II
LA
GENESI DELLA TEORIA MUSICALE
DELLA
CRITICA DEL GIUDIZIO
Alcuni fra i dati biografici di cui disponiamo grazie
sia al carteggio sia ai resoconti dei contemporanei sembrano attestare che Kant
disprezzasse profondamente, o in ogni caso non comprendesse, l'arte musicale.
Georg Samuel August Mellin sottolinea la facilità, l'originalità e l'acume con
cui Kant formulava giudizi in metafisica, ma nota al contempo che egli, a
differenza di Kästner, Haydn o Mozart, era debole, goffo e scorretto nel
giudizio su numeri e note (cfr. Mellin 1804, pp. 96-97). Ludwig Ernst
Borowski scrive che Kant considerava la musica mero piacere dei sensi ed
esortava i suoi allievi a tralasciarne lo studio, poiché il tempo e l'esercizio
necessari per conseguire in essa una certa preparazione sarebbero stati sottratti
all'apprendimento di altre scienze. Kant non amava musiche tristi; credeva che,
nel caso in cui proprio si voglia prestare a quest'arte il nostro orecchio, si
debba almeno essere ricompensati con un senso di felicità e benessere.
La musica era per lui un innocente piacere dei sensi.
A me, quando avevo 16 anni e ad altri suoi allievi di allora rivolse il
cordiale avvertimento di non dedicarci ad essa, perché si richiede molto tempo
per impararla e più ancora per eseguirla con una certa maestria, sempre a
scapito di altre scienze più serie. Le musiche funebri poi non gli piacevano
affatto. Credeva (e molti saranno forse d'accordo con lui) che, se proprio si
vuol prestare l'orecchio a quest'arte, si dovrebbe almeno essere compensati col
dono dell'allegria e della serenità (Borowski-Jachmann-Wasianski 1969, p. 74).
Ehregott Andreas Christian Wasianski (1755-1831),
allievo e biografo di Kant, fu dal 1780 cantore nella chiesa e nella scuola di
Tragheim e dal 1786 al 1808 diacono e quindi parroco. Si occupò molto da vicino
della costruzione di strumenti, in particolare di un pianoforte ad archi
realizzato da Johann Ludwig Garbrecht (1748-1810). Egli riferisce:
Un breve divertimento gli
offriva in quell'estate, più che in altri tempi, la musica del cambio della
guardia. Quando la guardia passava davanti a casa sua, faceva aprire la porta
di mezzo della stanza di soggiorno e ascoltava con attenzione e compiacimento.
Si sarebbe dovuto credere che il grande metafisico provasse piacere soltanto a
una musica distinta per armonia, per arditi passaggi e dissonanze naturalmente
risolte, o alle produzioni di compositori seri, come un Haydn; invece non era
così. Lo dimostra il fatto seguente. Nel 1795 venne a trovarmi insieme col
compianto G. R. von Hippel per sentire il mio pianoforte ad archi (Bogenflügel).
Un adagio nel registro dei flautati, che è simile alle note dell'armonica, gli
riuscì più antipatico che indifferente; ma lo strumento col coperchio alzato,
in tutta la sua forza, gli piacque moltissimo, specie quando imitava una
sinfonia a piena orchestra. Ma non poteva ripensare senza disgusto a quando
aveva ascoltato una musica funebre per Moses Mendelssohn che, per ripetere le
sue parole, consisteva in un continuo fastidioso piagnisteo. Si aspettava,
disse, che si esprimessero anche altri sentimenti, non solo, ad es., quelli
della vittoria sulla morte (cioè musica eroica) o quello del trapasso; ed era
già stato in procinto di darsela a gambe. Dopo quella cantata non era più
andato a un concerto per non farsi martirizzare da simili spiacevoli
sensazioni. Le fragorose musiche militari prevalevano su tutte le altre (Borowski-Jachmann-Wasianski
1969, pp. 271-272).
Jachmann dedica la decima lettera al ritratto del
gusto estetico del nostro filosofo:
Meno di
tutte capiva la musica, eppure aveva frequentato talvolta i concerti di grandi
maestri. Non sonava nessuno strumento né consigliava la musica a chi si
dedicava alle scienze, perché era del parere che essa distragga troppo
facilmente dall’occupazione scientifica. Alla musica non riconosceva alcuna
espressione di concetti intellettuali che facciano pensare a qualche cosa, ma
soltanto l’espressione di sentimenti, di sensazioni, dove i pensieri vanno
concepiti a parte. Perciò apprezzava più la musica quando era associata alla
poesia (Borowski-Jachmann-Wasianski 1969, p. 169).
Da questi rapidi cenni si possono però estrapolare
alcune osservazioni che rivelano nel filosofo la presenza di un determinato
tipo di interesse per la musica: Jachmann narra che Kant ha seguito “talvolta
concerti di grandi maestri” ed anche altri hanno notato che nei primi anni
della sua vita ha amato la musica e ascoltato concerti (cfr. Nachtsheim 1997,
p. 10; Güttler 1927, pp. 236-238). Jachmann sottolinea, inoltre, che il grande metafisico provava piacere per una
musica che si segnalasse per armonia, per arditi passaggi e dissonanze
naturalmente risolte, o per le produzioni di compositori seri, come uno Haydn,
ed apprezzava inoltre altre forme di musica non altrettanto serie né elevate. Nel
1768 Rolf Weber scrive nella sua Introduzione ai Vertraute Briefe aus Paris
1792 di Reichardt che Immanuel Kant conosceva il giovane Reichardt perché
lo incontrava in società o compagnie musicali serali e ne indusse i genitori ad
iscriverlo all’Università (Weber 1980, p. 8). Anche Mellin ci aiuta a
comprendere quale fu il rapporto di Kant con la musica: il nostro filosofo
possedeva un giudizio relativo a cose musicali non certo paragonabile a quello
di Mozart, Kästner e Haydn e ciò è da imputarsi ad un difetto del suo udito;
peraltro Mellin nota che la peculiarità dell'atteggiamento di Kant consiste
proprio nel fatto che egli si interessava dei suoni e dei rapporti matematici
fra essi dal punto di vista strettamente filosofico; ed è appunto ciò che
indagheremo nella pagine successive, dando la parola direttamente a Kant.
1. Le Osservazioni sul
sentimento del bello e del sublime
Le Osservazioni sul sentimento del bello e del
sublime del 1764 contengono considerazioni sul nostro tema che non possono
certo essere trascurate e già ci forniscono alcune indicazioni essenziali, la
cui presenza si potrà cogliere anche negli anni successivi. Vi si afferma che
non si dà giudizio sul bello e sul sublime musicale se non sulla base di un
precedente sentimento individuale; che la musica, in quanto arte bella, strappa
l'uomo alla rozzezza e all'animalità del godimento sensibile e favorisce la
cultura dei talenti conoscitivi, della bontà e della nobiltà del cuore.
Le sensazioni di piacere non dipendono dalla
costituzione degli oggetti esterni, ma dal sentimento proprio a ogni essere
umano; poiché fanno parte della natura del singolo soggetto, tutti i sentimenti
possono essere soltanto arbitrari e relativi. Di questa specie sono i
sentimenti rozzi, derivanti dai sensi esterni e corrispondenti alla diversa
natura dei singoli esseri umani; essi possono generare piacere
indipendentemente dalla presenza di un'attività di pensiero e non richiedono né
talenti, né doti intellettuali, poiché si fondano completamente sulla natura
dei sensi. Sebbene rientrino in un orizzonte empirico, i sentimenti del bello e
del sublime, più raffinati, si differenziano dai sentimenti rozzi in quanto
presuppongono un'eccitabilità dell'anima che rende capaci di aspirazioni
virtuose e lascia trasparire talenti e doti intellettuali. L'universalità
empirica, riconosciuta ai sentimenti più raffinati e non ai sentimenti
grossolani, rende possibile la distinzione fra essi: fra i primi si possono annoverare
il sentimento del bello e del sublime, mentre ai secondi appartiene tutto ciò
che rientra nel concetto di utilità. Se sia la bellezza sia il sublime
emozionano, ovvero colpiscono il soggetto e il suo sentimento, l'effetto
prodotto dalla bellezza si può chiamare attrattiva. Che la bellezza attragga
significa che essa genera una sensazione piacevole e viva che è al contempo
“lieta e aperta al sorriso” (Kant 1989, p. 81); l'emozione, che riguarda, in
senso stretto, solo il sublime, causa invece una forte tensione nell'anima e
nelle sue forze e, quindi, una maggiore stanchezza. In questo orizzonte antropologico
il problema della validità dei giudizi estetici non è ancora prospettato
espressamente; l'autore evita anzi accuratamente di entrare nel merito di
questa discussione, perché suo esplicito scopo è esporre l'intero quadro della
natura umana con gli occhi di un osservatore, non con gli occhi del filosofo
(cfr. Kant 1989, p. 79).
Il giudizio su bello e sublime presuppone l'esistenza
di un sentimento, di “organi” specifici che ci pongano in grado di cogliere
l'elevatezza di una poesia o il valore morale della virtù di un eroe. Bello e
sublime appartengono al sentimento proprio di ogni essere umano; essi non
risultano comprensibili grazie a un'attività intellettuale che si serva di
argomentazioni logiche; ciò che ci attrae per la sua bellezza, ciò che ci
emoziona per la sua sublimità può essere avvertito solo dal sentimento e non
può essere colto dall'intelletto. L'abisso che separa intelletto e sentimento
non avrebbe potuto essere segnalato in modo più deciso: “Qui non si tratta
tanto di ciò che l'intelletto comprende, ma di ciò che il sentimento
prova” (Kant 1989, p. 102). Il gusto per una composizione musicale è strettamente
dipendente dal sentimento e molto affine al gusto per la bellezza o la
sublimità della natura. Esso è analogo al gusto per la poesia e al fascino
dell'amore; se è assente il sentimento, sarà assente anche la capacità di
pronunciare un giudizio sul bello e sul sublime di una poesia, di un'azione, di
una musica. “Chi si annoia all'ascolto di una bella musica dà forti motivi di
supporre che le bellezze delle opere letterarie e il sottile fascino dell'amore
avranno poca presa su di lui” (Kant 1989, p. 101).
L'attribuzione al sentimento di un carattere fondante
non esclude però che la musica possa avere un legame con il talento della conoscenza,
dato che le facoltà dell'anima sono intimamente connesse. Le doti dell'animo,
le doti intellettuali, il talento da cui deriva la capacità di conoscenza
dell'intelletto sarebbero stati dati inutilmente agli esseri umani se questi ultimi
non disponessero della facoltà di sentire il bello e il sublime. Solo quando
questo sentimento del nobile e del bello opera come movente che spinge l'essere
umano ad avvalersene in modo corretto e regolare, i talenti acquistano contenuto
e significato. L'osservazione empirica mostra che la musica, la pittura e la
poesia, che fanno venire alla luce e sviluppano la raffinatezza del sentimento,
hanno la funzione di sottrarre l'uomo alla rozzezza del godimento corporeo:
all'ascolto di una bella musica, alla contemplazione di un dipinto, alla
lettura di una poesia il sentimento del bello e del nobile risveglia l'attività
delle facoltà e dei talenti dell'intelletto.
La musica ha peraltro una relazione molto stretta
anche con il cuore ovvero, indirettamente, con il sentimento morale; il cuore è
infatti altro dall'animo, poiché costituisce il principio dell'azione.
Principio al cui interno si possono distinguere due aspetti diversi: la nobiltà
del cuore non coincide, infatti, con la sua bontà. L'introduzione di questa
distinzione deve essere ricondotta al fatto che la maggior parte dei “cuori”
non è sensibile all'effetto di un sentimento morale universale; la bontà del
cuore è quindi una saggia disposizione della provvidenza per spingere al bene
sia quegli uomini che non dispongono di principi morali sia, come vedremo,
tutto il genere femminile. La musica ha dunque rapporto con la nobiltà del
cuore o con la sua bontà? Gli impulsi della bontà del cuore che la provvidenza
ci ha donato non possono essere considerati un particolare merito della
persona, perché sono analoghi agli istinti animali; la musica è quindi sul
medesimo piano della nobiltà del cuore e della vera virtù, la cui presenza
nell'animo umano è, appunto, rivelata dal gusto per la musica. Coloro che alla
partecipazione ad un ricco banchetto preferiscono l'ascolto di una bella musica
si elevano al di sopra del godimento, e la loro scelta può essere valutata come
segno della presenza del sentimento morale.
Si nota che una certa finezza di sentimento viene
ascritta al merito di un uomo. Che uno possa fare un buon pasto a base di carne
e di dolci o che dorma incomparabilmente bene, lo prenderemo a dimostrazione di
uno stomaco di ferro, ma non di un merito. Invece, chi sacrifica una parte del
pasto nell'ascolto di una musica o si immerge profondamente in una narrazione
traendone diletto o legge volentieri cose argute, anche se sono solo minuzie
poetiche, acquista agli occhi di quasi tutti il garbo di un uomo raffinato, del
quale si ha un'opinione elevata e per lui onorevole (Kant 1989, p. 102 nota 7).
Laddove, peraltro, ed è il caso del sesso femminile,
non esiste la possibilità di pervenire a principi, ma è presente, al più, la
bella virtù, la musica educa ed eleva il gusto; esplica quindi una preziosa
funzione educativa; essendo connessa agli impulsi morali incrementa almeno, se
non la nobiltà, la bontà del cuore.
La musica si iscrive, inoltre, in un sistema delle
arti, che però non è né espressamente esposto né fondato con esplicita argomentazione.
La sezione quarta, che si occupa del tema antropologico del gusto delle diverse
nazioni, si sofferma rapidamente sulle arti e sulle scienze proprie di ogni
nazione. L'arte musicale vi compare come quell'arte nella quale il genio della
nazione italiana si è distinto dalle altre nazioni nel corso della storia; vi è
presentata come un'arte bella: “Il genio italiano si è distinto soprattutto
nella musica, nella pittura, nella scultura e nell'architettura. Tutte queste
arti belle [...]” (Kant 1989, p. 124). La musica rientra quindi nelle arti
belle, né vi è passo dello scritto in cui la si trovi catalogata fra le arti meramente
piacevoli.
2. Fra il 1764
e il 1770
La posizione della musica nell'estetica di questa
prima fase è chiarita da un passo degli appunti dalle lezioni kantiane di
metafisica redatti da Herder. Distinta dalla logica l'estetica è designata una
“logica della conoscenza inferiore”. A differenza, però, di Baumgarten, che
aveva introdotto questa separazione, gli appunti attribuiscono alla conoscenza
sensibile un particolare significato e una specifica autonomia: le conoscenze
dei sensi di cui si occupa la musica sono più chiare, più vivaci, e non
inferiori alle conoscenze evidenti. La musica è così al tempo stesso tema
dell'estetica come logica del sentimento e parte integrante di una
rivalutazione della sensibilità.
Aestetica.
Tutte le nostre conoscenze hanno inizio da conoscenze sensibili: esse sono le
prime e le più chiare, le più vivaci e non sono inferiori alle conoscenze
evidenti - emozionano - rendono più comprensibile [faßlicher]; pittura,
musica poesia ecc. si occupano delle conoscenze sensibili. Estetica le regole e
i principi del sentimento essa è logica del sentimento (l'altra logica è logica
del giudizio) Questa è logica della conoscenza inferiore quella della conoscenza
superiore. L'estetica è più utile e più fondata sul gusto della logica (AA
XXVIII, p. 850).
Nell'estetica come logica del sentimento la distanza
fra sentimenti rozzi e sentimenti raffinati si articola in base al loro
rapporto con le tre facoltà dell'animo, il sentimento di piacere, la facoltà conoscitiva
e la facoltà di desiderare: una tripartizione che si può documentare già negli
anni Sessanta. Relativamente al piacere sensibile, fisico, i sentimenti sono
rozzi, non possono essere goduti a lungo perché suscitano presto disgusto; non
sono indizio della presenza di un talento della facoltà conoscitiva e non hanno
alcun rapporto con il sentimento morale. Il sentimento che scaturisce dall'ascolto
della musica non è certo assimilabile ai sentimenti rozzi: esso può essere
goduto a lungo senza suscitare disgusto né sazietà, è indizio sicuro del fatto
che l'uomo possiede talenti; è connesso anche con il sentimento morale. Gli
appunti redatti da Herder confermano, quindi, la concezione espressa nelle Osservazioni
e fanno emergere una valutazione positiva della musica che è inserita fra le
arti belle, raffinate, come poesia, pittura e architettura.
Sentimento più rozzo e più raffinato: più rozzo 1) che
non possono essere continuati a lungo 2) non mostrano tanti talenti e non hanno
alcun nesso con il sentimento morale 1) perciò il mangiare 2) un poeta morale è
più raffinato di Anacreonte: è più morale. Milton ha più talenti di Catullo; più
raffinati: il contrario. 1) il sentimento connesso con il talento e il
sentimento morale perciò poesia, pittura, musica, scultura sono gradualmente
pià raffinate 2) quelli che possono essere continuati più a lungo anche alcune
sensazioni sensibili. Il sentimento sensibile (facoltà di distinguere) si
chiama gusto dove l'impressione emoziona in modo immediato senza giudizio della
ragione. Esempio: se mi trovo in una condizione di sicurezza su di una alta
roccia e tuttavia tremo di paura: il gusto presenta diversità (alcuni hanno
gusto per ciò che è epico ecc. ecc. ) de gustibus non est disputandum (è
all'incirca vero esclusivamente come modo di dire) (AA XXVIII, pp. 864-865).
La musica è chiamata in causa anche nelle Riflessioni
su logica, antropologia e fisica. Nella Riflessione 2033, datata da
Erich Adickes 1752-1756, criticando Meier per aver presentato in una luce
positiva l'erudizione, Kant afferma che l'erudizione è mera cognitio
historica che non può essere utile al filosofo, poiché l'atto del filosofare
può fondarsi solo sull'abilità del soggetto; proprio perché dotato della
capacità di comporre qualcosa di nuovo, il filosofo è simile a un musicista.
L'abilità è, dunque, l'origine soggettiva della filosofia e della musica: arte
e scienza si conciliano in essa. Colui il quale apprenda una musica dimentica i
brani imparati all'inizio, ma mantiene la capacità di suonare; se quindi si
dimentica qualcosa rimane, comunque, l'abilità che ci consente di continuare a
pensare in base alla specie della conoscenza che avevamo appreso.
Nelle annotazioni redatte da Kant nel suo esemplare
interfogliato delle Osservazioni fra il 1764 e il 1766 attrattiva ed
emozione sono spiegate fisiologicamente e si accenna all'armonia; il che propone
un modo diverso di affrontare il tema della musica.
L'armonia deriva dall'accordo del molteplice come
nella musica e nella poesia e nella pittura. Esse sono punti di quiete di
alcuni nervi (Kant 1991, p. 20).
L'armonia implica sempre la presenza di una molteplicità
che genera attività, ma, come unità del molteplice, può approdare alla quiete.
Attività e quiete sono qui rapportate al corpo e inserite in una dimensione
fisiologica; l'armonia è fonte di un piacere di tipo corporeo.
Accanto alla fondazione sul sentimento proprio ad ogni
uomo compare nelle Bemerkungen e in alcune Riflessioni un
elemento che segna l'inizio di una diversa prospettiva: la valutazione dei rapporti
fra i suoni e dell'armonia. Risale agli anni 1752-1756, in base alla datazione
di Erich Adickes, la Riflessione 1676 nella quale la natura dei suoni è
espressamente discussa. Georg Friedrich Meier, autore del manuale scelto da
Kant per le sue lezioni di logica, lo Auszug aus der Vernunftlehre, esprime
la propria convinzione che la rappresentazione di una cosa presente nell'anima
sia simile a un dipinto e ritragga analogamente il suo oggetto. A Meier, Kant obietta
che la rappresentazione non è una copia perfetta dell'oggetto nella nostra
anima; il rapporto fra le parti di cui consta un concetto è infatti analogo al
rapporto fra le parti di cui consta una cosa; i suoni ci possono aiutare a
spiegare meglio questo concetto. Le note di un brano musicale non coincidono
certo con i suoni, ma ne sono una repraesentatio. L'accordo riguarda il
rapporto armonico fra le note e il rapporto armonico fra i suoni: questi due
rapporti si rendono garanti della corrispondenza tra la rappresentazione e la
cosa rappresentata. Già negli anni Cinquanta, dunque, Kant aveva ben presente
l'idea della connessione armonica dei suoni e delle note che vi corrispondono.
Nelle Annotazioni autografe redatte nel proprio
esemplare delle Osservazioni, posto il quesito se il gusto abbia
validità a priori o puramente empirica, nonostante paia propendere per la
seconda soluzione Kant cerca di isolare quelle qualità degli oggetti che corrispondono
al nostro giudizio sul bello e possono suscitare in noi piacere. Simmetria e
ordinamento nello spazio assolvono proprio a questa funzione. La regolarità non
può esistere senza semplicità, la quale ne rappresenta, anzi, una delle
condizioni irrinunciabili: solo la semplicità conferisce unità all'oggetto e
determina ordine e simmetria in base a uno scopo (Kant 1991, p. 111). Il
piacere che deriva dalla simmetria si può comprendere come facilità di pensare
e di rappresentare qualcosa, una facilità che, dal canto suo, è garantita
dall'unità del molteplice. Come la simmetria nello spazio, così l'armonia nei
rapporti temporali: fra spazio e tempo, fra simmetria e armonia sussiste quindi
un'essenziale analogia (Kant 1991, p. 94).
