I
La musica nelle teorie
del Settecento
Gli studi sulla genesi dell'estetica di Kant non si
soffermano in genere sulle fonti della teoria musicale. Otto Wieninger ritiene
che una ricerca sulla genesi non possa offrire alcun aiuto per la spiegazione
dell'opera matura (Wieninger 1929); non si può quindi accettare la valutazione
ottimistica di Nachstheim, secondo la quale “esclusivamente il lavoro di Gustav
Wieninger” si sarebbe “sforzato di valorizzare in modo possibilmente esaustivo
le fonti” (Nachstheim 1997). Sebbene abbia raccolto un gran numero di affermazioni
sparse nei 30 volumi dell'Edizione dell’Accademia, neppure l'edizione curata da
Nachtsheim, nel volume Zu Immanuel Kants Musikästhetik del 1997,
si può considerare un progresso in questa direzione. In essa sono state
ristampate Riflessioni ricavate dai manoscritti postumi sulla chimica e
la fisica, ma non si fa alcun cenno agli appunti dalle Lezioni di fisica contenuti
nel volume XXIX dell'Edizione dell’Accademia. Benché il curatore noti che le
lezioni e i manoscritti postumi possano essere di aiuto per comprendere lo sviluppo
della teoria di Kant ed eventualmente per interpretare passi difficili degli
scritti a stampa, questa constatazione rimane allo stato di esortazione:
l'introduzione non tratta, infatti, né la genesi né le fonti storiche, ma
analizza alcuni aspetti della Critica del Giudizio
Utili, a questo proposito, sono invece alcune
indicazioni di Richard Grundmann sulle lezioni di antropologia pubblicate nel
1831 da Johann Adam Bergk con lo pseudonimo di Friedrich Christian Starke, di
Otto Schlapp nella monografia sulla teoria del genio del 1901, di Erich Adickes
nelle note al volume XIV dell'Edizione dell'Accademia, e di Marie Rischmüller
nelle annotazioni alla riedizione delle Bemerkungen in den Beobachtungen
über das Gefühl des Schönen und Erhabenen [Annotazioni alle
“Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime”] comparsa nel volume
terzo delle Kant-Forschungen.
Benché spesso sia stata espressa la convinzione che le
rapide annotazioni di Kant sulla musica rivelino in modo evidente come egli non
abbia approfondito la conoscenza degli sviluppi dell'estetica musicale a lui
contemporanea, un'analisi dei volumi dell'Edizione dell'Accademia permette di
riportare alla luce il confronto con una serie di dottrine che erano patrimonio
comune dei teorici della musica nel Settecento. Non si tenterà qui una
ricostruzione storica della riflessione filosofica sulla musica, ma si
prenderanno in considerazione unicamente quegli autori dalle cui opere si possa
dimostrare con certezza che il filosofo di Königsberg ha desunto spunti
determinanti; le dottrine non saranno quindi presentate nella loro completezza,
ma se ne esaminerà il contenuto esclusivamente riguardo ai temi che saranno
affrontati da Kant, approntando così materiale di cui si mostrerà la presenza
nella teoria della Critica del Giudizio e nelle fasi della sua
genesi.
1. L'organista e l'inconscio
Quali processi sono implicati nell'esecuzione di
improvvisazioni all'organo? La domanda è impostata nel secondo libro dello Essay
on Human Understanding [Saggio sull'intelletto umano] di John Locke,
che considera impossibile stabilire con sicurezza l'esistenza di contenuti
oscuri della nostra mente, perché proprio per la loro natura non possiamo
sapere che cosa essi siano. L'esecuzione di una melodia non può quindi essere
ricondotta a processi o contenuti oscuri dell'intelletto umano, ma deve essere
spiegata grazie al principio psicologico dell'associazione d'idee. Sebbene
sembri molto probabile che la causa dell'idea delle note e del movimento
regolare delle dita del musicista sia il movimento dei suoi spiriti animali,
questa determinazione fisiologica non può esserci d'aiuto per comprendere le
abitudini intellettuali e i legami fra idee. Si può notare che non appena un
musicista richiama alla mente l'inizio di una melodia a lui nota, le idee delle
diverse note si presentano al suo intelletto in una successione corretta,
benché egli non debba forzare la sua attenzione: le note si succedono l'una
all'altra secondo una struttura regolare, e altrettanto si può dire del
muoversi delle dita della sua mano sui tasti dell'organo; il principio
psicologico dell'associazione delle idee è dunque l'unica spiegazione
plausibile in un Saggio sull'intelletto umano (Locke 1690, II, 33, 6, p.
463).
Al contrario di Locke, Leibniz ammette che vi siano
rappresentazioni oscure nel profondo della nostra anima. Leibniz attribuisce la
percezione della normatività matematica a un calcolo compiuto dall'anima al di
sotto della soglia della coscienza; scrive a Christian Goldbach da Hannover, il
17 aprile 1712, che la musica è un'attività aritmetica nascosta svolta
dall'animo in uno stato di incoscienza, avvalendosi di percezioni confuse o di
cui non si può avere la sensibilità né un'appercezione distinta. Vagano nel
buio coloro i quali sono dell'avviso che nell'anima nulla possa verificarsi al
di là dei limiti della coscienza. Sebbene non abbia sensazione della propria
attività di calcolo aritmetico, l'anima ne avverte l'effetto sotto forma di
piacere per le consonanze, di dispiacere per le dissonanze che ne risultano
(Leibniz 1738-1742, vol. I, p. 241). Leibniz commenta il § 6 del capitolo
XXXIII del libro secondo di Locke nei suoi Nuoveaux Essais sur l'entendement
humaine [Nuovi saggi sull'intelletto umano] mettendo in
risalto non il ricorso alla legge dell'associazione, ma la fondazione sugli
spiriti animali: Ҥ 6. Le disposizioni e gl'interessi individuali v'hanno pur
parte. Certe tracce del frequente processo degli spiriti animali diventano vere
vie battute; e, quando si cerca un'arietta, si sa cantarla fino in fondo appena
trovatala” (Leibniz 1988, p. 257).
2. Musica e Bildungsvermögen
Nel Settecento la musica è di norma contrapposta alle
arti figurative (cfr. ad esempio Meiners 1772, pp. 232-233; d'Alembert 1761,
Sulzer 1771-1774); inserendo la musica fra le arti figurative, Schelling
presenta la sua partizione come un progetto completamente nuovo, del quale non
si trovano tracce nei secoli precedenti; dichiara di voler costruire le tre
forme fondamentali dell'arte figurativa, la musica, la pittura e la plastica,
che comprende scultura e architettura, e ricorda che, sotto il profilo storico,
la musica è sempre stata separata dall'arte figurativa.
Determinante per il discorso kantiano è la
contrapposizione fra musica europea e musica orientale; alla prima si
attribuirà la facoltà formatrice, la seconda rimarrà, nelle sue Lezioni
e nelle sue Riflessioni, in balìa dei sensi. In alcuni resoconti di
viaggio settecenteschi si nota come i cinesi si credessero inventori dell'arte
musicale; se si dovesse attribuire valore di verità a queste loro pretese si
dovrebbe concluderne che la loro musica si sia deteriorata col tempo, perché
ora, si constata in quei resoconti, giace in uno stato di imperfezione tale da
non meritare nemmeno il nome di musica. La musica europea piace ai cinesi se
una voce sola accompagna gli strumenti, ma essi non apprezzano affatto le
composizioni più belle e più complesse in cui si realizza un intersecarsi di
diverse voci di timbro grave o acuto, né i semitoni, le fughe, le sincopi che
appaiono loro solo come un caos disordinato e confuso (cfr. anche Du Halde
1747-1749, vol. 3, pp. 347-348; AHR 1750; Schwabe 1747-1774, vol. 6, pp. 312
sg; AA XXV 77).
Sullo stesso tema, Johann Georg Sulzer, che pubblica
fra il 1771 e il 1774 una Allgemeine Theorie der schönen Künste [Teoria
generale delle arti belle], afferma che il fatto che i Cinesi non comprendano
la musica europea non è sufficiente a dimostrare che essa non abbia principi
immutabili (Sulzer 1793, p. 423); la diversità nella valutazione non deriva da
un preteso arbitrio del gusto, ma dall'applicazione, propria a ogni popolo, dei
principi generali dell'ordine, della simmetria e dell'armonia a casi specifici
di composizione musicale (cfr. Sulzer 1793, p. 424).
3. Musica, matematica e
fisica
3.1. Intervalli musicali e proporzioni matematiche
Il nesso fra musica e proporzioni matematiche appare
sin dall'antichità classica, in Pitagora e in Platone. A prescindere dalle
fonti, difficilmente determinabili, della conoscenza kantiana di Pitagora, si
può affermare che tre furono i punti i quali richiamarono la sua attenzione su
questo autore che avrebbe ripreso la musica dagli Indiani introducendola fra i
Greci: l'armonia aritmetica dei rapporti fra i suoni, l'armonia delle leggi
della natura e l'armonia delle sfere celesti. Il fondamento della musica è dato
dall'aritmetica, da rapporti numerici e dipende da una legge fissa e regolare
dalla quale i suoni non possono discostarsi; la natura stessa, il mondo fisico
e i corpi celesti sono sottoposti alle leggi di un intelletto che li domina.
Pitagora compie così un passaggio dall'armonia della musica all'armonia della
natura e dei corpi celesti, ipotizzando l'esistenza di un intelletto divino;
l'aritmetica come scienza dei numeri conduce in lui all'idea di un intelletto
non sensibile. Anche per Platone la musica riveste una funzione specifica; il
decimo libro della Politeia, laddove ravvisa la necessità
dell'allontanamento dei poeti dallo Stato ideale, riconosce alla musica una
funzione positiva come arte propedeutica alla contemplazione delle idee, in
quanto in virtù del suo stretto rapporto con la matematica e con le leggi
dell'armonia nobilita l'uomo (si veda Platone, Repubblica 386a - 395b o
398c - 403c; vedi AA XXV, p. 994).
