sarà posto in questione». In tal modo il linguaggio si pone al centro della riflessione contemporanea divenendo una «struttura» o un «sistema» dove «l'io non è più l'autore ma il luogo della parola»[8], come accade in Lacan che interpreta Freud, in Althusser che legge Marx, in Derrida che critica Husserl o in Foucault che rinnova la filosofia della storia. Posizioni tutte che trovano nell'estetica fredda accoglienza, come testimoniano vari scritti di Dufrenne, e che hanno come risultato di riaffermare in essa il legame con la solida tradizione della propria storia, pur con l'ammissione che le opere d'arte, nell'infinità dei loro sempre nuovi significati, spezzano il circolo definitorio e dogmatico degli antichi «sistemi». Al centro dell'estetica tendono così a porsi, oggi, le opere e gli atti poietici che le instaurano - le opere concrete e non i loro segni svuotati di senso; ma un discorso sulle opere, ovvero sull'arte in quanto produzione storica valutata, rischia sempre, come rischia oggi in Francia, di confondersi con la critica e la storia dell'arte e di perdere quindi la propria identità in un campo confuso minato alla base dalla soggettività dei giudizi[9].

2 - Prima di approfondire singolarmente i contenuti teorici delle principali posizioni individuali, cercando di metterne in luce le comuni finalità e prospettive, oltre che le specifiche dipendenze culturali, può forse essere utile gettare uno sguardo d'insieme sull'organizzarsi storico del «movimento» dell'estetica francese.

Il più completo panorama di questo percorso nella prima parte del secolo è offerto dal già citato volume di Feldman, resoconto problematico, se non aporetico, che tende a dimostrare che «esiste una scuola francese di estetica che si richiama alla psicologia, alla metafisica ed alla storia dell'arte» e che, in questo «amalgama di differenti scienze»[10], ricerca un metodo unitario che sia tuttavia anche in grado di valutare le singolarità specifiche delle dottrine complementari. Il suo scopo è infatti presentare le linee direttrici - instaurative direbbe Souriau - di una «visione estetica del mondo» attraverso lo studio del rapporto fra l'estetica stessa e le scienze che, come la fisiologia, la psicologia e la sociologia, hanno avuto con essa un legame di fondazione storica. È infatti in primo luogo nello studio fisiologico dei movimenti corporei che, come afferma Charles Henry, l'estetica si presenta come un'armonia ritmica di forme e colori, che entra in rapporto con l'armonia, con il «valore estetico» dei nostri stessi sensi pur nelle diverse sfumature che a tale affinità è stata data da Basch, P. Souriau o Guyau.

Le differenziazioni fra i vari pensatori, i quali sembrano quasi tutti affermare che l'origine dell'arte va ricercata nei movimenti del corpo, cominciano a meglio delinearsi nell'esame dei rapporti fra estetica e psicologia: «La seconda strada dell'estetologo - scrive Basch [11] - consiste dunque nel tentare, dopo aver studiato le sensazioni isolate e quasi nude, di districarne i rapporti, le forme che, da quando l'uomo ha imparato a contemplarle, hanno per lui creato un incanto per gli occhi e le orecchie». «Psicologia» va così intesa nel senso ampio di «psicologia applicata», che dovrà fondere l'elemento fisiologico e quello psicologico, come per esempio accade nella teoria del gioco, molto sviluppata in Francia, a partire dalle opere di Spencer, da Guyau, Séailles, Lalo e Segond. L'influsso della psicologia sull'estetica si rivela, in particolare, nella determinazione degli atteggiamenti del contemplatore o dell'artista nei confronti dell'opera, nell'esplicazione dei rapporti fra genio, creazione e creatività, problemi che si sviluppano nello studio del divenire tecnico dell'opera, dei suoi stratificati stati di esistenza. L'esame delle figure degli artisti conduce poi Feldman alla sociologia dell'arte, che implica un approfondimento del valore sociale della tecnica «personale» - interna ed esterna direbbe Formaggio [12] - di ciascun artista come uomo che vive in un ben determinato ambiente che su di lui influisce, così come getta luce sui rapporti fra le opere e le strutture dell'intersoggettività.