Il nesso fra musica e matematica emerge anche da una Riflessione
la cui datazione non può essere stabilita con precisione, in quanto Adickes
la colloca fra il 1764 e il 1777. L'elemento formale della bellezza si può
considerare sotto un duplice punto di vista: la forma può consistere sia in
rapporti che procedono secondo la qualità, sia in rapporti relativi alla
quantità. I rapporti quantitativi sono matematici poiché in essi “è sempre
presente la medesima unità”, consistono in “partizioni” dello spazio o del
tempo; mentre le partizioni dello spazio determinano il fondamento
dell'architettura, le partizioni del tempo danno luogo alla musica. Musica e
architettura si fondano quindi su relazioni nel tempo e nello spazio che suscitano
piacere [gefallende Verhältnisse]. Queste due arti non hanno di
conseguenza molto in comune con le arti che si fondano su gefallende
Verhältnisse della qualità: rapporti di identità e differenza, contrasto e
vivacità formano, infatti, l'oggetto non della matematica ma della filosofia.
Nel secondo rimane possibile solo una critica; nel primo è possibile dar luogo
a una critica, a una disciplina e infine probabilmente a una scienza dei gefallende
rapporti matematici nello spazio e nel tempo. La matematica offre qui la
possibilità di concepire la musica come oggetto non solo di una critica, di una
valutazione dei suoi oggetti, ma anche di una disciplina che insegni ad
applicare le sue peculiari regole, e infine wohl, probabilmente, di una
scienza, che però è intesa come scienza empirica (cfr. Riflessione 626;
AA XV, pp. 271‑272).
Il contenuto di questa riflessione sembra presupporre
le considerazioni svolte da Kant negli anni Sessanta sulla differenza fra matematica
e filosofia. Che matematica e filosofia si possano ricondurre l'una alla
qualità e l'altra alla quantità è un tema della Indagine sulla distinzione
dei principi della teologia naturale e della morale del 1764. La grandezza
è oggetto della matematica, mentre la filosofia si occupa di qualità.
L'aritmetica si fonda su “poche e chiarissime dottrine fondamentali della
dottrina fondamentale della grandezza (che è propriamente l'aritmetica
generale)”. Da una comparazione fra matematica e filosofia emerge una notevole
diversità: la matematica verte su oggetti caratterizzati da una “facile
comprensibilità” mentre gli oggetti della filosofia rivelano una “assai più
difficile comprensibilità”. Basta confrontare, per esempio, “la facile
comprensibilità di un oggetto aritmetico, che comprende in sé una immensa
molteplicità, con la assai più difficile comprensibilità di una idea filosofica
mediante la quale invece si cerca di conoscere pochi elementi” (Kant 1982, pp.
225-226), per convincersi delle notevoli differenze che caratterizzano le due
discipline. Se ne potrebbe già ricavare la conclusione che i rapporti
matematici nella musica possono essere compresi facilmente e per questo motivo
sono più simili alla facile comprensibilità di un oggetto aritmetico che alla
comprensibilità di oggetti filosofici.
Se questa Riflessione presupponga la conoscenza
dell'opera di Leonhard Euler oppure se Kant abbia elaborato queste concezioni
autonomamente e indipendentemente non si può purtroppo stabilire a causa sia
della datazione incerta della riflessione sia dell'assenza di riferimenti
espliciti; il parallelismo fra musica e architettura, e l'idea della facile
comprensibilità dei rapporti fra suoni espressi matematicamente sembrano
comunque risalire a Euler. Si deve anche sottolineare che dal 1756/57 Kant si
avvale per le sue lezioni di fisica alla Albertus‑Universität‑Königsberg
degli Erste Gründe der Naturlehre di Johann Peter Eberhard (cfr. AA II,
pp. 9-10, 25, 502; AA X, p. 228).
Un altro elemento che diverrà determinante negli anni
successivi è l'attenzione per la struttura del singolo suono: un interesse
sulle prime unicamente fisico, del quale non si trova per ora alcuna traccia in
una teoria del gusto. Nella polemica contro l'identificazione di Meier fra
rappresentazione di una cosa e dipinto, la Riflessione 1676 richiama
l'attenzione non solo sui rapporti fra suoni e sulla loro rappresentazione
mediante note, ma anche sulle vibrazioni dell'aria e sulla loro
rappresentazione mediante la sensazione uditiva. Quando sento quella vibrazione
dell'aria la cui sensazione chiamo suono - scrive Kant - devo notare che
all'interno della mia anima non si verifica alcuna vibrazione. La vibrazione
dell'aria è localizzata nell'oggetto e la rappresentazione della vibrazione
nell'anima è la sensazione del suono che però non ritrae né copia la vibrazione
esterna come un dipinto, ma è diversa dalla vibrazione. L'accordo fra la
rappresentazione e le cose rappresentate, accordo da cui scaturisce il concetto
della repraesentatio, non è quindi una copia perfetta delle cose nella
nostra anima. L'aria consta di vibrazioni che sono sentite dal soggetto e
questa sensazione si chiama suono; il suono è una sensazione soggettiva, non
una proprietà oggettiva. La vibrazione dell'aria è certo oggettiva, ma ad essa
corrisponde la sensazione del suono, non vibrazioni nel soggetto.
All'ambito della fisica risale anche l'equiparazione
fra suono [Schall] e luce. Schall e Ton sono diversi l'uno
dall'altro e il loro rapporto è analogo a quello che intercorre fra luce e
colore: “La luce e il calore sembrano distinguersi tra loro come suono e vento,
la luce e i colori come Schall e Töne” (Riflessione 20; AA
XIV, p. 65). Soggiunge poi: “Le corde tese [possono] devono emettere undulationes”.
Come già l'idea dei rapporti fra suoni anche la spiegazione fisica del singolo
suono che abbiamo appena riferito dimostra con chiarezza che Kant era a
conoscenza degli sviluppi dell'acustica; il riferimento alle teorie di Euler
compare, infatti, come dato costante nei manuali di cui si avvaleva per le
lezioni di fisica. Perché parla di undulationes? Il ricorso a questo
termine è puramente casuale oppure presuppone la conoscenza di teorie
acustiche? Se Euler è l'autore al quale si collega la fondazione della bellezza
dei rapporti fra più suoni, si deve ora mostrare che in Euler si può riconoscere
in questa fase una fonte anche relativamente alla determinazione della bellezza
del singolo suono. Adickes ritiene che non si possa dedurre dalla Riflessione
20 che Kant conoscesse già le Lettres à une princesse d'Allemagne sur
divers sujets de Physique et de Philosophie; pensa che Kant abbia avuto
notizia delle teorie di Euler grazie a Eberhard e Segner oppure abbia letto la Nova
theoria lucis et colorum di Euler (cfr. AA XIV, p. 81). Si può, però, anche
notare che Kant avrebbe potuto prendere visione di un estratto di quest'opera
redatto da Abraham Gotthelf Kästner nel 1750 per lo “Hamburgisches Magazin”.
Già lo scritto De Igne del 1755 accetta la teoria ondulatoria di Euler:
“[…] hypothesin natura e legibus maxime congruam et nuper a clarissimo Eulero
novo praesidio munitam […]” (AA I, p. 378); come abbiamo visto, nella Nova
theoria lucis et colorum si mostra che corpi opachi possono diventare visibili
per un processo analogo a quello per cui la corda, accordata su una determinata
nota, pur senza essere toccata, suona non appena uno strumento emetta questo
stesso suono: paragone, questo, che presuppone l'accettazione della teoria
ondulatoria.
3. Intorno al 1770
Poiché l'elaborazione della dottrina della musica e
delle sensazioni acustiche è, all'inizio degli anni Settanta, parte integrante
della teoria del gusto, un'adeguata comprensione delle Riflessioni e
degli appunti dalle lezioni richiede l'esposizione dei principi dell'estetica
kantiana. Se ne potrà arguire la conclusione che le considerazioni sull'arte
musicale non sono semplicemente occasionali, né derivano solo dall'intenzione
di raccogliere osservazioni empiriche, ma manifestano un legame molto stretto
con la fondazione dei criteri del gusto.
Nel proprio esemplare della Metaphysica di
Baumgarten Kant annota riflessioni estetiche accanto a riflessioni teoretiche;
la struttura delle annotazioni autografe tradisce l'intenzione dell'autore di
rendere fruttuosi i risultati delle sue ricerche teoretiche in un contesto
estetico (cfr. AA XV, p. 273). Per la concezione dell'estetica intorno al 1770
è determinante la dissertazione De mundi sensibilis atque intelligibilis
forma et principiis; la sensibilità vi è definita ricettività mediante la
quale lo stato del soggetto è colpito da un oggetto esterno; la materia, in
quanto presuppone la passività del soggetto, è contrapposta alla forma; solo
quest'ultima, grazie alla coordinazione delle singole impressioni, rende
possibile la conoscenza dell'oggetto (cfr. Kant 1982, pp. 419-461). È
interessante ricordare che Kant ha cercato di rappresentare sensibilmente
l'idea di coordinazione e l'idea di subordinazione con figure, appellandosi
alle Lettere a una principessa tedesca di Euler che giocano per lui un
ruolo fondamentale nella comprensione della musica: “Euler cercato di rendere
sensibile ciò attraverso figure. Ma è più grave che solo la coordinazione, non
la subordinazione si possa mostrare in figure. Infatti i sensi o meglio
l'intelletto possono solo coordinare, la ragione subordina” (AA XXIV, p. 454).
Queste definizioni hanno una finalità meramente teoretica, né sono applicate a
problemi estetici.
La determinazione del sentimento di piacere e del
giudizio di gusto trae origine dal tentativo, intrapreso - e dunque via via documentabile
- nelle lettere, nei manoscritti postumi e negli appunti dalle lezioni, di
trasferire i principi della dissertazione al giudizio sul bello. In una lettera
a Herz del 7 giugno 1771 Kant afferma di essere occupato da un progetto che
dovrebbe avere per titolo I limiti della sensibilità e della ragione,
nel quale siano stabiliti sia i concetti fondamentali e le leggi del mondo
sensibile, sia la dottrina del gusto, la metafisica e la morale (cfr. AA X
117). La teoria del gusto è parte di questo abbozzo. In una lettera del 21
giugno 1772 diretta sempre a Herz il progetto è suddiviso in una parte
teoretica, che si articolerà a sua volta in fenomenologia generale e
metafisica, ed una parte pratica, in cui saranno esaminati i principi
universali del sentimento, del gusto e del desiderio sensibile e i primi
principi della moralità. Kant dichiara di essere a buon punto nella distinzione
del sensibile dall'intellettuale nella morale nonché di aver identificato i
principi del sentimento, del gusto e della facoltà di giudicare e i loro
effetti, ovvero il piacevole, il bello e il buono. Commentando questi passi del
carteggio, Paul Menzer ha affermato:
Così è dimostrato che nella prima parte della
filosofia pratica Kant voleva trattare scienze che avessero essenzialmente
carattere empirico e ne separava la filosofia morale pura. Non vi può essere
alcun dubbio sul pensiero di Kant in quella fase relativamente al carattere
scientifico dell'estetica. La soluzione poteva essere ricavata dalle teorie
della dissertazione. Non era una soluzione definitiva come neppure lo era il
progetto elaborato nella lettera; se ne può solo ricavare che l'estetica si
trova a metà fra filosofia teoretica e filosofia pratica (Menzer 1952, p. 71).
Non si può negare che la parte pratica dell'opera
progettata sembri trattare solo discipline di natura empirica dalle quali è
distinta la filosofia morale, ma sarebbe arduo sostenere che in questa fase sia
esclusa l'esistenza di principi a priori della teoria del gusto.
La lettura dei Prolegomeni al corso di
antropologia del semestre invernale 1772/73, il cui contenuto è trascritto
negli appunti del volume XXV dell'Edizione dell'Accademia, induce a riconoscere
con chiarezza che Kant nutriva uno spiccato interesse per la ricerca dei
fondamenti del gusto. Il progetto delle lezioni illustrato nei Prolegomeni
prevede l'analisi dei primi principi del gusto e del giudizio del bello (cfr.
AA XXV, p. 8). Sebbene non sia impresa facile conferire un'esatta e indubbia
collocazione temporale alle Riflessioni dei manoscritti postumi, non si
può negare che il nesso con la dissertazione del 1770 e con gli appunti dalle
lezioni compaia in essi con chiarezza. La Riflessione 716 distingue,
infatti, un'estetica generale trascendentale da un'estetica particolare che
sembra coincidere con la teoria del gusto e tratta il piacere e il dispiacere
(cfr. Riflessione 716; AA XV, p. 317). L'estetica è scienza dei sensi in
generale e si suddivide in estetica trascendentale, estetica fisica ed estetica
pratica; l'ultima si occupa del piacere e del dispiacere nella sensazione (cfr.
AA XXV, p. 43). Il concetto di un'estetica trascendentale, il cui oggetto
coincide con le leggi del tempo e dello spazio non si può sviluppare in
un'antropologia, ma deve essere riservato a una teoria della conoscenza.
L'estetica fisica, invece, e l'estetica pratica possono essere svolte in
un'antropologia (cfr. AA XXV, p. 268).
Passiamo ora all'analisi della teoria musicale
elaborata con ampiezza sia nelle Riflessioni sia nelle Lezioni.
La bellezza è una proprietà la cui validità è limitata agli esseri umani e non
può riguardare né angeli, né creature celesti. Solo gli esseri umani, che hanno
a loro disposizione la facoltà della sensibilità, sono in grado di percepire
bellezza e bruttezza e di istituire tra di esse una differenza; queste
proprietà dipendono dalla particolare costituzione della nostra sensibilità e
non si possono determinare indipendentemente da essa:
I giudizi sulla bellezza sono universali per gli
esseri umani. I giudizi sul bene sono universali per tutti gli esseri dotati di
ragione, a prescindere da che cosa e dove essi siano. In angeli o creature dotate
di ragione che si trovano su altri pianeti il bello non può suscitare piacere [gefallen],
perché essi possono avere leggi della sensibilità diverse dalle nostre (AA
XXV, p. 198).
Mentre la validità dei principi morali non è limitata
agli esseri umani, ma si estende a tutti gli esseri razionali, la fondazione
della validità del giudizio di gusto può essere intrapresa esclusivamente entro
la sfera della sensibilità e rimane quindi ristretta alla cerchia della natura
umana. Il giudizio estetico sulla musica si fonda su una delle due regole della
coordinazione, la forma del tempo e, come tale, ha validità a priori, ovvero
universale e necessaria.
Spesso l'estetica di Kant intorno al 1770 è presentata
come una disciplina di carattere empirico. Windelband ritiene che una lettera
indirizzata nel 1771 da Kant a Markus Herz potrebbe dimostrare che “la teoria
del gusto sarebbe stata concepita come una dottrina meramente empirica e non
determinata da principi a priori” (AA V, p. 514) ed equipara il punto di vista da
lui assunto in questa lettera con quello della prima edizione della Critica
della ragion pura. A parere di Menzer, sebbene Kant abbia rifiutato già in
questa fase un'estetica concepita secondo il modello di Baumgarten, ciò non
significherebbe “che una critica del gusto sia impossibile. Essa può contenere
tranquillamente regole empiriche” (Menzer 1952, p. 71). Sebbene Menzer abbia
preso in considerazione la prospettiva dell'applicazione della validità a
priori del tempo all'estetica come logica della sensibilità, egli non ha voluto
ricavarne la conclusione che il giudizio di gusto abbia già in questa fase
carattere a priori (cfr. Menzer 1952, p. 198). Schlapp ha riconosciuto il
momento dell'a priori del gusto negli appunti dalle lezioni di antropologia denominati
Brauer. Tuttavia, a causa dell'errata datazione del testo, che riteneva
risalisse al 1779, ha pensato che Kant avesse trovato in quella data un
principio a priori del gusto. Nella Logik‑Philippi, che Schlapp
data intorno al 1770, Kant aveva già compiuto il tentativo di fondare regole
del gusto sulle leggi universali della sensibilità e sul loro accordo. Secondo
Schlapp Kant le avrebbe però considerate empiriche (cfr. Schlapp 1901, p. 187).
Kant non nega che il gusto contenga più elementi
empirici che principi a priori, ma non gli sembra impossibile che non tutte le
regole del gusto siano tratte dall'esperienza e che alcune abbiano origine
nella natura e nella costituzione della nostra sensibilità. Nelle Lezioni
antropologia leggiamo: “Vi sono però certe leggi universali che io
riconosco a priori con la ragione prima di ogni esperienza” (AA XXV, p. 197).
Certo vi è molto di empirico nel gusto e molto è derivato in esso in occasione
dell'esperienza, ma non tutte le regole sono derivate da essa e se il giudizio
di gusto è accompagnato dall'intelletto esse si fondano certo nella natura
della nostra sensibilità (cfr. AA XXV, p. 378).
In alcuni passi l'estetica è definita una scienza
nella quale le leggi universali della sensibilità giocano un ruolo fondamentale
nella determinazione della validità universale del giudizio di gusto. Bello e
brutto sono determinazioni dell'oggetto, che valgono in relazione a esso:
esistono leggi universali della sensibilità, il tempo e lo spazio. L'estetica è
quindi scienza, è logica della sensibilità che può legittimamente coesistere
con la logica dell'intelletto. Ci si potrebbe chiedere se Kant non stia
parlando dell'estetica come scienza teoretica dello spazio e del tempo, ma il
contesto nel quale questa formulazione compare non dà adito a dubbi:
La bellezza e la bruttezza sono veramente proprietà
degli oggetti e si potranno stabilire sia leggi universali della sensibilità
sia leggi universali dell'intelletto, sia una scienza per quelle e una
estetica, sia una scienza per queste ultime ovvero una logica (AA XXV, p. 378).
La dottrina del gusto non è propriamente una dottrina,
ma una critica, ovvero una distinzione del valore di un soggetto già dato; la
critica ci insegna a valutare noi stessi, acuisce il nostro Giudizio [Urtheilskraft]
e risveglia indirettamente il nostro genio (cfr. AA XXV, p. 385).
Seguiamo ora, in un discorso più particolareggiato, il
delinearsi del pensiero di Kant a questo proposito. All'ascolto della musica
l'udito percepisce i rapporti matematici fra i suoni e li giudica; l'udito è
strumento del gusto, la cui attività si fonda sull'intuizione pura del tempo ed
è facilitata da relazioni facilmente comprensibili. Nel capitolo sui sensi e
sugli organi di senso delle Lezioni di antropologia si chiarisce che non
sussiste di per sé, se ci si attiene ad una mera analisi della natura del
senso, alcun rapporto fra udito e piacere estetico; l'udito non presenta di per
sé alcun interesse per la valutazione della bellezza, e dal punto di vista
fisico non vi è alcun passaggio dal senso alla rappresentazione del bello o del
piacevole. Quando sentiamo un suono, le parti elastiche dell'organo di senso
sono colpite da una serie di vibrazioni in rapida successione; vibrazioni che
provengono dai corpi che emettono il suono e sono trasferite all'udito
attraverso l'aria. “L'udito di per sé non alcuna qualità, perché il succedersi
di vibrazioni sulle parti elastiche in tensione non dà alcuna rappresentazione
del piacevole, né del bello […]” (AA XXV, pp. 275-276).
Questa descrizione fisica è però completata dalla
constatazione che l'udito è dotato della capacità di prestare attenzione alle
relazioni proporzionate e armoniche fra i numeri delle vibrazioni dell'aria, e
di averne una percezione distinta. Il succedersi temporale delle impressioni
colpisce in modo significativo il nostro udito, il quale non è contrassegnato
da una semplice passività; la percezione delle impressioni in successione non
si esaurisce nella semplice stimolazione dell'organo di senso e delle sue parti
costitutive. Sebbene questo sia il risultato cui ci potrebbe condurre
un'analisi empirico-antropologica del piacere [Vergnügen], si deve
sottolineare che la natura dell'udito e del piacere [Lust] che ne deriva
non si esauriscono in questo processo. L'udito si rivela “strumento
dell'aritmetica delle sensazioni”, poiché in esso si rende visibile la capacità
di prestare attenzione alla proporzione fra le impressioni, capacità che
contraddistingue un udito musicale; la sua capacità di giudicare sia il bello
sia la differenza dal piacevole non può essere messa in dubbio. Il senso
dell'udito dimostra, attraverso la percezione dell'ordine delle impressioni,
che l'anima ha la facoltà di essere particolarmente
attenta alla proporzione dei numeri, e quindi anche di provare [empfinden]
piacere [Gefallen] o dispiacere [Mißfallen] per le vibrazioni che
si succedono armonicamente o disarmonicamente sulle parti elastiche
dell'organo. L'udito è quindi solo uno strumento dell'aritmetica attraverso le
sensazioni (AA XXV, p. 276).