Seguiamo ora la ripresa e lo svolgimento di questo
rapporto nella filosofia moderna. Nel Compendium musicae di Descartes
sono definiti belli i rapporti che si possono percepire con facilità, mentre
quelli che si percepiscono con difficoltà non possono essere considerati tali;
sono segnalati i diversi gradi in cui questi rapporti possono essere avvertiti:
non nimis difficulter; facilius, facillime, sine labore.
Come già abbiamo visto, per Leibniz la percezione della musica è calcolo
inconscio; se poi la rilevanza della matematica come forma da opporre alla mera
materia è ripresa da Andreas Werckmeister, per il quale “i numeri e le
proporzioni danno la forma e il suono è la materia” (Werckmeister 1687, p. 39;
Arthur Warda, Immanuel Kants Bücher, Berlin 1922, p. 36), secondo Baumgarten
la musica può essere intesa in senso generale come scienza dell'ordine; il
concetto di ordine, a sua volta, è strettamente connesso con quello della
coordinazione. Nel § 78 della Metaphysica si legge, infatti:
Si multa iuxta vel post se invicem ponuntur,
CONIUNGUNTUR*). Coniunctio plurium vel est eadem, vel diversa, § 10, 38. Si
prior, est COORDINATIO**), et eius identitas ORDO***). Ordinis scientia olim
erat MUSICA LATIUS DICTA. *) verbunden werden. **) zusammenordnen. ***)
Ordnung.
L'armonia che si fonda su principi matematici è
esaltata da Rameau come il fondamento dell'intera musica e dei sentimenti che
ne derivano; la melodia non è se non una conseguenza dell'armonia, dalla quale
dunque deriva il piacere che si prova per la musica; i sentimenti che sono
mediati dalla musica debbono la loro origine alla semplicità divina della
natura stessa, che si può rappresentare esclusivamente come un sistema di leggi
rigorose. I principi di Rameau sono ripresi da d'Alembert in uno scritto
tradotto in tedesco nel 1757 con il titolo Systematische Einleitung in die Musicalische Setzkunst, nach den
Lehrsätzen des Herrn Rameau [Introduzione
sistematica all'arte della composizione musicale, secondo i principi del signor
Rameau]:
Tutto ciò che si è detto sin qui è, a mio parere, più
che sufficiente a convincerci che la melodia ha il suo fondamento nell'armonia
e che nell'armonia che è o effettivamente presente o la cui presenza si può
presupporre si debbano cercare gli effetti della melodia (d'Alembert 1757, p. 70,
§ 153).
Un'importanza del tutto particolare rivestono, in una
ricerca sulle teorie note a Kant e da lui discusse, le Lettere di
Leonhard Euler, matematico, fisico e filosofo svizzero, nato a Basilea nel
1707, morto a San Pietroburgo nel 1783. Fu allievo di E. Bernoulli e insegnò
dapprima a San Pietroburgo, per passare nel 1741 a Berlino e ritornare in
Russia nel 1766. Numerosi sono i suoi saggi e trattati sulla musica e
sull'acustica; in particolare Le lettere a una principessa tedesca,
scritte originariamente in francese con il titolo Lettres à une Princesse
d'Allemagne sur diverses sujets de Physique et de Philosophie (Petersburg
1768-1772) e subito tradotte in tedesco come Briefe an eine Deutsche
Prinzessinn über verschiedene Gegenstände aus der Physik und Philosophie
(Leipzig 1769-1773). La traduzione tedesca del primo e del secondo volume
comparve nel 1769 con il titolo Briefe an eine deutsche Prinzessin. Nel
1773 fu pubblicato il terzo volume. Euler ammette che le sue ricerche si devono
considerare il risultato del giudizio di un uomo che non conosce a fondo
l'estetica musicale e che quindi devono essere giudicate con prudenza sotto
questo aspetto. Confessa alla principessa del margravio di Schwedt, più tardi
contessa di Anhalt-Dessau, il proprio imbarazzo poiché, non comprendendo egli
assolutamente nulla di musica, dovrebbe vergognarsi, a suo parere, di osar
spiegare ad altri qualcosa su questo tema (Euler 1769, p. 27). Le Lettere
prendono spunto dalla domanda relativa al fondamento della sensazione di
piacere generato in noi dall'ascolto di una musica bella, confrontandosi con
l'opinione che tende a vedervi il risultato della semplice azione
dell'immaginazione. Se si assumesse come valida quest'ultima prospettiva,
sarebbe coerente non ricondurre la musica ad alcun principio e lasciarla in
balìa dei molteplici effetti da essa prodotti. Peraltro, il piacere per un
brano musicale non deriva dalle stranezze dell'immaginazione, ma dalla
percezione dell'ordine. Se ci chiediamo quale azione possano produrre
sull'orecchio due suoni che sono uditi contemporaneamente (Euler 1769, I, p.
14), vogliamo determinare come l'orecchio percepisca i rapporti fra due note e
intendiamo indicare il fondamento di questa percezione nei rapporti stessi;
questo rapporto fra le note può risultare al senso dell'udito sia piacevole sia
spiacevole. A pagina 16 del primo volume delle Lettere nell'edizione del
1769 si legge:
Si può dire che tutte le proporzioni fin qui
considerate di 1 a 2, di 1 a 4, di 1 a 8, di 1 a 16, proporzioni che
racchiudono sempre la natura di un'ottava semplice, doppia, tripla o quadrupla,
traggono la loro origine dal solo numero 2, poiché 4 è due volte due, 8 due
volte quattro, e 16 due volte otto. Quindi, ammettendo nella musica il solo
numero due, si potrebbero conoscere soltanto quegli accordi o consonanze
che i musicisti chiamano ottava, sia essa semplice, doppia o tripla. E poiché
il numero 2, moltiplicato sempre per se stesso, fornisce soltanto i numeri 4,
8, 16, 32, 64, dove ciascuno è sempre doppio del precedente, tutti gli altri
numeri ci rimangono ancora sconosciuti. Ma se uno strumento avesse solo ottave,
come appunto i suoni indicati con C, c, c, c, c, e tutti gli altri ne fossero
esclusi, la musica che esso produrrebbe non sarebbe affatto piacevole a causa
della sua eccessiva semplicità. Introduciamo dunque, oltre il numero 2, ancora
il numero 3, e vediamo quali accordi e quali altre consonanze ne risulteranno.
Anzitutto la proporzione di 1 a 3 ci rappresenta due suoni, di cui l'uno ci dà,
per uno stesso tempo, un numero di vibrazioni 3 volte maggiore dell'altro.
Questa proporzione è senza dubbio la più facile a comprendere dopo quella di 1
a 2, e capace quindi di fornirci consonanze bellissime, di natura però
completamente diversa da quella delle ottave (Euler 1769-1773, vol. I, p. 16;
Eulero 1958, p. 18).
La quinta Lettera, Sull'unisono e sulle ottave,
si esprime in questi termini:
Ora Vostra Altezza comprenderà facilmente che quanto
più una proporzione è semplice o espressa con piccoli numeri, più essa si
presenta distintamente all'intelletto, suscitandovi un sentimento di piacere
(Eulero 1958, p. 15; Euler 1769, I, p. 14).
Questo principio generale è valido anche per
l'architettura, che ricorre a proporzioni matematiche semplici perché suscitano
piacere nell'intelletto.
Anche gli architetti osservano con la massima cura
questa regola, impiegando ovunque nelle loro costruzioni proporzioni tanto semplici
quanto lo permettono le altre circostanze. Essi fanno di solito le porte e le
finestre il doppio più alte che larghe, e ovunque cercano di attuare
proporzioni esprimibili in piccoli numeri, perché questo piace all'intelletto
(Eulero 1958, p. 16).
Per il medesimo motivo le proporzioni semplici sono
utilizzate nella musica.
Lo stesso accade per la musica, dove gli accordi
piacciono solo quando lo spirito riesce a scoprirvi la proporzione sussistente
fra i vari suoni, e tanto più facilmente riesce a coglierla quanto più essa è
espressa con piccoli numeri (Euler 1769, I, p. 14; Eulero 1958, p. 16).
Le condizioni che rendono possibile il piacere
risiedono nel concetto dell'ordine che, a sua volta, risulta comprensibile
sulla base di due elementi: l'armonia e la misura. L'armonia fra i suoni deriva
dalle loro differenze, in quanto essi sono bassi o alti, gravi o acuti e questa
differenza è data dal numero di vibrazioni che ciascun suono manda in uno
stesso tratto di tempo (cfr. Eulero 1958, p. 26). La differenza fra la velocità
delle vibrazioni dei diversi suoni è ciò che propriamente si chiama armonia,
la quale si produce quando, nell'ascoltare una musica, si comprendono i
rapporti o le proporzioni che le vibrazioni di tutti i suoni hanno fra loro.
Ma, oltre l'armonia, la musica ha in sé ancora un altro genere di ordine: la misura,
per la quale si assegna a ciascun suono una certa durata; la percezione della
misura equivale alla conoscenza della durata di tutti i suoni e delle
proporzioni che ne nascono e stabilisce se un suono dura 2,3,4 volte più di un
altro (cfr. Eulero 1958, pp. 26-27). Una musica perfetta richiede quindi due
condizioni: l'armonia e la misura. Nel suono del tamburo e del timballo domina
la misura, nell'assenza completa dell'armonia, in una musica in cui tutti i suoni
sono eguali tra loro. Vi è però anche un tipo di musica, il corale, nel quale
regna sovrana l'armonia ed è assente la misura, poiché tutte le note hanno la
medesima durata.
