III
LA TEORIA MUSICALE
DELLA CRITICA
DEL GIUDIZIO
1. Violini, archi e concerti
Il sentimento di piacere [Vergnügen] per la
musica è considerato, alla prima comparsa nell'opera, individuale e soggettivo;
la sua validità si limita esclusivamente alla persona che lo prova e a processi
verificantisi nel suo senso interno; il soggetto formula un giudizio che si
riferisce a ciò che è meramente piacevole [angenehm] e non ha
propriamente accesso alla contemplazione del bello. L'udito si rivela
equivalente ai sensi della vista, del tatto, dell'olfatto e del gusto; i
singoli suoni sono un esempio di soggettività e di contingenza della sensazione
estetica e la loro natura giustifica il detto comune de gustibus non est
disputandum. Se definiamo gradevole il vino delle Canarie, intendiamo dire
che questo giudizio vale solo e soltanto “per noi”; se diciamo che il colore
violetto è soave e amabile, non abbiamo nulla in contrario se un altro
individuo lo ritiene cupo e spento; ad alcuni può piacere il suono degli
strumenti da fiato, ad altri il suono degli archi. Questi giudizi non sono
incompatibili e non ha alcun senso “disputare” su essi, per cercare di
dimostrare errato il giudizio altrui come se fosse logicamente incompatibile
col nostro. Viene così respinta la posizione di coloro i quali, come Burke,
credevano di poter istituire un legame fra il bello e il piacevole dei suoni
(cfr. CdG, p. 188).
Non ci si può appagare, però, di questa prima
definizione: non si può escludere che diversi giudizi, per quanto soggettivi e
individuali, e sebbene mirino a qualificare un oggetto, nel nostro caso un
suono o una sensazione piacevole, possano concordare fra di loro; più individui
possono pronunciarsi positivamente sulla piacevolezza del suono degli strumenti
a fiato e al contempo sottolineare lo scarso valore estetico del suono degli
strumenti ad arco, e viceversa. In questo caso l'accordo tra i soggetti rivela
un tipo particolare di validità: si tratta di una universalità non assoluta ma
meramente relativa, i cui criteri sono regole empiriche di carattere generale
le quali non possono essere trasformate in norme universali. La dimensione
sociale è qui determinante; si deve riconoscere che colui il quale, durante un
banchetto, sa intrattenere i suoi ospiti con piacevolezze che suscitano il
godimento di tutti i sensi ha “gusto”, ha la facoltà di giudicare il piacevole
nella sua generalità, il piacevole che è tale per un gruppo di individui.
L'argomentazione si è spostata quindi dalla natura meramente privata del senso
dell'udito alla generalità delle sensazioni da esso procurate. Il gusto può
così essere definito come facoltà di giudicare del piacevole in generale (cfr.
CdG, pp. 188-189). L'analisi del piacevole, sia esso meramente individuale,
oppure generale, è indagine a posteriori sul sentimento e sulle sue
particolarità; se rimaniamo all'interno di questo ambito non ci sarà mai
possibile affermare l'universalità assoluta di un giudizio, ma solo la sua
universalità comparativa; perverremo a regole generali, non universali; potremo
certo raccogliere osservazioni e materiale per un'antropologia empirica come
disciplina che procede a posteriori, ma non saremo mai in grado di stabilire
una norma a priori del giudizio, né potremo mai oltrepassare il principio de
gustibus non est disputandum.
Per formulare un criterio che abbia validità
universale assoluta e che si fondi su regole universali dobbiamo abbandonare il
terreno dell'antropologia empirica e intraprendere una ricerca di carattere
trascendentale sulla struttura logica del giudizio estetico, introducendo una
separazione netta fra il piacere [Lust] che sorge di fronte al bello e
il piacere [Lust] per ciò che è meramente piacevole, sia esso
individuale oppure generale.
È una particolarità della bellezza che il sentimento
di piacere che da essa deriva esiga universalità e necessità; per sua natura la
struttura del giudizio sul bello non è assimilabile alla struttura del giudizio
sul piacevole: colui il quale giudica bello un oggetto esige che quest'ultimo
piaccia a tutti gli altri soggetti e presuppone in essi il medesimo piacere che
egli prova in sé. Non appena si abbandoni il campo della singola sensazione
individuale e ci si dedichi all'analisi del bello, si profila la possibilità di
attribuire al giudizio di gusto sulla musica un valore a priori. Colui il quale
pronuncia il giudizio “questo concerto è bello” attribuisce il medesimo piacere
agli altri individui e pretende che il concerto debba piacere anche a essi; in
questo modo non giudica solo per se stesso, come nel caso delle singole
impressioni sonore, ma per tutti; parla della bellezza come se essa fosse una
proprietà dell'oggetto. Il riferimento alla validità individuale della
sensazione non vale nel caso del concerto (cfr. CdG, p. 188).
Al singolo suono, al suono degli strumenti a fiato o a
corda è contrapposto il concerto; quest'ultimo non può essere catalogato né
sotto la rubrica della sensazione piacevole, né nella sfera del piacevole in
generale. La bellezza di un concerto è sullo stesso piano della bellezza di un
edificio e di una poesia. Anche l'udito come senso esterno ha così accesso alla
dimensione dell'a priori: l'armonia di un concerto e il rapporto fra più suoni
non sono tema di una disciplina antropologica, poiché il giudizio su di essi si
fonda su un principio a priori (cfr. CdG, p. 189).
La critica trascendentale del gusto è stata così
integrata da osservazioni antropologiche. Se l'indagine prende drasticamente le
distanze da princìpi psicologici ed empirici, può però esser messo in risalto
che le ricerche della psicologia empirica non sono rifiutate come inutili, ma
anzi rivelano un valore particolare per una trattazione trascendentale la quale
le assuma come punto di partenza che deve essere superato.
2. Suoni attraenti, puri e
belli
Sin qui il giudizio di gusto disinteressato è stato
distinto dal giudizio sul piacevole; ora anche l'oggetto di questo giudizio è
differenziato dall'oggetto del giudizio sul bello. La rigida separazione fra
bello e piacevole sembra mostrare come Kant proponga un'eliminazione degli
elementi sensibili. Questa netta contrapposizione è stata spesso interpretata
come una conseguenza del rigorismo morale di Kant. Basch scrive che qui come
ovunque Kant ha commesso l'errore di ammettere una sola forma del bello e di
voler ridurre l'inesauribile ricchezza dei fenomeni a un'unica formula. Il
disprezzo con cui Kant si accosta alla sensibilità e che molto probabilmente si
deve al profondo influsso della sue educazione pietistica sarebbe errato sia
nell'estetica sia nella morale (citato in Kulenkampff 1974, pp. 258-259).
Michäelis rivaluta contro Kant l'attrattiva dei suoni, affermando che essa non
si può eliminare completamente e che non esistono né una musica senza suono, né
un dipinto senza colori, perché l'attrattiva non reca danno al bello se si
mantiene entro certi limiti (Michäelis 1892, p. 21). Per Fischer l'estetica di
Kant accetta solo la forma della sensibilità non l'attrattiva e un'ascesi ipostatizzata
esige in lui il sacrificio della vita fisica (Fischer 1994, p. 129). Ketzer
rileva che l'estetica come disciplina scientifica può essere ammessa se è in
grado di rapportarsi non solo ai fenomeni idealtipici ma anche a fenomeni del
mondo della vita e che proprio con questa esigenza essa urta contro i limiti
posti da una estetica filosofica di carattere kantiano (Ketzer 1993, p. 146).
In effetti, per Kant attrattiva ed emozione sono
azioni prodotte dagli oggetti che colpiscono il soggetto e possono corromperne
il giudizio. Gli esponenti dell'empirismo estetico errano a suo avviso in
quanto attribuiscono bellezza proprio alla materia e trascurano completamente
il valore della forma. Le singole sensazioni acustiche sono mera attrattiva
(cfr. CdG, p. 199). Kant pensa anche qui a un singolo suono, al suono di un
violino; i suoni sono a suo avviso mera materia nella quale non si possono
reperire elementi a priori, residuo non ulteriormente riconducibile ad una
forma, il quale si oppone anzi a quest'ultima in una radicale eterogeneità. Un
oggetto che dà origine al sentimento del piacevole attrae e l'attrazione è la
sua azione sul soggetto; un oggetto che attrae implica che nel soggetto sorga
la volontà di indugiare nella sua contemplazione. Nell'attrattiva l'animo è
meramente passivo, esposto ad un'azione che proviene dall'esterno, dalle
impressioni sensibili. La Verweilung nell'attrattiva del piacevole si
muove su di un livello diverso rispetto al gioco della facoltà nel piacere per
il bello: solo in quest'ultimo si mostra la spontaneità dell'animo, solo il
gioco delle facoltà conoscitive che costituisce il fondamento del giudizio di
gusto deve essere inteso come una vis viva che si rafforza e si
riproduce autonomamente. Il giudizio di gusto empirico è contrapposto al
giudizio di gusto puro: mentre i giudizi empirici hanno come oggetto il piacevole
e sono giudizi dei sensi o giudizi estetici materiali, i giudizi estetici
formali si riferiscono alla bellezza.
Il quadro della teoria sin qui delineato non è però
ancora completo. Infatti, Kant sottolinea anche che l'attrattiva può esser considerata
analoga al gioco delle facoltà conoscitive: se la considerazione del bello si
rafforza e si riproduce, anche l'effetto dell'attrattiva si presenta come un
continuo essere risvegliati alla contemplazione del bello.
I singoli suoni possono contribuire al piacere per la
forma: la loro attrattiva suscita attenzione grazie alla molteplicità, al
contrasto e infine alla purezza. Questa funzione positiva dell'attrattiva non
coincide con il gioco delle facoltà originato dalle facoltà conoscitive nel
singolo individuo; che i suoni possano offrire un incentivo al piacere per la
forma con la loro attrattiva non significa che essi si trovino sul medesimo livello
della forma; non sono elementi formali. Fra il gioco e l'attrattiva vi sono
però punti di contatto. La purezza, la molteplicità, il contrasto possono
contribuire sotto un certo profilo alla bellezza, avvicinando la forma
all'intuizione sensibile e rendendola più precisa, più completa, più
determinata e anche più intuitiva; possono vivificare la rappresentazione con
la loro attrattiva e risvegliare e mantenere l'attenzione.