Il primo punto fermo dell'indagine di Feldman - che privilegia il carattere problematico-teorico a quello storico - è dunque che «condizioni organiche, forme psichiche, rappresentazioni ed apprezzamenti collettivi» sono «gli elementi costitutivi del fenomeno estetico»[13]. Tuttavia le estetiche fisiologiche, psicologiche e sociologiche non possono costituire la realtà essenziale e intima di questo fenomeno ma ne rappresentano solo una via d'accesso: «l'originalità della scienza estetica la svincola dalla fisiologia, dalla psicologia, dalla sociologia. Essa si fonda sull'irriducibilità e sulla autenticità del suo oggetto»[14].

La Scienza estetica acquista dunque la propria specificità fondativa nello studio del fatto estetico, del suo rapportarsi con la forma e la materia. In questo contesto epistemologico si muovono, a parere di Feldman, le teorie fondamentali dell'estetica francese, dalla «simpatia simbolica» di Basch al realismo instaurativo di E. Souriau. L'estetica fra i due secoli può così presentarsi come un ampio movimento di idee che introduce la fondazione scientifica dell'estetica stessa, che si compie solo nella prima metà del Novecento quando si presenta come «scienza delle forme» che «completa la nostra visione del mondo ed opera per la rinascita del realismo che sarà, noi vogliamo sperare, la filosofia del domani»[15]. Il concetto di forma, introdotto da Focillon e Souriau ed elaborato in un senso opposto a quello aristotelico, è ciò che vive nella materia e con la materia, che costituisce la sua essenza, la sua struttura concreta, il suo stesso divenire e compiersi: «una forma percettiva sceglie, nel caos dei dati cosmologici, la sua materia. Materia, sì, perché senza questa informazione, essa sarebbe altro, se non nulla»[16]. Ciò significa che «l'opera d'arte è un tentativo verso l'unico, si afferma come un tutto, come un assoluto, e, nello stesso tempo, appartiene a un sistema di relazioni complesse»[17].

Feldman dunque, come scrive Formaggio nel saggio introduttivo, ripercorre tutta l'estetica francese «come un'organica scienza fenomenologica del fatto artistico» che «più che uno schizzo storico-espositivo o storico-critico dell'estetica francese contemporanea, vuol essere un organamento epistemologico della stessa»[18]. Tuttavia, continua Formaggio, cogliendo anche il limite del libro, «nonostante lo sforzo del Feldman per rinserrare così vasto materiale dentro le intelaiature scientifiche, son proprio queste intelaiature che vengono a mancare per difetto di dialettica e di critica». Feldman infatti «procede accatastando frantumi di teorie, mosaicizzando pensieri di autori diversi, qualche volta lucidi e chiari, pur nel frammento, qualche volta oscuri e intricati, dove si esigerebbe invece un personale approfondimento»[19]. Si potrebbe quindi dire che il libro di Feldman è, più che altro, un vero e proprio tentativo di interpretare il movimento dell'estetica francese, per giungere, dall'interpretazione, alla fondazione scientifica della stessa.

Che il progetto di fondo di Feldman non fosse tuttavia errato lo può forse dimostrare il volume di D. Formaggio Fenomenologia della tecnica artistica che, in un più coordinato contesto problematico, che ha peraltro finalità più teoriche che storiche, ne riprende alcuni temi presentando, per la prima volta in Italia, le tematiche dell'estetica francese attraverso l'analisi dei vari piani di realtà esistenziale dell'arte, ovvero i piani di natura, cultura, sociologia e psicologia, per giungere poi a un esame dell'insieme organico di questi problemi all'interno dei movimenti epistemologici dell'estetica in Francia e in Germania. È infatti un'estetica operativa e oggettivistica che si afferma in questo secolo in Francia, come testimoniano i resoconti storici di R. Bayer[20], che vorrebbero anzi mostrare tale estetica come l'unica effettivamente possibile, attiva e costruttiva. La «verità» dell'oggetto consiste nel suo «essere oggetto», oltre al quale vi è solo nebbia metafisica, estetica soggettivistica, mistica o empirica che sia. L'arte è infatti descrivibile solo «a partire da regimi e aspetti» per giungere alla determinazione delle sue strutture oggettive e forme ritmiche[21]. L'estetica dunque è quella scienza del «fatto estetico» che già Feldman aveva pensato di fondare e sviluppare presentandola come un movimento unitario e finalisticamente intenzionato. In questa direzione anche D. Huisman [22] mostra l'estetica francese della seconda metà dell'Ottocento come ormai avviata al superamento del soggettivismo e a un interesse, con Taine e Véron, per il problema dell'oggetto o, con Bergson, Basch e Segond, a una riproposizione dei rapporti fra il soggetto e l'oggetto estetico stesso. È quindi ancora una volta il positivismo a permettere la nascita di un'estetica scientifica nell'approfondimento di alcuni suoi aspetti, la psicologia dell'invenzione in Delacroix, la sociologia tipologica in Lalo, il razionalismo di Valéry o il realismo di Focillon, Bayer e Souriau.