Il capitolo sui sensi rientra ancora nell'orizzonte
della facoltà conoscitiva, l'analisi condotta nel capitolo sul gusto si
riferisce invece al sentimento di piacere e dispiacere, con l'intento di
chiarire se un giudizio di validità universale sulla proporzione dei suoni e
sull'armonia musicale sia possibile. Il piacere [Wohlgefallen] estetico
non consegue all'azione dell'aria sulle parti elastiche del nostro organo;
fatto, questo, esclusivamente fisico; solo quando l'armonia e la proporzione
che regolano il gioco delle sensazioni temporali sono percepite dall'udito,
grazie al quale il soggetto avverte d'essere facilitato nel comprendere in
unità rapporti semplici, si origina il sentimento di piacere. Alla forma
soggettiva del tempo corrisponde una struttura formale oggettiva che non può
essere se non un rapporto: in caso contrario, infatti, si dovrebbe trarre la
conclusione che il giudizio che è dato dalla forma del tempo si indirizza
sull'elemento materiale, il che però renderebbe impossibile l'oggettività del
giudizio. La forma dell'oggetto del gusto è una relazione che presuppone la
successione, può essere definita “gioco delle sensazioni” e non deriva dalla
materia. “Per questo la musica nella quale vi è una successione di suoni è
detta gioco” (AA XXV, p. 45). Il gioco è propriamente il “fenomeno”; la melodia
ovvero il timbro [Klang] dei suoni costituisce invece la materia o
attrattiva; mentre il timbro suscita attrattiva e non ha quindi validità a
priori, il gioco come rapporto temporale è il correlato di leggi universali
della sensibilità. Si legge nella Anthropologie‑Hamilton:
L'attrattiva nella musica è in ciò che pone in
movimento i miei affetti. Una composizione conforme a tutte le regole musicali
può essere bella, può piacere [gefallen] e tuttavia non ha attrattiva,
ci lascia indifferenti e noi approviamo soltanto.
La distinzione fra armonia e melodia è presentata, in
una Riflessione, come analoga alla differenza fra mondo sensibile e
mondo intelligibile: “Non si dovrebbe forse dire che tutta la bellezza è nella
natura la melodia e nel mondo intellettuale la misura?” (Riflessione
700, 1770‑1771; AA XV, p. 310). Non si deve però dimenticare che la
misura è riferita alla forma del mondo sensibile non alla forma del mondo
intellettuale. La distinzione fra musica terrena e musica celeste risale alla
tradizione pitagorica e platonica, viene poi ripresa da Boezio e la si incontra
ancora in Schelling (cfr. Moiso 1990, p. 230).
Nella musica l'elemento melodico o il timbro dei suoni
costituisce la materia; la sua forma è data dall'alternanza armonica dei suoni.
Per quanto attiene alla materia o al timbro, all'uno può risultare piacevole un
determinato strumento, all'altro un altro; essa non concerne, infatti, se non
la sensazione, che può essere diversa a seconda dei diversi soggetti. Per
quanto riguarda, invece, la forma della musica, un concerto armonico deve
necessariamente essere giudicato bello da tutti (cfr. AA XXIV, p. 348). Al
timbro del singolo strumento si contrappone l'accordo armonico di tutti gli
strumenti, che si impone come il vero e proprio oggetto del gusto in un
concerto.
Sin qui abbiamo preso in considerazione il caso in cui
una musica generi piacere [Wohlgefallen]; se i rapporti numerici fra i
suoni si possono esprimere solo grazie a numeri complessi, alle consonanze
subentrano le dissonanze che danno origine a un sentimento contrario a quello
del piacere: poiché ostacolano il gioco delle nostre facoltà, le dissonanze non
generano piacere estetico, ma anzi lo ostacolano; la loro presenza può però
anche contribuire al piacere, introducendo varietà e alternanza, e incrementano
il gioco delle facoltà.
La posizione della musica nel sistema emerge con
particolare chiarezza, poiché è sottoposta ad indagine, nel suo aspetto
formale, nel contesto di una teoria della sensibilità. Tutte le
rappresentazioni che si riferiscono ai sensi hanno sia un aspetto materiale,
sia un aspetto formale; nella materia rientra l'impressione sui sensi, che però
non è sufficiente di per sé a fornire al soggetto il concetto dell'oggetto; la
forma coincide invece con l'intuizione e con il tempo.
Una delle sue [dell'estetica,
P.G.] leggi è la seguente: tutto ciò che facilita ed estende le intuizioni
sensibili, ci rallegra in base a leggi oggettive che valgono per tutti. Le
nostre intuizioni sensibili possono essere o nello spazio e sono le figure e le
forme delle cose o nel tempo, e sono il gioco delle sensazioni.
Si deve sottolineare che l'a priori del giudizio è
reso possibile solo dal tempo, perché nel tempo si realizza, appunto,
quell'unificazione formale del molteplice che ha la funzione di facilitare la
sensazione e di suscitare piacere. L'a priori non coincide, dunque, con la
facilitazione della sensibilità, ma con la forma del tempo. Ciò emerge con
chiarezza da una Riflessione cui si deve assegnare la precedenza
rispetto agli appunti dalle lezioni, in quanto è di mano di Kant:
Abbiamo parlato di ciò che piace [gefallt],
perché fa parte del nostro stato [Zustande] o lo colpisce e riguarda il
nostro benessere. Ora parliamo di ciò che piace [gefallt] di per sé, a
prescindere dal fatto che il nostro stato ne sia mutato oppure no, di ciò che
piace in quanto è conosciuto, non in quanto se ne ha sensazione. […] poiché
ogni oggetto della sensibilità ha un rapporto con il nostro stato perfino per
ciò che rientra nella conoscenza e non nella sensazione, ovvero nella
comparazione del molteplice e della forma (poiché questa stessa comparazione
colpisce il nostro stato in quanto ci crea difficoltà oppure è facile, vivifica
oppure ostacola la nostra attività conoscitiva): così vi è qualcosa in ogni
conoscenza che rientra nella gradevolezza [Annehmlichkeit]; ma in tal
modo l'apprezzamento non arriva all'oggetto e la bellezza non è qualcosa che
possa essere conosciuto, ma che possa essere solo sentito. Ciò che piace
nell'oggetto e ciò che consideriamo come una proprietà di esso deve consistere
in ciò che vale per tutti. Ora, i rapporti dello spazio e del tempo valgono per
tutti a prescindere dalle loro sensazioni. Di conseguenza in ogni fenomeno la
forma è di validità universale; questa forma è conosciuta anch'essa in base a
regole comuni della coordinazione; ciò che quindi è conforme alla regola della
coordinazione nello spazio e nel tempo, piace necessariamente a tutti ed è
bello. Il piacevole nell'intuizione [Anschauen] della bellezza riguarda
la comprensibilità [Faslichkeit] di un intero, e solo la bellezza
riguarda la validità universale di questi rapporti convenienti [schiklich].
Si muove, qui, dalla differenziazione fra bello e
piacevole: il primo è affezione del nostro stato [Zustand] che
incrementa il nostro benessere e ha quindi un effetto sul nesso animo-corpo in
quanto oggetto della sensazione, il secondo è una conoscenza indipendente
dall'affezione del nostro stato e non incrementa né diminuisce il nostro
benessere. Il piacevole diletta [vergnügt], il bello piace [gefällt].
Questa rigida separazione fra i due campi deve essere completata da una
considerazione più profonda. La sensibilità è, infatti, implicata sia nella
sensazione del piacevole sia nella conoscenza del bello; non si può parlare di
un piacere [gefallen] per il bello nel quale non si verifichi al tempo
stesso un'affezione della sensibilità e del nostro stato. Anche nella
conoscenza del bello è presente una sensazione, che però non si qualifica come
singola affezione da parte della materia che attrae isolatamente e casualmente
il nostro stato, ma come attività di comparazione del molteplice, il cui
risultato è una forma. Si tratta di un'attrattiva di specie superiore:
un'attrattiva formale, che con la facilità e la semplicità della sua
rappresentazione vivifica oppure ostacola la nostra sensibilità, generando un
incremento vicendevole fra le facoltà conoscitive.
Kant distingue dunque l'unificazione di un molteplice,
che facilita la sensibilità, dalla validità universale di ciò che facilita la
sensibilità, ovvero il tempo. Si veda anche la Riflessione 630: “Nella
bellezza rientra nel piacere corporeo [Vergnügen] ed è soggettivo il
fatto che la forma dell'oggetto faciliti le attività dell'intelletto, è però
oggettivo che questa forma sia universalmente valida” (AA XV, p. 274). Tutti
gli oggetti della sensibilità hanno un rapporto con il nostro stato; da ciò
dipende la facilitazione presupposta da questo rapporto; essa non riguarda la
sensazione, ma il fenomeno. Sebbene debba essere posta in relazione con la
comparazione del molteplice e con la forma, questa comparazione che costituisce
la base del bello colpisce il nostro “stato” in quanto incrementa oppure
ostacola la nostra attività conoscitiva nel suo complesso. Vi è dunque in ogni
conoscenza qualcosa che attiene alla gradevolezza; il fatto che la sensibilità
sia facilitata rientra nel piacevole; non casualmente, quando parla del
sentimento in questa fase del suo pensiero Kant ricorre al termine “afficiren”;
solo più tardi riconoscerà la possibilità di un sentimento che non sia mera
ricettività, ma attività (cfr. Riflessione 806; AA XV, p. 298).
Sul terreno della critica del gusto si è dimostrato
che il tempo è il principio soggettivo a priori cui corrispondono i rapporti
universali e necessari del molteplice delle sensazioni; l'udito giudica la
musica un gioco che si verifica nel tempo. Ora si pone la domanda onde abbia
origine il sentimento di piacere, ovvero se il gioco delle sensazioni sia
immediatamente piacevole [angenehm] oppure piaccia [gefalle]
perché procura all'intelletto, nell'unificazione di una molteplicità estesa,
comprensibilità [Begreiflichkeit] e facilità [Leichtigkeit] e
quindi evidenza nella totalità della rappresentazione. La soluzione è data
dalla seconda possibilità; il gioco delle sensazioni piace non in modo
immediato, ma grazie alla facilitazione della rappresentazione. Finché la
validità a priori non riguarda il sentimento ma è una proprietà del tempo come
forma pura dell'intuizione, rimane irrisolto il problema del sentimento di
piacere per il bello. Una critica del gusto non può, però, accontentarsi della
scoperta che l'universalità e la necessità della bellezza nella musica
scaturiscono dalla forma pura del tempo, ma deve adempiere al compito di
elaborare i fondamenti del sentimento; il sentimento è una facoltà non
riconducibile alla conoscenza. Se il filosofo ha scoperto che l'unico principio
a priori è dato dal tempo ed esso non è in grado di determinare di per sé la
genesi del piacere [Wohlgefallen], deve aggiungersi una nuova
componente, qualcosa che colpisce il nostro sentimento; ciò deve accadere in
modo tale che la particolarità del gusto non ne sia danneggiata. Il gusto,
infatti, non si riferisce direttamente alla conoscenza, ma al sentimento di
piacere e in tal modo implica in base alla sua propria natura il nesso con la
sensazione e con la dimensione dell'individuale e del contingente; non può
essere quindi risolto in una caratterizzazione puramente logica. La soluzione
che Kant elabora in questa fase muove da una distinzione: da un lato le leggi
formali universali della sensibilità e la loro validità universale a priori, il
cui fondamento è la forma dell'intuizione pura del tempo; dall'altro un
sentimento di piacere anch'esso formale, che si riferisce a questa forma
dell'intuizione e proviene dalla facilitazione delle facoltà conoscitive. Un
brano musicale non solo è giudicato grazie alla legge della coordinazione nel
tempo, ma anche mette in movimento le nostre facoltà conoscitive. Poiché il
giudizio di gusto sulla musica presuppone il tempo, la validità universale di
questo giudizio deriva anche dalla forma del tempo; la valutazione di quella
validità universale dà luogo alla bellezza, mentre il sentimento di piacere
deriva dalla facilitazione causata dall'armonia (cfr. Tonelli 1955, pp. 168‑171).
La funzione dell'intelletto non può essere esclusa; e, anzi, nella Riflessione
1798 si nota che “la forma essenziale del bello consiste nell'accordo
dell'intuizione con le regole dell'intelletto - musica - proporzione […]”. Non
si profila quindi alcun contrasto tra sensibilità e intelletto, anzi la
valutazione del bello esige il loro rapporto; la sensibilità deve accordarsi
con le regole dell'intelletto se si vuole che si riconosca la bellezza.
I due aspetti sono presi in considerazione anche
intorno al 1772: nella Anthropologie‑Parow il tempo è il
fondamento a priori del gusto. La facilitazione e l'estensione della
sensibilità sono leggi dell'estetica grazie alle quali soltanto è possibile il
piacere [Wohlgefallen]:
Ciò suscita piacere [gefällt] perché tutto ciò che incrementa la nostra vita ha su di noi questo effetto che si può attribuire a una facilitazione dell'intuizione sensibile in quanto gli esseri umani non possono rappresentarsi altrimenti una grande molteplicità. Un'estensione della nostra conoscenza e della molteplicità sono però necessarie per il piacere [Wohlgefallen] sensibile (AA XXV, pp. 378-379).
Ciò è confermato dalle Riflessioni. Nella Riflessione 702 l'autore scrive:
Poiché lo spazio e il tempo sono condizioni universali
di possibilità degli oggetti in base a regole della sensibilità, l'accordo
armonico del fenomeno o della sensazione nei rapporti spaziali e temporali con
la legge universale del soggetto atta a produrre tale rappresentazione secondo
la forma è accordo con ciò che necessariamente si accorda con la sensibilità di
ognuno. Quindi con il gusto. Al contrario, l'accordo con la sensazione è
solo casuale. Il gusto è socievolezza. Musica (Riflessione 702; AA XV,
p. 311).
E anche nella Riflessione 1810 si legge:
La perfezione estetica in relazione alla conoscenza o
in relazione al mero sentimento di piacere. Quella è occupazione, questa gioco.
Piace molto [gefallt sehr], se l'occupazione ha l'apparenza del gioco.
Non piace se il gioco sembra occupazione seria. È occupazione seria: accordare
sensibilità e intelletto per l'incremento della conoscenza. Al contrario, un
mero gioco è: mettere in rapporto la sensibilità con il sentimento di piacere
in base a leggi universali (della disposizione), perché ciò non contribuisce
alla conoscenza, come la musica e il suono ricercato oppure il chiasso della
sensazione. Quindi, non vi può essere alcuna perfezione estetica della
conoscenza, ma solo perfezione [estetica, P.G.] del gusto. Non proviamo piacere
[misfellt sehr] se in una esposizione di carattere scientifico che mira
alla conoscenza troviamo ciò che è richiesto dal gusto (Riflessione 1810;
AA XVI, p. 124; 1769‑1770).
Quando si consultino le Logik-Nachschriften, ci
si imbatte in una citazione esplicita che rende possibile identificare l'autore
cui Kant si appella nel momento in cui introduce il concetto di facilitazione
delle attività conoscitive e dell'ordine da esse percepito; l'ipotesi che Kant
abbia ricevuto impulsi determinanti dalle Lettere di Euler diventa dato
di fatto documentabile.
Un oggetto grande come un edificio piace quando ha in
sé simmetria la quale facilita la vista dell'edificio. Gli accordi nella musica
suscitano piacere grazie al rapporto semplice fra i suoni. L'ottava è come una
proporzione 1 a 2; l'ottava alla quinta come 1 a 3. vid. Eulerum p. 16. Tutto
ciò che estende la rappresentazione della nostra sensibilità, la facilita e la
rende più evidente, piace. Vi sono quindi leggi comuni della sensibilità
relative alla forma e queste leggi, se non sbaglio, sono quelle che ho
analizzato finora (AA XXIV, p. 353; cfr. anche II, p. 414; si veda anche AA IX,
p. 103, AA XVI, pp. 715, 726, 729).
Stranamente il riferimento a Euler nella Logik‑Philippi
è trascurato da Schlapp, il quale trascrive nella sua monografia altri
estratti da questa serie di appunti (cfr. Schlapp 1901, p. 98 nota), né è
spiegato da Nachtsheim nella sua edizione di testi kantiani sulla musica (cfr.
Nachtsheim 1997, p. 129).
È possibile però appurare che Kant pensa alla pagina
16 delle Lettere nell'edizione del 1769, alle quali si riferisce anche
nella Dissertazione del 1770 (cfr. AA II, pp. 414 e 419) e che riproduco
secondo l'originale:
Man kann sagen, daß alle Verhältnisse von 1 zu 2, 1 zu
4, 1 zu 8. 1 zu 16, die wir bisher untersucht haben, und die die Natur einer
einfachen, doppelten, drey und vierfachen Octave in sich enthalten, ihren
Ursprung von der Zahl 2 nehmen, indem 4, 2 mal 2; 8, 4 mal 2; 16, 8 mal 2 ist;
so daß, wenn man keine andere Zahl als die Zahl 2 in der Musik annimmt, man zur
Kentnnis keiner anderen Art von Accorden oder Consonanzen kommt, als der, der
die Tonkünstler eine Octave, eine einfache oder doppelte oder dreyfache nennen.
Richiamandosi sempre a Euler, che nel concetto di
ordine aveva distinto proporzione e misura, una Riflessione che risale
agli anni 1769-1770 afferma che l'ordine richiede sia l'uniformità temporale in
base alla misura del tempo sia una proporzione facilmente comprensibile
derivata da rapporti numerici:
Il gioco delle sensazioni richiede in primo luogo
divisioni uniformi nel tempo (uniformità nella misura del tempo) o misura, 2.
Una proporzione comprensibile che risulta dai rapporti delle modificazioni
delle parti (Riflessione 685; AA XV, p. 305).
Analogo il testo della Logik‑Philippi:
La musica non dà oggetti né descrizioni di essi. La
proporzione, che in nessun'altra specie del bello è così precisa e così
molteplice come nella musica ne costituisce la bellezza. In essa però non vi è
tanto il fenomeno, quanto una quantità di sensazioni e attrattiva [...].
La proporzione nella musica è in parte nei suoni, in
parte nella misura; l'unità è nel tema musicale o nell'esecuzione del suono
dominante (AA XXIV, pp. 357‑358).
La riduzione di questo molteplice all'unità designata
dalla proporzione e dalla misura non sarebbe possibile se non esistesse un
tema, perché tutti gli esseri umani sono dotati di condizioni alle quali
possono rappresentarsi una grande molteplicità di impressioni; nella musica
questa condizione è data dal tempo. Deve quindi esistere anche sul versante
oggettivo qualcosa che corrisponda alle condizioni di unificazione del
molteplice; “[...] perciò si ha anche l'esecuzione di un tema che, in base alle
motivazioni addotte precedentemente, deve piacere [gefallen] a tutti”
(AA XXV, p. 182). In questo modo è delineata la posizione sistematica del tema:
esso deve piacere a tutti, perché è oggetto di un piacere di validità
universale e necessaria, condizione della comprensibilità del bello e
dell'unificazione dei suoni in un'immagine. Al tema fa riferimento non solo
l'intuizione del tempo ma anche la facoltà formatrice. Come si vede il tema è
punto di arrivo cui si approda attraverso una meditazione di carattere
filosofico; esso interessa solo in questo contesto, non nell'ambito di una critica
musicale.
Come l'introduzione della facilitazione e del giudizio
dell'udito sono concetti che derivano dalla lettura di Euler, così anche la
definizione dell'accordo proporzionato di suoni come proporzione e misura è una
reminiscenza di quel confronto. Ancora a Euler si può collegare la comparazione
di opere musicali e architettoniche: se cerchiamo di formarci la
rappresentazione di una casa priva di proporzione, la rappresentazione della
totalità ci risulta un'impresa difficile; se invece abbiamo di fronte agli
occhi una casa costruita secondo le regole della proporzione, vediamo subito
che le parti delle quali consta sono uniformi; la facilità o la difficoltà
della rappresentazione di una totalità dipende dunque da una struttura
oggettiva. La posizione assunta da Kant nei confronti di Euler si può
sintetizzare affermando che egli la condivide senza esprimere alcuna riserva.
Sottovalutando il richiamo a Euler, si è rilevato che
la posizione particolare attribuita al rapporto matematico fra i suoni
mostrerebbe le tracce del confronto con Rameau. “Manifestamente sotto
l'influsso di Rameau Kant tende a determinare l'armonia come elemento primario
della bellezza dietro al quale l'elemento melodico si ritira come stimolo del
sentimento” (Wieninger 1929, p. 28), scrive Wieninger, il quale adduce a
sostegno una Riflessione nella quale il nome di Rameau compare
esplicitamente:
La forma sensibile (o la forma della sensibilità) di
una conoscenza piace o come gioco della sensazione o come forma dell'intuizione
(in modo immediato) o come un [conc] mezzo per il concetto del bene. Il primo è
l'attrattiva, il secondo il bello sensibile, il terzo la bellezza autonoma.
L'attrattiva formale può essere immediata, come Rameau crede accada nella
musica oppure mediata, come nella risata e nel pianto (Riflessione 639,
1769-1770; AA XV, pp. 276‑277).