Kant non si limita, però, ad osservare la relatività
delle singole sensazioni e il loro contributo empirico al piacere per la forma,
ma cerca di spogliare il singolo suono dell'empiricità dell'attrattiva e di
scoprirne il nesso con l'a priori. Il paragrafo 14 compie il tentativo di
salvare l'empiricità delle sensazioni acustiche esaminando l'oggetto del
giudizio di gusto puro. Anzitutto chiarisce che, anche sotto il profilo
oggettivo, al giudizio di gusto sul bello corrisponde una struttura che non si
può ridurre alla contingenza della sensazione. I suoni sono la qualità della
sensazione che non è uguale per tutti e di conseguenza non può essere
comunicata ad altri; sarà compito del filosofo, ora, mostrare l'elemento
formale presente anche in queste datità empiriche che di per sé possono
produrre solo attrattiva, e conferire loro la qualifica di oggetti belli.
L'unica condizione che possa garantire la bellezza dei suoni è l'idea della
loro purezza.
Quali sono i suoni che possono essere identificati
come suoni puri? Posto che solo la forma può essere considerata oggetto di un
giudizio passibile di validità a priori, esclusivamente i suoni semplici
possono essere oggetto di un giudizio puro, poiché proprio grazie alla costanza
e alla stabilità della loro forma non colpiscono l'udito con la medesima forza
dei suoni forti e misti.
Nonostante questi tentativi di unificare il concetto
della purezza trascendentale con il concetto della purezza delle modalità di sensazione,
la posizione di Kant permane decisa e drastica. Il riconoscimento del valore
dell'attrattiva e l'introduzione delle modalità di sensazione pura non sono
sufficienti a salvare le sensazioni e la materia; vero e autentico oggetto del
giudizio puro di gusto è, infatti, la composizione; attrattiva e sensazioni non
giocano qui alcun ruolo. L'udito il quale, insieme alla vista, è il senso
esterno che presenta interesse per il filosofo trascendentale ha come punto di
riferimento il gioco ed è sottoposto alla forma pura del tempo. Il gioco delle
sensazioni è una struttura che non appartiene al soggetto, ma alla forma
dell'oggetto e si può ulteriormente definire “composizione”. Oggetto del
giudizio di gusto puro è, dunque, la composizione che risulta da rapporti
matematici fra suoni.
Rimangono però ancora irrisolti due problemi:
anzitutto, la giustificazione dei suoni puri non è condotta relativamente al
giudizio, ma riguarda la struttura dell'oggetto. Non si è quindi ancora dimostrato
come non si possa negare la dimensione dell'a priori al singolo suono quando ci
si soffermi sul lato soggettivo del giudizio e non sulla struttura dell'oggetto.
In secondo luogo: sebbene alcuni suoni si differenzino da altri per la loro
necessità in quanto puri, non si è ancora chiarito se tutti i suoni possano
essere giudicati belli. Che ne è di quei suoni che non sono semplici e quindi
non possono essere definiti puri? Al centro delle considerazioni sin qui svolte
si trova un passo nel quale si argomenta che non solo i singoli suoni, ma tutti
i suoni in generale, considerati in sé e per sé, sono belli. Kant dice qui “per
se stessi” (CdG, p. 200): questa espressione indica, a mio avviso, che l'autore
si riferisce a tutti i suoni nel loro complesso, non solo a quelli semplici o
puri. Il fatto che ci occupiamo di questo passo solo ora, dopo aver dato la
precedenza alla trattazione delle sensazioni acustiche semplici, è giustificato
dalla considerazione che esse ben difficilmente rientrano nel contesto;
sembrano piuttosto costituire un excursus; se avessimo seguito la
struttura del testo avremmo dovuto interrompere la trattazione delle sensazioni
pure e riprenderla più avanti. Non è facile stabilire se questa disposizione
abbia un significato particolare, se l'excursus sia un'aggiunta più
tarda e rifletta una fase più tarda della teoria. È certo, però, che il tema
dell'excursus sarà ripreso nel paragrafo 51 sotto l'aspetto della teoria
dell'arte e che Kant lo ha comunque voluto consapevolmente inserire nel
paragrafo 14.
Se con Euler interpretiamo i colori come
vibrazioni (pulsus) di frequenza regolare dell'etere, così come i suoni
lo sono dell'aria perturbata, e, ciò che più importa, ammettiamo che l'animo
non si limiti a percepire l'effetto di eccitazione sensibile sull'organo, ma
anche - e su ciò non ho dubbi -, con la riflessione, il gioco regolare delle
impressioni (quindi la forma nell'unione di rappresentazioni diverse): in tal
caso colore e suono non sarebbero semplici sensazioni, ma già determinazione
formale dell'unità d'una molteplicità di sensazioni, ma già determinazione
formale dell'unità d'una molteplicità di sensazioni, potendo quindi venir
considerati per se stessi come cose belle (CdG, pp. 199-200).
Si profila qui uno fra i problemi più discussi e
controversi dell'interpretazione e soprattutto dell'edizione della terza Critica.
Dopo la parola “percepire” si trova, fra parentesi, nella prima (1790) e nella
seconda edizione (1793) l'espressione: woran ich doch gar sehr zweifle.
Nella terza edizione il testo è stato modificato e il termine sehr è
stato sostituito dalla negazione nicht dando alla parentesi un nuovo
significato. Nelle prime due edizioni Kant afferma: “e su ciò dubito molto”,
nella terza: “e su ciò non ho dubbi”. Quale fra le due varianti ci restituisce
la posizione effettiva di Kant? Si deve stabilire se Kant abbia o non abbia
dubitato, se entrambe le varianti siano corrette e se esse rispecchino un
mutamento nella teoria nel periodo compreso fra il 1793 e il 1799. E, inoltre,
a che cosa si riferisce l'eventuale dubbio: alla teoria ondulatoria oppure al
rapporto fra suoni e riflessione? Infine, si deve chiarire se Kant attribuisca
a Euler le due tesi oppure solo la prima: Euler ha proposto, secondo Kant, solo
una teoria ondulatoria oppure ha anche sviluppato una teoria della riflessione
valida per la critica del giudizio di gusto?
La costruzione della proposizione rende difficile
comprenderne il significato. Ritorniamo però al testo e cerchiamo di analizzare
le singole proposizioni. I suoni, si può ipotizzare, sono pulsus aëris.
Quale significato ha questa ipotesi? Il lettore deve porsi questa domanda
perché tema del paragrafo è l'enumerazione di esempi a conferma della tesi che
il giudizio puro di gusto esclude attrattiva ed emozione. L'ipotesi ha a che
vedere con la costituzione fisica dei suoni musicali? Si deve constatare che
non abbiamo qui un'ipotesi di natura estetica, ma un'affermazione desunta dalla
fisica che ci spiega, all'interno di una Critica del Giudizio estetico, che
la struttura fisica dei suoni musicali è un susseguirsi regolare di pulsus
dell'aria che agiscono sul nostro orecchio. Con questa ipotesi l'autore mira,
dunque, a definire la struttura dell'oggetto, e oggetto sono qui le singole
sensazioni acustiche.
Kant formula poi una seconda ipotesi: supponiamo che
l'animo non percepisca solo l'effetto delle vibrazioni sulla vivificazione dell'organo
di senso, ma anche il gioco regolare delle impressioni e quindi la forma nella
connessione di molteplici rappresentazioni. In questo secondo caso il giudizio
sarebbe opera non già del senso ma della riflessione, e l'animo sarebbe in
grado di percepire la struttura regolare dell'oggetto. Se l'animo fosse in
grado di elevarsi alla riflessione sulla forma non sarebbe più sottoposto
all'azione causale delle vibrazioni dell'aria che vivificano l'organo di senso
dell'udito. L'autore suppone, peraltro, che l'animo possa percepire le oscillazioni
e distinguerle l'una dall'altra giungendo a riconoscere la struttura fisica
oggettiva dei suoni. Sulle caratteristiche della percezione non sono date qui
ulteriori indicazioni, che troveremo però nel paragrafo 51 e saranno
approfondite nel paragrafo 53. Da queste due ipotesi Kant trae la conclusione
che i singoli suoni possono essere considerati belli solo nel caso in cui le
prime due premesse siano corrette. Anche se non si potesse decidere quale fra
le varianti woran ich doch gar sehr e woran ich doch gar nicht si
debba considerare corretta, l'argomentazione risulterebbe comunque comprensibile;
la risposta è resa più facile dalla ricostruzione dell'argomentazione e della
sua struttura. Ci troviamo di fronte a due premesse alle quali fa seguito una conclusione:
se è valida la teoria fisica in base alla quale i suoni sono pulsus
dell'aria che si susseguono con regolarità, e se è vero che l'animo possiede la
facoltà di percepire la proporzione sussistente fra le singole oscillazioni, ne
segue che anche il singolo suono può ricevere l'appellativo “bello”. La prima
premessa è derivata dalla teoria di Euler e accettata da Kant, la seconda
contiene al tempo stesso sia la teoria della riflessione che in Euler non è
presente, ma è elaborata da Kant, sia il riferimento alla teoria della
percepibilità dei suoni, di Euler e altri. Emergerà dall'analisi del paragrafo
51 che anche nella seconda premessa sono implicite suggestioni provenienti da
Euler. L'argomentazione non è dunque modificata dal contenuto della parentesi;
la conclusione è possibile a condizione che si accettino le premesse, e può
essere spiegata indipendentemente da Euler. Si può notare che la prima premessa
si inserisce completamente nell'ottica e nell'acustica, mentre la seconda
premessa e la conclusione sono parte integrante di una Critica del Giudizio
estetico.
Annotazione. Edizioni e interpretazioni della variante
del § 14: “E su ciò non ho dubbi”.