Tuttavia l'estetica francese oggi, secondo Huisman, «si impone forse, ad ogni livello e in tutti gli autori, per una specie di volontà comune di negatività: quella filosofia del non che Bachelard ha inventato e privilegiato in epistemologia, la ritroveremmo, se andassimo fino in fondo nella nostra inchiesta, anche nell'estetica attuale»[23]: una negatività che fa volgere l'estetica verso l'«impuro», il «vago» e il «non finito» manifestando sempre più il suo momento di crisi d'identità, crisi forse aggravata dall'intervento nel suo campo di discipline semiotiche, retoriche, poetiche o ermeneutiche che non sa più ricondurre nel proprio ambito al contrario di ciò che, a fine Ottocento, era accaduto per la psicologia, la sociologia e la fisiologia.

Ciascun problema dell'estetica francese contemporanea tende così verso la negatività, quasi a dar ragione a Valéry nel sostenere che, se l'estetica potesse esistere in modo compiuto e metodologicamente definito, le arti svanirebbero di fronte ad essa. L'unica strada di salvezza che si apre oggi all'estetica, al di là dei polemici pessimismi di Valéry, sta forse, a parere di Huisman, nella ricerca di un approfondimento metodologico che tenda a delineare la possibile e necessaria affermazione di una «estetica di laboratorio», di una vera e propria «estetica sperimentale» che sappia correttamente imboccare una delle due strade che si aprono di fronte all'estetica oggi: «affondare nel pathos o divenire una Scienza»[24].

Quella scienza che già Banfi aveva individuato in Francia attraverso Souriau, Bayer e Focillon definendola come «la ricostruzione o la creazione di forme costruttive immanenti al reale» che ha come presupposto «la totalità dell'esperienza estetica nella ricchezza infinita dei suoi aspetti, dei suoi piani, dei suoi valori»[25].

Al centro dunque dell'estetica devono porsi le stesse opere d'arte, quelle opere che, ancor più delle dottrine specifiche collaterali, conoscono nei nostri tempi un eccezionale rinnovarsi delle loro forme suscitando nuove riflessioni teoriche[26]. Inoltre, come già aveva sostenuto Basch, oltre che dall'arte, l'estetica è costantemente rinnovata e problematizzata dal trasformarsi delle filosofie, che negli ultimi vent'anni hanno conosciuto in Francia mutamenti veramente «esplosivi».Una visione «fenomenologica» dello sviluppo dell'estetica francese deve dunque oggi svincolarsi dai limiti imposti ad essa da Feldman limiti che, ovviamente, vanno imputati più all'epoca che [ all'autore] rivelando, così come accade in Dufrenne, una interpretazione generale della realtà, una ricerca pluristratificata dell'originario che sappia adattarsi alla sua infinita forza possibilizzante. Non si può tuttavia negare che l'estetica francese, in questi ultimi anni, tenda a divenire non solo un'estetica «senza ostacoli», come nota Dufrenne, ma anche un'estetica «della dispersione» che rischia forse di trasformarsi, aggiungiamo, in un'estetica «dispersa», poco cosciente del suo passato, aperta a ogni tipo di influsso filosofico esterno, incerta fra sperimentalismo teorico e ossequio agli sperimentalismi dell'arte contemporanea. È tuttavia da considerare, come ricorda Dufrenne, che l'estetica non deve essere ineguale al suo oggetto manifestando «quella stessa libertà che costituisce tutto il valore dell'arte»[27]: il fine è comunque la dimostrazione non della «debolezza» ma del carattere «forte» con cui l'arte - le opere d'arte - si presentano al mondo offrendone una comprensione irriducibile all'univoca dimensionalità del segno. I molteplici piani in cui questa libertà dell'arte si organizza possono infatti venire, se non esplicati, almeno seguiti, soltanto da una ricerca estetica fenomenologicamente articolata che di questi piani colga differenze e connessioni.