Definita la natura matematica dei rapporti numerici
fra le vibrazioni che costituiscono i suoni e dopo aver spiegato come questi
rapporti siano percepiti dall'orecchio, l'Ottava lettera elabora un'autonoma
teoria del piacere. Inserendosi nella tradizione che prende avvio da Pitagora,
Euler afferma che i rapporti matematici semplici relativi al numero di
vibrazioni prodotte dagli strumenti musicali nell'aria formano il correlato
oggettivo e la base del piacere; il dispiacere è, al contrario, il risultato
della percezione di rapporti complessi. Il piacere coincide con la percezione
dell'ordine e quindi con l'armonia e la misura, ma esse non sono sufficienti;
il piacere nasce anche dalla capacità dell'ascoltatore di indovinare le intenzioni
e i sentimenti del compositore, la cui esecuzione, in quanto la si giudica
riuscita, riempie lo spirito di una piacevole soddisfazione (Euler 1769, I, p.
27; Eulero 1958, p. 28). L'elemento matematico e l'attenzione al piano del
compositore sono entrambi oggetti dell'intelletto: tutta la teoria della musica
di Euler è caratterizzata, del resto, dal primato dell'intelletto sulla
sensibilità. Nell'Ottava lettera la spiegazione dell'origine del piacere
è integrata dall'osservazione che armonia e misura, che si fondano su
proporzioni matematiche, non sono sufficienti a dare origine al piacere: una
musica che consistesse solo di ottave non susciterebbe in noi piacere con la semplice
rappresentazione dell'elemento matematico. Euler rifiuta le teorie che
attribuiscono la fonte del piacere non alla semplicità dei rapporti matematici
ma a rappresentazioni che richiedano uno sforzo; se infatti una dissonanza è
l'esempio di un tipo di rappresentazione che può essere compresa solo con
difficoltà e sforzo, una serie di dissonanze non ci piacerà mai di per sé. E,
poiché né una serie di consonanze, né una serie di sole dissonanze possono dare
origine al piacere, sarà allora necessaria a questo scopo una combinazione fra
la rappresentazione dell'elemento matematico e la conoscenza del piano e
dell'intenzione del musicista. Anche a questo proposito Euler ribadisce
l'importanza dell'intelletto e dell'elemento matematico: la dissonanza è un
rapporto fra note espresso da numeri complessi che risulta difficilmente
percepibile dall'animo, ma trae la sua legittimazione dal piano e
dall'intenzione del compositore (cfr. Euler 1769, p. 19).
La concezione di Euler è presente in Johann Peter Eberhard,
autore di un testo di fisica che Kant adotterà per un certo periodo per le sue
lezioni; una distinzione evidente delle vibrazioni di due corde che suonano
armonicamente genera piacere in seguito all'armonia stessa, mentre il
dispiacere originato dal rapporto fra due note si può spiegare come la
conseguenza di una distinzione non evidente; nel primo caso si ha a che fare
con consonanze, nel secondo con dissonanze. Eberhard polemizza con Leibniz: la
teoria del calcolo inconscio non può essere suffragata dall'esperienza; che
l'anima conti le vibrazioni e le confronti poi l'una con l'altra è assolutamente
inverosimile; vi possono infatti essere uomini che non sono capaci di contare e
che però sono in grado di percepire l'evidenza dei rapporti fra le vibrazioni.
Come in Euler, anche in Eberhard il calcolo inconscio è sostituito dalla
percezione dell'evidenza.
Se si possono distinguere con evidenza le vibrazioni
di due corde che suonano contemporaneamente si ha la sensazione di un piacere e
il timbro [Klang] delle corde diviene piacevole. Se però non si possono
distinguere tra loro le vibrazioni il timbro è sgradevole. Le note che causano
sensazioni piacevoli quando le si ascolta contemporaneamente sono chiamate
consonanze, le altre dissonanze. La spiegazione che abbiamo appena dato è
nettamente più verosimile di quella che propone Leibniz. Leibniz crede che
l'anima conti le vibrazioni e le compari poi l'una con l'altra. Ciò non è però
verosimile. Come potrebbe altrimenti un uomo che non è in grado di contare
distinguere le note armoniche da quelle disarmoniche? La spiegazione che
abbiamo addotto ha invece il suo fondamento nell'esperienza universale che
tutto ciò che è evidente causa in noi piacere mentre ciò che non è evidente
causa dispiacere (cfr. Eberhard 1759, pp. 286‑287).
La teoria di Euler è esposta fedelmente nel Großes
Vollständiges Universal‑Lexikon aller Wissenschaften und Künste [Grande
lessico universale completo di tutte le scienze ed arti] edito a Leipzig
fra il 1731 e il 1750 in 64 volumi da Johann Heinrich Zedler, cui seguirono
fino al 1754 quattro volumi di supplementi. I suoni possono trovarsi in un
rapporto di contiguità temporale oppure di successione; simultaneità e
successione rendono possibile l'ordine poiché, grazie ad essi, si distinguono
sia suoni gravi da suoni acuti sia la durata di entrambi. L'ordine è una
connessione delle parti secondo una certa regola e colui il quale ha la facoltà
di cogliere questa regola è in grado al tempo stesso di provare piacere. La
piacevolezza dell'arte musicale non può sorgere se non dalla percezione di
rapporti costanti fra grandezze così diverse tra loro. Percepiamo il rapporto
fra due suoni quando sentiamo il rapporto fra i numeri delle vibrazioni che si
verificano contemporaneamente e percepiamo che un suono compie tre vibrazioni
nel medesimo tempo in cui un altro suono ne compie due; riconosciamo il loro
rapporto e quindi anche il loro ordine, in quanto percepiamo che sono fra loro
in una relazione costante di 3 a 2; ricaviamo piacere, inoltre, dai rapporti
relativi alla diversa durata dei suoni (cfr. Zedler 1745, 44. Band, Sp. 1190‑1191).
Kant intrattiene per un lungo periodo uno scambio
epistolare con Markus Herz, autore nelle “Königsbergsche Gelehrte und Politische
Zeitungen” del 1769 di una recensione alle Lettere di Euler. Nelle Betrachtungen
über die spekulative Weltweisheit [Considerazioni dal punto di vista
della filosofia speculativa], pubblicate a Königsberg nel 1771, muovendo
dalla convinzione che la rappresentazione di un oggetto sensibile sia
sottoposta alle forme dello spazio e del tempo e coincida con l'idea di una
localizzazione spazio-temporale, Herz sostiene che, analogamente, la
rappresentazione di un edificio o di una musica non è possibile senza assumere
leggi universali della bellezza. Negare la bellezza ad un edificio o a una
melodia conformi a leggi è altrettanto impossibile quanto è assurdo
rappresentarsi un oggetto sensibile senza pensarlo in qualche luogo e in
qualche tempo (trad. it. Herz 2000, pp. 307-308, qui p. 308). La causa
della grande diversità dei giudizi sui singoli oggetti del bello risiede solo
nel fatto che le loro determinate impressioni, e dunque anche il loro rapporto
con le leggi generali, vengono avvertite in modo diverso dai singoli individui.
Così Herz sottopone a critica le teorie che, ponendo sullo stesso piano il
senso dell'udito, il tatto e l'olfatto, ritengono che tutti i sensi siano
esatti; e polemizza con la Lettre sur la sculpture, à Mons. Theod. de Smeth di
Hemsterhuis il quale sostiene che la bellezza non è realmente negli oggetti dal
momento che tanto il piacere per una forma bella quanto il dispiacere per una
forma brutta svaniscono gradualmente quando li contempliamo a lungo (Herz 1771,
p. 22 nota). I sensi sono contraddistinti da arbitrarietà e casualità; se si
accettassero le conclusioni di Hemsterhuis, nota Herz, colui che dà a conoscere
il suo dispiacimento circa la più grande simmetria in un edificio o la più regolare
armonia in una melodia non sarebbe meno corretto nella sua pretesa di quello la
cui sensazione tattile o olfattiva non concorda con il giudizio che altri
formulano sugli oggetti di questi sensi (Herz 1771, trad. it. Herz 2000, p.
307).
Anche nella Untersuchung über den Ursprung der
angenehmen und unangenehmen Empfindungen [Ricerca sull'origine delle sensazioni
piacevoli e spiacevoli] del 1773 di Johann Georg Sulzer la presenza di
Euler è determinante; la definizione della perfetta armonia come vibrazione
contemporanea di quattro corde, che si possono chiamare “unisono”, “terza
maggiore”, “quinta”, e “ottava” lascia trasparire la conoscenza del Tentamen
novae Theoriae musicae, espressamente nominato. Sulzer segue però,
nell'applicazione di questa teoria, la differenziazione fra spirito e senso in
base ai gradi dell'evidenza di provenienza leibniziana: i sensi percepiscono
l'armonia come unità e successione di oscillazioni e questa percezione dà luogo
al piacere per la musica. L'armonia è qui, peraltro, oggetto di una percezione
oscura; solo in base a calcoli che determinano il rapporto della velocità in
conseguenza delle vibrazioni di un certo numero di corde si può comprendere con
lo spirito la bellezza dell'armonia; e ciò che piace all'anima nella
rappresentazione oscura dei sensi le piace anche quando lo si può esporre allo
spirito in modo evidente. Da questa rappresentazione nasce nello spirito una
sensazione piacevole il cui oggetto è la bellezza; l'origine del piacere è
sempre la perfezione ed è indifferente se essa riguardi la conoscenza sensibile
o la conoscenza intellettuale (cfr. Sulzer 1773, pp. 1‑99).