Questo complesso problema è stato discusso a più
riprese dopo la pubblicazione della Critica del Giudizio nell'edizione
dell'Accademia delle Scienze di Berlino. Fino al suo apparire si adottò la
variante della prima e della seconda edizione e si accettò la tesi che nulla
sarebbe mutato fra il 1790 e il 1799; il cambiamento nella terza edizione
sarebbe, quindi, un errore di stampa. Kirchmann accetta il testo delle due
prime edizioni: woran ich doch gar sehr zweifle, e soggiunge in nota:
“3. Edizione: 'doch gar nicht'; è evidente che qui 'nicht' è stato sostituito a
'sehr' solo per un errore di stampa” (Kant 1869, p. 67). Benno Erdmann pubblica
l'opera fondandosi sulla seconda edizione del 1793 e non segnala in nota la modifica
apportata dalla terza (Kant 1880, p. 60). Questa decisione è ripresa da
Vorländer, il quale nell'edizione della Critica del Giudizio del 1902
ripete in nota la tesi di Kirchmann e giustifica la sua decisione mediante il
ricorso a una pretesa evidenza (Kant 1902, p. 67).
Sulla base di queste edizioni si è sostenuta la tesi
che la posizione di Kant sia negativa tanto nei confronti della teoria
ondulatoria quanto nei confronti della teoria della riflessione e che entrambe
siano state esposte da Euler. Il dubbio espresso fra parentesi riguarderebbe
quindi entrambe le ipotesi e si identificherebbe con una negazione. I suoni sarebbero
sensazioni piacevoli e la musica rientrerebbe nella sfera del piacevole (cfr.
Mellin 1799, vol. II, tomo I, articolo “Euler”, pp. 456-462). Meyer fonda su
questo presunto atteggiamento negativo l'interpretazione secondo la quale Kant,
a differenza di Euler, non sarebbe da considerarsi formalista puro, poiché se
fosse tale, riconoscerebbe, d'accordo con Euler, già al singolo suono la
qualifica della bellezza; questa sensazione rientrerebbe dunque espressamente
nel campo del piacevole, poiché in assenza di una forma in senso kantiano non
può sorgere alcuna riflessione (Meyer 1920-21, p. 478). Carl Klinkhammer segue
Meyer: “Non si potrà quindi più designare Kant formalista puro [... ]. In
favore di questa ipotesi vi è inoltre il fatto che egli ha completamente
rifiutato le teorie matematiche di Euler sulla musica, perché a suo avviso esse
sono completamente contrarie ai suoi princìpi” (Klinkhammer 1926, p. 44).
Neppure per Cohen Kant concede ad Euler che l'animo non percepisca solo le
vibrazioni dell'aria fra le note, ma anche il regolare gioco delle impressioni
attraverso la sensazione. “Kant dubita di ciò che insegna Euler: che cioè nei
suoni sia percepita la riflessione stessa sulla forma; e riconosce al contrario
senza riserve che i suoni, in quanto siano puri, diano origine alla
riflessione” (Cohen 1889, p. 312). Della medesima idea è Paul Menzer: “Il
problema più complesso per Kant è mostrare nei singoli colori e nei singoli
suoni la qualità che conferisce ai giudizi su di essi il carattere di giudizi
estetici e non quello di meri giudizi dei sensi. Sembra che entrambi abbiano a
fondamento solo la materia delle rappresentazioni, ovvero solo la sensazione.
L'idea che un suono o un colore siano puri e che ciò riguardi già la forma può
convincere ben poco. Rimane problematico se Kant abbia realmente accettato la
teoria dei suoni e dei colori di Euler. In questo caso avrebbe potuto applicare
il principio dell'unità nella molteplicità e avrebbe potuto guadagnare il
concetto di forma. Ciò tuttavia non è verosimile e in ogni caso la sua intera
spiegazione non contiene questo momento” (Menzer 1952, p. 141). In modo analogo
si esprime Dahlhaus: “[...] Kant nutre forti dubbi sulla teoria di Euler, in
base a cui percepiamo vibrazioni dell'etere e dell'aria di singoli colori e di
singoli suoni come un regolare gioco di impressioni e che quindi colore e suono
non siano mere sensazioni ma siano già una determinazione formale dell'unità di
un molteplice e quindi possano anche di per sé essere considerati belli”.
Altri interpreti, sebbene propendano per l'idea che la
parentesi si riferisca sia al rapporto fra Kant e Euler sia al problema della
bellezza delle singole sensazioni, credono al contrario che Kant non abbia
espresso alcun dubbio né sulla teoria di Euler, né sulla bellezza delle
sensazioni ottiche e acustiche e assumono la variante della prima e della
seconda edizione. Otto Buek, editore della Kritik der Urteilskraft per
la Cassirer-Ausgabe sostiene che la variante della terza edizione corrisponde
in tutto e per tutto alla posizione che Kant ha sempre assunto nei confronti di
questo problema. Rinvia poi al De Igne, ai Primi fondamenti
metafisici della scienza della natura, al § 19 dell'Antropologia dal
punto di vista pragmatico, e infine anche ai paragrafi 42 e 51 della terza Critica
(cfr. Kant 1911-1922, vol. V, pp. 612-613).
Nell'Edizione dell’Accademia ha dedicato a questo
controverso problema un'estesa nota Wilhelm Windelband. Poiché l'edizione da
lui curata ha costituito sinora il fondamento cui si sono per lo più richiamate
sia le edizioni italiane sia le edizioni straniere e le sue proposte sono state
quasi unanimemente accettate sembra opportuno soffermarsi su di essa. Sebbene
richiami l'attenzione sul fatto che la variante della terza edizione probabilmente
non risale a Kant stesso ma al correttore del testo, Windelband assume la
variante della terza edizione; decisione che sarebbe a suo avviso pienamente
giustificata in quanto Kant non avrebbe dubitato né della teoria ondulatoria di
Euler né della propria teoria della riflessione. Windelband separa così, a
differenza degli altri interpreti, la prima dalla seconda questione e
attribuisce ad Euler la teoria della vibrazione, mentre ritiene che la teoria
della riflessione sia propria di Kant. La posizione di Kant è poi analizzata
sotto un duplice punto di vista: dapprima si propone una breve storia dello
sviluppo del pensiero kantiano sulla teoria ondulatoria, rilevando come negli
scritti che precedono la terza Critica il lettore non possa mai
rintracciare un atteggiamento critico o dubitativo nei confronti della teoria
ondulatoria della luce. In secondo luogo, Windelband concentra la sua
attenzione direttamente sulla Critica del Giudizio e le dedica
un'analisi immanente; la conseguenza che ne ricava è che neppure la terza Critica
espone dubbi sulla teoria di Euler: il ricorso all'elemento matematico
dimostra che Kant inserisce la teoria di Euler nell'ambito estetico. Il
problema della bellezza dei singoli suoni è risolto quindi in modo positivo
sulla base della teoria di Euler (cfr. AA V, pp. 527-528). Windelband conclude
con queste parole le sue considerazioni: “Anche nel caso in cui, come si
suppone, il correttore ignoto della terza edizione avesse sostituito il gar
sehr con il gar nicht e perfino se la forma da lui proposta in
correlazione con il testo precedente avesse prodotto un'espressione troppo
forte, questa variante corrisponde alla teoria esposta da Kant in tutta
l'opera, cosicché la sua assunzione nel testo non solo è parsa giustificata, ma
addirittura necessaria” (AA V, pp. 528-529).
Manfred Frank e Veronique Zanetti citano il De igne,
I primi princìpi metafisici della scienza della natura e l'Antropologia
dal punto di vista pragmatico (1798) e notano che anche nella Critica
del Giudizio luce e suono sono considerati in un rapporto di parallelismo
in relazione ai sensi superiori (cfr. §§ 42 e 51). “La correzione è
significativa perché Kant ha effettivamente accettato in più passi della sua
opera la teoria ondulatoria della luce sviluppata dal matematico e fisico
svizzero Leonhard Euler (1707-1783)” (Kant 1996, p. 1332).
Vorländer ha modificato in una riedizione della Critica
del Giudizio la sua posizione originaria con la motivazione che Windelband
ha dimostrato, con verosimiglianza e grazie a citazioni da diversi scritti di
Kant, che la variante della terza edizione corrisponde all'effettiva posizione
del filosofo. Anche Uehling ritiene che Windelband abbia addotto ragioni più
che valide a sostegno della variante della terza edizione. Ciò che egli tenta
di mostrare è che la dottrina che i colori puri e i suoni puri non sono solo
prodotti del senso ma implicano anche una riflessione sul gioco regolare delle
impressioni è proposta in tutta la Critica del Giudizio. Nel paragrafo
51, che secondo Uehling sarebbe, stranamente, parte dell'“Analitica del
sublime” (si deve però notare che l'“Analitica del sublime” è conclusa al
paragrafo 29) Kant prenderebbe in considerazione l'impiego estetico della
teoria fisica di Euler e sembrerebbe dire che la musica deve essere
interpretata come un bel gioco di sensazioni (Uehling 1971, pp. 23-25).
Weatherstone crede che Kant sia d'accordo con Euler nel ritenere la forma
percepibile nei colori e nei suoni puri e che quindi la variante della terza
edizione debba essere preferita (Weatherstone 1996, p. 64 nota 3). Infine,
Nachtsheim afferma: “La possibilità che le sensazioni acustiche si accordino
entro una forma dipende soprattutto dalla possibilità che sia percepita la
differenza nell'altezza dei suoni. Kant si appoggia all'acustica di Leonhard
Euler che gli suggerisce che i singoli suoni, a differenza del suono o del
rumore, non sono mera attrattiva” (Nachtsheim 1996, p. 338).
Si può a questo punto rilevare che Windelband non
procede secondo considerazioni di natura filologica ma condivide con le
interpretazioni a lui precedenti la convinzione che la parentesi si riferisca
sia alla teoria ondulatoria di Euler sia alla teoria della riflessione di Kant.