Erich Adickes spiega nella sua nota al testo che Kant
avrebbe potuto venire a conoscenza, grazie a fonti indirette, della disputa tra
Rameau e Rousseau e Frank-Zanetti ritengono che l'influsso di Rameau sulla
teoria musicale di Kant sia documentato con dovizia di indicazioni da Adickes
(Kant 1996, p. 1255).
“Nella fondazione di questa concezione” ‑
prosegue Wieninger ‑ “Kant si è però opposto a Rameau”. L'oggetto non
piace nell'intuizione grazie all'attrattiva immediata formale della musica che
è attribuita a Rameau, ma nell'intuizione, in conformità alla legge della
coordinazione dei fenomeni, come nel caso dell'armonia. Kant non attribuisce
quindi a Rameau la fondazione della musica sull'armonia, ma la sua fondazione
sull'attrattiva formale immediata.
In una Riflessione che, secondo Adickes, risale
al 1772 Kant scrive:
Noi probabilmente non compariamo l'una con l'altra le
pulsazioni dei suoni ma le loro impressioni e il loro effetto sul nostro stato;
non sono quindi concetti numerici, ma un ordinamento fra le impressioni ciò che
è oggetto del nostro piacere e un'affezione del nostro stato ciò che causa in
noi diletto (Riflessione 750, AA XV, p. 329).
Non sarebbe ingiustificato leggere dietro queste
affermazioni una critica alla teoria di Leibniz; secondo Kant non è opportuno
affidarsi a concetti quali quello del numero e del calcolo quando si vogliano
determinare i fondamenti dell'intuizione e del gusto. L'udito non compie fra le
impressioni delle note - potremmo soggiungere: come vorrebbe Leibniz - una
semplice comparazione confusa la quale solo in un secondo momento potrà essere
resa chiara grazie all'attività dell'intelletto che produce rappresentazioni
distinte; il gusto per la musica non può essere equiparato a una sensazione che
dà origine a concetti confusi; il piacere per il bello non avrebbe in tal caso
il carattere di un'attività estetica completamente pura ma, venendo a
coincidere con un giudizio su segni e dimostrazioni matematiche, si ridurrebbe
a un'operazione dell'intelletto.
Kant mette in luce la differenza fra la comparazione
della rappresentazione con l'oggetto a fini conoscitivi e la sua comparazione
con il nostro stato e il nostro sentimento di piacere nel giudizio sul bello.
Il divario che separa intelletto e sensibilità non può essere identificato con
una contrapposizione fra rappresentazioni evidenti e rappresentazioni confuse.
La teoria di Leibniz deve essere respinta perché non riconosce nel gusto una
facilitazione delle intuizioni, bensì un insieme di concetti confusi. Posizione
questa che trova espressione anche nella Riflessione 643: “Nella musica
non si ha alcun concetto dei suoni, ma si hanno solo sensazioni e si conosce il
loro rapporto non in numeri, non in regole universali, ma si riesce comunque a
distinguerlo in modo intuitivo” (Riflessione 643, 1769‑1770; AA
XV, p. 283). I concetti numerici, tanto rilevanti per la teoria di Leibniz,
sono sostituiti da un ordine fra le impressioni, mentre al giudizio concettuale
subentra la distinzione intuitiva. Il concetto di ordine fra le impressioni
rientra nei fondamenti della concezione kantiana del gusto degli anni Settanta
e costituisce anche la base della valutazione del sublime come sentimento
soggettivo, che consiste nell'impressione e nella sua forza secondo il grado ed
è simile alle sensazioni private dei singoli colori e dei singoli suoni.
In un'annotazione autografa Kant muove dall'idea che
l'evidenza [Deutlichkeit] possa coesistere con l'intuizione. L'evidenza
dell'intuizione consiste nella coordinazione: essa è distinzione del molteplice
in una totalità e può quindi essere attribuita alla intuizione (cfr. Riflessione
643, 1769‑1770; AA XV, p. 283). Nella musica si verifica una
concordanza armonica fra le leggi universali della sensibilità e il sentimento
di piacere [Lust]; in ciò si mostra la distanza sia dalla filosofia
pitagorica e platonica sia dalla scuola di Leibniz e Wolff. Kant si dice
convinto che i Greci abbiano portato a completa perfezione tutto ciò che
rientra nell'ambito del gusto e in particolare anche la teoria musicale,
presentata da Pitagora, seguito da Aristosseno di Taranto.
Si veda anche quanto è riferito nella Logik-Blomberg:
Pitagora si interessava molto dei numeri, e riteneva il numero 10 il numero più perfetto, altri credevano fosse il 4 e pensavano che per questo motivo Dio avesse creato 4 elementi. Pitagora voleva escogitare tutto a partire dai numeri. Per questo motivo diceva fra le altre cose: Anima est Numerus se ipsum movens (AA XXIV, p. 36).
Nello spirito di questa tradizione Kant sottolinea la
percezione dei rapporti matematici che si compie nel senso dell'udito definendo
quest'ultimo la vera aritmetica della nostra anima (AA XXV, p. 54). Si deve
però notare che Kant non può condividere del tutto la teoria pitagorica,
ripresa poi da Platone, perché non crede che i rapporti matematici siano
oggetto di una conoscenza a priori che derivi dalla mera ragione e che i sensi
non abbiano in essa alcun ruolo. Platone e Pitagora sono “filosofi
intellettuali” che credono che tutto ciò che conosciamo di buono e intendiamo
comprendere correttamente debba avere la sua sede a priori nella ragione.
Platone e Pitagora tendono a suo avviso ad inoltrarsi in una concezione
mistica, sottovalutando la sensibilità e la sua funzione (cfr. AA XXIV, p.
207).
I concetti del mondo intellettuale derivano dal nostro intelletto. Questi concetti erano chiamati numerus da Pitagora, idee da Platone e forma da Aristotele, termini con i quali essi intendevano designare tutto ciò che è conosciuto dall'intelletto (cfr. AA XXIV, p. 328).
La logica della scuola pitagorica non era se non misticismo che danneggiava la sensibilità, nella quale secondo il loro giudizio e anche secondo il giudizio dei Platonici non vi è verità, ma mera apparenza; essi spiegavano tutti i concetti a partire dall'intelletto e consideravano il mondo intero un libro di geroglifici (cfr. anche AA XXIV, p. 336).
Kant non può accettare che i sensi ingannino: proprio
l'udito, un senso esterno, può percepire i rapporti fra i suoni. Contro
Leibniz, poi, afferma che l'intuizione non offre concetti, né confusi né
evidenti, ma solo i dati sui quali si fonda la conoscenza. Per Leibniz la
conoscenza evidente è intellettuale, mentre la conoscenza confusa è sensibile;
in Kant alla differenza di grado fra a priori e a posteriori della tradizione
leibniziana, che conduce, sulla scala dell'evidenza, dall'intuizione sensibile
al concetto intellettuale, subentra la differenza fra le fonti della
conoscenza. Dalle Lezioni di antropologia del WS 1772/73 emerge come il
bersaglio polemico della critica a questa identificazione non sia solo Leibniz,
ma anche Mendelssohn (cfr. Rhapsodie oder Zusäztze zu den Briefen über die
Empfindungen, p. 404 o p. 430).
3.1. Il sistema delle arti e il Bildungsvermögen
Disponiamo purtroppo di pochi documenti per chiarire
quale gerarchia fra le arti Kant avesse istituito nel 1769-1770; uno di essi è
la Riflessione 683.
Affinché la sensibilità abbia una forma determinata nella nostra rappresentazione, si richiede la coordinazione; essa è una connessione nella coordinazione, non una subordinazione quale quella che realizza la ragione. Il fondamento di ogni coordinazione, il fondamento della forma della sensibilità sono spazio e tempo. La rappresentazione di un oggetto in base ai rapporti dello spazio è la figura e la sua imitazione è l'immagine. La forma del fenomeno senza rappresentazione di un oggetto consiste solo nella coordinazione delle sensazioni in base al rapporto temporale, e il fenomeno si chiama una successione (o serie o gioco). Tutti gli oggetti possono essere conosciuti sensibilmente e nell'intuizione solo entro una figura. Altri fenomeni non sono oggetti, ma mutamenti. La forma intuitiva di una successione di figure umane è la pantomima, di una successione di movimenti secondo la partizione del tempo la danza; unificate esse danno luogo alla danza mimica. La danza è per l'occhio ciò che la musica è per l'udito, solo che nella seconda vi sono divisioni del tempo più piccole in una proporzione più precisa. Le arti sono o arti figurative o arti imitative. Le seconde sono pittura, scultura. Le prime sono o in base alla mera forma o anche in base alla materia. Le arti che danno luogo alla mera forma sono l'arte dei giardini, le arti che danno luogo anche alla materia sono: architettura (anche l'arte di ammobiliare); anche la tattica rientra nel bell'ordinamento. Delle arti figurative fanno parte in generale l'arte di produrre qualsiasi bella figura come: bei vasi, orafi, gioiellieri, mobili, sì, il trucco delle donne e anche l'architettura. E ogni lavoro legato alla galanteria (Riflessione 683, 1769-1770; AA XV, pp. 304-305).
In questa fase la musica occupa una posizione del
tutto particolare che non si può assimilare, come vedremo, a quella delle fasi
successive: posto che il gioco corrisponde al tempo e si trova al centro della
critica del gusto, ne deriva che la percezione della musica non può essere
spiegata grazie al semplice senso esterno dell'udito, ma presuppone anche
l'attività della facoltà figurativa. Le mere impressioni sensibili dalle quali
è affetto l'animo sono unificate e diventano in tal modo parti costitutive di
un intero; l'immagine nasce allorché le impressioni sensibili sono raccolte in
una totalità dalla facoltà figurativa, sulla base delle affinità che essa nota
negli oggetti; questa facoltà è presente nell'uomo come in germe, e deve di
conseguenza essere esercitata. La percezione di una musica non si può ridurre
alla percezione di un rumore mediante la sensazione, essendo quest'ultima
condizione insufficiente alla comprensione dell'armonia. La valutazione che i
Cinesi danno della musica europea può esserci utile per comprendere questo
fatto. Quando i padri missionari giunsero in Cina insegnarono alla popolazione
fra le altre arti anche la musica; essa vi si era diffusa sotto forma di musica
ad una sola voce, ben diversa da quella europea, fondata sulla polifonia.
L'udito dei Cinesi poteva quindi percepire la musica polifonica, sebbene si
fondasse su leggi ben determinate, solo come un rumore confuso. Se quindi
l'animo non è in grado, sulla base delle impressioni percepite dai sensi, di
formare l'immagine dell'oggetto, non riesce neppure a rendere ragione
dell'armonia: i Cinesi non potevano comprendere la musica europea perché non
riuscivano a farsene alcuna immagine. Il senso dell'udito deve essere quindi
collegato con quella facoltà cui Kant all'inizio degli anni Settanta dà il nome
di facoltà formatrice. “In tutte le sensazioni o intuizioni sensibili siamo
passivi, ma la facoltà formatrice è attiva” (cfr. AA XXV, pp. 304-305). Questa
attività del “formare” non deve essere identificata con l'immaginazione [Einbildung];
essa è o intuizione oppure imitazione. Nell'intuizione la facoltà è esercitata
a partire dalla presenza di oggetti, nell'imitazione la facoltà richiama
l'immagine trascorsa. Solo l'arte poetica dipende dall'immaginazione, fonte di
tutte le invenzioni.
3.2. L'organista e le rappresentazioni oscure
Esaminiamo ora il capitolo “sulla facoltà
rappresentativa”: noteremo anzitutto come in esso sia preminente l'interesse
per la produzione di fantasie musicali, non per il giudizio di gusto sulla loro
bellezza. Gli atti compiuti dal musicista illustrano che nell'anima umana si
possono rintracciare attività della facoltà conoscitiva compiute in assenza di
consapevolezza da parte del soggetto. In questo modo emerge un aspetto della
teoria di Kant che permette di rivedere un giudizio ricorrente nelle storie
dell'estetica musicale: non Schopenhauer, non Oersted, non Lazarus e neppure
Hartmann, o Heinse hanno per primi attribuito valore al concetto di inconscio,
come Paul Moos o Hugo Goldschmidt sottolineano, ma Leibniz e dopo di lui Kant.
Kant ammette, richiamandosi alla tradizione leibniziana, l'esistenza di
rappresentazioni oscure e di un'attività oscura dell'intelletto; il musicista
che suona l'organo compie un numero sorprendentemente elevato di atti anche
complessi di riflessione, che avvengono in modo così veloce da non poter essere
accompagnati da consapevolezza e costituiscono la parte più estesa del
contenuto della nostra anima (cfr. AA XXV, pp. 20 e 249).
La teoria kantiana delle rappresentazioni oscure non
concerne dunque solo il contenuto dell'attività conoscitiva, ma anche le
attività stesse della conoscenza: nella regione inconscia dell'anima non vi
sono solo rappresentazioni, ma anche attività. Vi sono compiute riflessioni che
si possono manifestare all'anima come sensazioni, perdendo in tal modo la loro
vera natura: proprio in quanto divengono oggetto della sensazione, sono confuse
con sensazioni e non identificate come riflessioni. Ciò deriva dal fatto che
percepiamo le nostre riflessioni grazie al senso interno e non grazie a
conclusioni razionali; se, al contrario, avessimo consapevolezza mediata delle
rappresentazioni e delle riflessioni oscure, potremmo procedere per
ragionamenti e salvarci dalle illusioni cui è soggetto il senso interno.
Dunque, la creazione di un'improvvisazione musicale è
il risultato di un'attività inconscia dell'anima, essa non è né un prodotto
dell'associazione, né un prodotto della mera sensazione, e non può neppure
essere giudicata mediante la sensazione. Sia sotto l'aspetto della produzione
sia sotto il profilo della ricezione la musica è sottratta al sentimento e alla
sensazione ed è collegata all'intelletto e al suo rapporto con la sensibilità.
L'armonia è un oggetto ideale che non può essere conosciuto grazie alla
sensazione, perché non è di natura sensibile. Non si può negare che possiamo
venire a conoscenza dell'armonia, ma si deve sottolineare che questa conoscenza
dipende dall'intelletto e dalla riflessione; né il senso interno, né il senso
esterno sono quindi i veri organi dell'armonia (cfr. AA XXV, pp. 22 e 251).
Poniamo ora a confronto Locke e Kant. La descrizione
dell'attività dell'organista nel Saggio di Locke muove dal principio
psicologico dell'associazione di idee, principio che non ammette la presenza né
di rappresentazioni né di attività oscure dell'anima e dà luogo a una melodia
compiuta. Kant, riprendendo quell'esempio, gli dà però un nuovo significato:
sostituisce all'associazione la riflessione operata dall'intelletto e alla
melodia l'improvvisazione o, più in generale, l'armonia, accentuando la
connotazione intellettuale e spontanea dell'intervento del soggetto.
3.3. La singola impressione sonora: bella o solo
piacevole?
Se finora, inserendosi nella tradizione delle ricerche
matematiche, l'analisi si è concentrata sugli intervalli tra suoni, la teoria
non è ancora stata esposta nella sua completezza; Kant non evita, infatti, di
assumere ad oggetto di ricerca il rapporto fra il senso dell'udito e i singoli
suoni. Nelle Riflessioni sull'antropologia si afferma:
Poiché nel rapporto delle sensazioni è nascosto
qualcosa che ha validità universale, sebbene ogni sensazione possa avere solo
la validità privata della gradevolezza. La facilità delle sensazioni fa
probabilmente piacere [Vergnügen] (1769‑1771; AA XV, p.
289).
Nella Logik‑Philippi il timbro dei
singoli suoni è distinto dalla loro alternanza armonica: su questa distinzione
si fonda il decorso dell'argomentazione.
La proporzione che non è così molteplice né così
precisa in nessun altro tipo di bellezza come nella musica è ciò che ne
costituisce la bellezza Tuttavia in essa non vi è tanto il fenomeno, ma una
quantità di sensazioni e l'attrattiva. Ogni suono è simile all'espressione
delle passioni (AA XXIV, pp. 357-358).
I suoni singoli possono essere comparati con il
sentimento del sublime, che in questa fase è soggettivo, perché non possono
elevarsi all'universalità né avere a loro fondamento una regola generale di
giudizio. Ciò posto, Kant deve chiarire se il suono singolo sia una sensazione
piacevole oppure riveli qualità in cui si renda visibile la forma. Si tratta di
esaminare se non sia possibile conferire al singolo suono il medesimo carattere
di oggettività che si è visto competere ai rapporti fra suoni. La difficoltà
maggiore che si presenta in questa problematica dipende dal fatto che i singoli
suoni colpiscono l'animo come mere sensazioni, che lo attraggono perché
rappresentano la materia del gusto. La differenza fra gusto fenomenico e gusto
della sensazione è sicuramente mantenuta; i suoni rimangono mere sensazioni e,
in quanto tali, sono soggettivi, arbitrari e individuali. “Solo i rapporti
possono essere ricondotti a regole. Ciò che riguarda l'impressione, ma non i
rapporti, non può essere sottoposto ad alcuna regola universale” (AA XXV, p.
391).
Se però si considerano più da vicino i suoni musicali
e si attribuisce valore alle ricerche compiute nel campo della fisica, si
delinea la possibilità di eliminare in certo modo la loro materialità e di
sottrarli alla soggettività. Poiché Kant fu sempre molto interessato alle
ricerche della scienza della natura e della fisica non può stupire che la sua
risposta al problema della bellezza del suono singolo si collochi nell'alveo
della tradizione delle indagini acustiche.
Ci si deve meravigliare che il senso dell'udito sia in
grado di dividere istantaneamente il tempo in tante parti, perché è stato
calcolato che il suono più basso che l'uomo può identificare come tale è
prodotto da 90 oppure, come altri dicono, da 24 vibrazioni sulla tuba uditiva e
che per il suono più acuto sono richieste 6000 vibrazioni. Se si hanno solo 100
vibrazioni in meno, si riconosce subito che si ascolta un suono diverso. Se ne
ricava quindi che l'anima umana deve dividere il tempo in 6000 parti
nell'istante in cui percepisce il suono e si vede anche per quale motivo si
abbia bisogno delle parole e non di pantomime o gesti per comunicare i propri
pensieri agli altri; il suono [Schall] si diffonde infatti dappertutto e
si riceve in generale una sensazione più forte dalle impressioni che colpiscono
il senso dell'udito che non dalle impressioni che colpiscono il senso della
vista (AA XXV; cfr. anche AA XXV, p. 54;
R. 289, AA XV, p. 108).
Lo stupore del filosofo per la determinazione del numero delle vibrazioni e
delle onde sonore da cui risultano costituiti anche i suoni singoli, che
appaiono privi di struttura oggettiva, trae la sua ragion d'essere non tanto
dal calcolo preciso delle oscillazioni dei suoni gravi e acuti, ma dall'idea,
che vi è connessa, di una riflessione compiuta dai sensi.
Solo la musica è in grado di suscitare in noi un piacere
[Wohlgefallen] che derivi dal semplice gioco delle sensazioni. Infatti,
il semplice pulsare dell'aria sulle parti elastiche non può piacerci a tal
punto; sebbene un suono singolo probabilmente già piaccia, ciò deriva dal fatto
che anche un suono singolo è già un gioco delle nostre sensazioni, poiché è
noto che un suono causa 500 e più vibrazioni in un secondo (AA XXV, p. 390).
Anche una singola sensazione può dunque essere un
gioco di sensazioni, in quanto in un singolo suono può manifestarsi un elemento
formale che lo eleva dalla semplice passività ed individualità all'universalità
e alla riflessione. Il numero delle vibrazioni sonore può essere stabilito
concettualmente; un singolo suono causa nel soggetto, grazie alla sua struttura
fisica, un gioco di sensazioni; l'udito può quindi unificare il molteplice dato
nella sensazione e conferire ad esso una forma ben proporzionata. La
molteplicità delle impressioni viene così sostituita da una struttura unitaria.
Come relativamente ai rapporti fra i suoni Kant non dubitava che essi fossero
onde trasmesse dall'aria e percepite dall'udito, così ora si mostra convinto
che il singolo suono risulti da vibrazioni percepibili. Tanto nella teoria
dell'armonia quanto nella ricerca sul singolo suono il suo punto di riferimento
è Euler.
Di fondamentale rilievo nell'analisi delle sensazioni
esterne è la differenza fra sensazione e fenomeno; se ascoltiamo una musica
oppure qualcuno che parla, ci concentriamo più sul fenomeno che sulla
sensazione, se invece il rumore è così forte che l'orecchio ci duole la nostra
attenzione si dirige maggiormente sulla sensazione e non riflettiamo sul
fenomeno (cfr. AA XXV, p. 50). Musica e riflessione sono quindi intimamente
connesse; se si ha un prevalere della sensazione non si è più in presenza di
musica, ma di rumore; nella musica l'udito è attivo e può esercitare la
riflessione, è passivo non appena l'animo sia colpito dalla sensazione del
rumore. Se, a causa di un'azione violenta dell'oggetto, è costretto a diventare
passivo, l'animo non ha neppure la possibilità di riconoscere una composizione
come tale. Il modo di rappresentazione sensibile dell'udito può pervenire alla
chiarezza solo se si verifica la riflessione; la musica come fenomeno è oggetto
della conoscenza, il “chiasso” come sensazione è oggetto del sentimento
individuale. Nel senso dell'udito l'intelletto è attivo perché il gusto è più
puro rispetto al senso dell'odorato e al gusto del palato, nei quali si
realizza una comparazione operata dai sensi:
L'udito non ha appetito perché non trae godimento da
nulla. Perciò il suo gusto è il più puro, ovvero il più libero da ogni mescolanza
con la sensazione. Tuttavia non si può dire che l'olfatto e il gusto del palato
non abbiano gusto […]; ma il giudizio accade in modo diverso: in quelli grazie
alla comparazione dell'intelletto, in questi grazie alla comparazione dei sensi
(Riflessione 815; AA XV).