Sulzer passa poi a considerare sia gli oggetti che
sono belli per i sensi sia gli oggetti che sono rappresentati all'intelletto da
concetti evidenti; fra i primi pone l'armonia, che si colloca sul medesimo
piano dei colori e della loro struttura, e i rapporti numerici dai quali essa
risulta. La piacevolezza delle sensazioni complesse deriva dal fatto che le
diverse serie di impressioni istantanee da cui è formata l'intera sensazione
giungono a dar luogo a un intero dotato di regolarità; la loro spiacevolezza,
invece, è una conseguenza del fatto che le impressioni istantanee non generano
un intero dotato di regolarità. Facendo riferimento al § 13 del capitolo I del Tentamen
novae theoriae musicae di Euler, l'articolo “Klang” della Teoria generale
delle arti belle afferma che si può dimostrare, ricorrendo alla matematica,
che ogni intervallo può essere espresso dal rapporto fra le velocità delle
vibrazioni in numeri; 1:2 indica l'ottava; 2:3 designa la quinta. Sulzer
riconosce nelle formule algebriche l'esempio di una bellezza puramente
intellettuale la cui origine risiede in particolari proprietà dei numeri; la
bellezza di un teorema, ad esempio il teorema di Newton sull'elevazione di una
radice a una qualsivoglia potenza, nasce dall'avvertire un'unità nella molteplicità
ed è tanto maggiore quanto maggiore è la molteplicità (cfr. Sulzer 1771‑74,
Articolo “Klang”, p. 33).
Nell'undicesimo dei Briefe über die Empfindungen [Lettere
sulle sensazioni] del 1771, Mendelssohn concepisce la bellezza sensibile
come un'unità del molteplice la quale presuppone la limitatezza della facoltà
dell'anima: il molteplice suscita piacere solo in quanto sia ricondotto
all'unità e sia in tal modo facile percepirlo; un molteplice che non si
fondasse su alcuna unità avrebbe come conseguenza un sentimento di dispiacere.
Esempi di bellezza sensibile sono dati sia dall'architettura sia dalla musica:
il progetto di un edificio può essere chiamato bello solo se la simmetria fra
le parti e la loro varietà possono essere comprese facilmente (cfr. JA, I, p.
58); proprio per questo motivo il gusto gotico non deve essere condiviso,
perché la molteplicità non vi si lascia ricondurre a una corrispondente unità.
Anche i rapporti fra le vibrazioni dei suoni rientrano nella bellezza sensibile
e ne sono anzi fonte. “I rapporti semplici fra le vibrazioni: una sorgente
della bellezza!” (cfr. JA, I, p. 85), scrive Mendelssohn, che sembra riferirsi
a Euler, quando nota:
Quale sia il significato dei rapporti semplici fra le
vibrazioni, lo comprenderà facilmente chiunque; perché è noto che due corde
danno luogo a una consonanza se sono in una tensione reciproca derivante da un
rapporto semplice; ovvero, se il numero delle vibrazioni dell'una si trova in
uno stesso momento di tempo in un rapporto di 1:2, 2:3, 3:5 o anche 5:8 con il
numero delle vibrazioni dell'altra. Le vibrazioni delle dissonanze stanno
invece in un rapporto di 8:9, 8:15, 45:64, e simili (JA, I, p. 115).
E ancora ad Euler si riferisce implicitamente
Mendelssohn quando soggiunge che il piacere dell'anima per la composizione deriva
anche dalla possibilità di prevedere certe conseguenze, di avere aspettative e
di essere confermati e soddisfatti dal loro sviluppo. Nulla è più piacevole
dell'assistere alla soluzione dei problemi, cosa che contribuisce alla bellezza
perché le facoltà dello spirito possono essere in tal modo occupate senza
incontrare difficoltà (JA, I, p. 315).
Si rivela anche interessante, in relazione alla genesi
della teoria di Kant, la seconda parte dello scritto di Mendelssohn Phädon, oder
über die Unsterblichkeit der Seele [Fedone o sull'immortalità dell'anima]:
la musica e l'architettura sono strutture ordinate derivante l'una dalla
coordinazione di molteplici note, l'altra dalla coordinazione di numerose
pietre; i singoli componenti sono parti prive di vero ordine e vera simmetria;
armonia e simmetria riguardano solo l'intero. Sebbene nessun singolo suono sia
dotato di armonia e nessuna singola pietra possieda simmetria né regolarità,
l'intero cui essi danno luogo può rivelare queste caratteristiche. Sorge però
il problema di chiarire come sia possibile che un intero armonico derivi da
parti disarmoniche e che parti che non sono dotate di regolarità possano dar
luogo a una totalità dotata di regolarità. L'armonia nella musica e la
simmetria nell'architettura sono, in base alle definizioni che ne abbiamo dato,
il rapporto fra diverse impressioni; non possono, dunque, essere pensate se non
a partire dalla comparazione e dall'unificazione di singole impressioni. Armonia
e proporzione si identificano, quindi, con questo rapporto fra le note o le
pietre isolate, e il loro fondamento ultimo si trova nell'attività della
facoltà di pensare. Ordinamento, simmetria, armonia, regolarità e, in generale,
tutti quei rapporti che richiedono un'unificazione o un rapporto di reciproco
ordine del molteplice sono effetti della facoltà di pensare. Né le singole
note, né l'armonia sono esempi di un ordine già esistente in natura; esse danno
luogo a un concerto armonico solo grazie all'intervento della facoltà di
pensare dell'anima. L'argomentazione di Mendelssohn, che non assegna alle
singole sensazioni alcun significato autonomo, ma riconduce la loro
unificazione in una totalità all'attività dell'anima, si inserisce dunque nella
tradizione platonica. Tradizione che viene ripresa anche da Francis Hutcheson
nella Ricerca sull'origine delle nostre idee di bellezza e di virtù, in
un contesto teorico peraltro diverso da quello elaborato da Mendelssohn. Le
strutture matematiche regolari operano immediatamente sul senso interno,
indipendentemente dall'intervento della mente; il senso interno anticipa
l'intelletto in quanto percepisce tutte le idee fra le quali sussistono
regolarità; queste ultime sono già presenti implicitamente nella mente e riguardano
le configurazioni di idee esistenti. L'origine del piacere per l'armonia
consiste in una uniformità, ma nelle migliori composizioni all'uniformità si
accompagna la varietà che è data dall'intervento delle dissonanze. Il piacere
sorge quindi dall'uniformità nella varietà; questa genesi non prevede
l'intervento della riflessione, né della conoscenza, ma solo quello di una
sensazione piacevole (si veda A. Lupoli, Introduzione a Hutcheson 2000,
p. 39).
Quando le varie vibrazioni di una nota coincidono in
maniera regolare con le vibrazioni di un'altra danno luogo a una composizione
gradevole, e tali note prendono il nome di accordi. Così le vibrazioni
di ogni nota coincidono nel tempo con due vibrazioni della sua ottava, e
due vibrazioni di ogni nota coincidono con tre della sua quinta; e così
via per gli accordi restanti.
3.2. Proporzioni matematiche e suoni singoli
Dopo aver preso in considerazione i rapporti armonici
fra più note e la natura del suono in generale, passiamo ora ad analizzare in
qual modo nelle fonti di Kant si discuta della natura di una singola nota e del
suono a essa corrispondente; la separazione fra lo studio dei rapporti fra una
molteplicità di note e lo studio di una nota singola è, del resto, un dato
costante sia nelle ricerche estetiche sia nelle indagini acustiche del
Settecento. In base a questa distinzione sono concepite le annotazioni di
Johann Georg Sulzer nella Untersuchung del 1773, nelle quali si rileva
che mentre una sensazione composta risulta da molteplici sensazioni singole -
le note di più corde sono unite in un accordo - le sensazioni semplici, come ad
esempio un solo suono, sono causate da ripetute impressioni di uguale forza
(cfr. Sulzer 1773, pp. 56-58). Negli Anfangsgründe der theoretischen Musik [Primi
principi di musica teorica] di Marpurg i suoni sono oggetto di studio
dell'acustica sia sotto il profilo della loro natura fisica, sia nei loro
rapporti matematici (cfr. Marpurg 1757, pp. 1‑2). Nel Philosophisches
Lexikon [Lessico filosofico] di Walch si afferma che la dottrina del
suono o della nota musicale offre occasione alla fisica di occuparsi della
musica, della sua essenza e dei suoi effetti (Walch 1775, p. 197); la musica è
oggetto dell'acustica, parte della scienza della natura. Questa suddivisione è
presente anche in Wenceslaus Johann Gustav Karsten, il quale distingue i
fondamenti fisici della musica dalla teoria matematica, dal calcolo dei suoni
dell'organo e del pianoforte (Karsten, Kenntniß der Natur [Conoscenza
della natura], ristampato in AA XX, p. 244. Sulzer 1773, p. 67.
Sulzer 1773, pp. 56‑58).