Anche ammesso che la parentesi si riferisca ad Euler, non sarebbe però giustificato
dedurre dalla ricostruzione della posizione kantiana rispetto alla teoria di
Euler negli anni che precedono la terza Critica che questa posizione,
considerata positiva, si sia mantenuta immutata anche all'epoca della stesura
dell'opera. La storia dello sviluppo può, infatti, delineare le fasi precedenti
del confronto di Kant con il problema, ma non può sostituire un'analisi immanente
della teoria dell'opera più tarda; lo studio della genesi della teoria non
permette di per sé la comprensione dell'opera matura.
Diversa la lettura proposta da Erich Adickes, per il quale Kant non avrebbe mosso alcuna obiezione alla teoria di Euler e le sue riserve riguarderebbero solo la teoria della riflessione che Kant non attribuirebbe a Euler. “Si è voluto a torto vedere nelle prime due edizioni della KdU un'opposizione a Euler. Si tratta di un passo del paragrafo 14 [...]. Nella terza edizione del 1799 nell'ultima parentesi sehr è sostituto da nicht, probabilmente non da Kant, ma dal correttore di Berlino. A prescindere dalla legittimità di questa modifica, la parentesi si può riferire per ragioni stilistiche solo alla seconda metà della proposizione (che inizia con und, was das Vornehmste ist), non all'osservazione su Euler e sul rapporto fra colori-etere e suoni-aria. Così inteso il passo contiene un indubbio apprezzamento della teoria di Euler, perché nella prima metà della proposizione, al contrario della seconda, non è introdotta alcuna riserva” (Adickes 1924-25, pp. 169-170). Alcuni interpreti si oppongono a Windelband, affermando che mentre il paragrafo 14 dubita della bellezza delle singole sensazioni, il paragrafo 42 e il paragrafo 51 modificano la posizione originariamente oscillante di Kant a favore della tesi della bellezza (Von Aster 1909, pp. 465 sg.; Schöndörffer 1911, pp. 16 sgg.). Meredith ritiene che gar sehr sia fedele al contenuto della teoria della prima edizione, ed è irrilevante a suo avviso determinare se Kant abbia accettato la teoria di Euler, perché la parentesi si riferisce solo all'uso estetico di quella dottrina che sarebbe il vero e proprio fulcro del problema. Il capoverso del paragrafo 14 è, secondo Meredith, un'aggiunta più tarda come del resto la conclusione del paragrafo 51. Kant credeva originariamente che la musica fosse un'arte piacevole, come emerge dal paragrafo 54, che risale a una fase antecedente della stesura dell'opera: durante la stesura Kant, convintosi che colori e suoni siano percepiti dall'animo come unità regolari del molteplice, avrebbe aggiunto fra parentesi che non aveva dubbi in proposito. Meredith ne ricava la conseguenza che gar nicht debba essere preferito a gar sehr; la variante gar sehr sarebbe stata aggiunta da Kiesewetter, il quale notò che la parentesi non era coerente con il contenuto del paragrafo 14 (cfr. Kant 1911, pp. 246-248).
Per Eckart Förster la variante
della terza edizione corrisponde alle intenzioni di Kant, il quale non dubita
che i suoni siano vibrazioni dell'aria, ma sembra essere meno sicuro che i
colori siano vibrazioni dell'etere e sembra più incline a pensare che i suoni,
più che i colori, siano percepiti dalla riflessione. Nel 1796 Kant ipotizza in
base alla sua teoria della materia un etere dinamico e proprio per questo
motivo modifica il testo (cfr. Förster 1993, passim). La Rocca ritiene che la
variante risalga a Kant e che non si tratti di un errore di stampa, ma di una
modificazione della sua posizione (cfr. La Rocca 1998, p. 537 nota). Secondo
Tomasi, sia in relazione alla costituzione fisica dei colori e dei suoni sia
relativamente al loro valore estetico Kant si rivela incerto; “a motivo
dell'incertezza sulla natura fisica del colore, le affermazioni di Kant a
questo proposito sono piuttosto prudenti” (Tomasi 1996, p. 49 nota 33): infatti
da un lato suoni e colori sono attribuiti alla sensazione, dall'altro sembrano
presupporre la riflessione; ipotesi quest'ultima che si fonda sia sulla teoria
di Euler sia sulla teoria della riflessione di Kant; se esse sono entrambe
accettate, le singole sensazioni sono belle. Alla tesi dell'insicurezza Tomasi
affianca però una conclusione positiva: la parentesi riguarderebbe solo la
teoria della riflessione e Kant non avrebbe alcun dubbio su di essa (cfr.
Tomasi 1996, p. 63). Per Hohenegger-Garroni, Kant non approda a una decisione
definitiva e il suo dubbio non riguarda Euler: “Kant non sta dubitando affatto
della teoria di Euler [... ], ma, sì, della possibilità di cogliere la
regolarità dei colori e dei suoni puri mediante la riflessione, cioè attraverso
la sensazione” (Kant 1999, pp. 59-60).
Schmidt
afferma che nel paragrafo 14 Kant dubita manifestamente della possibilità che
l’animo percepisca la forma. Se comunque avesse ammesso questa possibilità non
ne avrebbe dedotto alcuna conclusione sul timbro, né sulla differenza fra
l’altezza dei diversi suoni, ma solo la differenza fra un suono e il mero
rumore. Tuttavia il problema del significato formale del suono singolo non ha
significato determinante, dato che la musica si risolve nell’unificazione
ordinata dei suoni (Schmidt 1990, p. 19).
3. L'organista
e l'oscuro
La Confutazione della dimostrazione di Mendelssohn
della permanenza dell'anima, aggiunta nella seconda edizione della Critica
della ragion pura (1787), accenna rapidamente ai processi che si
compiono nell'anima dell'organista quando improvvisa. La rilevanza sistematica
di questa attività, che abbiamo incontrato come tema costante delle lezioni di
logica e di antropologia, viene in luce con chiarezza e sarà confermata
dal paragrafo 16 della terza Critica, in cui le improvvisazioni esemplificano
la “bellezza libera”. Nella Confutazione si rimprovera a Mendelssohn e
alla dimostrazione dell'immortalità dell'anima da lui avanzata nel Fedone
di aver argomentato che l'anima è una sostanza semplice e per questo motivo non
può cessare di esistere né per decomposizione, né per estinzione. L'errore di
Mendelssohn, obietta Kant, consiste nell'aver trascurato il concetto di
grandezza intensiva; sebbene si possa ammettere che l'anima abbia una natura
semplice poiché non contiene in sé una molteplicità di parti reciprocamente
esterne e non è quindi una quantità estensiva, è impossibile negarle una
quantità intensiva. Si ha motivo di supporre che l'anima non possa ridursi al
nulla, se non per decomposizione, almeno per una progressiva diminuzione delle
sue forze; come la coscienza di oggetti anche l'esser coscienti di sé e ogni
altra facoltà hanno sempre un grado.
L'identificazione della chiarezza con la coscienza,
alla quale Leibniz, Wolff e Mendelssohn si attengono, si dimostra errata a una
più attenta considerazione: se, infatti, seguendo l'esempio dei logici,
prendiamo le mosse dall'idea che la chiarezza sia la coscienza di una
rappresentazione, non possiamo più sostenere che anche nelle rappresentazioni
oscure vi sia coscienza; la definizione della chiarezza della scuola
leibniziana è incompatibile con la teoria delle rappresentazioni oscure. Contro
la tesi di Mendelssohn si può addurre che un musicista all'organo compie una
grande quantità di riflessioni oscure, perché quando improvvisa è in grado di
distinguere le note l'una dall'altra e di suonare contemporaneamente più note;
poiché il musicista non ha però coscienza di questa differenza la sua attività
si può definire “oscura”. Di fatto, la coscienza può essere coscienza dell'atto
della distinzione oppure coscienza della differenza; solo in questo secondo
caso è coscienza chiara; il musicista ha coscienza della differenza dei suoni,
ma essa è insufficiente a raggiungere la coscienza della distinzione di un
suono dall'altro; egli ha quindi una rappresentazione oscura delle note. Pur
non potendosi negare che la musica scaturisca da sensazioni e che i suoni siano
di natura sensibile, non si può neppure misconoscere che la loro connessione
abbia origine nella spontaneità dell'anima: origine della musica non è
l'entusiasmo né il sentimento, ma l'intelletto. Sebbene l'esempio
dell'organista ricordi da vicino il Saggio sull'intelletto umano di
Locke, non ne è accettato il principio esplicativo dell'associazione
psicologica, e neppure si accoglie l'idea che il prodotto del processo sia una
melodia: all'associazione subentra il principio a priori del grado della
quantità intensiva elaborato nelle Anticipazioni delle percezioni, la
melodia è sostituita dall'improvvisazione. Modifiche assai significative e
rilevanti, poiché permettono di inserire l'esempio nella filosofia
trascendentale, eliminando la soggettività sia dell'associazione sia della
melodia e del suo effetto in quanto attrattiva.
Nella Critica del Giudizio la spiegazione
dell'attività intellettuale oscura non è svolta, a differenza di quanto avviene
nelle fasi precedenti, con il ricorso all'esempio del musicista: mentre la
coscienza morale può essere ancora spiegata con il concetto dell'attività inconscia
dell'intelletto, nell'ambito del gusto la differenza fra rappresentazioni
chiare e rappresentazioni confuse non è più valida: infatti il gusto non è
conoscenza, ma sentimento di piacere. Questa modificazione può essere
ricondotta a uno sviluppo nella teoria del giudizio di gusto. Sebbene già
precedentemente fosse sempre distinta dall'attrattiva e dall'emozione e
indipendente da qualsiasi condizionamento empirico, la bellezza era sempre
ricondotta alla conoscenza. Nel 1790, invece, il concetto della bellezza non
solo è purificato dalla sensazione ma anche distinto dal concetto della perfezione:
appunto perché ha sempre avuto una connotazione conoscitiva l'inconscio non è
mai stato contrassegnato da un legame con il sentimento di piacere. Se finora
la creazione di improvvisazioni era sempre un'attività conoscitiva, ora si deve
rinunciare a questo legame con la facoltà della conoscenza, se non si vuole
cadere in contraddizione con il nuovo concetto della bellezza che si rivela indipendente
da ogni connotazione concettuale.