L'estetica francese infatti, a partire da Lalo, Souriau e Bayer, «intende ricostruire attraverso diversi procedimenti la genesi del processo artistico» [28]con un tipo di ragionamento che, sia pure in modo ampio e, se si vuole, generico, può essere detto, come si è accennato, «fenomenologico». La ricerca genetica e costruttiva, l'impostazione descrittiva, concreta e operativa, la messa fra parentesi dei vaghi soggettivismi romantici, il costante rapporto intenzionale che viene instaurato fra il soggetto creatore o [ ricettore ]e l'oggetto estetico, l'esigenza stessa di costruire una rigorosa metodologia possono infatti rendere l'estetica francese l'esempio emblematico di una fenomenologia «in fieri»,di una fenomenologia che forse non ha ancora perfettamente chiari il proprio oggetto e le determinazioni metodologiche ma che tende costantemente verso di esse nel divenire stesso della ricerca di un'estetica come «scienza rigorosa».

«Fenomenologia» deve così venire intesa in un senso estremamente «ampio» e, come ricorda G. Morpurgo-Tagliabue, considerata più un «orientamento» che un vero e proprio «metodo», un orientamento che non è qui interessato ai problemi di costituzione eidetica o trascendentale ma che si pone come una forma positiva di indagine che, pur rifiutando le metodologie empirista e associazionistica del positivismo, non disdegna alcuni loro aspetti sperimentali o concettuali. Non bisogna dunque stupirsi che in Francia «un'indagine estetica positivista si sia a poco a poco modificata fino ad avvicinarsi a un'indagine fenomenologica per lasciare infine posto ad essa»[29]. Questa evoluzione si opera non solo da Lalo, attraverso Bayer e Souriau, sino a Dufrenne, ma anche in ciascuno di questi stessi autori, a cominciare proprio da Lalo, le cui ricerche caratteriologiche, tipologiche e morfologiche possono «essere lo strumento di una fenomenologia in quanto sono dei procedimenti empirici che servono a identificare dei modi costanti e oggettivi dell'esperienza o essenze o eidos e a coglierne i rapporti nelle dimensioni ideali o regioni» [30].

Questo spostamento è forse ancora più chiaro nelle opere di Bayer e Souriau, nei quali è però rilevabile, sia pure in «negativo» anche l'influsso di Bergson, che sarà più evidente ed esplicito nei pensatori della scuola di Aix-en-Provence. Anche in questo contesto è tuttavia un influsso «critico» poiché Segond considera Bergson «un artista nello stesso tempo che un filosofo» rilevando che la critica cui sottomette l'intellettualismo sistematico «denota nel suo pensiero una preoccupazione d'artista»[31]. Segond e la sua scuola possono peraltro venire inseriti nel movimento d'instaurazione fenomenologica dell'estetica francese, al di là dei loro indubbi aspetti mistici, per la tensione di approfondimento teorico che anima tutte le loro problematiche le quali, pur comuni con l'ambiente «parigino», sono riprese e sviluppate in nuove vie e prospettive. Così sarà, per esempio, per i problemi della tecnica, del genio e dell'invenzione o, infine, per il problema del ritmo e della grazia, già studiati da Véron, Henry e Bayer.

È infatti evidente che, per Segond, così come vuole un'altra tradizione ben presente nella cultura francese eminentemente «nazionale» e irriducibile a schemi[ esterni], quella dello Spiritualismo, la radice dell'estetica dovrà essere ricercata nello spirito, vivente bellezza che si radica nel significato segreto della Natura, la cui conoscenza, come afferma Ravaisson, è conoscenza stessa della Bellezza. Bellezza che non è l'esteriore armonia di proporzioni o di numeri, ma l'anima stessa delle forme che rivela la vita e il fondo dell'essere, la «grazia». Su queste basi, quasi a dimostrare che la sua estetica è, come aveva scritto Huisman, «nello stesso tempo mistica e empiricissima»[32], Segond accosta a Ravaisson e a Bergson la sociologia di Guyau, il genio multiforme di Alain e le meditazioni «artistiche» di Valéry, Apollinaire, M. Denis e Breton.

Mistica e razionalità, oggettivismo ed esasperato soggettivismo, sistematicità e improvvisazione: l'estetica francese che tutti gli interpreti amano considerare unitaria è presente in «nuce» in ciascuna sua opera teorica, non foss'altro per le scelte che compie e la tradizione in cui si inserisce. Inoltre, a complicare e, nel contempo, ad arricchire la situazione si pone il fatto che, in Francia, «meditare sui fenomeni della creazione artistica è, in primo luogo, meditare sulle opere d'arte»[33], meditazione che tenta sempre di chiarificare e sistematizzare.