Nell'Inchiesta sul Bello e il Sublime, tradotta
nel 1773 in tedesco da Christian Garve con il titolo Philosophische
Untersuchungen über den Ursprung unsrer Begriffe vom Erhabnen und Schönen
sul testo della quinta edizione inglese, Edmund Burke esamina i suoni e la loro
funzione nella genesi dei due sentimenti in questione, seguendo un metodo
dichiaratamente fondato sull'esperienza e sull'essenziale considerazione del
rapporto fra mente e corpo. Il bello e il sublime sono ricondotti ai due
sentimenti dell'autoconservazione e della socievolezza; mentre il bello produce
rilassamento nelle fibre del corpo, il sublime genera tensione; se il bello dà
luogo al piacere, il sublime porta con sé inevitabilmente dolore perché è simile
al terrore, anzi è un piacere misto a terrore. Il capitolo XXV della Parte
terza assegna ai suoni soavi, dolci e delicati e a note chiare, piane, facili e
smorzate il privilegio della bellezza, laddove suoni alti e intensi o note
acute, aspre o cupe possono suscitare altre passioni. Si nota che la bellezza
non può coesistere con la grande varietà e il rapido passaggio da una misura o
da un suono a un altro, perché essi non suscitano rilassamento, intenerimento e
languore, ma allegria o altre improvvise e tumultuose passioni; la bellezza non
è gaiezza e allegria, ma malinconia (Burke 1985, p. 138). La distinzione tra
l'effetto di un suono semplice e quello di una successione di suoni è trattata
nel capitolo XI della Parte quarta; nel primo caso l'orecchio è colpito da una
sola onda d'aria, la quale produce una vibrazione nel timpano e nelle altre
parti membranose. Alla vibrazione corrisponde un grado di tensione, alla
vibrazione ripetuta corrisponde l'attesa di un'altra vibrazione che determina
un'ulteriore tensione. Dopo avere udito una serie di vibrazioni ne attendiamo
altre; poiché non possiamo determinare con esattezza quando esse giungeranno
nasce in noi una specie di sorpresa che determina un'ulteriore intensificazione
della tensione sino all'orlo del dolore; si genera in tal modo il sentimento
del sublime. Condizione affinché si realizzi questo effetto è che le vibrazioni
siano simili, come spiega il capitolo XII; l'esempio che a Burke pare meglio
dare un'idea di questo processo fisico è quello dato dai colpi ripetuti di un
cannone (Burke 1985, pp. 149-150).
Diversa l'impostazione di Leibniz. Nel § 17 dei Principes
de la nature e de la grace di Leibniz la bellezza della musica è ricondotta
alla corrispondenza fra i suoni e il calcolo che si compie nella nostra anima
senza che ne siamo consapevoli. La musica ci procura diletto sebbene la sua
bellezza non consista in altro se non nella corrispondenza fra numeri e calcolo
inconscio compiuto dall'anima al momento del risuonare delle vibrazioni. La
gioia che l'occhio prova per le proporzioni è analoga a quella dell'udito e
anche i piaceri degli altri sensi dovrebbero derivare dal medesimo fondamento,
sebbene non siamo in grado di spiegarlo con la medesima evidenza. I sensi
dell'udito e della vista sono radicalmente distinti dagli altri, poiché solo
vista e udito provano diletto e gioia per le proporzioni e per la
corrispondenza fra i numeri che possono essere spiegati in modo evidente:
avvertire la bellezza della musica è un'occulta attività di calcolo dell'anima.
Si sofferma a lungo sul problema del singolo suono
Leonhard Euler. Nel 1750 aveva già pubblicato la Conjectura physica circa
propagationem soni ac luminis, contenuta poi anche negli Opuscula
editi in tre volumi nel 1746, 1750 e nel 1751. Nel contesto delle ricerche
dedicate alla scienza dell'acustica la spiegazione matematica della musica è
distinta dall'indagine sui suoi fondamenti fisici. Questa distinzione fra
analisi dei rapporti fra suoni e analisi delle singole sensazioni è presente
nelle Lettere, in cui il discorso prende le mosse dalla spiegazione
fisica dei singoli suoni musicali per soffermarsi poi sullo studio della
connessione fra più suoni. Nella Terza lettera, prima di esaminare il
suono musicale si dà una definizione della natura del suono in generale; se
nell'antichità si credeva che il suono si propagasse come il profumo di un
fiore che eccita i nostri nervi olfattivi con lievi esalazioni, Euler è
dell'avviso che la natura del suono consista nel fatto che le vibrazioni
prodotte da una corda sono portate dall'aria sino al nostro orecchio; la
sensazione del suono si ha quindi quando l'orecchio è colpito dalle vibrazioni
dell'aria. E ciò non vale solo per il suono in generale [Schall] ma
anche per i suoni musicali in particolare [Ton]: la differenza fra suoni
[Töne] deriva dalla diversità del numero delle vibrazioni nell'aria.
Così se una corda produce 100 vibrazioni al secondo e
un'altra 200, i loro suoni saranno essenzialmente diversi: il primo sarà più
grave o più basso, l'altro invece più acuto o più alto (Euler 1769, I, p. 9;
Eulero 1958, p. 11).
Quando ascoltiamo un singolo suono musicale il nostro
orecchio è colpito da una successione di vibrazioni equidistanti l'una dall'altra,
che si succedono cioè con frequenza regolare; la sensazione di un suono,
quindi, può essere raffigurata come una successione di punti equidistanti tra
loro. Supponiamo però che gli intervalli fra questi punti siano ora più grandi
ora più piccoli, che essi non siano regolari; ne potremo dare una
raffigurazione sensibile attraverso una serie di punti che non si trovano a
distanza regolare fra loro; ad essi corrisponderà la sensazione acustica di un
rumore confuso e disarmonico (cfr. Euler 1769, I, p. 10). Il suono coincide per
Euler con una serie di vibrazioni che colpiscono il nostro orecchio, vibrazioni
grazie alle quali si può determinare la differenza fra suono musicale e
semplice rumore. Solo nel primo caso si può cogliere una regolarità nella successione
delle vibrazioni dell'aria, nel secondo la norma, la struttura regolare sono
sostituite dal disordine; esiste quindi una differenza fra suono e suono; solo
il secondo, infatti, si fonda su regolarità e armonia. Se le vibrazioni si
succedono con uniformità, ovvero se gli intervalli sono tutti uguali, il suono
è un suono regolare (cfr. Euler 1769, I, p. 9).
Il senso dell'udito è in grado di formulare un
giudizio che distingua i suoni l'uno dall'altro; l'udito non è passivamente
esposto alle impressioni che provengono dall'esterno, ma è in grado di
percepire la differenza fra i suoni che si susseguono nel tempo. Il nostro
orecchio ha però limiti oltre i quali i suoni non sono più percepibili: pare,
infatti, che non riusciremmo più a sentire un suono con meno di 20 vibrazioni
per secondo, perché troppo basso, né un suono con più di 4000 vibrazioni,
perché troppo acuto (cfr. Euler 1769, I, p. 10; Eulero 1958, p. 11).
Anche in questo caso Euler rifiuta la tesi leibniziana
che si dia un calcolo inconsapevole dell'anima; egli considera con riserva
l'equiparazione dell'udito musicale ad un esercizio di calcolo del quale il
soggetto non sarebbe consapevole. Nella Lettera 134 scrive però che,
sebbene non si possa negare che il nostro organo della vista non sia in grado
di contare numeri complessi, meno ancora di quanto l'orecchio sia in grado di
contare le vibrazioni che costituiscono i suoni, si deve anche ammettere che
siamo sempre in grado di distinguere distintamente il più e il meno (cfr. Euler
1769, II, p. 224; Euler 1958, p. 473).
“Dei fondamenti della musica” trattano i paragrafi
280-300 degli Anfangsgründe der Naturlehre (1772) di Johann
Christoph Polykarp Erxleben (cfr. AA XI 204, 253, 302, 428). Fra gli “scritti
sull'acustica e la musica teoretica” Erxleben cita le seguenti opere:
Claudii Ptolomaei harmonicorum L. III per Ioann.
Wallis, Oxon. 1682, 4.; 2) Marin Mersenni harmonicorum L. XII, Parip. 1635,
fol. 3) Athan. Kircheri musurgia universalis sive ars magna consoni et dissoni,
Rom. 1650, fol.; 4) Systeme general des intervalles des sons, et son
application à tous les systemes et à tous les instrumens de Musique, par M.
Sauveur; in den Mem. de l'acad. roy. des sc. 1701, pag. 297; 5) Tentamen novae
theoriae musicae, auctore Leon. Eulero, Petrop. 1739, gr. 4; 6) Coniectura
physica circa propagationem soni ac luminis, auctore leon. Eulero, Berol. 1750,
4; ist der zweyte Band von seinen Opusc; 7) Harmonics, or the philosophy of
musical saunds, by Rob. Smith, Cambridge, 1749, gr. 8; 8) Recherches sur la nature
et la propagation du son, par M. Louis de la Grange, in den Miscellan.
turinenp. Tom. I, pag. I; 9) Eclaircissemens plus detaillés sur la generation
du son et la propagation du son et sur la formation de l'echo, par M. Euler; in
den Me. de l'acad. roy. des sc. de Pr. 1765, pag. 335.
Pur notando che è difficile stabilire con certezza
quali suoni il nostro udito possa distinguere, il § 297 cerca di definire i
limiti entro i quali le note sono percepibili e dà informazioni sulle ricerche
condotte all'epoca. I limiti sono calcolati sulla base della capacità di
percepire un determinato numero di vibrazioni in un secondo. Su questo tema non
si sarebbe ancora arrivati, secondo l'autore, alla chiarezza, poiché Sauveur ha
considerato la nota più bassa udibile da orecchio umano come quella nella quale
le parti dell'aria compiono 12 vibrazioni in un secondo; otto ottave sarebbero
quindi percepibili dal nostro udito. Euler indicava invece, in una prima fase
del suo pensiero, 30 vibrazioni per il suono più basso e di 7520 per quello più
alto, mentre più tardi avrebbe proposto rispettivamente le cifre 20 e 4000, con
la conseguenza che, a suo avviso, i suoni udibili avrebbero costituito
all'incirca otto ottave (cfr. Erxleben 1772, pp. 238‑239). Anche nel Physikalisches
Wörterbuch [Dizionario di fisica] di Gehler si sottolinea che
l'udito è un senso particolarmente fine e lo si adduce a principio non
ulteriormente esplicabile, come una sensazione che non si può descrivere a
parole (cfr. Gehler 1798, vol. IV, p. 376).