4. Improvvisazioni, musica
senza testo e bellezza libera
È emerso, dalla lettura condotta sinora della Critica
del Giudizio, che la composizione è il vero e proprio oggetto del giudizio
di gusto puro; nel paragrafo 16 si fa riferimento a diverse specie di musica e
si stabilisce un'ulteriore connessione esplicita con quella che Kant chiama,
nel paragrafo 9, la “chiave della Critica del gusto”, ovvero la teoria
dell'armonia e del gioco delle facoltà conoscitive. Al gusto corrisponde una
disposizione dell'animo “che si conserva da sé e possiede una validità
soggettiva universale” (CdG, p. 206), che non presuppone alcun concetto di
scopo; la libertà dell'immaginazione gioca nella contemplazione della figura.
Le improvvisazioni senza tema, e perfino l'intera musica senza testo che si sviluppa
sulla base di un tema, sono il correlato oggettivo del giudizio di gusto e
quindi un concreto esempio di bellezza libera: “Nella stessa categoria si può
includere la improvvisazione musicale (senza tema), anzi tutta la musica senza
testo” (CdG, p. 205). La musica senza testo non presuppone alcun concetto di
scopo che determini l'oggetto della sua rappresentazione e ponga limiti alla
libertà dell'immaginazione; nessun concetto di perfezione ne determina l'essenza,
ma essa piace in modo immediato, perché la molteplicità che la costituisce non
è ricondotta a un concetto determinato; la libertà dell'immaginazione è
garantita e si dà una specie di musica che genera il libero gioco di immaginazione
e intelletto.
Per il filosofo trascendentale la musica è rilevante
solo in quanto costituita da una molteplicità ordinata di sensazioni; non ci si
può meravigliare se essa condivide la libertà della sua bellezza con uccelli e
fiori, disegni alla greca, fogliami delle cornici e delle tappezzerie. Con il
termine “musica” Kant non intende alludere a una composizione musicale
determinata, né a un'opera specifica, ma all'unificazione di molteplici
sensazioni; è rilevante esclusivamente il fatto che fiori, uccelli come il
colibrì, l'uccello del paradiso o il pappagallo, fogliami delle tappezzerie
possano esemplificare il concetto di bellezza libera e che anche una
composizione armonica di suoni non riferita ad alcun tema determinato,
analogamente a una composizione incentrata su un tema ma non riferentesi ad
alcun testo, rappresenti il correlato oggettivo del giudizio di gusto puro. Con
questo, Kant non afferma certo che la musica di Haydn o di Mozart possieda il
medesimo valore estetico di una tappezzeria, dei fogliami delle cornici, di
fiori e uccelli; se quindi non ci si può esimere da un sorriso quando il
filosofo pone la realtà dell'esperienza musicale sul medesimo piano della
contemplazione di fiori e tappezzerie, è comunque giustificato osservare che l'equiparazione
di musica strumentale e bellezza libera non mira a esaurire analiticamente
l'esperienza musicale; mi sembra si possa puntualizzare che Kant non ha mai
perseguito questo scopo poiché non opera come critico musicale, ma come critico
del principio a priori del gusto.
Annotazione 1
Nella musica pura, strumentale, il canto, la voce
umana non svolge alcun ruolo, non dovendo essa accompagnare alcun testo
scritto. Autori come Sulzer, Schulz, Wolf, Greiling, Beattie non valutavano
positivamente la musica strumentale; la vera musica poteva essere, a loro
avviso, sempre e soltanto musica applicata alla parola. Verso la fine del XVII
secolo si sviluppa però un nuovo concetto di musica strumentale essenzialmente
diverso da quello diffuso nei secoli XV e XVI: prima la musica strumentale era
musica cantata trasferita su strumenti, formatasi in correlazione con forme di
canto e di danza; nel corso del diciottesimo secolo, invece, si trasforma in
una forma d'arte autonoma, completamente indipendente dalla musica vocale (cfr.
Schering 1910, p. 174). A Königsberg operano Richter, proveniente dalla scuola
di Emanuel Bach del quale introduce l'arte del pianoforte, e Veichtner che
introduce l'arte del violino di Franz Benda. Le sonate per pianoforte si
diffondono anche grazie a Podbielski che nel 1780 e nel 1783 pubblica sei
composizioni presso Johann Friedrich Hartknoch, editore anche di scritti
kantiani, a Riga con il titolo: Sei sonate per pianoforte, composte e
dedicate da C.W. Podbielski ad alcuni dei suoi amici particolarmente stimabili
per il loro spirito e il loro cuore. Hartknoch era egli stesso pianista e
maestro di Johann Friedrich Reichardt, del quale pubblicò nel 1773 i Vermischte
Musikalien (cfr. Güttler 1925).
Annotazione 2
Il rapporto fra bellezza libera e musica non vocale
che emerge dalle righe appena discusse non è spesso preso in considerazione.
Secondo Karl Dahlhaus la musica pura, non vocale rappresenta il paradigma della
musica ed è meramente gradevole; lo dimostrerebbe l'Antropologia dal punto
di vista pragmatico del 1798 per la quale la musica che non accompagna le
parole è un intrattenimento piacevole che si trasforma da godimento in cultura
solo quando è associata alla parola (cfr. Dahlhaus 1967, pp. 49 sgg). A
prescindere dall'interpretazione del passo dell'Antropologia, si può
notare che nella terza Critica la musica bella è musica pura, senza
nesso con la parola e quindi non è piacevole. Anche Schmidt ritiene che non vi
sia alcun rapporto fra gioco delle facoltà conoscitive e musica: “Poiché è
stata tracciata una linea di separazione netta fra la materia, l'effetto
immediato sull'ascoltatore e la 'forma matematica', la quale soltanto può
fondare la bellezza della musica per il giudizio di gusto, la musica non
coglie, anche perché agisce tradizionalmente in modo così intenso, il
particolare effetto che secondo la Critica del Giudizio è ancora tipico
del bello: l'unificazione soggettiva, non solo individuale ma universale che si
compie nell'atto del giudizio estetico, fra le facoltà conoscitive della sensibilità
e dell'intelletto come libero gioco” (Schmidt 1990, pp. 23-24). Secondo Schmidt
la musica senza testo è sottesa a tutto ciò che Kant dice su quest’arte e
appare priva di pensiero in relazione alle altre arti; può acquisire la dignità
di arte bella solo in correlazione alla poesia. Kant non riflette, a suo
avviso, senza premesse e senza presupposti sulla natura e sulle possibilità
della musica, ma la sua valutazione è determinata notevolmente dall’estetica
sentimentale della musica del XVIII secolo. Essa rifiuta procedimenti pittorici
o allegorici come procedimenti artificiali che disturbano l’effetto della
musica (cfr. Schmidt 1990, p. 25). Infine, per Schubert, la musica senza testo
è oggetto del giudizio dell'intuizione pura del tempo, non dell'armonia di
intelletto e immaginazione. Il valore del giudizio di gusto libero,
l'universalità del bello musicale che appare bellezza libera derivano dal
giudizio e procedono in base alla mera forma, ovvero in base alla forma
intuitiva del tempo. Solo l'articolazione di qualcosa di formale come tale
grazie alla forma dell'intuizione del tempo è fondamento del bello musicale che
non è provocato né dall'attrattiva sensibile né da un concetto determinato. Per
mostrare che la musica senza testo è giudicata in base al tempo Schubert
richiama la Riflessione 672 che però, secondo la datazione di Erich
Adickes, risale ai primi anni Settanta (cfr. Schubert 1975, p. 18).
Karl Nef scrive che la musica è valutata da Kant come
un gioco piacevole e che la sua bellezza ha il medesimo valore della bellezza
di un pappagallo, di un colibrì, dell'uccello del paradiso; lo scopo della
musica non sarebbe quindi spirituale ma corporeo (cfr. Nef 1905, p. 33). Nef
nota però che questa analogia si fonda su un'intuizione corretta: anche
l'effetto della musica dipende dalla bellezza dei rapporti temporali come la
bellezza delle arti figurative deriva dalla bellezza delle relazioni spaziali
(Nef 1905, p. 35).
5. Canto
dell'usignolo e musica vocale
Il piacere a priori del gusto si distingue dal piacere
a priori dell'approvazione. Se la regolarità che conduce al concetto di un
oggetto è interpretata a prescindere dal concetto stesso, se essa non mira direttamente
alla conoscenza, può valere anche come conditio sine qua non che permette
di “afferrare l'oggetto in un'unica rappresentazione, determinando il
molteplice nella forma di quello” e implica sempre il piacere estetico a priori
[Wohlgefallen]; come è stato acquisito dal paragrafo 14 e sarà ripetuto
nel paragrafo 53, la matematica è la conditio sine qua non di quella
proporzione fra le impressioni nel loro nesso e nella loro alternanza che ne
rende possibile l'unificazione in una composizione musicale. Se, invece, come
ora si spiega, la regolarità, come quella dei numeri dell'aritmetica in quanto
scienza, implica necessariamente l'unificazione del molteplice in un concetto
in vista della conoscenza dell'oggetto, essa può dar luogo all'approvazione per
la soluzione di determinati problemi, ma non può suscitare un intrattenimento
libero e finalistico delle facoltà dell'animo. Nella musica l'elemento
matematico non è rappresentato con concetti determinati; Kant non identifica la
regolarità nella successione delle note con la regolarità dei numeri, ma
precisa che tutto ciò che è regolare “si avvicina” alla regolarità matematica:
“Tutto ciò che (avvicinandosi alla regolarità matematica) è rigidamente
regolare […]”; tutto ciò che è rigidamente regolare, ad esempio i rapporti
matematici fra i suoni, non è identico alla regolarità matematica delle figure
geometriche, ma si avvicina soltanto a essa.