Sulla struttura fisica sottesa alla differenza fra
musica e rumore Kant ricorre ancora a Euler: “Ogni Ton è uniforme nel
tempo e si distingue dallo Schall grazie alle vibrazioni uniformi”.
Kant si oppone alla concezione del sublime del suono
elaborata da Burke perché il sublime non è se non mera impressione che genera
piacere individuale, emozione che non si può comunicare. Analogamente si oppone
implicitamente anche alla giustificazione che Burke adduce a favore della
bellezza dei suoni singoli: la loro attrattiva.
3.4. Musica e cultura del gusto
Già le Osservazioni hanno messo in rilievo che
la musica può avere un benefico influsso sul cuore, può raffinarlo,
allontanarlo da piaceri grossolani e indirizzarlo alla moralità, poiché agisce
sul sentimento. Questa convinzione permane negli anni successivi, ed è anzi
ripresa ed esposta in modo più preciso. Subisce però un'evoluzione la
motivazione che regge il valore culturale; non è certo solo perché agisce in
modo immediato sul sentimento, ma è anche grazie all'armonia che la musica può
rendere l'essere umano capace di godere piaceri ideali e di esercitare un certo
effetto sulla cultura del gusto. Essa raffina l'essere umano perché, a
differenza del godimento, non implica un consumo dei suoi oggetti, ma è più
nobile e più simile alla moralità; infatti non incrementa solo il nostro
benessere, ma distribuisce il piacere in modo tale che contribuisca all'altrui
piacere ideale. Una musica può infatti essere ascoltata da molti con piacere
(cfr. AA XXV, p. 77). Poiché il gusto è la facoltà di scegliere ciò che è
oggetto di un piacere di validità universale, non ci si deve meravigliare se la
musica ha soprattutto una dimensione sociale ed è arte che non offre alcun
piacere individuale. Il piacere, derivando dalla struttura oggettiva dei
rapporti matematici, può essere sentito universalmente. L'utilità della musica,
come delle altre arti, consiste proprio nel fatto che essa mette in piena evidenza
i principi morali e offre loro un appoggio, come già hanno mostrato, rileva
Kant, Sulzer e Home (cfr. AA XXV, p. 33).
3.5. Suoni e colori
Un'annotazione manoscritta di contenuto fisico,
risalente agli anni Sessanta, ha esposto, come si è visto, la convinzione che
colori e suoni, luce e suono [Schall] fossero fenomeni analoghi; fonte
di queste considerazioni erano probabilmente già allora gli scritti di Leonhard
Euler. Questa idea assume pochi anni più tardi una nuova connotazione: se
precedentemente si rifletteva sulla natura fisica, ora si formula un'analogia
estetica fra rapporti matematici fra suoni, o consonanze, e contrasto di
colori. La Riflessione 637 afferma, infatti: “Il contrasto fra i colori
è per l'occhio esattamente ciò che la consonanza è per l'orecchio. Se i colori
si mescolano, si ha la vera e propria consonanza, se sono l'uno accanto
all'altro si ha l'armonia” (Riflessione 637; AA XV, p. 276; 1769).
3.6. Il diletto [Vergnügen]: salute e
benessere
Nelle Lezioni di antropologia di questa prima
fase la ricerca sulla musica dà occasione anche a riflessioni sul concetto del
diletto [Vergnügen]; l'esame di questo aspetto permette di illuminare il
fine e il significato di una concezione empirica. In primo luogo, il piacere
per il bello non deve assolutamente essere identificato con il piacere per ciò
che è meramente piacevole; il piacere che incrementa la felicità e dà un
notevole contributo al benessere fisico e corporeo non è propriamente bellezza,
ma mera attrattiva.
Un piacere ricavato dall'intuizione non incrementa
assolutamente la nostra felicità e inoltre non è null'altro se non il rapporto
della mia conoscenza con l'oggetto. Se però la bellezza accresce il nostro
benessere a tal punto che noi desideriamo vedere l'oggetto ancora una volta,
ciò significa che essa è già legata all'attrattiva (AA XXV, p. 374).
A differenza del bello, il piacevole è meramente
empirico e non può essere oggetto di una critica, perché le regole di cui ci si
serve per giudicarlo sono derivate dall'esperienza per astrazione: “L'arte
delle sensazioni piacevoli, ovvero l'arte di piacere [Vergnügen], è
solamente empirica e non ammette né una critica, né regole universali a
eccezione di quelle che sono ricavate per astrazione dall'esperienza” (Riflessione
684, AA XV, p. 305; 1769-1770). Si profila con chiarezza quella
differenziazione netta fra bello e piacevole che entrerà nella Critica del
Giudizio estetico come una delle sue colonne portanti; a suo fondamento si
colloca la distinzione decisa fra sensazione e gusto. La sensazione è infatti
un piacere riferito alla modificazione del nostro stato individuale, mentre il
gusto è un piacere derivante dalla intuizione degli oggetti (AA XXV, p. 374).
Se si considerano gli scritti a stampa si può
constatare che “attrattiva” e “bellezza” fanno la loro comparsa già nelle Osservazioni
sul sentimento del bello e del sublime del 1764, in cui l'attrattiva si
presenta come l'effetto della bellezza sul soggetto. Dopo il 1765 questa tesi
subisce una revisione: nel giudizio sul bello non può inserirsi
surrettiziamente alcuna valutazione dell'attrattiva. “Attrattiva ed emozione
derivano dal sentimento; bellezza e bruttezza dal gusto” (AA XXV, p. 178).
Anche nelle Lezioni di logica si afferma: “Abbiamo già notato che la
bellezza deve essere distinta dall'attrattiva” (AA XXIV, p. 360).
In ordine poi alla bellezza della musica, Kant
sottolinea che osservazioni antropologiche dimostrano che essa può esercitare
un effetto molto forte, sino a corroborare considerevolmente il sentimento vitale.
Il sentimento della vita nella sua totalità è la base su cui è costruito il
rapporto fra anima e corpo e si può localizzare sulle prime sul terreno della
vita nel suo significato “animale”, sul quale hanno effetto tutte le
rappresentazioni in generale, a prescindere dalla loro origine sensibile,
immaginativa o razionale. Che una rappresentazione derivi dalle facoltà
superiori oppure dalle facoltà inferiori della conoscenza è del tutto
irrilevante per il sentimento della vita nel suo complesso: il suo effetto
ultimo consiste nell'incrementare oppure nell'ostacolare, nella sua globalità,
il sentimento vitale. Esso è preposto alla sensazione del diletto [Vergnügen]
e del dolore [Schmerz] ed è del tutto impossibile che in quest'ambito,
concernente la “vita animale”, le rappresentazioni non siano accompagnate da
alcuna forma di sentimento. “Movimenti come il bello e il sublime sfociano in
ultima analisi in qualcosa di meccanico. Tutta questa attività incrementa la
nostra vita nella sua totalità” (AA XXV, p. 389).
Kant non accetta l'ipotesi di un sesto senso e
distingue i sensi l'uno dall'altro solo in quanto risiedono in organi diversi.
“Il senso della sensazione vitale è un senso unico; si trova là dove la nostra
vita nel suo complesso è colpita da piacere [Vergnügen] o dolore [Schmerz]”
(AA XXV, p. 905). Come il bello e il sublime, anche la musica si riferisce alla
“vita” nella sua totalità; il sentimento vitale, sebbene sia un senso esterno,
non può essere ricondotto ad alcun organo specifico, ma è diffuso in tutto il
sistema nervoso. Grazie al sentimento vitale [Lebensgefühl], che
assumerà il nome di senso vitale [Vitalsinn] a partire dalla fine degli
anni Settanta, la vita è “affetta” nel suo insieme; le sensazioni che esso
procura non possono perciò essere descritte con precisione, né legate in
particolare a un organo.
Il sentimento come senso vago è diverso dal tatto, che
si verifica solo grazie alla nostra pelle, soprattutto grazie alle mani. (esso
non ha oggetto che sia sentito, ma sente se stesso) […] il sentimento come
senso interno è influsso sull'intero stato di benessere (Riflessione 1483;
1773-75?).
Poiché il sentimento di piacere [Vergnügen] o
di dolore che i suoni determinano è sempre un sentimento corporeo, l'attrattiva
o l'emozione generano movimenti delle fibre del corpo. “L'attrattiva […] della
musica deriva dal movimento proporzionato delle fibre del corpo causato da
un'armonia di suoni” (Riflessione 685, 1769; AA XV, p. 305). È
determinante che questi movimenti siano proporzionati e la proporzione si renda
comprensibile solo quando si ipotizzi che la sua origine risiede nella
matematica, nel rapporto matematico fra le vibrazioni del suono [Schall].
Come si vedrà, anche la singola impressione sonora è originata da una
successione ordinata e regolare di sensazioni che può dar luogo ad un
altrettanto regolare movimento delle fibre; la vibrazione dell'organo è quindi
una conseguenza della struttura matematica. Kant è convinto che la struttura
matematica possa essere analizzata anche nel suo effetto sul corpo e che questa
analisi contribuisca a chiarire l'origine del piacere [Vergnügen] e del
dolore.
Dall'incremento o dall'inibizione del sentimento
vitale animale dipende la definizione delle dissonanze. Nel capitolo “Sulle
rappresentazioni, in base al loro rapporto reciproco” delle Lezioni di
antropologia l'alternanza o varietà è definita una molteplicità di
sensazioni considerate secondo il tempo. Poiché l'alternanza è una proprietà
del molteplice nel tempo, non ci si può meravigliare che rivesta un ruolo
specifico proprio nella musica, che suscita il vero e proprio gioco delle
sensazioni e coincide con il rapporto tra le sensazioni nel tempo. Le
dissonanze infondono vitalità al corpo; se infatti viene a mancare l'alternanza
il corpo non solo non sente incrementare la sua vitalità, ma è sottoposto anche
a una sensazione di dolore. L'alternanza accresce e incrementa l'attività
fisica; né il corpo, né l'anima possono rimanere a lungo nella medesima
posizione o limitarsi troppo a lungo ad eseguire uno stesso compito. Una
musica, una successione di suoni nelle quali non si ravvisa alcuna alternanza,
sconvolge e distrugge il corpo. Se ne può dare una dimostrazione se si richiama
alla mente quanto narra Derham: vi era qualcuno che non voleva affittare la
propria casa a un musicista, nel timore che il contrabbasso potesse scuotere a
tal punto la casa da determinarne col tempo la distruzione; o anche, quando i
soldati marciano su un ponte, si ha motivo di temere che esso possa essere
rovinato dall'uniformità del passo. Si rende così comprensibile come anche i
singoli organi provino piacere [Vergnügen] quando la loro attività
subisce un incremento, il quale però non può realizzarsi se si prescinde
dall'elemento dell'alternanza; la ripetizione costante di un solo e medesimo
suono induce piuttosto un sentimento di dolore [Schmerz]. La varietà è
una delle condizioni dell'attrattiva; se essa viene a mancare, ne risente
irrimediabilmente anche l'attrattiva; per questa ragione, aggiunge Kant, il
contrasto cromatico è bello, mentre non lo è il contrasto in cui si realizza
una contrapposizione netta; il primo vivifica, il secondo indebolisce (AA XXV,
pp. 286-287).
Kant, che nutre un vivo interesse per l'affezione del
senso vitale, considera le regole della composizione condizioni necessarie ma
non sufficienti, dell'attrattiva. “Una composizione fedele a tutte le regole
musicali può essere bella, può suscitare piacere [gefallen] e tuttavia
non avere alcuna attrattiva” (Anthropologie-Hamilton, p. 212). Ciò non
significa però che le regole non rendano possibile la bellezza, ma solo che
esse necessitano di qualche altro elemento per suscitare anche attrattiva.
L'attrattiva può essere duplice: può agire sul corpo o in modo diretto oppure
in modo mediato, attraverso l'anima; l'influsso diretto si addice
all'attrattiva corporea, mentre quello indiretto all'attrattiva “ideale”,
all'eccitazione degli affetti; affinché possa esercitare attrattiva la musica
deve suscitare affetti. Il rapporto di analogia con il linguaggio, e dunque con
l'espressione delle sensazioni sotteso a questa concezione, implica che
l'attrattiva ideale si fondi sul rapporto fra i suoni che si susseguono l'uno
all'altro e la voce umana che esprime la sensazione (cfr. Riflessione 685,
1769; AA XV, p. 305).
Se ci si attiene a queste premesse si riesce a
cogliere il motivo per il quale la musica da tavola è valutata in modo
negativo; essa non incrementa la soddisfazione di sé, ma è vantaggiosa per
l'allegria; mentre la prima è assenza di impedimenti che deriva immediatamente
dal sentimento della vita nella sua interezza e si può considerare piacere
negativo, l'allegria è piacere positivo che scaturisce dalla perdita
d'equilibrio nell'animo (cfr. AA XXV, p. 371). La musica da tavola è un
ostacolo alla libera conversazione e disturba la comunicazione del pensiero;
quando la si ascolta per incrementare il proprio diletto durante il pranzo ci
si deve chiedere se non ne derivi piuttosto uno svantaggio, dal momento che non
si possono intrattenere discorsi ragionevoli. È senza dubbio meglio stare in
compagnia di un uomo altrettanto contento di sé quanto lo siamo noi, piuttosto
che in società, tormentati da musica e rumore (cfr. AA XXV, pp. 371-372). Non
vi è quindi nulla di più assurdo di una musica da tavola, perché essa riempie
solo gli spazi in cui il pensiero è assente e può contribuire al massimo alla
digestione (cfr. AA XXV, p. 414); la musica da tavola non può dunque in alcun
caso essere valutata sotto l'aspetto delle proporzioni matematiche.
In quale rapporto si trovano fra loro la tesi che
l'effetto della musica riguardi il sentimento vitale, e la tesi che il piacere
[Wohlgefallen] per quest'arte dipenda dall'alternanza armonica dei
rapporti temporali e che questa struttura sia presente anche in un suono
singolo? Il gusto non può essere identificato con il sentimento individuale né
ridotto ad esso, perché mira alla forma, il sentimento invece alla materia; la
validità a priori del piacere estetico puro non è quindi sullo stesso piano del
processo di formazione del diletto. Mentre il piacere estetico [Wohlgefallen]
ha validità oggettiva, il diletto è corporeo e costituisce un godimento
individuale e soggettivo che pone in movimento i nostri affetti. Solo in quanto
assume ad oggetto i rapporti matematici fra i suoni e la divisione del tempo
propria di ogni singola impressione sonora musicale, la teoria si muove sul
terreno dell'autentico piacere fondato sul gusto; non appena, però, si occupa
del piacere prodotto nell'individuo, essa abbandona il campo del “gusto del fenomeno”
e si situa nell'ambito del piacere privato, individuale e mutevole.
3.7. Musica e immaginazione involontaria
Se ritorniamo alle considerazioni sulla facoltà
conoscitiva, notiamo la presenza di un'interessante osservazione direttamente
collegata con il sentimento del piacevole: l'effetto dei suoni non riguarda
solo il sentimento, ma anche la facoltà conoscitiva e in particolare
l'immaginazione. In una Riflessione che secondo Adickes risale nel 1769
ci si interroga sul motivo per il quale l'ascolto di una musica soave faciliti
la nostra immaginazione e sia particolarmente attraente; questa considerazione
si inserisce nella descrizione degli effetti dell'arte musicale e non può
quindi gettare luce sul piacere che sorge dalla composizione matematica.
Affinché possano esercitare attrattiva sull'immaginazione e favorirne il libero
corso, le rappresentazioni percepite debbono essere al tempo stesso vivaci e
passeggere. La musica può esercitare un'azione molto forte sull'immaginazione e
l'attrattiva che ne scaturisce riguarda anche la facoltà conoscitiva; poiché
l'immaginazione è la rappresentazione degli oggetti che non sono presenti, essa
attrae l'animo attraverso la creazione di un mondo più piacevole di qualsiasi
oggetto dei sensi. L'immaginazione non opera secondo la nostra volontà;
sappiamo che determinati oggetti la favoriscono: il processo ha inizio a
partire da un oggetto che desti impressioni vivaci e passeggere, e il primo
esempio proposto da Kant è proprio quello di un brano musicale che genera
associazioni di idee.
Tutto ciò che risveglia il gioco delle
rappresentazioni nell'anima e la sua attività di comparazione o connessione,
incita l'animo alla riflessione e dà alla sua conoscenza maggiore vitalità. La
musica, un bel paesaggio, il fuoco del camino, il mormorio di un ruscello.
Queste impressioni devono essere passeggere, e non rimanere impresse in modo
particolare (Riflessione 199, 1769; AA XV, p. 76).
4. Intorno al 1775
4.1. L'analogia fra suoni e colori
I giudizi di Kant sull'invenzione di un clavicembalo
oculare prospettata da Louis Bertrand Castel non sono completamente positivi e
presuppongono comunque una posizione già ben definita; sebbene nelle Lezioni
di antropologia del semestre invernale 1775-76 sia presentata
ipoteticamente l'idea di un gioco delle sensazioni che coinvolga la vista, il
tentativo di realizzare un clavicembalo oculare è valutato negativamente.
Poiché la sensazione può aver luogo anche attraverso la luce e il colore, che
ne costituiscono un'altra specie rispetto alle onde sonore, ci si potrebbe
credere autorizzati ad aspettarsi che anche un gioco di sensazioni per gli
occhi sia possibile; si è già pensato, nota Kant ed evidente è l'allusione a
Castel, di poter produrre consonanze e dissonanze fra i colori per il piacere
della vista e di dare concreta realizzazione a un'arte che si definisse gioco
di sensazioni per gli occhi. Contro questa ipotesi di un gioco per gli occhi
Kant fa però valere l'obiezione che le differenze fra i due sensi sono troppo
rilevanti per poter essere sottaciute; mentre i suoni esercitano un'azione
molto forte sull'udito, l'impressione che si riceve dalla luce e dai colori è
molto più debole, perché la durata dei singoli colori non permette il sorgere
di un rapporto di successione continua; solo i suoni possono presentarsi in
grande quantità in breve tempo, mentre non appena il colore ha colpito l'organo
di senso, la sua impressione è esaurita. Inoltre, la vista riguarda lo spazio,
l'udito il tempo; per queste ragioni Kant ritiene che un clavicembalo ottico
sia irrealizzabile (cfr. Riflessione 1483). Sebbene Kant propenda per
un'analogia molto stretta fra suoni e colori egli non si spinge come Castel
fino al punto di proporre un'identificazione; non è possibile produrre una
musica per gli occhi, perché il contrasto fra colori è analogo, ma non identico
ai rapporti matematici fra suoni (cfr. AA XXV, pp. 496-498).
Quando poi ci si prefigga di riportare alla luce il
contesto originario nel quale l'equiparazione di suono [Schall] e luce è
sorta in Kant, la lettura delle Riflessioni e delle Lezioni di fisica
dimostra che questa analogia era già tema dei manuali usati dal filosofo.
Eberhard, Erxleben e più tardi Karsten riferiscono questa teoria nella forma
assegnatale da Leonhard Euler e non si affidano a Kircher, Castel o Newton. Nel
volume XXIX dell'Edizione dell'Accademia è stata pubblicata una serie di
appunti che sembra risalire a una lezione tenuta, probabilmente, verso la metà
degli anni Settanta, nella quale il tema è discusso ampiamente e le teorie di
Euler sono riferite con piena approvazione. Dapprima è esposta la teoria di
Newton sulla diffusione della luce sotto il titolo di “sistema
dell'emanazione”: la luce sarebbe un'emanazione di corpuscoli che hanno origine
dal corpo illuminato e si diffondono con tale ampiezza che i raggi luminosi
darebbero luogo al formarsi di spazi privi di luce. A questo sistema si
contrappone quello di Euler, il quale compara la luce con il suono [Schall]
e afferma che anche a distanze notevoli tutte le parti risultano illuminate;
questa opinione - soggiunge il testo - è molto più corretta: i colori sono per
gli occhi esattamente ciò che il suono è per l'udito e la funzione dell'aria è
analoga a quella dell'etere. Vi è una tale affinità fra colori e suoni che vi
sono esattamente sette colori fondamentali e sette suoni fondamentali; i colori
non hanno un'esistenza autonoma, ma sorgono dalla modificazione della luce,
nello stesso modo in cui dalla modificazione del suono [Schall] si
originano i Töne. Se si fa cadere un raggio luminoso su un prisma, gli
intervalli fra i colori risultano analoghi agli intervalli fra i suoni su un
monocordo (AA XXIX, pp. 84-85). In base a queste considerazioni si potrà
accogliere la tesi proposta da Adickes relativamente alle Riflessioni di
Kant sulla fisica: “Quel parallelismo fra sensazioni auditive e sensazioni
ottiche si fonda naturalmente sulla teoria ondulatoria che L. Euler contrappose
alla teoria dell'emanazione di Newton nella sua Theoria lucis et colorum
(Opuscula varii argumenti, 1746, pp. 169-244) riallacciandosi
stranamente non a Chr. Huyghens, ma a Descartes. Anche Euler stabilisce il
parallelismo dei due ambiti sensibili”. Questa osservazione può però essere
estesa: l'analogia fra suoni e colori è senza dubbio nata, in origine,
dall'interesse per problemi fisici e dalla conoscenza della teoria di Euler, ma
è stata poi ripresa nell'antropologia e infine nella Critica del Giudizio.