Questa
spiegazione è ripresa da Johann Georg Sulzer. Sebbene un suono sembri al primo
sguardo un'impressione ininterrotta che colpisce i nervi, ricerche fisiche
hanno dimostrato che questo effetto ininterrotto è in realtà una successione di
sollecitazioni e di vibrazioni separati l'uno dall'altro, benché ogni suono
racchiuda in sé una molteplicità di impressioni. L'apparenza di una durata
ininterrotta deriva dal fatto che le vibrazioni dell'aria si susseguono così
velocemente che non siamo in grado di avere consapevolezza dell'esistenza di un
intervallo che le separa; in realtà ogni singola sensazione deriva da una
grande quantità di sensazioni istantanee. Fino a questo punto Sulzer ha
sviluppato, sul modello di Euler, una spiegazione fisica dei suoni; poiché però
il suo fine non è formulare una teoria riguardante le sensazioni fisiche, ma
compiere una ricerca sulle sensazioni piacevoli e sulla loro differenza da
quelle spiacevoli, si rivela interessante che questa teoria fisica sia
completata da una sua applicazione all'estetica. Quale è la radice della
piacevolezza dei singoli suoni? I suoni saranno piacevoli se le diverse
vibrazioni che li compongono si susseguiranno a intervalli regolari e si
potranno rappresentare intuitivamente all'occhio come una serie di punti
collocati l'uno accanto all'altro in linee rette e alla medesima distanza.
Non sono mancati coloro che non hanno notato la
complessità dei suoni singoli; per Mendelssohn le impressioni provenienti dalla
vista e dall'udito sono sensazioni che non hanno valore di verità, perché la
verità può essere ricavata dai sensi in base a principi razionali universali.
L'udito e la vista procurano sensazioni singole cui non si può dare
completamente fiducia, essi ingannano e non riescono a formulare una comprensione
evidente delle cose. Ciò che noi udiamo e vediamo è colmo della medesima
confusione ed oscurità di tutto ciò che i corpi esterni ci insegnano attraverso
gli altri sensi. Non si può scorgere in Mendelssohn alcun tentativo di spiegare
i suoni dal punto di vista fisico come gioco armonico di molteplici vibrazioni
(JA, 1, 51).
3.3. Suoni e colori. Il clavicembalo oculare di
Castel
Locke narra nel terzo libro del Saggio che uno
studioso cieco che per molto tempo aveva indagato gli oggetti visibili, e si
avvaleva di spiegazioni trovate nei libri o presso amici per comprendere i nomi
della luce e dei colori, si vantò un giorno di aver finalmente compreso che
cosa significasse “scarlatto”. Ad un amico che gli chiedeva come potesse
definirlo il cieco rispose: “È come il suono di una tromba” (Locke 1996, III,
4, 11, pp. 497-498). A prescindere dal contesto entro il quale l'esempio si
inserisce, è per noi rilevante che Locke prospetti un'analogia fra i colori e i
suoni.
Fra il 1725 e il 1735 il matematico francese Louis
Bertrand Castel (1688-1757) presentò l'idea di una musica dei colori e il
progetto di un clavicembalo oculare in due scritti, apparsi il primo nel
“Mercure” e il secondo nel “Journal de Trévoux”. Ritornò sul tema con il testo Optique
des couleurs, pubblicato a Parigi nel 1740, tradotto in tedesco nel 1747
con il titolo Die auf lauter Erfahrungen gegründete Farben-Optica [L'ottica
dei colori fondata su mere esperienze] Il fondamento di questa perfetta
analogia fra colori e suoni che induce all'idea di un clavicembalo oculare,
all'idea che sia possibile realizzare con esso un'arte affine alla musica è
dato dalla convinzione che i colori si muovano in cerchio come i suoni
musicali. Krüger scrive: “Queste considerazioni hanno fatto nascere in me una
volta l'idea che anche gli altri sensi seguano nella valutazione del piacevole
le medesime leggi dell'udito e ho trovato che almeno per quanto concerne la
vista non mi sono sbagliato poiché le regole della simmetria richiedono i
medesimi rapporti delle consonanze musicali e gran parte della bellezza del
corpo umano riposa proprio su questo fondamento. Ciò mi ha dato la speranza di
trovare un modo di poter dilettare gli occhi con i colori analogo a quello con
cui si diletta l'udito. Alla fine ho escogitato un clavicembalo oculare che è
descritto negli scritti dell'Accademia di Berlino ed è completamente diverso da
quello che ha fatto realizzare il padre Castel” (1748, I, pp. 373 sgg. Cfr.
anche Krüger 1743; Buffon 1748, p. 428; Wellek 1935; Wellek 1936; l'articolo
“Farben- oder Augenclavecin”, in Walch 1775, I vol., pp. 1242-1243). L'analogia
emerge dunque chiaramente dagli scritti di Castel e la vivace partecipazione al
dibattito suscitato (cfr. Wellek 1935, p. 369) si può documentare in numerosi
autori; le idee di Castel furono discusse da Wolfgang Krafft, Christoph Mizler,
Moses Mendelssohn, Denis Diderot (cfr. Diderot 1984, pp. 26-27).
L'analogia fra suoni e colori, vista e udito, suono e
luce non è una prerogativa di Castel, ma è accettata anche da Euler, il quale
però sottopone a critica l'idea di un clavicembalo oculare. Castel, che costruì
un pianoforte in cui ogni tasto, non appena toccato, faceva apparire un
pezzetto di stoffa tinto di un determinato colore, credeva che questo strumento
potesse offrire uno spettacolo molto piacevole agli occhi. Euler crede invece
che solo la pittura possa offrire qualcosa di gradevole agli occhi, analogo
alla musica per l'orecchio; non riesce a comprendere come una serie di pezzi di
stoffa colorati, presentati in un certo ordine e corrispondenti ciascuno ad un
tasto del clavicembalo, possa essere piacevole per gli occhi (cfr. Euler 1769,
I, p.108; Euler 1958, p. 109).
Per spiegare come corpi opachi possano diventare
visibili Euler rinvia, nella Nova theoria lucis et colorum, ai casi in
cui la corda accordata su una determinata nota emette un suono, benché nessuno
la tocchi, quando qualche strumento emette la medesima nota (cfr. anche Euler 1769,
I, p. 89). Si tratta del fenomeno della simpatia dei suoni che è descritto come
segue, ad esempio da Marpurg: “In dem Zurückprallen und Mitklingen der Töne hat
dennoch die sogenannte Sympathie der Tone ihren Grund, vermöge welcher
eine klingende Seyte die andere nicht allein zittern, sondern auch öfters
mitklingend macht” (Marpurg 1757, p. 11). L'analogia, si fonda in Euler sulla
teoria ondulatoria della luce formulata da Euler richiamandosi a Cartesio: la
luce è un movimento ondulatorio dell'etere ed è analoga al suono, il quale può
essere definito un movimento ondulatorio dell'aria (cfr. Euler 1746, p. 184;
cfr. anche pp. 171‑172). Euler approfondisce questo tema nella Lettera
136 in cui spiega in che modo i corpi opachi ci divengono visibili. I
corpi colorati sono simili alle corde di un clavicembalo e i vari colori ai
vari suoni, differenti per la loro acutezza e per la loro gravità. La luce da
cui questi corpi sono illuminati è analoga al rumore cui il clavicembalo è
esposto; come questo rumore agisce sulle corde, così la luce da cui un corpo è
illuminato agirà sulle più piccole particelle della superficie di questo corpo,
e queste particelle, fatte così vibrare, emetteranno raggi proprio come se
fossero luminose, non essendo la luce altro se non il movimento vibratorio
delle più piccole particelle di un corpo comunicato all'etere, che,
successivamente, lo trasmette agli occhi (cfr. Lettere 19-30, 134-136;
Euler 1958, p. 480). Abraham Gotthelf Kästner redasse un estratto pubblicato
nel 1750 nello “Hamburgisches Magazin” della teoria della luce e dei colori di
Euler, in cui ricorda che secondo Euler in una ottava è compreso un numero
notevole di suoni, dei quali solo alcuni ricevono un nome specifico dai
conoscitori della musica; analogamente nei colori semplici sono contenuti,
nello spazio compreso fra la vibrazione più lenta e quella più veloce,
innumerevoli altre vibrazioni, ad alcune delle quali si potrebbe attribuire un
nome determinato, mentre le altre acquisiscono il nome di quelle cui più si
avvicinano (cfr. Kästner 1750, p. 193). Scrive Kästner che “i colori semplici
sono analoghi ai suoni semplici che compiono in un certo periodo di tempo un
certo numero di vibrazioni” (Kästner 1750, p. 192; si veda anche Herz 1787, pp.
170-171).
Nella Einleitung in die Natur‑Lehre [Introduzione
alla dottrina della natura] nella seconda edizione del 1754, di Johann
Andreas Segner, al § 579 si afferma
che il suono presenta analogie sotto diversi aspetti
con la luce, e si può aver l'idea che perfino i colori siano simili ai suoni.
Non è dunque la luce il movimento ondulatorio di una materia elastica, come il
suono non è se non il movimento ondulatorio dell'aria? (Segner 1754, p. 433).
Nel 1772 le Meditationes physicae circa systemata
Euleri et Newtonii de luce et coloribus di Carol Daniel Reusch sottolineano
che gli esperimenti di Newton dimostrano, a differenza di quanto sosteneva
Euler, che le vibrazioni non sono isocrone: la luce, quindi, non è simile al
suono emesso da una corda ma al suono di un corpo che provoca rumore (cfr.
Reusch 1772, p. 41). Secondo Erxleben, se si accettasse la teoria di Euler si
potrebbe dire che un foglietto sottile e trasparente ha un unico colore, come
una corda tesa emette un unico suono determinato quando è percossa. Mentre
Newton aveva supposto che la luce fosse costituita da corpuscoli che emanano
dalla fonte luminosa, Euler, con il quale Erxleben concorda, concepisce la luce
come un movimento ondulatorio simile al suono. Euler spiega la differenza fra i
colori fondamentali in base alla diversa velocità delle vibrazioni dell'etere;
quelle più veloci sono interrotte in misura minore di quelle più lente. I
colori sono per l'occhio, a suo avviso, quello che le note sono per l'udito: il
violetto è la nota più grave, il rosso la nota più acuta, il bianco un chiasso
disordinato. In tal modo l'idea di un clavicembalo oculare diventa molto
verosimile (cfr. Erxleben 1772, p. 298).