L'argomentazione si sposta poi dallo a priori
all'empirico e analizza approvazione e gusto in relazione all'attrattiva. Ciò
deve essere sottolineato con decisione in quanto le affermazioni che seguono
sono state spesso intese come la dimostrazione della presenza di una
contraddizione. Quando sostiene che tutto ciò che si avvicina alla regolarità
matematica delle figure geometriche ha in sé un aspetto negativo che non invita
a intrattenersi nella contemplazione, anzi annoia, se non ha espressamente un
fine conoscitivo o un definito scopo pratico, l'autore intende senza dubbio
riferirsi alla regolarità che sta a fondamento della musica, alla regolarità
non concettuale che è già stata presentata nel paragrafo 16. Sotto questo punto
di vista il canto degli uccelli, che non riusciamo a ricondurre a regole
musicali, sembra avere in sé più libertà e quindi maggiore ricchezza per il
gusto dello stesso canto umano, eseguito con tutte le regole dell'arte musicale.
Si potrebbe quindi essere indotti a credere che i
rapporti matematici fra i suoni compaiano sia come fondamento del gusto musicale
a priori, che presuppone il rapporto armonico fra le facoltà conoscitive nel
soggetto, sia come ostacolo al gusto e causa di noia. Siamo forse in presenza
di una palese contraddizione? Sembra che questa sia l'opinione di Gustav
Wieninger: “La determinatezza matematica della forma musicale che da un lato
fonda l'universalità del piacere, ostacola dall'altro lato nuovamente il valore
estetico della musica, poiché danneggia la libertà dell'immaginazione [...].
Con questa obiezione Kant contraddice la fondazione della libertà
dell'immaginazione da lui appena compiuta [...]” (Wieninger 1929, pp. 34-35).
Mi pare però che il discorso non presenti qui alcuna
contraddizione, ma piuttosto una differenza di livelli: al piacere a priori dell'approvazione
è contrapposto il piacere a priori del gusto, dal piacere a priori del gusto è
differenziato poi il piacere empirico dell'attrattiva. Quando afferma che le
regole dell'arte musicale contengono un numero di elementi in grado di favorire
il gusto minore rispetto a quelli che offre il canto degli uccelli, e che la
musica può causare noia con la sua struttura matematica, Kant non intende
svolgere, a mio avviso, un'analisi del valore estetico della musica; la musica
è indagata entro questa argomentazione sotto il profilo del godimento ed
esclusivamente in questo senso è proposta, mi pare, la tesi che la matematica
possa diventare fonte di noia; non si esclude che anche il canto umano possa
avere un nesso con la libertà del gusto, ma si nota che il piacere per un canto
prodotto dall'uomo è meno libero del piacere estetico suscitato dal canto degli
uccelli.
A conclusione della nota sono elencati
alcuni oggetti che né sono belli, né sono figure geometriche, ma possono
contribuire alla bellezza con la loro attrattiva. La vista delle mutevoli forme
del fuoco d'un caminetto o d'un ruscello mormorante è oggetto di un tipo di
immaginazione produttiva particolare, ovvero dell'immaginazione involontaria
come, nelle fasi precedenti, lo erano l'ascolto di una musica e la vista delle
figure assunte dal fumo. Si può ipotizzare che non vi sia un motivo specifico
per il quale non si allude qui alla musica e al fumo, e che ciò dipenda
semplicemente dal fatto che gli esempi qui addotti siano stati ritenuti
sufficienti a dare una raffigurazione intuitiva dell'attrattiva esercitata
dalla varietà (cfr. CdG, pp. 216-218).
6. Suoni artistici e suoni
naturali
Per illustrare le caratteristiche dell'interesse per
il bello come incentivo alla moralità, tema del paragrafo 42, Kant si avvale di
una comparazione con l'interesse empirico, la cui descrizione psicologica si
arricchisce di nuove osservazioni. Una prima constatazione che l'esperienza
conferma regolarmente è che fra coloro che si dedicano alla contemplazione
delle arti belle si possono trovare individui privi di carattere morale,
totalmente in balìa di rovinose passioni: le tesi di Rousseau erano, dunque,
corrette. Per Rousseau le arti ingentiliscono le nostre maniere e insegnano
alle nostre passioni un linguaggio ricercato; nate dall'ozio e dalla vanità
portano con sé il lusso, la dissolutezza dei costumi e la corruzione del gusto
(Si veda Rousseau 1970, pp. 209-237; cfr. AA XV pp. 887, 889, 441-442, XXIV, p.
65 e XXV, p. 846). Nachtsheim propone di “distinguere nettamente in Kant tra
affermazioni per le quali si esige che abbiano un senso rigoroso
('scientifico') e affermazioni dalle quali non si può esigere, sin dal
principio, una scientificità illimitata perché si riferiscono a contenuti che
non si possono completamente dominare con gli strumenti della scienza [... ].
Di questo genere sono affermazioni come quella che spesso si incontrano
'imbecilli' fra coloro che si dedicano alla musica” (1997, pp. 9-10).
Questa valutazione negativa, si può notare, è di
carattere empirico e riguarda i “virtuosi del gusto”, non coloro che possiedono
un gusto autentico, originale e a priori; virtuosi del gusto sono coloro che non
si attengono alla natura costante e a priori del gusto, ma si orientano secondo
le mode e il gusto transeunte e mutevole. I “virtuosi” sono anche l'esatto
opposto del vero genio e fra essi non si devono inserire gli autentici geni che
creano qualcosa di nuovo nella loro arte; l'interesse per il bello artistico
che è qui definito inferiore all'interesse per il bello naturale, in quanto non
sarebbe indizio sicuro di un carattere morale, riguarda in particolare
quell'arte nella quale Kant include “anche l'uso artificiale di bellezze
naturali a scopo di ornamento e quindi di vanità” (CdG, p. 272); non l'arte in
sé e per sé, ma l'arte in quanto è considerata come una bellezza che alimenta
la “vanità o tutt'al più le gioie della società” (CdG, p. 273); l'assenza di
carattere riguarda quindi gli intenditori o gli appassionati dell'arte (cfr.
CdG, p. 273), non le produzioni dei geni autentici. Un esempio concreto:
Patrick Brydone (1741-1818), viaggiatore e scienziato inglese, nota che a
Caterina Gabrieli (1730-1796), dell'opera di Palermo, fu spesso impossibile
cantare non per capriccio personale, ma per cause fisiche, ovvero a causa della
delicatezza della sua sensibilità. “Dice anche che non sempre è il capriccio a
trattenerla dal canto, ma che ciò può dipendere spesso da cause fisiche, e io
voglio crederle”. Brydone si dichiara disposto a credere che anche la più
piccola mutazione dell'aria debba causare una differenza considerevole e che
nel nostro clima umido vi sia il pericolo che le fibre perdano la loro straordinaria
sensibilità e molto spesso non siano accordate a tal punto da permettere il
canto (cfr. Brydone 1774, II 208-217. Su Brydone cfr. AA XXV pp. 994, 1540,
1562). Criticare i virtuosi non significa, quindi, distruggere il fondamento
del gusto per il bello affermando che tra il sentimento per il bello e il
sentimento morale, ben lungi dal sussistere un'affinità, si spalanca un abisso
incolmabile; né significa sentenziare l'inconciliabilità fra l'interesse per il
bello e l'interesse morale.
Supponiamo di raggirare un amante della vera bellezza
piantando in terra fiori artificiali del tutto simili a quelli naturali,
collocando uccelli abilmente intagliati sui rami degli alberi; una volta
scoperto l'inganno, l'amante della bellezza potrebbe provare per questi oggetti
solo l'interesse della vanità, il proposito di ornare la propria camera per
l'occhio altrui, non per il proprio piacere a priori. Questo giudizio è
congiunto a un interesse mediato, riferito alla società, il quale non offre
alcun indizio sicuro di disposizioni al bene morale. Il modo di pensare [Denkungsart]
di coloro che sono privi del sentimento per la bellezza naturale, che non
mostrano la disponibilità ad interessarsi alla contemplazione della natura e si
attengono al godimento puramente sensibile del mangiare o del bere è da noi
giudicato grossolano e volgare quando pretendiamo di attribuire l'interesse
immediato per la bellezza agli altri esseri umani conferendo ad esso valore
universale e necessario. Queste considerazioni sono quindi osservazioni
empiriche su aspetti non certo a priori della bellezza; quando si avvale del
termine “arte bella” Kant concentra la sua attenzione sull'uso artificiale di
bellezze naturali a scopo di ornamento e quindi di vanità.
Tema del paragrafo 42 è
la differenza fra bellezza naturale e bellezza artistica in relazione al loro
nesso con il sentimento morale. Non si affronta, quindi, il problema della
natura del giudizio del “mero gusto” (CdG, p. 274), ma quello della
“valutazione” [Schätzung] (CdG, p. 274) relativa alla natura e all'arte.
L'interesse intellettuale per il bello è maggiormente compatibile con la
bellezza naturale che con la bellezza artistica. Intenzione dell'autore non è
negare che anche la bellezza artistica possa generare un interesse
intellettuale, ma mostrare che soprattutto la contemplazione della bellezza
naturale è compatibile con in sentimento morale. Ciò può essere dimostrato se
ci si interroga sullo scopo ultimo dell'umanità e sulla disposizione naturale
propria dell'essere umano; sono qui accettate le teorie che, contro Rousseau,
sottolineavano il valore della contemplazione del bello come propedeutica alla
moralità e strumento di educazione, come ad esempio quelle di Sulzer, di Home e
di Hume che in questo orizzonte avevano valutato la musica. Esse sono sottratte
all'orizzonte empirico nel quale originariamente erano collocate e connesse con
il concetto dello scopo ultimo del genere umano, ovvero con il bene morale. La
considerazione è a priori e riguarda la destinazione ultima del genere umano.
L'argomentazione
prende le mosse dall'analisi della differenza fra facoltà Giudizio estetico e
facoltà del Giudizio intellettuale. La prima giudica le forme e prova piacere
per il semplice giudizio, attribuendolo al tempo stesso a tutti come regola, a
prescindere da concetti e da un interesse, e senza produrre alcun interesse, né
empirico né intellettuale; questo tipo di giudizio era già stato esaminato come
giudizio puro nei paragrafi precedenti la deduzione e aveva trovato il suo oggetto
precipuo nel concetto della bellezza libera di cui trattava il paragrafo 16. La
facoltà del Giudizio estetico non solo non si fonda su un interesse ma neppure
produce alcun interesse.