L'artista che crea è infatti, in un modo non riconducibile a leggi causali, sottoposto, come già aveva sostenuto P. Souriau, alle idee estetiche del suo tempo. La nostra epoca è così caratterizzata dalla reciproca influenza dell'estetica sull'arte, dell'arte sull'estetica e della filosofia sull'estetica stessa, fenomeno che ha reso alcune opere d'arte veri e propri «trattati di estetica» ma che, in modo più evidente, ha trasformato ogni teoria estetica in una riflessione sulle forme esistenti, sulla loro fenomenologia tecnica e storica e non quindi, come accade nella Scuola di Francoforte, ma anche in altre correnti contemporanee e nello stesso Souriau, in una teoria della conoscenza che ricerchi, attraverso il contenuto di verità dell'opera, il significato stesso del conoscere.

Infatti, se consideriamo, a titolo esemplificativo, «l'effetto dell'arte contemporanea sui concetti più astratti dei filosofi» vedremo molte volte che «quelle idee che sembrano a priori delle speculazioni puramente intellettuali, prendono spesso le loro fonti nelle forme dell'arte e nelle intenzioni che si assegnano loro»[34]. Questo movimento di realizzazione «concreta» dell'idea è caratteristico di Focillon, di Alain o di Valéry ma anche, e in misura non minore, di Proust o di Malraux che mostrano le forme viventi nella materia, nello spazio e nello spirito, oggettivate ma non reificate.

Forme che, in verità, a partire dagli anni sessanta, appaiono sempre più percorse da un'interna scissione, che si avvicina oggi ad una definitiva rottura. Rottura che si è in effetti verificata in quell'estetica sans entrave di cui parla Dufrenne, della quale è impossibile qualsiasi storicizzazione o sistematizzazione: «imitando il movimento delle arti, l'estetica si è piegata nella sua forma, al punto di scoppiare». Uno scoppio che può risultare salutare, almeno purificatore, solo se, con gli ostacoli eliminati, non travolge anche quegli argini che fanno dell'estetica una scienza fenomenologica capace di rilevare, descrivere, costituire e fondare la realtà dell'esperienza e dei suoi oggetti in quanto estetici e artistici. La fenomenologia dell'esperienza estetica «può quindi incoraggiare la rivoluzione dell'arte descrivendo una percezione o una creazione selvaggia»[35]. L'esperienza estetica, giungendo così a confinare con la creazione, selvaggia o meno, indica che l'intero ambito dell'estetica francese non ha saputo distinguere con preliminare chiarezza la sfera dell'estetico e quella dell'artistico, come dimostra la commistione stessa fra il tedesco «scienza dell'arte» ed il baumgarteniano «estetica» che sta a base del termine «scienza estetica» utilizzato in Francia.

Souriau può forse venire considerato un emblematico esempio di questa confusione dei campi, pur nell'ambito di una considerazione genetica dell'oggetto estetico. L'estetica come scienza delle forme si pone infatti lo scopo di organizzare tutto il sapere immanente all'arte, «ma il sapere, si badi, non dice assolutamente nulla del fare e del farsi dell'arte. Per cui, a chi voglia spiegarsi l'arte, la via è chiara: discutere tutti i rapporti con l'estetica, separarsene, pur lasciandola sussistere a fianco del nuovo studio che si potrebbe anche chiamare scienza dell'arte»[36].

Si può così comprendere il motivo per cui un'esigenza costante dell'estetica francese, dai suoi inizi ottocenteschi con Véron, P. Souriau e Basch sino ai moderni Bayer e E. Souriau, sia il tentativo di una rigorosa determinazione metodologica in grado di inquadrare in un contesto sistematico predefinito i problemi inerenti l'opera d'arte e l'oggetto estetico dal duplice punto di vista della creazione e della ricezione. Le ricerche empiriche svolte dalle scienze complementari possono infatti venire utilizzate solo nello specifico quadro epistemologico della scienza estetica, attraverso la garanzia di un suo proprio metodo permanente. Pur mancando in Francia figure dell'importanza di un Dessoir e di un Utitz, già nel 1927 si riconosce che la «cultura generale dello spirito sarebbe incompleta e un aspetto molto interessante della filosofia trascurato se non si facesse nell'insegnamento letterario e scientifico superiore un luogo onorevole all'estetica»[37].

Fin dall'inizio del secolo si ha infatti coscienza dell'autonomia' dell'estetica e si prospetta per essa un futuro limitato non solo all'insegnamento universitario ma collegato alla formazione di laboratori in stretto contatto con Conservatori e scuole di Belle Arti[38].