Christoph Friedrich Hellwag (1754-1835),
corrispondente di Kant, pubblica sul “Deutsches Museum” dell'ottobre 1786 un
saggio da lui inviato successivamente, sotto forma di estratto, a Kant in
allegato a una lettera scritta dopo la pubblicazione della Critica del
Giudizio. Hellwag mostra in un breve excursus storico che l'analogia
fra suoni e colori è stata già prospettata da Kircher, Newton e Castel. Il
tentativo di Castel di “rappresentare accordi e melodie di colori su un
clavicembalo oculare” è giudicato però in modo negativo: Castel muove, infatti,
dalla convinzione errata che colori e suoni possano essere comparati l'uno con
l'altro sino a riconoscerne la perfetta analogia. Per Hellwag non si può certo
negare che colori e suoni palesino una affinità sotto molteplici aspetti; luce
e suono rimangono però diversi. Contro Kircher, Newton, Castel e Euler, Hellwag
si richiama al principio della “mescolanza” dei suoni e dei colori: tanto i
colori quanto i suoni possono essere comparati e distinti a partire dalla
mescolanza in cui si presentano abitualmente e che è ignorata quando li si
dispone sulla scala musicale oppure secondo punti separati dello spazio visivo.
I colori possono, però, essere ridotti a cinque fondamentali, mentre gli
elementi base dei suoni sono probabilmente indeterminabili. Possiamo dare una
dimostrazione dell’indeterminabilità facendo riferimento al sistema vocalico
nel quale i suoni principali sono le vocali, mentre gli altri sono disposti in
posizione intermedia fra di essi; nei dittonghi sono espressi tutti i gradi
intermedi fra le due vocali che li compongono, cosicché essi risultano
mescolanze di suoni analoghe ai giochi cromatici delle bolle di sapone. La
vista ha una maggior varietà rispetto all’udito: mentre la scala musicale ha
solo una dimensione, il campo visivo ne ha due e il gioco prospettico è certo
più ampio rispetto a quello della scala musicale (cfr. Kant 1990, pp. 248-249).
4. Musica e cultura del gusto
Non è possibile trattare qui in modo particolareggiato
il dibattito nato intorno alla metà del Settecento sul valore delle arti in
relazione alla promozione dei costumi; ci limiteremo ad indicare le soluzioni
antitetiche proposte da Rousseau, da Home, da Hume e da Sulzer, le cui opere
furono ben note a Kant. Per Rousseau le arti ingentiliscono le nostre maniere e
insegnano alle nostre passioni un linguaggio ricercato; nate dall'ozio e dalla
vanità portano con sé il lusso, la dissolutezza dei costumi e la corruzione del
gusto (si veda Rousseau 1970, pp. 209-237). Hume rileva invece nella musica
come nelle altre arti liberali la capacità di affinare la nostra sensibilità
per le passioni tenere e gradevoli, rendendo la mente incapace di emozioni
rozze e violente. Hume cita un verso di Ovidio: “Ingenuas didicisse fideliter
artes /emollit mores, nec sinit esse feros” (“L'avere appreso fedelmente le
arti belle / addolcisce i costumi e non permette di essere feroci”). Come le
altre arti, la musica sottrae la mente alla concitazione degli affari e degli
interessi, alimenta la riflessione, dispone alla tranquillità e produce una
piacevole malinconia, la quale, fra tutte le disposizioni della mente, è la più
consona all'amore e all'amicizia. In secondo luogo, la delicatezza del gusto è
favorevole all'amore e all'amicizia in quanto limita la nostra scelta a poche
persone e ci rende indifferenti alla compagnia e alla conversazione della
maggior parte degli uomini (cfr. Hume 1994, p. 72).
Più esplicitamente, la Prefazione alla prima
edizione della Teoria generale delle belle arti di Sulzer
attribuisce alle arti belle il merito di risvegliare un sentimento per il bene
morale e un'avversione per il male. Le belle arti possono esercitare questa
azione di perfezionamento morale se il loro unico fine è far sorgere un vivo
sentimento del bello e del bene e una forte avversione per il brutto e il male;
anche la musica può causare questi benefici effetti. A riconoscere il valore
culturale delle belle arti è incline anche Henry Home lord Kames, nei suoi Principles
of Critics [Principi della critica]. La prefazione del traduttore
contrappone la convinzione di Home, che una corretta cultura delle belle
scienze renda migliore il cuore, all'“errore” di Rousseau, che aveva insegnato
che le belle arti e le scienze corrompono il cuore e le disposizioni morali. Il
gusto per le belle arti e la sensazione morale sono strettamente affini,
sostiene Home, poiché entrambi scoprono ciò che è giusto e ciò che non è
giusto. La critica, di cui Home esporrà i principi, funge quindi come incentivo
e appoggio della virtù e nessuna occupazione lega maggiormente l'uomo ai suoi
doveri che coltivare il gusto per le arti belle; un gusto corretto è una
perfetta propedeutica all'apprendimento di ciò che è bello, conveniente, grande
nel carattere e nell'azione (cfr. Home 1763, p. 14). Al capitolo 25 del secondo
volume della seconda edizione riveduta e corretta del 1772, le differenze, che
non possono essere certo negate nella valutazione del bello da parte di esseri
umani diversi, sono ricondotte a distinti livelli di raffinamento del gusto.
Gli uomini, originariamente selvaggi e simili a bestie, sono stati indotti da
vincoli sociali alla ragione e alla finezza del gusto. Chi volesse quindi
occuparsi del problema delle regole e del giudizio tanto nella morale quanto
nelle belle arti, non dovrebbe far riferimento a idee condivise in genere dai
selvaggi, ma piuttosto al gusto della parte “perfetta” dell'umanità (cfr. Home
1772, p. 558).
5. Dissonanze e dolori
innominati
Se nelle teorie e nelle osservazioni che sono state
sinora riferite il discorso verte sul piacere, si deve attribuire
all'illuminista milanese Pietro Verri il merito di aver preso in considerazione
come nella musica si esprima soprattutto un sentimento di dolore. Nel 1777
comparve nella traduzione tedesca di Christoph Meiners lo scritto Gedanken
über die Natur des Vergnügens del milanese Pietro Verri: la versione
dell'edizione italiana del 1773. Nel 1781 Verri estese la sua edizione e le
premise una prefazione nella quale si confrontava con le fonti, riconoscendo il
suo debito nei confronti di una tradizione già esistente. Il piacere non può
essere definito se si prescinde dal dolore; anzi, esso non si presenta con una
natura sua propria, ma si rivela essere solo l'improvvisa cessazione del
dolore. Il dolore è quindi l'elemento originario a partire dal quale soltanto
il piacere acquista una configurazione; l'analisi del piacere si trasforma in
tal modo in un esame della natura del dolore. Sia il dolore, sia il piacere che
ne può risultare si possono suddividere in due classi: vi possono essere tanto
piaceri fisici, quanto piaceri morali, dolori fisici e dolori morali. Essi
hanno in comune il fatto di non fondarsi su dolori innominati, ovvero su
sentimenti la cui origine non può essere ulteriormente determinata perché non
sono esattamente localizzabili. I dolori innominati si presentano come il
fondamento dell'anima, la quale agisce solo per liberarsene; l'azione umana non
deriva, quindi, dalla rappresentazione di un bene non ancora presente che si
cerca di realizzare, ma dalla volontà di placare un originario sentimento di
dolore.
Questa definizione si iscrive in un metodo di natura
empirica: non la struttura dell'opera d'arte musicale deve imporsi come oggetto
della ricerca, non le regole che possono garantire la produzione di una bella
musica, ma l'aspetto individuale e soggettivo della creazione e del piacere. Il
metodo psicologico che Verri desume da Locke induce alla convinzione che anche
l'ascolto dell'arte musicale, come l'invenzione, deve la sua origine al
sentimento originario del dolore: se l'uomo si trovasse in una condizione di soddisfazione
morale e di salute fisica non sentirebbe l'esigenza di ascoltare musica. Tutte
le arti belle hanno per base dolori innominati [nahmenlose Schmerzen],
mali [Uebel] che sono la sorgente dei piaceri più delicati della vita.
Se l'uomo è veramente lieto, soddisfatto e vivace, è insensibile alle arti
belle, a meno che la sua sensibilità derivi da un'abitudine meccanica a
riflettere su di esse, oppure la vanità di mostrarsi sensibile non lo renda
ipocrita. L'uomo vigoroso che ha contentezza nel cuore non ha la sensibilità,
la quale cresce col sentimento della nostra debolezza, dei nostri bisogni, dei
nostri timori (cfr. Verri-Kant 1998, p. 61).
L'elemento fondamentale della musica è, per Verri, la
melodia, che attrae l'essere umano e provoca in lui un piacere fisico reale
generato da suoni dolci (cfr. Verri 1777, p. 66). Non solo un godimento fisico,
ma anche una “elevazione dell'anima” e un “caldo entusiasmo” sono gli effetti
della musica, che si può definire “espressione di molte passioni”. Il risultato
è una “completa illusione”, che dipende dall'immaginazione dell'ascoltatore,
alla quale di possono quindi ricondurre le differenze individuali nei giudizi.
La musica è diversa dalla pittura e dalla poesia perché un dipinto e una poesia
possono suscitare un piacere che presuppone un ascoltatore passivo, mentre
nella musica l'immaginazione è attiva (cfr. Verri 1777, pp. 67-68); il ruolo
dell'ascoltatore è in essa molto più rilevante della funzione del compositore;
l'ascoltatore, infatti, può scoprire bellezze ignote al compositore.