4.2. Il Bildungsvermögen
Già nelle Lezioni di antropologia del WS
1775/76 si può notare un'evoluzione in questo concetto: la determinazione del
carattere dei popoli presenta il ricorso al nesso fra idea e ragione (cfr. AA
XXV, pp. 654-661). All'inizio degli anni Settanta il concetto di “idea” non era
ancora posto in rapporto con la musica; l'analisi dei caratteri del gusto delle
diverse nazioni mostrava nei cinesi un gusto privato e individuale, inadatto a
comprendere la bellezza. Questo giudizio negativo è mantenuto, ma la
motivazione fa perno su un nuovo concetto: i cinesi sono dotati di un
particolare interesse per tutto ciò che riguarda l'intuizione e il fenomeno, i
quali non sono sufficienti a fondare né la morale, né la filosofia, né la
matematica; neppure la bellezza, che deriva dal rapporto fra sensibilità e
intelletto, può esser da loro compresa. Sebbene nelle belle arti da loro
realizzate si possano scorgere bellezze sensibili, essi manifestano
l'incapacità di giungere all'idea del tutto, la quale presuppone ordine e
proporzione e deve essere considerata il vero oggetto del gusto. Ciò non vale
solo per la pittura e per l'architettura, ma anche per la musica, la cui fonte
è l'isolata impressione sensibile, percepita attraverso la sensazione in
opposizione all'idea del tutto. Si potrebbero sintetizzare così le osservazioni
precedenti: nella concezione musicale dei popoli orientali è assente il
concetto del tema. L'atteggiamento di disprezzo nei confronti delle scienze e
delle arti dei cinesi deriva dalla considerazione che in essi non si può
osservare la presenza della capacità di concepire l'idea della totalità:
La bellezza della musica non è avvertita dai popoli orientali, essi non comprendono che si tratta di bellezza quando diversi strumenti suonano contemporaneamente in modo armonico in diverse tonalità, e ritengono che questa sia confusione perché non sono in grado di cogliere il concetto del tema che è dominante e viene espresso nella musica. Nei loro edifici non vi è né sublimità, né ordine, né proporzione, né raffinatezza, né gusto perché tutti questi fattori si fondano sul concetto. La bellezza autentica discende dall'accordo fra sensibilità e intelletto e ciò è assente in loro (AA XXV, pp. 655-656).
Anche la Riflessione 332 (1777-78; 1773-75?)
nota:
(facultas (formatrix o) technica o architectonica;
entrambe rientrano nel Bildungsvermögen, ma la seconda considera prima
l'intero e poi le parti come sue suddivisioni) (il pittore dispone in gruppi
(costruisce un intero a partire dal molteplice; inoltre non ha alcun concetto
dell'intuizione, ma è solo fenomeno); la musica si serve del tema) (AA XV, p.
131).
Nella Riflessione 806 è ben evidenziato il
nesso fra musica e giudizio figurativo:
Sensazione, Giudizio, spirito e gusto. Il Giudizio può
essere sensibile o riflettente. E consiste nel trasformare rappresentazioni in
un'immagine o in un concetto. La disposizione ordinata ha un nesso con il
disegno, il progetto o tema. La musica è, per così dire, una conoscenza
sensibile bella. Il Giudizio figurativo si interessa solo dei mezzi della
coordinazione e della loro agevolazione, perciò unità, molteplicità, contrasto.
Non si interessa dell'utilità di ciò che piace [gefallen] in modo
mediato [...] (AA XV, p. 355).
Kant si è imbattuto in analoghe considerazioni sui
cinesi nei testi di Du Halde e di Schwabe. A prescindere ovviamente dal fatto
se l'idea kantiana della cultura del popolo cinese sia più o meno adeguata e
accettabile, è rilevante nel contesto della presente ricerca che questo
atteggiamento di disprezzo esprima una ben determinata concezione del bello
musicale: il bello si fonda sull'accordo fra sensibilità e concetto, laddove
concetto è l'idea del tutto, che nella musica corrisponde al tema. Il tema non
si può separare dall'accordo armonico dei diversi suoni degli strumenti e
quindi è giustificato affermare che armonia e tema sono parti integranti del
concetto di bellezza. Inoltre, queste osservazioni antropologiche sul gusto dei
popoli orientali sono rilevanti perché musica e architettura vi sono poste in
un rapporto di parallelismo: all'armonia corrisponde nell'architettura una
forma di ordinamento che coincide con la proporzione delle parti. Sia il
concetto del tema sia il suo rapporto con il Bildungsvermögen e, infine,
il parallelismo tra musica e architettura sono già presenti nel 1770; ciò che è
del tutto nuovo però è il legame fra genio e idea.
L'indagine sulla natura del Bildungsvermögen ci
offre anche chiarimenti sulla concezione dell'armonia: il Bildungsvermögen dell'ascoltatore
deve comprendere il rapporto fra suoni, armonia e tema. Tema e armonia sono qui
considerati prodotti già realizzati, la cui genesi è spiegabile solo ricorrendo
al genio; mentre nel 1770 i documenti non ci restituiscono una
particolareggiata concezione del genio, intorno al 1775 il genio è considerato
origine sia dell'attività scientifica sia dell'attività artistica: l'arte
musicale è ora espressamente definita arte del genio, arte, quindi, che non può
essere derivata dal principio dell'imitazione:
La facoltà formatrice che gareggia con la natura (nel fenomeno) è arte (bella); deve avere una sua propria regola che ha però principi soggettivi, quindi [la] convenienza alle nostre leggi di un esercizio libero delle nostre forze. È una creazione in base al nostro senso.
In un'aggiunta contemporanea alla Riflessione
Kant scrive a chiarimento delle prime righe: “(non imitativa; perché l'arte ha
la sua propria legge, come la natura, e il suo proprio mondo, ovvero i
fenomeni)” (R. 959; AA XV, p. 423, 1776-78).
Chi la descriva come imitatio non riesce a
penetrare nelle profondità della sua vera natura. Ricondurre la creazione
musicale al genio non è operazione irrilevante: la considerazione di esso in
un'analisi genetica rende possibile un notevole arricchimento del quadro della
teoria: il genio è spirito e lo spirito è principio interno di vivificazione
del pensiero che non riceve alcun impulso dall'esterno ma si pone come inizio
di una nuova serie; lo spirito dell'arte musicale ha origine in se stesso e non
può essere derivato da altro: esso è la fonte originale dell'invenzione di una
nuova composizione.
Spirito è il principio interiore (vivificante) della vivificazione
delle (facoltà dell'animo) pensieri. Anima è ciò che è vivificato. Di
conseguenza lo spirito infonde vitalità a tutti i talenti. Dà inizio a partire
da se stesso a una nuova serie di pensieri. Da ciò le idee. Spirito è la
vivificazione originaria che proviene da noi stessi e non è derivata […]. Non
si dice: lo spirito, ma: semplicemente spirito [...]. Spirito
dell'architettura, dell'arte musicale è distinto dall'elemento scolastico e dal
meccanismo (Riflessione 934, 1776-78?; 1772??; AA XV, p. 415).
Se la natura intrinseca del genio non è comprensibile
a prescindere dal concetto di spirito, è altrettanto impossibile accedere al significato
e alla funzione dello spirito senza prendere in considerazione il concetto di
“idea”. Nelle fasi precedenti non era ancora emerso con chiarezza che l'arte
musicale presuppone genio e spirito, né che il genio e lo spirito presuppongano
a loro volta la presenza di un'idea e sfocino nell'invenzione di una
composizione nuova, di un'idea musicale originale. Ora, invece, l'idea si
presenta come concetto della facoltà della ragione, e assume connotazione
platonica, laddove il compito della filosofia è identificato con lo sviluppo
dell'idea (AA XXV, pp. 550-551): solo se il filosofo si ispira a un mondo
ideale, solo se giudica l'esperienza servendosi dei concetti puri della ragione
come criterio, merita di essere designato legislatore della ragione, dotato
della capacità di farne un uso architettonico. La filosofia può essere quindi
valutata come una scienza fondata sul genio, poiché il genio mira, grazie allo
spirito, a orientare la propria facoltà poetica in base all'idea. In questa
fase è dunque chiaro che la musica può essere annoverata fra le belle scienze,
fra quelle scienze il cui fine si trova certo nel piacere [Wohlgefallen]
secondo il gusto, nel rapporto armonico vicendevole fra sensibilità e
intelletto; rapporto che però non potrebbe realizzarsi, come non potrebbe
realizzarsi la filosofia, se non vi fosse genialità (AA XXV, pp. 550-553).
5. Dalla seconda metà degli
anni Settanta alla Critica del Giudizio
Le interpretazioni di questa fase, non numerose in
verità, sembrano concordare sul fatto che negli anni Ottanta la musica sia solo
occasionalmente oggetto di esame da parte di Kant e venga considerata arte
piacevole. Si è affermato che le Lezioni di antropologia del semestre
invernale 1781/82 concepiscono il piacere per la musica come movimento degli
affetti, e si è ipotizzato che in esso si esprima la bellezza stessa
(Nachtsheim 1996, p. 346 nota 59.). L'ipotesi che Kant possa avere collocato la
musica fra le arti belle perché scorgeva nei movimenti dell'animo e negli
affetti le condizioni della bellezza suscita però qualche perplessità; dalle Lezioni
emerge una concezione molto più complessa, della cui ricchezza non si trova
sinora traccia nelle interpretazioni.
La nuova fase è inaugurata dalla rinuncia a portare a
compimento l'applicazione della dissertazione sul mondo sensibile e
intelligibile ai principi del gusto; quest'ultimo perde la sua posizione
sistematica nel rapporto con le altre parti della filosofia. Ora Kant
concepisce una scienza denominata “filosofia trascendentale”, il cui compito
egli ravvisa nell'esame delle fonti, della natura e dei limiti della
metafisica. Questa scienza è una “Critica della ragione pura” che deve
comprendere sia la conoscenza teoretica sia la conoscenza pratica e si divide in
due parti: la prima studia fonti, metodo e limiti della metafisica, la seconda
i principi puri della moralità. Il nuovo progetto dà spazio solo alla
conoscenza teoretica e pratica, che sono semplicemente intellettuali e
indipendenti da qualsiasi elemento empirico (AA X, pp. 126-127), mentre la
dottrina del gusto smarrisce la sua collocazione sistematica che ritroverà solo
quando Kant, intorno alla metà degli anni Ottanta, scoprirà la correlazione a
priori tra la conoscenza e il sentimento; la teoria del gusto non rientra nella
nuova forma di metafisica cui Kant dà in quest'epoca il nome di “Critica della
ragion pura”.
5.1. L'improvvisazione
Il capitolo delle Lezioni
di antropologia del semestre invernale 1781/82 dedicato alla memoria
riprende le considerazioni delle fasi precedenti: quando un musicista
improvvisa non guarda solo alle note presenti, ma anche a quelle future (AA
XXV, p. 974); la memoria richiama le rappresentazioni che abbiamo già avuto, di
cui siamo stati coscienti nel passato, e le riconosce. Nel semestre invernale
1785/86 questa concezione è inserita entro la differenza fra talento e genio:
le rappresentazioni e le riflessioni oscure sono la base tanto dell'arte bella
quanto delle scienze; non è possibile condurre a compimento alcuna invenzione,
se non a partire da rappresentazioni e attività oscure (AA XXV, p. 1222); lo
dimostra il fatto che un musicista non potrebbe creare l'armonia senza far uso
delle facoltà del pensiero (AA XXV, p. 1221); si può notare che l'invenzione
riguarda qui sia le scienze sia le arti, mentre più tardi riguarderà solo le
scienze. Come intorno al 1770 si era avvalso delle rappresentazioni e
dell'attività oscura per contrapporsi alla dottrina del moral sense e
del sense of beauty, e per spiegare i fondamenti della morale e
dell'estetica sulla base della sola facoltà dell'intelletto, sottraendoli
all'arbitrio soggettivo del sentimento e della sensazione, Kant spiega ora il
processo creativo delle belle arti indipendentemente dal sentimento individuale
o dall'ispirazione di origine divina.
5.2. La validità empirica del gusto
In connessione con la modificazione dell'orizzonte
sistematico, l'apriorità fondata sull'intuizione pura del tempo è sostituita
dalla validità meramente empirica del gusto. Interrogandosi sui principi che
governano il gusto musicale, Kant si pone l'interrogativo se in natura vi sia
qualcosa grazie a cui si possa anticipare l'accordo con il giudizio di altri
esseri umani, prescindendo dall'osservazione delle loro reazioni soggettive e
dalla constatazione del loro gusto attraverso l'esperienza. La risposta è
affermativa e fa perno sui concetti tradizionali dell'estetica delle
proporzioni: proporzione, ordine, armonia non si rintracciano nel corso
dell'osservazione empirica dei sentimenti individuali, perché appartengono alla
natura della cosa; la loro validità può essere solo a priori. Ciò non significa
però che qui si sia ritornati allo spazio e al tempo come intuizioni pure,
perché il termine “a priori” ora non designa se non una validità relativa: la
necessità logica da cui è caratterizzato è empirica. Sebbene il nesso fra
rapporti matematici e a priori del gusto musicale rimanga, il suo fondamento
non è più rappresentato dalle leggi della coordinazione. Il concetto di armonia
subisce, infatti, una modificazione semantica: l'armonia può senza dubbio
essere conosciuta e compresa a priori indipendentemente da esperienze
determinate, ma la sua validità è ricavata in primo luogo dall'esperienza.
Poiché si può osservare che essa non è giudicata in modo diverso dai diversi
individui e che la reazione soggettiva rimane costante, se ne può dedurre che
in tutti i tempi e in tutti i luoghi sia giudicata in base ai medesimi criteri.
Questa relazione fra armonia e validità universale e necessaria del gusto è particolarmente
evidente nelle Lezioni di metafisica.
Si potrebbe anche dire che alcune regole del gusto
siano a priori, ma non immediatamente a priori, bensì comparativamente, quando
queste regole si fondassero a loro volta su regole generali dell'esperienza.
Per esempio, l'ordine, la proporzione, la simmetria, l'armonia nella musica
sono regole che conosco a priori e che ammetto piacciano [gefallen] a
tutti, ma che a loro volta si fondano su regole generali a posteriori. Potremmo
anche sostenere un gusto necessario; per esempio, ognuno ha gusto per Omero,
Cicerone, Virgilio, eccetera (Kant 1986, p. 82).
Anche nella Logica di Vienna si legge:
La perfezione estetica si basa sulle leggi particolari
della sensibilità umana e non è perciò universale, per tutti gli esseri. Ma
poiché gli oggetti non vengono rappresentati soltanto mediante concetti, ma
anche mediante l'intuizione, devono esserci pure leggi universali e necessarie
della sensibilità. Qui sta il concetto del bello. Il fondamento del piacere
sensibile è bensì soggettivo, ma soggettivo in rapporto all'intera umanità. Ad
esempio, musica, simmetria (Kant 2000, p. 28).
Nachtsheim interpreta questo passo adducendolo a
conferma della spiegazione dell'a priori nella Critica del Giudizio; qui
però si propone l'idea di una universalità comparativa, non di quell'a priori
del gusto di cui si troverà la fondazione solo dopo il 1785 (Nachtsheim 1996,
p. 331 nota).
Anche in una Riflessione Kant afferma che
“l'armonia della sensazione secondo la materia è valutata in modo diverso e ha
principi meramente soggettivi; secondo la forma essa è però sottoposta a una
regola oggettiva” (Riflessione 973, 1776-78; AA XV 426).
Quale l'oggetto di questo giudizio dotato di
universalità e necessità empiriche? In una Riflessione sulla fisica
vengono addotti, ancora sulla base di Euler, i rapporti numerici fra la
vibrazioni dei suoni:
Ogni suono [Ton] compie 2 vibrazioni, e
nell'intervallo fra esse consiste appunto il suono. 2. [In] Un'ottava rispetto
al suono fondamentale ha quindi almeno 4 vibrazioni contro 2. 3. La [terza]
quinta (3:2) compie 6 vibrazioni contro 4 del suono fondamentale. 4. La grande
terza (4:5) compie 10 vibrazioni contro 8 del suono fondamentale […]. Un'ottava
risuona due volte (in relazione al suono fondamentale) (Riflessione 45,
1775-77 circa; AA XIV, p.).
Può sembrare, sulle prime, che nell'elaborazione
kantiana della seconda metà degli anni Settanta la sensazione sia concepita
come un dato empirico e soggettivo. Il capitolo della Anthropologie-Pillau
dedicato all'invenzione come arte e ai suoi prodotti in quanto prodotti dello
spirito, ammette il piacere [Wohlgefallen] solo relativamente al gioco
delle sensazioni, escludendo che i singoli suoni possano suscitare piacere [Wohlgefallen].
Quest'ultimo può sorgere dall'armonia, dal rapporto matematico fra suoni,
mentre gli elementi singoli non sono belli, scaturendo la vera bellezza
unicamente dalla rappresentazione di un intero.
La musica è propriamente il gioco puro delle
sensazioni, perché in essa non vi sono figure; essa piace perché i suoi singoli
elementi non hanno in sé nulla di piacevole. Solo l'armonia è piacevole (Riflessione
1487; AA XV, pp. 760-761).
Il medesimo concetto è espresso in una Riflessione
che pare risalire agli anni 1776-1784:
Il gusto ha leggi universali, non leggi a priori; il
gusto riguarda solo la forma dell'intrattenimento dei sensi senza appagamento.
Ama il mutamento. Non arte, non ricchezza né utilità. Natura che non costa
nulla. Facilità. Gusto nei colori e in ciò che è privo di colore. Nella
conversazione: niente cerimonie. Musica. Giardini. Edifici. Opere teatrali (Riflessione
983; AA XV, p. 429).
Non si può però dimenticare che anche il singolo suono
può rivelare in sé una sua specie di armonia, diversa dall'armonia fra
molteplici suoni; si possono perciò assegnare ad esso le medesime universalità
e necessità empiriche riconosciute all'armonia, perché l'animo manifesta la
capacità di percepire le proporzioni fra le molteplici vibrazioni che danno
luogo a un suono. I suoni non sono se non partizioni uniformi colte dalla
percezione straordinariamente fine dell'udito che è in grado di percepirne la
proporzione, sebbene il suono più acuto emetta ben 5000 oscillazioni in un
secondo. Questa osservazione non è però esplicitamente posta in rapporto con il
concetto della bellezza.
Sono stati compiuti diversi esperimenti per stabilire
quante vibrazioni dell'aria al secondo sono necessarie perché il suono più fine
e quello più rozzo possano essere prodotti. Si è trovato che nel suono più
grave l'aria deve compiere 30 vibrazioni al secondo, mentre nel suono più acuto
sono richieste 5000 vibrazioni al secondo. La vibrazione dell'aria compie
divisioni del tempo così indescrivibilmente piccole che le si dovrebbe ritenere
impossibili se l'osservazione non ne desse una precisa conferma e il loro
calcolo non si fondasse su principi certi.
Rimane costante la differenza, ripresa da Euler, fra
suono [Schall] e nota [Ton]: solo la nota presuppone una
successione regolare di vibrazioni nel tempo. “Schall e Ton si
differenziano perché Ton è un suono in cui il tempo è ulteriormente
suddiviso in un numero uniforme di vibrazioni [...]” (AA XXV, p. 999).
A differenza delle fasi precedenti e anche di fasi più
tarde si profila l'idea che l'anima non sia in grado di percepire la differenza
tra le vibrazioni dell'aria in un suono. In base alla Danziger Physik questa
capacità sarebbe dovuta solo ai nervi: se consideriamo che l'udito è anch'esso
costituito da nervi possiamo spiegare per quale motivo percepiamo le vibrazioni
di una corda. Ciò è coerente con la struttura della Lezione; la fisica
infatti verte proprio sull'organizzazione corporea dell'essere umano; le
relazioni fra corpo e animo sono completamente estranee al suo ambito. Oggetto
della fisica è la materia, che può essere caratterizzata come movimento; il
suono è un movimento che può essere ricondotto a leggi matematiche. Un passo
della Danziger Physik può eliminare ogni dubbio sul fatto che Kant nella
sua analisi dei limiti entro i quali singole impressioni acustiche sono
percepibili si sia fondato su Euler: “Questo pulsus aëris, come Euler
chiama il suono [...]” (AA XXIX, p. 146).