L'ambito interdisciplinare in cui si forma l'estetica francese è peraltro dimostrato dal Vocabulaire d'esthétique che la «Revue d'esthétique» inizia a pubblicare a partire dal numero dell'aprile-giugno 1963.

La voce «Arte» pur anonima come tutte le altre e quindi idealmente attribuibile all'intero Istituto di Estetica - risente dell'influenza teorica di E. Souriau e può forse ben illustrare e riassumere le linee di ricerca della «Revue» stessa. In primo luogo l'arte è qui definita come una «attività creatrice» delimitata attraverso il suo oggetto, una attività fabbricatrice dell'uomo che si oppone all'opera della natura interessando l'estetica per quanto riguarda «i rapporti fra la bellezza naturale e quella delle opere d'arte»[39]. Inoltre l'arte è anche una tecnica specializzata, un procedimento che diviene nell'oggetto e lo forma. Significato «superato» e invece la definizione dell'arte come conoscenza e disciplina intellettuale, problema che, se ha avuto fondamentale importanza nel dibattito novecentesco sull'arte (si pensi al surrealismo, all'astrattismo, alla conceptual art), è sempre stato tenuto in secondo piano in Francia, come argomentazione eccessivamente «filosofica». Il rapporto arte/conoscenza è stato piuttosto trasferito, da Alain allo stesso Souriau, a quello di una determinazione sistematica, e quindi conoscibile e individuabile secondo precisi canoni, del campo delle Belle Arti, che devono venire classificate secondo i loro interni modi di strutturazione, ovvero i quali sensibili, le dimensioni spazio-temporali e i gradi di rappresentazione.

L'arte è tuttavia soprattutto «sperimentazione» attiva, abilità nell'utilizzazione dei mezzi che permettono di ottenere un risultato di valore o un insieme di precetti che assicurano la buona qualità di una realizzazione: è cioè un insieme di tecniche e di principi teorici che hanno come fine la realizzazione, la concretizzazione di un oggetto con un proprio specifico «valore». Valore che quindi risiede nell'oggetto stesso, nel suo essere risultato «compiuto» di un procedimento tecnico di creazione.

La creazione, scrive O. Revault-d'Allones, è qualcosa di «pluralista, multiforme, variopinto» che «suppone l'esistenza in potenza (...) di ciò a cui essa darà l'essere in atto»[40]. È un'illuminazione che si realizza solo in un ambiente storico quando l'oggetto estetico diviene per noi un'opera d'arte, vive in noi il suo divenire opera d'arte. È questo il primo passo per una fondazione scientifica dell'estetica: saper distinguere l'estetico dall'artistico, ambiti cui ineriscono intenzionalità d'atto ben diversamente strutturate. Nell'estetica infatti il piano di ricerca rischia di rimanere quello puramente contemplativo di un soggetto che intenziona un campo oggettuale senza occuparsi a fondo degli «oggetti d'arte», «vale a dire quegli oggetti che implicano una costruttività formativa e coimplicano vari aspetti sociali, etici, psicologici, culturali delle realtà oggettive»[41]. Verificare la struttura sensibile di un oggetto, intuirla nello spazio e nel tempo, sono operazioni «estetiche» comuni per ogni oggetto del nostro mondo circostante e che non bastano quindi per la comprensione dell'opera d'arte nella sua genesi temporale, ovvero storica, intersoggettiva, attenta al concreto divenire delle forme artistiche, degli stili, dei processi fattivi della tecnica.

Ogni opera d'arte, si potrebbe dire con Souriau, pone un «universo», un «mondo artistico» specifico che non può essere limitato alla generalità del suo essere sensibilmente per un soggetto e che deve dunque porsi «in rapporto necessario, costitutivo, con il mondo reale, (...), il mondo dei dati oggettivi (storici, geografici, concreti)», dati che sollecitano nuovi e più complessi atteggiamenti soggettivi nei confronti dell'oggetto, atteggiamenti che, coinvolgono il soggetto nella sua corporea e concreta rispondenza intenzionale con l'essere dell'oggetto. Infatti, come scrive ancora Souriau, «ogni universo (i fenomenologi ce l'hanno detto a fondo ma gli estetologi già lo sapevano) è morfologicamente solidale ad un testimone in rapporto al quale si pone e che implica»[42].