La seconda facoltà
determina a priori un piacere per le semplici forme delle massime pratiche, in
quanto esse si qualifichino da se stesse atte a valere come legislazione
universale, determina questo piacere come legge valida per tutti, senza
presupporre alcun interesse e producendo tuttavia l'interesse per la legge
morale. Mentre il piacere prodotto dalla facoltà del Giudizio estetico è il
gusto, il piacere derivante dalla facoltà del Giudizio intellettuale è il
sentimento morale, analizzato nella Critica della ragion pratica.
Sin qui i due Giudizi
e i due tipi di piacere, il piacere del gusto e il piacere del sentimento
morale che ne scaturiscono, sono l'uno a fianco all'altro, nella loro
indipendenza e nella loro autonomia. La questione dell'interesse intellettuale
potrà essere posta a condizione che si muova non dall'interno della facoltà del
Giudizio estetico così concepita, ma dalla ragione e da un suo interesse a
priori. Se analizziamo la natura della ragione, notiamo che essa è
contraddistinta da un interesse a conferire realtà oggettiva alle idee per le
quali produce un interesse immediato nel sentimento morale; la ragione è
interessata a che le idee morali abbiano realtà oggettiva, a che la natura
mostri almeno una traccia, oppure dia un cenno che ci riveli che essa contiene
in sé un qualsivoglia fondamento che ci legittimi a supporre una concordanza
secondo leggi fra i suoi prodotti e il nostro piacere indipendente da qualsiasi
interesse, conosciuto a priori come legge universale e non fondato su prove.
Poiché la ragione deve provare interesse per ogni espressione nella natura di
questa armonia con il nostro sentimento di piacere a priori, l'animo non può
riflettere sulla bellezza naturale a prescindere da questo tipo di interesse.
Questo interesse per il bello naturale presuppone necessariamente un interesse
per il bene morale già ben fondato e sviluppato, in quanto esso è morale per
affinità; se dunque a qualcuno interessa in modo immediato la bellezza
naturale, si ha motivo di credere che egli possieda almeno una disposizione
all'intenzione morale buona.
Kant è ben consapevole
delle obiezioni che si potrebbero sollevare contro questa sua interpretazione
dei giudizi estetici in relazione alla loro affinità con il sentimento morale;
si potrebbe dire che è troppo artificiosa e troppo costruita arbitrariamente
per poter costituire la vera comprensione della “scrittura cifrata”, in base
alla quale la natura ci parla “in modo figurato” attraverso le sue belle forme.
Egli crede però di poter rispondere anticipatamente a queste critiche mostrando
che a favore della sua spiegazione si possono addurre tre argomenti.
Innanzitutto, questo interesse immediato per la bellezza della natura non è
comune, ma proprio di coloro il cui modo di pensare [Denkungsart] sia o
già formato per il bene oppure particolarmente ricettivo a questa formazione
morale. Questo linguaggio della natura può essere interpretato perché è un
“linguaggio cifrato con il quale la natura ci parla in modo figurato” (CdG, p. 274) e la sua interpretazione è resa
possibile o dalla presenza di un sentimento morale già sviluppato oppure
dall'esistenza di una disposizione morale non ancora portata a pieno sviluppo;
la moralità o la disposizione a essa, ovvero il sentimento morale, sono dunque
la conditio sine qua non dell'interesse per la bellezza della natura.
Inoltre, l'interesse
per il bene e l'interesse per il bello sono entrambi immediati, né richiedono
una riflessione evidente, sottile e intenzionale; la differenza fra i due
consiste nel fatto che l'interesse per il bello naturale è libero, mentre
l'interesse per il bene morale è fondato su leggi oggettive. L'analogia fra
giudizi di gusto puri e giudizi morali si può esprimere come segue: il giudizio
di gusto puro, senza dipendere da alcun interesse, causa un sentimento di
piacere e lo rappresenta al tempo stesso a priori come conveniente all'umanità
in generale; anche il giudizio morale causa un sentimento di piacere, lo
rappresenta al tempo stesso a priori attribuendolo all'umanità in generale, ma
il suo fondamento è dato da concetti. Il bello può produrre, dunque, un interesse
“libero” che si distingue dall'interesse fondato su concetti che deriva dal
bene morale.
Questi due primi
argomenti a sostegno della concezione morale dell'interesse immediato per il
linguaggio cifrato della natura sono desunti dalla critica trascendentale del
Giudizio estetico. Vi è però una terza argomentazione, la quale presuppone la
concezione teleologica della natura che sarà elaborata e fondata nella seconda
parte dello scritto: l'ammirazione della natura, la quale si mostra come arte
nei suoi prodotti belli. La natura produce la bellezza non semplicemente in
modo casuale, ma per così dire intenzionalmente, in base a una disposizione
secondo leggi e a una finalità senza fine. Il fine di questa produzione della
bellezza naturale non può essere individuato negli oggetti esterni, ma è
riposto in noi stessi, in ciò che costituisce il fine ultimo della nostra
esistenza, nella destinazione morale.
Rispondendo in
anticipo a critiche che poi furono di fatto rivolte alla sua dottrina, Kant
nota che si potrebbe dire che l'interesse per la bellezza naturale deriva
esclusivamente dal legame con un'idea morale; l'oggetto bello della natura può
generare un interesse, si potrebbe rimproverare a Kant, solo in quanto vi si
aggiunga un'idea morale; presupponendo un concetto morale, anche il bello
naturale genera quindi un interesse mediato e ciò comporta l'eliminazione della
differenza fra la bellezza naturale e la bellezza artistica. A questa
osservazione si può però replicare che non il legame con un'idea morale, ma la
costituzione della natura in se stessa, tale per cui si presenta atta a una
tale unficazione con un'idea morale, costituzione che le appartiene
intrinsecamente, è ciò che genera un interesse immediato. La bellezza naturale
è già, in quanto tale, predisposta al legame intrinseco e immediato con l'idea
morale, che non le si aggiunge quindi dall'esterno.
Nella natura bella
rientrano anche sensazioni cui si può attribuire notevole attrattiva, come i
colori e i suoni; i primi sono modificazioni della luce, i secondi del suono [Schall]
ed entrambi sono come “mescolati” alla bella forma, fusi con essa. Anch'essi
sono oggetto di una critica trascendentale, in quanto sono le uniche sensazioni
che permettono non solo il sentimento dei sensi, ma anche la riflessione sulla
forma delle modificazioni dei sensi della vista e dell'udito, contenendo in sé
“come, per così dire”, un linguaggio che avvicina la natura a noi e “sembra”
avere un significato superiore. Il colore bianco del giglio sembra condurre
l'animo a idee di innocenza, gli altri colori, dal rosso al violetto, sembrano
rinviare alla sublimità, al coraggio, alla magnanimità, all'amicizia,
all'umiltà, al contegno e alla delicatezza. Anche nei suoni naturali si può
constatare la presenza di un linguaggio cifrato della natura: il canto degli
uccelli annuncia gaiezza e contentezza della propria esistenza. Questo è il
modo in cui noi interpretiamo la natura, a prescindere dal fatto che ciò
corrisponda alle sue intenzioni oppure non le sia conforme. Affinché possiamo
provare un interesse immediato per un oggetto e supporre che anche altri
debbano [sollen] provarlo, è necessario che esso sia natura, o che sia
da noi considerato tale. Questa non è una conclusione puramente astratta, ma è
qualcosa che si verifica di fatto quando riteniamo rozzo e non nobile il modo
di pensare di coloro che sono privi di sentimento per la natura bella e si
divertono in pranzi e bevute nel godimento delle semplici sensazioni dei sensi;
sentimento è ricettività di un interesse per la contemplazione del bello
naturale.
I suoni non compaiono
qui come sensazioni che hanno una funzione particolare all'interno di un'arte,
ma come un linguaggio naturale. È possibile avere un interesse intellettuale
per la natura, se essa è bella forma e non contiene attrattive. Attrattiva e
bellezza sono contrapposte nuovamente l'una all'altra come nei paragrafi che
precedono la deduzione. Come nel paragrafo 14 si affermava che vi è un tipo di
attrattiva che si può sussumere sotto il concetto della bellezza, ovvero i
suoni, così ora si sostiene che l'attrattiva dei suoni che provengono
direttamente dalla natura non deve essere confusa con l'attrattiva generata da
altre sensazioni. Che cosa distingue i suoni naturali dalle altre sensazioni
che la natura ci può fornire? I suoni costituiscono una scrittura cifrata della
natura e sembrano quindi formare un particolare linguaggio; un linguaggio ha,
però, una forma e l'elemento formale è, appunto, la forma del linguaggio stesso
in quanto tale. Precedentemente abbiamo visto che la forma di suoni prodotti
artisticamente è la matematica; potremo seguire lo sviluppo della forma
matematica e il suo legame con il linguaggio nel paragrafo 53.
È in questo modo
chiarito nelle sue motivazioni intrinseche il significato dell'affermazione
contenuta nella Nota generale alla prima sezione [in realtà, “libro”]
dell'Analitica; preferiamo il canto dell'usignolo alla musica vocale umana
perché scambiamo la bellezza del suono naturale con l'espressione della
felicità di quell'animale; per il canto dell'usignolo abbiamo un interesse
immediato che deriva dal sentimento morale, dall'analogia con il giudizio
morale e dal giudizio teleologico.
Fin qui si è spiegato
quale sia il fondamento a priori della valutazione della bellezza naturale come
bellezza che produce un interesse libero; ora si può porre il quesito sulla
presenza di un interesse non immediato per il piacere generato dall'arte.