Euler dice: la nota più bassa è quella in cui la corda
compie 20 vibrazioni in un secondo. Una corda può vibrare 4000 volte al
secondo, ma se vibra di più non abbiamo più note. Gli uccelli devono emettere
più vibrazioni, perché la loro voce non è molto simile al suono. Ma non si può
credere che la nostra anima riesca a distinguere le vibrazioni; ciò dipende dai
nervi (AA XXIX, p. 148).
Con il senso dell'udito siamo affetti da oggetti
esterni, non perché siamo colpiti senza che nulla si frapponga, ma in quanto
l'aria funge da intermediario; siamo affetti dall'oggetto attraverso il
movimento dell'aria; il senso dell'udito rivela una particolare raffinatezza
nel dividere il tempo (AA XXV, p. 920). Come già precedentemente anche ora si
stabilisce una distinzione nell'oggetto del senso dell'udito: l'armonia e la
misura costituiscono l'ordine della struttura matematica dei rapporti fra gli
intervalli, le singole note, in sé considerate, sono divisioni del tempo
risultanti da un certo numero di vibrazioni.
Si può notare una differenza rispetto alle fasi
precedenti anche relativamente alla determinazione del numero delle vibrazioni
delle singole note: adottando la proposta di Euler, nella lezione di fisica del
1785/85 Kant propende per le cifre 20 e 4000. Più tardi però modifica questa
posizione: “Esso [l'udito, P.G.] è un senso fine perché se ne può fare un uso
esteso [...]. L'udito può sentire subito se il suono vibra di più o di meno”
(AA XXV, pp. 1452-1453). Nel 1781/82 si parla di 30 oppure 5000 vibrazioni al
secondo, nel 1785/86 di 20 e 4000, nel 1787/88 si afferma: “ad esempio
nella musica, qui una corda che emette la nota più grave vibra 50 volte al
secondo. Ma quella che emette la nota più acuta compie 6000 vibrazioni al
secondo”. Non è facile indicare per quale motivo le cifre non siano stabili; si
potrebbe anche supporre che ciò risalga non a Kant, ma alle trascrizioni dei
suoi studenti. In ogni caso ciò sarebbe forse rilevante per chi voglia
comprendere le ricerche kantiane sull'acustica, mentre è di importanza relativa
per l'interprete che mira al chiarimento della dimensione filosofica del
problema.
5.3. Genio e tema
Nonostante il mutamento di posizione della musica nel
sistema delle arti, ancora nel 1781/82 Kant la considera un'arte bella la cui
origine si trova nella facoltà poetica, sebbene essa giochi semplicemente con
sensazioni. Il capitolo “Sulla facoltà poetica” mostra che anche l'arte
musicale presuppone necessariamente un'idea della quale è espressione; la
tromba dà l'esempio di un tipo di musica nella quale la misura che conferisce
un ordine alla durata temporale si impone come elemento predominante;
all'ascolto della musica della tromba possiamo vedere emergere in noi l'idea
che governa questa musica, perché la misura divide il tempo e il tempo produce
in noi ordine e armonia (cfr. AA XXV, p. 992). Anche qui Kant è debitore nei
confronti di Euler e delle sue Lettere nelle quali la musica della
tromba era presentata proprio come esempio di arte musicale fondata sulla
misura. Che cosa significa però “farsi un'idea” della musica? Perché si parla
qui di “idea”? Essa è equiparata alla misura, all'ordine e all'armonia; il suo
fondamento è lo spirito. Poiché è possibile trovare per ogni tipo di musica un
testo che vi corrisponda, si pensa anche che nell'accompagnare il testo si
realizzi l'autentico compito dell'arte musicale: questa è però una convinzione
errata perché la musica non designa alcun pensiero, ma solo un rapporto
armonico fra le sensazioni (AA XXV, p. 986).
Questa costellazione concettuale assume lineamenti
ancor meglio definiti nella seconda metà degli anni Settanta. Il concetto del
tema non può essere pensato a prescindere dal genio e la sua invenzione diviene
possibile esclusivamente se il genio è attivo, se in esso è operante lo
spirito. Il tema, in quanto rappresentazione unica che conferisce unità alla
composizione, è il prodotto dell'attività dello spirito. Anche nel gioco delle
sensazioni dobbiamo avere un'idea o un tema, una rappresentazione principale
che dà l'impronta a tutte le parti, affinché l'effetto vivificante del gioco
acquisisca un grado di maggiore perfezione grazie all'unificazione (AA XV, p.
361). L'idea conferisce unità alla composizione benché la sua origine non sia
empirica; sua sede è l'animo del musicista, suo principio è l'invenzione.
Nel capitolo “Sul genio” emerge come il concetto di
spirito sia inscindibile dal concetto di idea; idea ha quindi un significato
molto esteso, e indica ciò che di volta in volta è l'elemento essenziale. Idea
è ciò che vive in modo armonico nell'intero. Questa definizione diventa più
comprensibile se la si rende intuitiva con un esempio: le idee principali delle
opere di Rousseau sono contenute nell'estratto che Formey ne ha approntato e
designano il suo progetto filosofico nel suo insieme senza l'aggiunta di altri
elementi volti ad estendere l'opera (cfr. AA XXV, pp. 1063-1064).
La netta differenziazione fra virtuosi e compositori
autentici è conseguenza della concezione che anche nella musica come in tutte
le altre arti belle si può manifestare il genio; solo fra coloro che sono in
grado di comporre, di inventare il nuovo, si possono individuare i geni, mentre
i virtuosi si limitano all'imitazione e non creano nuove regole. È tuttavia
anche vero che l'esecuzione di una composizione richiede un talento particolare
favorito dal meccanismo degli organi di senso; i virtuosi hanno dunque ricevuto
dalla natura una struttura fisica del tutto particolare e favorevole all'arte
(cfr. AA XXV, p. 1495). I musicisti mostrano di possedere una grande abilità
quando sanno produrre su uno strumento i suoni che sono propri di un altro strumento,
se ad esempio sono capaci di suonare un oboe nel tono del flauto, a prescindere
dalla gradevolezza del suono che ne risulta. Sebbene avvenga al di fuori della
norma e non abbia alcun valore estetico, ciò diventa piacevole per la sua
stranezza e per l'arte richiesta per la sua realizzazione; perciò ammiriamo
persone che, senza alcun aiuto, hanno conseguito questo risultato. Gli esempi
addotti illustrano che possono esistere individui favoriti dalla natura che si
avvicinano molto alla genialità, senza però poter essere considerati autentici
geni (cfr. AA XXV, pp. 1064-1065).
5.4. Il gioco della Imagination
La musica facilita il movimento della Imagination:
l'osservazione, che ha carattere meramente empirico e antropologico, concerne
non la fantasia, ma la vera e propria immaginazione. Se la musica dilettasse la
fantasia avrebbe sicuramente un effetto forte sulle degenerazioni cui è
sottoposta questa facoltà, che è priva di libero arbitrio e contraria alla
nostra volontà; l'immaginazione invece è la facoltà formatrice che si trova
ancora, in certa misura, sotto il dominio del libero arbitrio (AA XXV, p. 751).
Nella Menschenkunde la posizione di questo esempio e la sua funzione
emergono con chiarezza maggiore rispetto agli altri appunti; vi si pone la
domanda sulla causa dell'attrattiva generata da un gioco di sensazioni prive di
significato concettuale sull'immaginazione involontaria. Esse costituiscono un
rapporto armonico di impressioni in sé né gradevoli né sgradevoli, che proprio
per il loro ripetersi possono dare slancio all'animo.
Quale può essere la ragione per cui un certo modo di
funzionare della fantasia è per noi molto dilettevole e l'animo umano si trova
coinvolto in una specie di movimento piacevole, in quanto certe impressioni
leggere, dotate di molteplicità generano in noi un gioco insignificante di
sensazioni? Il fuoco di un camino [...]. Analogamente un ruscello [...]. Anche
il tabacco offre alla fantasia l'occasione di intrattenere il gioco dei
pensieri. Il fumo del tabacco è un'attrattiva che suscita una sensazione
insignificante che non è né piacevole né spiacevole, e può essere spesso
ripetuta, nella quale l'animo è sempre messo in movimento da questa sensazione
insignificante (AA XXV, pp. 949-950).
Poiché un oggetto insignificante non ci attrae con
forza, il nostro animo si può rilassare nella sua contemplazione;
l'osservazione delle figure assunte dalla fiamma o dalle volute del fumo,
l'ascolto di una musica che non ci emoziona intensamente danno occasione a un
gioco di associazione di idee che per lo più rimane nascosto sotto la soglia
della coscienza. La musica è all'origine di un'associazione di idee
inconsapevole (cfr. AA XXV, p. 950) e fa sorgere il sentimento del piacevole
perché agisce sull'immaginazione produttiva involontaria. Ad una musica soave è
riconosciuta la medesima capacità che si attribuisce al fuoco di un camino, al
fumo del tabacco, alla contemplazione di vasti panorami; questa facilitazione
dell'immaginazione non richiede precise conoscenze musicali, come dimostra il
fatto che persone che non si intendono affatto di musica possono attendere alle
loro occupazioni con più facilità quando ascoltano una musica delicata (AA XXV,
p. 1259).
Questa medesima concezione trova espressione in una Riflessione:
La fantasia gioca con noi […]; noi giochiamo con
l'immaginazione [Imaginatio]. Sognatore è colui le cui idee sono
completamente involontarie. Il decorso della fantasia è molto incentivato da
movimenti insignificanti e da figure delle quali si può fare quel che si vuole.
Ad esempio il ruscello, gli scogli, il mare, il fuoco del camino, il fumo del
tabacco (non nell'oscurità). Vasti panorami (Riflessione 1504,
1780-1784; AA XV, pp. 806-807).
Le osservazioni svolte in questo contesto non hanno il
compito di spiegare la bellezza della musica; non hanno alcun rapporto diretto
con il problema della bellezza dei suoni e dei loro rapporti. L'effetto della
musica sull'immaginazione involontaria e produttiva genera un sentimento di
piacere che si può definire mero diletto corporeo, attrattiva per il piacevole.
L'unica modificazione rispetto alle fasi precedenti è data dall'uso
dell'espressione “immaginazione involontaria produttiva” introdotto nelle Lezioni
di antropologia solo intorno al 1780.
L'essere umano è dotato, come gli uccelli, di un
impulso a cantare che non si può rendere comprensibile nella sua origine
risalendo semplicemente alle sagge disposizioni del Creatore (AA XXV, pp.
997-998). La polemica potrebbe essere qui diretta contro Scheibe, editore del
“Critischer Musikus”, una rivista di Lipsia fondata nel 1737, secondo il quale
la musica è un'attività delle facoltà dell'anima che, instillata direttamente
da Dio, corrisponde a quella musica primitiva che si esprime nel canto degli
uccelli.
L'inclinazione alla musica sorge propriamente
dall'anima e non avrò torto, se dico che il fondamento primario della musica
deve essere cercato e trovato nell'anima. L'Essere supremo, in base alla sua
saggezza incomprensibile, ha instillato nell'anima questa inclinazione dolce e
dilettevole sin dall'inizio. Egli non ha conferito agli esseri umani solo la
scintilla divina dell'intelletto grazie all'amore per le scienze, ma ha loro
comunicato anche la soavità della musica per un piacere delicato; la qual cosa
soddisfa il nostro animo nel modo più gradevole, emoziona e diletta nel modo
migliore i nostri sensi, e serve infine all'anima stessa per assaporare
divinamente in anticipo la felicità eterna (citato in Birke 1966, p. 55).
Per il filosofo di Königsberg il canto è piacevole per
l'essere umano perché infonde movimento al sistema nervoso; e tutto sfocia, in
ultima istanza, nella conservazione della salute, sia nell'essere umano sia
negli uccelli. Il canto e la musica sono un movimento armonico di tutti gli
organi, un motus tremulus che induce un movimento analogo in tutto il
nostro sistema nervoso e mantiene uno stato di salute perché è armonico e
proporzionato. Questa estesa trattazione degli effetti fisici culmina nel
concetto della musica come effetto della facoltà poetica; il diletto [Vergnügen]
deriva direttamente dalla fantasia, dall'immaginazione intesa come facoltà che
compie associazioni involontarie: al sorgere di sensazioni consegue il sorgere
di affetti (AA XXV, pp. 998-999).
Nel capitolo della Anthropologie-Petersburg
“Sull'influsso del corpo sull'anima” Kant così si esprime:
È sorprendente che nessun libero arbitrio e nessun
proponimento siano mai sufficienti a produrre in noi un effetto paragonabile a
quello causato da un affetto, né di muovere il corpo come un affetto attraverso
il sistema nervoso […]. Spesso possiamo venire in aiuto al corpo solo grazie
all'animo, e all'animo solo grazie al corpo. Questo aspetto della medicina è
molto trascurato.
Dell'effetto
fisico della musica Kant si interessa in particolar modo nelle sue lezioni di
fisica, nelle quali constata nel 1785-86: “I suoni sono penetranti. - Agiscono
sul corpo che risuona e poiché si tratta di vibrazioni uniformi nel tempo la
vibrazione successiva raddoppia sempre quella precedente e ciò scuote molto
intensamente il corpo” (AA XXIX, p. 148). “Proprio per il fatto che le
vibrazioni si succedono in modo uniforme, esse si incrementano, e un suono
ripetuto può scuotere corpi grandi sin nel loro interno” (AA XXIX, p. 149). La
fisica è dunque la fonte delle osservazioni che ritroviamo nell'antropologia:
Che la musica ci emozioni tanto deriva
da questo fatto: in ogni movimento le vibrazioni dei suoni sono tutte uniformi
e ciò causa nei nervi una grande vibrazione che è ancora più intensa di quella
causata da un movimento non uniforme; così la regolare marcia di un esercito su
un ponte […] ne determina la distruzione, cosa che non accade in seguito ad una
marcia irregolare (AA XXV, pp. 1242-1243).
L'attrattiva
esercitata dalla musica è dovuta alla costituzione fisica dei Töne i
quali si distinguono dallo Schall perché le singole impressioni dalle
quali un singolo suono risulta si succedono con regolarità e in base a rapporti
matematici. La matematica assolve qui non solo al compito di render possibile
gli intervalli fra i suoni e la struttura del singolo suono come gioco delle
sensazioni, ma anche l'attrattiva corporea.
Sebbene Schlapp spieghi la concezione terapeutica
della musica in base alla biografia di Kant e ritenga che non sia improbabile
che egli abbia applicato la musica a se stesso come strumento per realizzare la
dieta del proprio corpo (Schlapp 1901, p. 277 nota), è possibile mostrare che
la spiegazione fisiologica del diletto è arricchita, già a partire da questa
fase, da considerazioni ricavate dal campo delle ricerche mediche; la musica
assolve una funzione terapeutica in quanto il suo influsso sul corpo riesce a
calmare le convulsioni generate dai vermi (AA XV, p. 429; 1776-78). Si può
dimostrare con assoluta certezza che Kant ha letto un resoconto sugli effetti
della musica sulle malattie del corpo redatto in lingua francese da Richard de
Hautesierck, espressamente nominato nella Riflessione 295:
Richard de Hautesierck nel suo Recueil d'observations
ecc. dice: un giovane di 13 anni ha avuto per 11 giorni convulsioni resistenti
a qualsiasi medicina. Tuttavia esse furono attenuate sino al momento della
morte. Vicino all'osso iliaco, nell'intestino crasso si trovarono dopo la sua
morte 7 vermi della lunghezza di 1/3 braccia, che avevano determinato
un'infiammazione. La musica ha incantato i vermi (cfr. AA XXV, p. 560; AA XV,
pp. 111-113).
Si può inoltre ricordare che nel 1787 Kausch, autore
nel 1782 di uno scritto sull'influsso dei suoni sul corpo e sull'anima, si
rivolse a Kant per via epistolare facendogli dono della sua opera.
5.5. Pregi e difetti della teoria di Verri
Esaminiamo ora quale significato sia attribuito alle
dissonanze. Fino al 1775 le dissonanze sono intese sia come elemento necessario
al piacere [Vergnügen] perché garantiscono la molteplicità
nell'alternanza, sia come note non facilmente comprensibili perché derivano da
rapporti non riconducibili a proporzioni matematiche le quali soltanto possono
facilitare le facoltà conoscitive e, quindi, generare piacere estetico. Alla
prima concezione se ne affianca una radicalmente nuova verso il 1780. Nei
capitoli “Attraverso quale contributo si realizzi l’incremento oppure la
diminuzione delle sensazioni” e “Come le rappresentazioni svaniscano, e come
esse possano essere incentivate affinché non svaniscano” Kant illustra due
aspetti che ci permettono di determinare in qual modo si verifichi l’influsso
della musica sulla sensibilità e sulla sensazione del piacere corporeo. Si
sottolinea che il contrasto è essenziale nell’arte poetica, nella pittura e
nella musica, perché le dissonanze accrescono la sensazione delle consonanze; i
contrasti si realizzano nell’ordine temporale della simultaneità, le alternanze
nella successione. “Il salto non è conforme alla natura dell’animo, come si può
vedere già nella musica: alternanza e molteplicità incrementano molto la nostra
attività, perché l’attività è sorgente di vita. La vita si fonda sulla
dimostrazione dell’attività” (AA XXV, p. 937).
Il testo della Menschenkunde porta, però, alla
luce anche il debito di Kant nei confronti di Pietro Verri. In una prima fase
del suo pensiero, nelle sue Lezioni di antropologia, Kant manifesta
l'opinione che il dolore non abbia una funzione positiva, ma debba essere
evitato e sostituito dalla ricerca del piacere. Ciò non è certo un imperativo
categorico di natura morale, ma una semplice osservazione empirica. Dopo aver
letto Verri, Kant modifica completamente il contenuto della sua teoria e
assegna al dolore una funzione positiva, designandolo “pungolo all'attività” [Stachel
der Tätigkeit] che rende possibile il faticoso cammino della storia umana.
Non si potrebbero comprendere i motivi di questa importante svolta nella
concezione del piacere se la si considerasse solo come uno sviluppo interno
alla teoria. “Tutto quello che abbiamo esposto” - si legge nel capitolo sul
piacere delle Lezioni di antropologia - “contiene la tesi del conte
Veri, che non è apprezzata da alcuni, ma è tuttavia esatta; su di essa si fonda
l'economia della natura umana” (AA XXV, p. 1073).
A questa modificazione si lega la formulazione di un
nuovo concetto delle dissonanze; essa non è, quindi, un fattore secondario, ma
si inserisce in una più vasta problematica che tocca la definizione stessa del
piacere e del dolore. Fino alla metà degli anni Settanta le dissonanze erano
pensate come alternanza e la loro funzione consisteva nell'accrescere il
piacere introducendovi varietà. La Nachschrift Pillau contiene un'idea
completamente diversa, esposta poi con maggior chiarezza nella Menschenkunde;
nel momento in cui Kant perviene alla convinzione che non vi possa essere alcun
tipo di piacere se non preceduto dal dolore, le dissonanze sono interpretate
come dolore istantaneo e transeunte che può rafforzare il piacere, come
emozione alla quale fa seguito una più forte effusione del sentimento vitale;
“nessun piacere può perdurare in noi, ma il dolore deve sempre mescolarvisi. Il
piacere per le consonanze non può verificarsi senza dissonanze” (AA XXV, p.
1073). La vita animale dell'essere umano si gioca tutta nel rapporto fra
piacere e dolore; con essa hanno relazione le dissonanze, non con il sentimento
vitale della vita umana che pone in movimento le forze dell'animo. Le
dissonanze sono, come il dolore in generale, una saggia disposizione della
provvidenza, del Creatore per risvegliare in noi il sentimento del piacere (AA
XXV, pp. 1071, 1073). Ancora nel 1785/86 si legge che l'attrattiva è diversa
dall'emozione perché è incremento, vivificazione della forza vitale attraverso
uno stimolo - per questo motivo i cibi piccanti hanno attrattiva. L'emozione è
invece inibizione della forza vitale cui fa seguito solo in un secondo momento
un'effusione di essa. Le emozioni colpiscono più nel profondo, come le
dissonanze, le quali inibiscono in certo qual modo gli spiriti vitali (AA XXV,
pp. 1331-1332). Se i suoni, con il loro rapporto armonico, rivelandosi consonanze,
attraggono il corpo e incentivano il sentimento vitale, alle dissonanze spetta
il compito di emozionare e rendere possibile il piacere. Nelle fasi precedenti
l'emozione era considerata il risultato di un'affezione della molteplicità
secondo il grado, come Kant mostrava, riferendosi a Burke; una tensione delle
forze vitali cui seguiva una loro più forte effusione; ora esse sono dolore
originario, fonte imprescindibile del piacere.
La soluzione data da Kant al problema della funzione
della musica come arte bella agli inizi degli anni Ottanta include anche una
critica alla posizione di Verri. Per entrambi la musica è senza dubbio un'arte
bella; i dolori e i piaceri “fisici” hanno origine in un rapporto fra gli
organi di senso e sono quindi passivi, mentre i piaceri e i dolori “ideali”
presuppongono un'attività dell'anima irriducibile ai sensi. Kant modifica
questa terminologia e sostituisce al termine “morale” l'espressione “ideale”
che già compare in lui prima della lettura di Verri. Dopo la lettura delle Idee
assegna alla musica il compito di opporsi al dolore ideale. Se essa è valutata
per il piacere e il dolore che genera non ha nulla a che vedere con la
dimensione che Verri chiama “morale” in senso lato, perché morale non è ciò che
non si riferisce a un effetto percepito dai sensi, ma ciò che rientra nella
fondazione dell'azione. Piacere e dolore rimangono sempre al di fuori della
dimensione morale.