Dire dunque, con Dufrenne, che «l'opera d'arte è ciò che rimane dell'oggetto estetico quando non è percepito, l'oggetto estetico allo stato di possibile che attende la propria epifania»[43], ha una sua validità se sottolineiamo lo statuto attivo e creatore di quel possibile «progettuale» che costituisce l'opera d'arte differenziandola dall'oggetto estetico, che la pone come una «quasi-soggettività» che è nel mondo, che è storica ma che possiede vita propria e che è dunque all'origine di una dimensione della storicità stessa.

L'estetica come scienza dell'arte sarà dunque una direzione di ricerca e un compito di comprensione unitaria, un'esigenza unificatrice di variazioni senza fine, il permanente porsi di un «carattere metodologico ben saldo nel rapporto tra eidetica e fenomenologia, tra legge costitutiva e variazione descrittiva»[44].

L'opera d'arte non è infatti un mero fenomeno e le sue stesse radici estetiche - il suo essere per noi «oggetto estetico» - devono mettere in evidenza le interrelazioni fra intuizione percettiva, memorativa e immaginativa che in essa si concretizzano. Già Bergson scriveva che l'insieme di immagini chiamato universo - che è per noi l'universo dell'opera d'arte che sull'estetica si fonda - si produce soltanto attraverso il mio corpo che percepisce e che, nella percezione impregnata di ricordi, tende la memoria e le sue immagini verso la forza possibilizzante del futuro.

L'estetica francese, pur non sapendo delineare una definitiva separazione fra l'estetico e l'artistico, prende come presupposto del suo lavoro d'indagine oggettiva, «fenomenologica», l'intrinseca problematicità dell'opera e del suo divenire, l'interno rapportarsi dei suoi piani d'esistenza, il suo porsi compiutamente come un'irrisolta - ma non irrisolvibile - questione teorica organizzata in vari problemi, spesso aporetici, che presenteremo nel loro stesso sorgere, senza tentare schemi sistematici ordinatori che ne tradirebbero l'intima dinamica.

Il fine dell'estetica francese - nelle varie principali prospettive che esamineremo in sintesi storico-espositiva, ma sempre cercandone, in primo luogo, il nucleo teorico (e in quest'ottica si giustifica anche la scelta degli autori analizzati) - è dunque, come già ipotizzava V. Basch, il coglimento di un metodo «genetico», capace di studiare tutti i campi dei fenomeni estetici e artistici, dalla figura dell'artista alle leggi della tecnica e delle arti, per determinare, infine, lo statuto legislativo di una nuova scienza che dovrà essere, insieme e indissolubimente, soggettiva e oggettiva.

 

 

Note

[1] D. Formaggio, Introduzione a V. Feldman, L'estetica francese contemporanea, Milano, Minuziano, 1945. Il titolo completo dell'introduzione di Forro l'estetica italiana e l'estetica francese contemporanea; in essa si articola un interessante parallelo teoretico fra gli autori francesi trattati da Feldman e gli italiani A. Banfi ed A. Baratono.

[2] Lalo, Souriau, Bayer, Que sera la «Revue d'Esthétique», in «Revue d'Esthétique», n.1, gennaio-marzo 1948, p.1.

[3] V. Feldman, op. cit., p. 61.

[4] Ibid., p. 79.

[5] M. Dufrenne, L'estetica francese nel XX secolo in Dufrenne-Formaggio, Trattato di Estetica, Milano, Mondadori, 1981, I vol. Vers une esthétique sans entrave è inoltre il titolo di una raccolta di saggi offerta da allievi ed amici a M. Dufrenne Paris, U.G.E.[1975].

[6] J.Lacroix, Panorama della filosofia francese contemporanea, Roma, Città Nuova Editrice, 1971, p.10 .

[7] V. Descombes, Le même et l'autre. Quarante-cinq ans de philosophie française, Paris, Editions de Minuit, 1979, p.13.

[8] J.Lacroix, op. cit., p. 8.

[9] A ciò si aggiunga la presenza di altre correnti estetiche, che proseguono secondo una loro propria specifica tradizione, come l'estetica marxista di Lefebvre e Garaudy o la sociologia dell'arte da non confondere con l'estetica [ sociologica ]di Francastel e Duvignand.

[10] R. Bayer, Traité d'esthétique, Paris, Colin, 1956, p. 251.

[11] V. Basch, Essais d'esthétique, dephilosophie et de litterature, Paris, Alcan, 1934, p.10.

[12] D. Formaggio, Fenomenologia della tecnica artistica, Parma, Pratiche, 1981.