A questa definizione generale dello scopo e della
funzione della musica si affiancano applicazioni concrete. Che cosa permette
alla musica di svolgere questo suo compito? In qual modo l'ascolto della musica
può liberarci dal sentimento di dolore connesso necessariamente, a partire
dalla nascita, con la condizione umana? Come può la musica suscitare piacere e
liberarci dai dolori innominati e dalla noia? Verri mette in particolare
risalto il valore positivo delle dissonanze da cui appunto nasce quel dolore
momentaneo che è, ai suoi occhi, premessa indispensabile del piacere. Le
dissonanze sono un dolore momentaneo che funge da premessa indispensabile del
piacere. Una musica composta solo da consonanze è faticosa, regolare, e non presenta
alcun difetto, ma proprio per questo motivo essa non possiede grazia né
attrattiva, né un leggiadro disordine
La grand'arte consiste a sapere con tanta destrezza
distribuire allo spettatore delle piccole sensazioni dolorose, a fargliele
rapidamente cessare, e tenerlo sempre animato con una speranza di aggradevoli
sensazioni, in guisa tale ch'egli prosegua ad essere occupato dagli oggetti
proposti, e terminatane l'azione, richiamandosi poi la serie delle sensazioni
avute, ne veda una schiera di piacevoli, e sia contento di averle provate. A
tal proposito io osservo che sarebbe intollerabile una musica, se non vi
fossero opportunamente collocate e sparse delle dissonanze, le quali cagionano
una sensazione disaggradevole e in qualche modo dolorosa (Verri 1972, p. 47).
6. Musica e piacere corporeo
Nel XVIII secolo compaiono frequentemente osservazioni
riguardanti l'effetto dei suoni sul corpo e anche su oggetti privi di vita.
John Derham riferisce nella Physico Theologie [Teologia fisica]
(1741) che esperimenti hanno dimostrato che i suoni, se sono dotati di
stabilità e costanza, se cioè la loro successione rappresenta un continuum
temporale, possono esercitare un'azione talmente forte sui corpi da
determinarne la rottura; la semplice voce umana può causare la frantumazione di
un bicchiere di vetro e il suono della musica può danneggiare gravemente il
pavimento di una casa.
Mi ricordo che quando raccontai al signor Willis
l'esperimento del bicchiere che si era frantumato per l'effetto della voce
umana sentii dire da lui che il pavimento della casa di un musicista suo vicino
era stato spesso danneggiato, cosa che egli non aveva esitato a ricondurre al
ripetersi dei suoni musicali.
Non si tratta di parole di Derham, ma di una citazione
da Morhof:
Memini cum ipsi [clarip. Willisio] de experimento
Vitri per vocem fracti narrarem, ex eo audivisse, quod in aedibus Musicis sibi
vicinis aliquoties collapsum pavimentum fuerit: quod ispe sonis continuis
adscribere non dubitavit (Morhof 1683, cap. 12; si veda anche Marpurg 1757, p.
12).
Anche Euler scrive:
Anche la storia ce ne fornisce un bellissimo esempio,
relativamente ai bicchieri. C'era un uomo che riusciva a rompere i bicchieri
lanciando un grido. Quando gli si presentava un bicchiere, egli ne esaminava
anzitutto il suono, poi cominciava a gridare nello stesso suono, facendo così
vibrare il bicchiere. L'uomo allora, mantenendo sempre lo stesso suono,
aumentava con tutte le forze la propria voce, fino a determinare la rottura del
bicchiere, scosso da fortissime vibrazioni (Euler 1958, p. 89, Lettera 26).
E già Boyle notava:
An ancient musician affirmed to me, that, playing on a
base viol in the chamber of one of his scholars, when he came to strike a
certain note on a particular string, he heard an odd kind of jarring noise,
which he thought at first had either been casual, or proceeded from some fault
in the string; but having afterwards frequent occasion to play in that same room,
he plainly found, that the noise he marvelled at was made bey the tremolous
motion of a casment of a window, which would be made to tremble by a
determinate sound of a particular string, and not by other notes, whether
higher or lower” (Boyle 1685, p. 23, chapt. VII, observ. VI).
La musica agisce non soltanto sulla materia inanimata
del bicchiere o di un pavimento, ma anche sul corpo umano; il mezzo, l'aria,
riceve le impressioni dei suoni che sono così recepiti dal senso dell'udito.
Questa analisi induce ad ammettere, per Derham, l'esistenza di un creatore
saggio, onnipotente e buono: come le melodie più belle sono la voce di una
creatura vivente, anche il senso dell'udito è opera di un creatore (cfr. Derham
1741, p. 236).
Anche Moses Mendelssohn nei Briefe über die
Empfindungen prende in considerazione il piacere [Lust] sensibile
che riguarda a suo avviso solo l'uomo ed è possibile solo pro positu
corporis (cfr. JA, I, p. 115); il piacere sensibile è il sentimento
dell'incremento delle funzioni vitali nel corpo. L'effetto della musica deriva
dalla corrispondenza sussistente fra i nervi del corpo umano e le corde degli
strumenti musicali. Mendelssohn polemizza qui con Sulzer, notando che
l'intuizione della perfezione non è compatibile con la natura del piacere
sensibile: i diletti dei sensi non possono promettere all'anima un tesoro di
concetti poiché per essenza sono diversi dai piaceri superiori. Che i suoni, e
in particolare l'armonia delle consonanze determinino tensioni analoghe nel
corpo è sottolineato anche da Euler: quando sentiamo il suono di una corda, le
parti elastiche dell'orecchio vibrano tante volte quante sono le vibrazioni
emesse dalla corda nel medesimo tempo (cfr. Euler 1769, vol. I, p. 8. Euler
affronta il tema in un saggio pubblicato in francese e recensito nello
“Hamburgisches Magazin” nel 1751, 8. Band, 3. Stück, pp. 271-276, in cui
polemizza con Derham).
7. Musica e affetti
L'idea che è a fondamento della cosiddetta Affektenlehre,
diffusasi in Europa nei secoli XVII e XVIII, è che la musica possa determinare
sia il sorgere sia la scomparsa di affetti. Athanasius Kircher (1602-1680),
teorico della musica e scienziato tedesco, gesuita che insegnò ad Avignone, a
Vienna e infine a Roma ne delineò i tratti fondamentali. Fu autore di una Musurgia
universalis sive ars magna consoni et dissoni in 2 volumi e dieci libri
pubblicato nel 1650 e riedito nel 1690 e di una Phonurgia nova (1670).
Derham, che richiama anche il De Poematum Cantu, et Rythmi viribus di
Isaak Vossius, ricorda che il musicista Timoteo riusciva a indurre all'ira
Alessandro con una melodia frigia e a mitigarne, invece, il furore
rallegrandolo con altri suoni. Analogamente, ricorda ancora Derham, un altro
musicista suscitò nel re Erich di Danimarca una collera tale da indurlo a
uccidere con le proprie mani il suo ministro più fidato. Derham riprende questa
concezione e afferma che, poiché agiscono sui nervi, i suoni possono far
sorgere e far tacere gli affetti; Willis, scrive, diceva che la musica agisce
non solo sulla fantasia ma anche sul cuore dal quale può eliminare
preoccupazioni e angoscia (cfr. Derham 1741, p. 235. Sulla forza della musica
si vedano le fonti elencate da Derham 1741, p. 232 nota 29).
Anche Sulzer nota che la musica agisce sull'uomo non
come essere pensante, ma come essere dotato di sensibilità e dimostra questa
sua tesi richiamandosi alla descrizione che Rousseau dà del potente effetto
dell'opera italiana sull'animo degli ascoltatori. Mentre Salimbeni cantava un
adagio, circa 1000 ascoltatori provavano uno stato di diletto, immobili e
silenziosi come se fossero diventati di pietra. All'ascolto di quella voce,
narra Rousseau, una voluttà indescrivibile si impossessò totalmente della sua
anima; e aggiunge che questa impressione non può avere un grado medio; o la si
sente oppure non la si sente affatto e quando la si prova si è trasportati al
di fuori di se stessi e si è in balia della tempesta della passione, che ci
rapisce senza che abbiamo la possibilità di resistere (cfr. Sulzer 1771-1774,
articolo “Musik”, p. 433). Una composizione musicale che non susciti sensazioni
non può essere definita musica autentica. Ne trae la conseguenza che una serie
di suoni che si susseguono l'un l'altro in base a leggi matematiche può essere
il fondamento dell'armonia, la quale però non è ancora musica se non è in grado
di infondere slancio alle nostre sensazioni; la musica autentica risveglia
sensazioni nel cuore (cfr. Sulzer 1771-1774, articolo “Musik”, p. 424).
8. Musica e terapia
Su
queste basi si fonda la convinzione, diffusa nel XVIII secolo, che la musica
possa avere una funzione essenziale nella cura delle malattie. Mendelssohn
attribuisce a Leibniz la convinzione che la medicina potesse fare molto da
questo punto di vista (cfr. JA, I, p. 116). In un'opera di Desarneaux dal
titolo Médecin de l'hopital militaire de Saint-Macaire, Richard de
Hautesierck redige nel 1772 un Recueil d'observations de medécine des
hopitaux militaires in cui descrive gli effetti della musica sulle
convulsioni; una volta che si sia scoperto che questi movimenti scomposti sono
l'effetto dell'azione di vermi intestinali e che essi si riducono sino a
scomparire in seguito al suono della musica, si può ipotizzare che quest'arte
possa guarire in quanto placa il movimento dei vermi, incantandoli con le sue
melodie (cfr. Sulzer 1771-1774, p. 433). Prima di Sulzer già Athanasius Kircher
aveva sottolineato gli effetti medici della musica (cfr. AA XXIX, p. 148).