Per Verri, la funzione della musica consiste
nell'allontanare quel dolore le cui cause ci sono ignote e che pur ci
accompagna sempre, che è la noia; sebbene il termine Langeweile non
compaia nella traduzione tedesca dello scritto di Verri, esso è spiegato da
Kant come l'insieme dei dolori innominati (cfr. AA XXV, p. 1052).
Il conte italiano Veri dice fra le altre cose che le
belle arti e le belle scienze sono mezzi contro i dolori innominati e la noia.
Se avessimo sempre piacere, ciò non ci servirebbe a nulla perché non avremmo
coscienza della nostra vita. Nel momento del dolore sentiamo la nostra esistenza.
La noia è un dolore incessante, innominato e persone dotate di una sensibilità
molto sviluppata lo provano spesso (AA XXV, p. 1316).
Kant condivide con Verri la persuasione che le belle
arti non esisterebbero se l'uomo fosse completamente sano nel suo spirito e se
non fosse spinto dai dolori innominati ad allontanarsi dallo stato presente. Le
belle arti possono certo esserci utili per mitigare e lenire i dolori
innominati che ci tormentano incessantemente sin dalla nascita, e fanno sì che
il piacere sia possibile solo come l'eliminazione di un precedente dolore.
Questa determinazione riguarda però l'uomo soltanto se considerato come
animale; se ci si interroga sulla natura del gusto, non sul semplice sentimento
individuale del diletto e del dolore e si cerca di darne una giustificazione,
si nota come le belle arti sviluppino nell'essere umano il rapporto armonico
delle facoltà conoscitive. Le arti non sono, dunque, divertimenti atti a
scacciare la noia, ma formano l'animo umano, alimentandone l'attività (cfr. AA
XXV, p. 983).
Notiamo un movimento armonico di tutte le facoltà del
nostro animo nella musica, nella poesia che sono un sentimento di incremento
della nostra vita. Molti pretesi piaceri spirituali sono, in via mediata,
corporei, sebbene crediamo che essi abbiano relazione con il nostro spirito; la
musica, ad esempio, contribuisce alla digestione e alla salute e il nostro
animo è posto in movimento dal benessere del corpo, e ciò si chiama piacere
“ideale” (AA XXV, 1068-1069).
La concezione di Verri è quindi valida solo
relativamente al piacere e al dolore, ma non appena abbandoniamo il terreno
dell'analisi del sentimento di piacere per il piacevole e ci volgiamo a quella
del sentimento di piacere per il bello deve essere superata. Verri, infatti,
non coglie la differenza fra questi due concetti del piacere e unifica
pericolosamente Vergnügen e Wohlgefallen. Interpreta quindi
erroneamente questi passi della Menschenkunde una delle poche analisi
dedicate al significato di Verri per la filosofia di Kant: dopo l'idea
dell'incremento armonico delle facoltà dell'anima come fine delle arti belle,
Grundmann ritiene che l'apprezzamento delle arti subisca un ulteriore
incremento proprio grazie all'apporto di Verri. La constatazione che il cuore
umano è costantemente tormentato dal dolore avrebbe spinto Kant ad attribuire
alle arti non solo la capacità di infondere vita alle facoltà dell'animo, ma
anche quella di liberare l'uomo dall'infelicità (cfr. Grundmann 1893, p. 34).
Queste due diverse valutazioni non corrispondono, però, ai due gradini di un
processo ascendente; al contrario, Kant si limita a constatare che
l'eliminazione e il lenimento del dolore sono lo scopo delle arti solo per
quanto concerne Vergnügen e Schmerz, sottolineando peraltro che
il loro peculiare compito consiste nel dare vigore alle facoltà dell'animo.
5.6. Suoni e colori
Già all'inizio degli anni Settanta è stata posta una
differenza fra attrattiva “ideale” e attrattiva “sensibile”. Ora si sottolinea
ancora che la musica può produrre dapprima sensazioni e poi affetti. Il gioco
degli affetti è disinteressato: non è seguito da alcuna decisione né da alcuna
azione. Esso non si trova in alcun rapporto con la facoltà di desiderare,
perché è mero sentimento e genera sentimenti. Ora però il gioco è il correlato
non del tempo, ma del sentimento che si è trasformato in affetto e designa
qualcosa che può essere contrapposto all'esercizio di un mestiere (AA XXV, p.
1135). Gli affetti disinteressati svolgono due compiti: contribuiscono alla vivificazione
dell'animo grazie alla loro piacevolezza e incrementano la salute e il
benessere. “Gioco” è un'alternanza, una varietà di affetti, in cui ad esempio
alla speranza può seguire la gioia e alla gioia il disgusto. Suoni lamentosi e
seri hanno un'azione specifica sul nostro animo, non paragonabile a quella di
altri suoni. L’animo prova nell’affetto una sensazione interiore, forte,
passeggera, che gli fa perdere il controllo di sé: l’essere umano non pone
allora la sensazione che prova in relazione con l’insieme di tutte le
sensazioni, ma è succube di quest’unica sensazione (AA XXV, p. 1118).
In questo contesto e a partire da queste premesse il
clavicembalo oculare di Castel presenta un difetto: Castel crede che sia
sufficiente considerare il solo aspetto matematico, ma trascura completamente
il nesso della musica con il movimento degli affetti. I colori però non hanno
alcun effetto sul movimento degli affetti; sarà quindi accettabile, fra suoni e
colori, un'analogia, non una loro completa identificazione. A dimostrazione di
ciò si possono addurre quei casi in cui si mostra l'assenza completa di senso
musicale o di un senso in grado di distinguere i colori. Vi sono infatti esseri
umani che non hanno un udito atto a percepire la musica, che sentono sì il suono,
ma non riescono a distinguere i suoni musicali, eccetto quelli che sono o più
forti o più deboli degli altri. Analogamente vi sono persone che non hanno
alcuna capacità di percepire i colori, come una famiglia inglese che vedeva
tutto come fosse un bassorilievo [Kupferstich] nel quale non si possono
notare colori. Il chiaro e lo scuro sono per queste persone all'incirca come la
differenza fra luce e ombra (AA, pp. 911-912). Dalla constatazione che l'udito
migliore talvolta non coincide con l'udito musicale si può trarre la
conclusione che la facoltà di distinguere i suoni musicali dipende dalla
struttura fisica del singolo individuo (AA XXIX, p. 149).
Un'integrazione a queste considerazioni è offerta
dalla Metaphysik-Pölitz. Se dal giudizio di gusto ci spostiamo alla
conoscenza, notiamo che le carenze del senso dell'udito dimostrano che
l'orecchio musicale, sebbene sia connesso con le impressioni dei sensi, non si
può ricondurre completamente ad esse, ma richiede l'intervento della
riflessione. Qui non è in questione la capacità o meglio l'incapacità di
distinguere le note dal rumore, ma l'assenza assoluta dell'udito. Riflessione e
senso sono analizzati nelle loro differenze: per dimostrare che il senso non si
riferisce solo all'impressione, ma richiede anche la riflessione Kant ricorre
all'esempio del cieco nato. È possibile avere conoscenze di oggetti dei quali
non possiamo avere alcuna sensazione; un cieco nato può ottenere una conoscenza
della luce pari a quella di un vedente fondandosi sull'uso dell'intelletto;
l'unica differenza è data dall'assenza della sensazione, ma della sensazione in
generale non si può dire nulla perché è completamente soggettiva; alla parola
“luce” ognuno fa corrispondere la sua propria, individuale sensazione. Possiamo
quindi separare le impressioni dai giudizi, perché la conoscenza dei sensi
attraverso l'intelletto non è certo la conoscenza attraverso l'impressione (AA
XXVIII, p. 234). Ci si prospettano quindi due possibilità: l'esperienza e
l'osservazione ci offrono esempi o di esseri umani i cui sensi compiono le loro
normali funzioni, oppure di esseri umani i cui sensi presentano qualche
difetto. In questo secondo caso i sensi si prestano a dimostrare, per ciò che
concerne la determinazione delle proprietà della facoltà conoscitiva, che la
conoscenza non si esaurisce nelle impressioni sensibili, ma è resa possibile
dalla cooperazione dell'intelletto e quindi dalla riflessione.
Come già cinque anni prima, Kant ricorda che si può
mostrare, avvalendosi di un monocordo, che le sette note fondamentali
coincidono con i sette colori dell’arcobaleno. Si attribuisce a Newton l’idea
che la luce non sia una vibrazione della materia, e non possa quindi essere
paragonata con il suono; ma, secondo Kant, Newton non sapeva che la luce è una
materia particolare e credeva che essa, nel caso la si considerasse materia
elastica, dovesse propagarsi in tutte le direzioni (cfr. AA XXIX, p. 150). Se
si ammette il parallelismo che Newton nega si può scoprire il motivo per il
quale un cieco nato al quale si fece ascoltare la descrizione verbale del
colore rosso disse che questo colore doveva essere simile al suono di una
trombetta (AA XXV, pp. 910-911). Di questo esempio, probabilmente tratto dal Saggio
sull'intelletto umano di Locke, Kant si avvale per confermare che i colori
dell'arcobaleno sono fra loro nel medesimo rapporto che regna fra le note di un
monocordo (cfr. AA XXV, pp. 1135-1136). Anche nella Riflessione 1503 si
nota: “La vista [...] si riferisce relativamente alla figura al tatto,
relativamente ai colori è analoga all'udito” (1780-84; AA XV, p. 803; cfr. AA
XXV, pp. 1243-1244).
5.7. Musica e cultura
Se si persegue il fine di produrre un
carattere morale nell'individuo, si deve anzitutto constatare che coloro che si
dedicano alla musica non sono dotati di un carattere stabile né di una stabile
disposizione al bene. Nella Riflessione 1479 risalente agli anni
1772-1778 Kant mette in guardia i giovani dal gioco, dalle donne e dalla musica
(AA XXV, pp. 1390-1391); secondo Adickes il motivo di questa strana
preoccupazione deriverebbe dalla convinzione che coloro che si dedicano per
passione al gioco, come musicisti e ballerini, hanno raramente un carattere
perché amano l'effimero; probabilmente solo persone dotate di poco carattere
possono diventare musicisti e poeti (Adickes 1904, p. 328).
Ciò non comporta peraltro che la musica sia svalutata
come arte; essa può contribuire sia alla cultura, sia alla civilizzazione,
sebbene né la prima né la seconda coincidano ancora con la produzione di un
carattere morale. Il gusto, come sappiamo, incrementa i piaceri ideali, e ci
rende capaci di piaceri che non potremmo raggiungere nel basso godimento dei
sensi; piaceri ideali sono quelli della pittura, della musica e delle scienze;
se si vuole godere di essi è necessario formare il gusto, i cui germi sono in
noi presenti come una disposizione naturale che attende solo di essere
sviluppata. Come precedentemente, anche ora Kant riconosce il valore delle tesi
di Home che, opponendosi a Rousseau, affermava che il gusto si può apprendere
(AA XXV, p. 1102).
Vista e udito sono, come nelle fasi precedenti, gli
unici sensi che producano qualcosa che può essere comunicato e non si limiti al
singolo individuo; essi sono in grado di compiere una “scelta” dotata di
universalità. La musica dà un contributo alla cultura della sensibilità
esclusivamente grazie all'armonia; Platone, ricorda Kant, diceva che nel suo
stato ideale la musica avrebbe dovuto avere una funzione specifica nel
nobilitare il cuore umano (cfr. AA XXV, pp. 993-994). Tuttavia si nota come la
musica non possa essere abbinata alla pittura e alla scultura poiché,
differentemente da esse, agisce con maggior vigore sulla sensibilità che
sull'intelletto. Se, invece, si prende in considerazione che la musica gioca
con sensazioni, se ne deve necessariamente dedurre che il suo contributo alla
cultura è nullo, e che la sua utilità si manifesta nell'agire sul movimento,
sulla connessione fra animo e corpo. Per questo motivo essa non può costituire
il fondamento dell'educazione né del singolo, né del genere umano ed è anzi
consigliabile che non sia oggetto di educazione.
La vista e l'udito sono sensi belli, perché non
offrono nutrimento solo alla sensibilità, ma danno materia di riflessione anche
all'intelletto. Tuttavia la pittura e la scultura coltivano in misura maggiore
della musica, perché in quest'ultima non vi sono concetti, ad eccezione
dell'armonia. La musica è cultura perché nobilita il Giudizio sensibile e rende
soave e delicato il cuore, infondendogli l'attitudine a ricevere impressioni
più delicate e soavi, a godere di attrattive ed emozioni “ideali”. Tuttavia
questo tipo di cultura è ben diverso dalla cultura apportata dalla vista, la
quale offre concetti all'intelletto, mentre la musica ci infonde vita ed è un
movimento utile del quale però non si può dare alcuna descrizione verbale. Come
narra Sherlock, i viaggiatori che giungono in Italia sono rapiti ed estasiati
dalle cantanti dell'opera (AA XXV, p. 1331; cfr. anche AA XXV, pp. 1243-1244).
5.8. Il sistema delle arti
Nella seconda metà degli anni Settanta è per la prima
volta presentato un sistema delle arti nel quale la musica è annoverata fra le
arti figurative. Già precedentemente si sottolineava il rapporto fra facoltà
formatrice e idea della totalità dell'opera, o tema. Ora, si muove dalla
differenza fra arti belle ed arti piacevoli; nelle prime è attivo lo “spirito”,
assente nelle seconde. Mentre le arti piacevoli, nelle quali rientrano tutti i
mestieri, seguono regole e modelli determinati senza proporre alcun principio
di novità, le arti belle derivano da un principio che non può essere appreso,
al quale si attribuisce il nome di “spirito” in quanto rappresenta l'aspetto
più nascosto del genio. La musica è arte del genio, e come tale non può essere
appresa; Principium des Neuen è l'idea che sta a fondamento di una
composizione musicale e deriva dalla facoltà formatrice (cfr. AA XXV, p. 782).
Da alcuni documenti risulta che le arti figurative e le arti della parola sono
correlate a due diverse specie di bellezza: mentre le arti figurative
realizzano la bellezza come fenomeno, le arti della parola realizzano la
bellezza sotto forma di conoscenza. Nelle arti figurative, infatti, la
relazione con l'elemento sensibile è più intensa che nelle arti della parola.
Entro la bellezza come fenomeno si può introdurre un'ulteriore articolazione,
perché ai suoni si attribuisce una bellezza fenomenica che riguarda le
impressioni. Le arti sono anche suddivise in arti della parola che producono
rappresentazioni e arti figurative che producono un oggetto che ci può
attrarre; nelle prime rientrano poesia ed eloquenza, nelle seconde pittura e
musica. Nella pittura si inseriscono architettura, scultura ed autentica
pittura, arte dei giardini, arte dei fuochi artificiali, nella seconda la
musica e la danza (AA XXV, p. 783; cfr. anche la Riflessione 1485, AA
XV, p. 701).
Se questa suddivisione è stata stabilita a partire dal
concetto del genio è possibile richiamarsi all'oggetto di questo processo di
produzione e suddividere le arti a seconda della natura degli oggetti che
realizzano. La suddivisione in arti materielle e spirituelle
affonda le sue radici nell'effetto dell'opera d'arte sullo spettatore o
sull'ascoltatore e si sovrappone alla suddivisione in arti della parola ed arti
figurative. Saranno materiali quelle arti che, come la musica e la pittura,
producono oggetti che possono esercitare attrattiva sia sui sensi animali sia
sul senso vitale; “spirituali” saranno invece le arti che producono mere
rappresentazioni. Se musica e pittura sono arti figurative, esse si distinguono
però per l'effetto causato: l'attrattiva generata dalla musica è passeggera e
concerne il gioco, ovvero il fenomeno del molteplice nel tempo, mentre la
pittura ci colpisce con un'impressione durevole e permanente, perché produce
figure, fenomeni che appaiono nella loro molteplicità nello spazio. Nella
pittura rientrano, oltre alla pittura in senso stretto, l'architettura, la
scultura e l'arte dei giardini. Tutto questo emerge dal capitolo su “Il poetare
come arte, e quindi anche i prodotti di essa come prodotti dello spirito” (AA
XXV, p. 759).
L'inserimento della musica fra le arti figurative pare
non potersi ricondurre ad alcun precedente. “Kant”, nota Schelling, “presenta
tre tipi di arti: arti della parola, arti figurative e l'arte del gioco delle
sensazioni in modo molto vago. Nelle prime annovera plastica e pittura; nelle
seconde inserisce eloquenza e poesia”. Sebbene questo rilievo possa riguardare
la Critica del Giudizio, essa non coglie nel segno quando si voglia
considerare il progetto della prima metà degli anni Settanta.
A partire dal 1780 si rende visibile una tappa
importante nel percorso intellettuale del filosofo: tra la musica e le arti figurative
è introdotta una separazione netta. Le arti belle imprimono slancio alle
facoltà dell'animo in modo armonico, generano quindi piacere per la bellezza;
non sono prodotte dal mero intelletto, ma dalla facoltà poetica e possono
essere materiali o spirituali. Le prime comunicano un influsso che può essere
permanente, come nella pittura, nella scultura, nell'architettura, nell'arte
dei giardini, oppure transitorio, come nel gioco, nella musica, nella danza (AA
XV, p. 701). Questa Riflessione è senza dubbio analoga alle Lezioni del
WS 1781/82 ma non si identifica completamente con esse, come vorrebbe invece
Erich Adickes nel suo commento alla Riflessione. Il capitolo “Delle arti
belle che hanno la loro origine nella facoltà poetica” delle Lezioni dei
semestri invernali 1777/78 e 1781/82 non dubita in alcun modo che la musica sia
un'arte bella, ma nel 1781/82 la musica non è più inserita, come
precedentemente, fra le arti figurative. Kant si propone, infatti, di
suddividere le arti seguendo il principio in base al quale esse sono
effettivamente connesse: l'arte poetica e la retorica sono concepite ora come
arti del gioco delle idee, musica e danza come arti del gioco delle sensazioni.
Pittura, arte dei giardini e architettura sono autonome rispetto alla musica e
non sembrano aver più nulla in comune con essa. Se finora la partizione era
dicotomica, da questo momento in poi essa si presenta tripartita. Il fondamento
del nuovo sistema è strettamente collegato al fatto che la musica è concepita
come un tipo particolare di linguaggio, essendo quest'ultimo composto da tre
elementi: l'articolazione (le parole), la mimica (il gesto) e, appunto, la
modulazione (il suono) (cfr. AA XXV, p. 1136).
Tutti questi segni possono essere suddivisi in
naturali e artificiali; i primi derivano direttamente dalle esigenze della
natura. Ogni tono che esprime un affetto, ogni sensazione forte è designata da
segni suoi particolari; l'arrossire e l'impallidire significano vergogna o
collera. I gesti sono segni naturali sottoposti alla nostra volontà, ma la
natura ha istituito gesti che corrispondono a sensazioni; grazie ai gesti e
anche grazie al tono ci si può far comprendere da popoli stranieri, sebbene in
un modo più imperfetto rispetto alle parole (AA XXV, pp. 1026-1027).
Si può constatare che nel semestre invernale 1785/86
la musica è ancora attribuita alla facoltà poetica, ma in questo contesto
l'autore si sofferma poi solo sulla eloquenza e sulla poesia. Anche nelle Lezioni
del semestre invernale 1787-88 rimane poco chiaro quale posizione si debba
attribuire alla musica nel sistema delle arti che derivano dalla facoltà
poetica: il testo si limita all'analisi della poesia e dell'eloquenza.
La gerarchia delle arti prevede, comunque, già in questa fase un'analisi del loro effetto sull'animo; sia la musica sia la poesia sono in grado di agire sulle sensazioni e sugli affetti. La Riflessione 991 contiene un'idea che sarà ripresa nella Critica del Giudizio; musica, poesia ed eloquenza sono accomunate dalla loro natura illusoria, poiché commuovono l'animo solo con l'immaginazione e il senso e non si rivolgono all'intelletto. Esse non sono analoghe alla pittura in quanto producono oggetti meramente transitori, sensazioni e impressioni, mentre la pittura realizza immagini e oggetti permanenti. Mentre la pittura non rientra nella dimensione della successione temporale delle sensazioni, la musica, la poesia e l'eloquenza non sono se non un susseguirsi di sensazioni nel tempo. In questa Riflessione la gerarchia delle arti è formulata in base al movimento dell'animo; al gradino più alto si trova la poesia e ad essa segue la musica. Ci si potrebbe avvalere di questa annotazione manoscritta per mostrare che non solo la musica, ma anche l'arte preferita da Kant, la poesia, gioca con le sensazioni. Non ne emerge però che le due arti si debbano caratterizzare come arti piacevoli: considerate nel loro insieme musica e poesia sono arti belle.