[13] V. Feldman, op. cit., p. 133.

[14] Ibid.,p. 134.

[15] Ibid.,p. 199.

[16] E. Souriau, Pensée vivante et perfection formelle. Paris, Alcan. 1923, p. 270.

[17] H. Focillon, Vie des formes, Paris, 1934 tr. it., Milano, 1945, p.[51].

[18] D. Formaggio, op. cit., p. 53.

[19] Ibid.,p. 54.

[20] R. Bayer, L'esthétique française d'aujourd'hui in AA.VV., L'activité philosophique contemporaine en France et aux Etats-Unis, a cura di M. Farber, P.U.F., 1950. II volume, pp. 283-297, ed il capitolo dedicato alla Francia nel suo libro postumo L'esthétique mondiale au XX siécle, Paris, P.U.F., 1961.

[21] R. Bayer, Esthétique de la grâce, Paris, 1983, tome II, p. 570.

[22] D. Huisman, L'estetica francese negli ultimi cento anni, in AA.VV., Momenti e problemi di storia dell'estetica, vol. III, Milano, Marzorati, 1959, pp. 1067-1181 con una buona bibliografia, sia pure carente nelle[ indicazioni]; L'Esthétique, Paris, P.U.F., 1954, Coll. Que sais-je?, in particolare: pp. 46-61 e pp. 67-123; in collaborazione con A. Vergez, Le grands courants de l'esthétique française contemporaine in «Critique», n. 117, febbraio1957.

[23] D. Huisman, L'estetica francese negli ultimi cent'anni, cit., p. 1176.

[24] D. Huisman, Esthétique, cit., p. 123.

[25] A. Banfi, I problemi di un'estetica filosofica, Milano, Parenti, 1961, p. 68 e p. 71.

[26] Si veda M. Dufrenne, L'estetica francese nel XX secolo, cit., pp. 403 sgg.

[27] Ibid.,p. 411.

[28] G. Morpurgo-Tagliabue, L'esthétique contemporaine, Milano, Marzorati, 1960, p. 380.

[29] Ibid., p. 381.

[30] Ibid., p. 387.

[31] J.Segond, Traité d'esthétique, Paris, Aubier, 1947, p. 202.

[32] D.Huisman, L'estetica francese negli ultimi cent'anni, cit., p. 1099.

[33] A. e J. Brincourt, Les ouvres et les lumiéres. A la recherche de l'esthétique à travers Bergson, Proust et Malraux, Paris, La table ronde, 1955, p. 17.

[34] Ibid.,p. 31.

[35] M. Dufrenne, Les méthamorphoses de l'esthétique, in Esthétique et philosophie, tome II, Paris, Klincksieck, 1976, p. 14 e p. 44.

[36] D. Formaggio, Fenomenologia della tecnica artistica, cit., p. 195.

[37] R. De Sinety, De l'enseignement supérior de la philosophie et de l'esthétique in AA.VV., Etudes de psychologie pédagogique, Paris, 1927, p. 146.

[38] Oggi l'estetica ha in Francia grande importanza. Oltre alle due riviste citate la meditazione sulle arti occupa un posto d'onore in molte altre, fra cui «Poétique», «Tel Quel», «Communications», «Revue musicale», «Nouvelle Critique», ecc. Anche se il loro linguaggio non è sempre «accademico», come ricorda Dufrenne L'esthétique dans le monde. France, in «Revue d'esthétique», n. 1, 1972, pp. 129-[144], esse sono quasi sempre legate al mondo universitario, ai C.N.R.S. o all'Ecole pratique des hautes etudes. Ciò significa che l'estetica ha ormai notevole importanza nell'insegnamento superiore francese come dimostra l'alto numero di studenti e di tesi nelle varie università parigine ed il successo del Laboratorio di Estetica.

[39] Art, in «Revue d'esthétique», n. 1, 1967, p. 89.

[40] O. Revault-d'Allones, La-création artistique et les promesses de la liberté. Paris, Klincksieck, 1973, p. 5.

[41] D. Formaggio, Studi di estetica, Milano, Renon, 1962, p. 92.

[42] E. Souriau, La correspondance des arts, Paris, 1947, p. 61.

[43] M. Dufrenne, Fenomenologia dell'esperienza estetica, Roma, Lerici, 1969, p. 61.

[44] D. Formaggio, Introduzione all'estetica come scienza filosofica in «Rivista di Estetica», n. 2, 1967, p. 185.