Esclusivamente la natura risveglia un piacere immediato, mentre l'arte, che può
essere superiore alla natura secondo la forma, può risvegliare un interesse
solo in base al suo scopo, mai in se stessa. Il piacere per l'arte bella non è
connesso con un interesse immediato, perché l'arte può essere imitazione della
natura al punto tale da diventare illusione e da suscitare il medesimo effetto
che deriva dalla bellezza naturale con la quale può essere confusa; in questo
caso proviamo piacere immediato per la natura, non per l'arte. Inoltre, l'arte
bella può essere intenzionalmente mirata al nostro piacere, nel qual caso il
piacere stesso avrebbe luogo senza dubbio in modo immediato grazie al gusto, ma
non risveglierebbe interesse se non in modo mediato per la causa che ne
costituisce il fondamento, ovvero per un'arte che può suscitare interesse solo
in base al suo proprio scopo, mai in se stessa. Kant non esclude allora che
possiamo provare un interesse mediato per l'arte, e l'interesse intellettuale
non è affatto precluso al bello artistico.
Annotazione
Wilhelm Windelband cita questo paragrafo a conferma
della tesi che Kant avrebbe considerato i suoni in tutta la terza Critica sensazioni
riflesse, per giustificare l'assunzione della variante woran ich doch gar
nicht zweifle nel paragrafo 14 (cfr. AA V, p. 528; Windelband è seguito da
Von Aster 1909, pp. 465 sg.; Buek, in Kant 1911-1922, V, pp. 612-613; La Rocca
1998, p. 537 nota; Böhme 1999, p. 50). Si deve però notare che il discorso non
verte qui su suoni musicali, ma esclusivamente su suoni naturali.
È stato recentemente affermato che le proposizioni del
paragrafo 42 sui suoni naturali come linguaggio figurato avrebbero un contenuto
esplosivo che minaccerebbe di far saltare l'estetica kantiana (Böhme 1999, p.
44). Per Böhme il passo citato non risponde più alla domanda relativa
all'interesse intellettuale per il bello, perché la spiegazione che Kant ne dà
sarebbe troppo intellettualistica, ma alla seguente domanda: “Che cosa dovrebbe
dire qualcuno il quale comprendesse il linguaggio della natura più con il
sentimento che con l'intelletto? Kant stesso ci dà una risposta. Si tratta del
secondo passo, che fa anch'esso l'effetto di un corpo estraneo nell'opera di
Kant, nel quale si parla di un linguaggio della natura” (Böhme 1999, p. 50). La
ragione per la quale Kant non dà risposta è, probabilmente, che egli non si è
posto la domanda che inquieta Böhme. Böhme coglie l'affinità fra giudizio
estetico e giudizio morale, non la presenza della ragione pratica
nell'interesse intellettuale: il sentimento morale sarebbe una valutazione
intuitiva dei motivi dell'azione, delle massime pratiche in relazione alla loro
convenienza morale. La natura, il cui linguaggio, costituito anche da suoni, è
oggetto dell'interpretazione umana è, secondo Böhme, un contesto di
comunicazione di cui l'uomo stesso è parte integrante; la comprensione di
questo linguaggio implica che il nostro animo sia posto in una Stimmung particolare.
Kant espone qui, prosegue Böhme, un'idea estranea al suo pensiero e se ne deve
trarre la conclusione che egli conosce evidentemente, come essere umano,
esperienze che non può attribuirsi come pensatore; Kant non riesce a decidersi
ad assegnare al linguaggio della natura la legittimità di finzione necessaria
che invece riconosce all'idea della finalità della natura, perché la sua teoria
del bello non è una teoria della comunicazione, ma una teoria del giudizio.
Mentre l'auscultazione del linguaggio della natura presuppone
compartecipazione, il giudizio sulla natura esige distanza dalla bellezza (cfr.
Böhme 1999, pp. 52-53).
Coglie nel segno, a mio avviso, l'interpretazione di
Hölderlin che premette come motto del suo Inno alla bellezza le seguenti
parole: “La natura nelle sue belle forme ci parla con un linguaggio figurato e
la capacità di interpretare la sua scrittura cifrata ci è data nel sentimento
morale. Kant”. Secondo Böhme, invece, Hölderlin misconoscerebbe che l'idea di
un linguaggio e di una scrittura cifrata della natura non è rigorosamente
kantiana, dal momento che l'interpretazione di quel linguaggio non dipenderebbe
dal sentimento morale, ma si verificherebbe in modo solo analogo al sentimento
morale.
7. La piacevole musica da
tavola
La musica da tavola, molto apprezzata nel Settecento,
è per Kant “cosa ben singolare”, la quale come un rumore lieve mantiene
un'atmosfera di allegria generale e favorisce la libera conversazione (CdG, p.
279). Peraltro la musica da tavola non è arte bella: nel suo caso il giudizio
di gusto non può esigere universalità, né necessità. La valutazione si
riferisce, infatti, solo al piacere da essa prodotto, non certo al Wohlgefallen,
al piacere a priori; poiché il soggetto non dedica alcuna attenzione alla
composizione e l'elemento matematico non è preso in considerazione, la musica
si trasforma in mero rumore dal quale non si può desumere una regolare e
ordinata successione di suoni fondata su leggi costanti. Kant non sta
affermando che la musica da tavola possa essere rappresentata dal punto di
vista oggettivo come fondata su rapporti matematici; la sua peculiarità
consiste nello spostare l'attenzione dell'ascoltatore in un'altra direzione. La
composizione non è certo il correlato del giudizio sul piacevole. Kant non
considera dunque la musica da tavola come il paradigma della musica, ma anzi
come arte diretta unicamente al godimento, della quale si può apprezzare il
contributo al diletto di una riunione conviviale, all'intrattenimento e
all'effimero divertimento, purché renda possibile chiacchierare tra una portata
e l'altra. Del resto, nota Kant, la conversazione cui la musica fa da
sottofondo non mira alla riflessione prolungata o alla discussione; infatti
nessuno vuole assumersi la responsabilità di quel che dice, ma mira solo a far
passare il tempo piacevolmente.
Annotazione
Diverse da quella proposta sono le interpretazioni di
Nachstheim e Böhme che non inseriscono la musica da tavola solo fra le arti
piacevoli, ma ritengono che Kant la consideri anche arte bella. Secondo
Nachtsheim la musica da tavola può servire all'uno come piacevole
intrattenimento, all'altro può piacere per la sua forma (ed entrambi i casi
sono legittimi) e per un terzo può avere una finalità in relazione a un
dialogo. Per colui il quale desidera intrattenersi è naturalmente contraria
allo scopo, ma valutabile proprio in relazione a rapporti di mezzo-fine. Un
aspetto particolare consiste poi nel fatto che si può avere, in modo del tutto
generale, lo scopo di procurarsi qualsiasi tipo di piacevolezza; anche la
musica da tavola è quindi, come musica piacevole, finalistica relativamente a
questo scopo e in tal modo condizionatamente rilevante sotto il profilo pratico
(Nachtsheim 1997, p. 30 e nota 93). Böhme nota che la musica da tavola rientra
in un contesto che noi oggi chiameremmo “design”; sono assenti a suo avviso in
questo paragrafo una distinzione chiara fra arte e mestiere e soprattutto un
concetto chiaro di arte autonoma. Sebbene le arti belle siano distinte dalle
arti piacevoli, non sembra derivarne che il prodotto di un'arte piacevole non
sia bello ma semplicemente piacevole; la libertà dal concetto di scopo tipica del
bello può essere mantenuta completamente anche se il bello è utile alla
socievolezza: la musica da tavola è un esempio di bellezza piuttosto che di
piacevolezza (Böhme 1999, p. 22). La distinzione fra arti belle e arti
piacevoli non è dunque riuscita nel caso della musica da tavola, la quale può
essere valutata anche nella sua bellezza; ciò dipende dalla distanza, dal fatto
che non si provi piacere immediato, ma piacere riflesso (Böhme 1999, p. 35).
8. Genio, gusto e musica
A differenza del paragrafo precedente che ci
prospettava un tipo particolare di musica inserendolo nel novero delle arti
piacevoli, il paragrafo 48 offre la possibilità di mostrare come la musica sia
arte bella, arte del genio e del gusto contemporaneamente. La presenza del
gusto e di una forma bella non assicura che ad essa si accompagni il genio e
che siamo di fronte a un'arte bella; un servizio da tavola, una dissertazione
morale e una predica, che sono prodotti dell'arte meccanica o della scienza,
sono realizzati secondo regole determinate che possono essere apprese e si
possono seguire rigorosamente; tuttavia, possono avere una forma solo piacevole
o anche una bella forma artistica. A questa forma si assegna però solo il
valore di veicolo della comunicazione e di stile dell'esecuzione; la forma è
dotata di una certa libertà che la avvicina alla libertà dell'arte geniale, ma
rimane pur sempre legata a uno scopo determinato. Siamo di fronte, in questi
casi, a prodotti del gusto non a prodotti del genio.
Una musica, una poesia, una pinacoteca si inseriscono,
invece, a pieno titolo nella categoria dell'arte bella perché in esse il gusto
e il genio possono coniugarsi e dare luogo a un prodotto veramente artistico.
Anche nella forma della musica, quindi, come in tutte le altre arti, è
presentato un concetto comunicabile universalmente; anche la musica è “la bella
rappresentazione di una cosa”, la cui bella forma è dovuta al gusto affinato ed
esercitato dall'artista sulla base dei numerosi esempi incontrati nell'arte e
nella natura. La bella forma di una composizione dipende dunque dal gusto e non
dall'ispirazione o dal libero slancio delle facoltà dell'animo; può essere solo
il risultato di un lento e faticoso perfezionamento, in cui la forma si adegua
al pensiero senza recar pregiudizio al libero gioco delle facoltà dell'animo
(cfr. CdG, pp. 285-286).
9. L'arte del bel gioco delle
sensazioni
Sia la bellezza naturale sia la bellezza artistica
possono essere definite “espressione di idee estetiche”; mentre però nell'arte
bella l'idea estetica presuppone il nesso con un concetto dell'oggetto, nella
bellezza naturale è sufficiente la riflessione su di un'intuizione data a
risvegliare e a comunicare l'idea estetica di cui l'oggetto è l'espressione. Se
nel paragrafo 42 la bellezza naturale era un linguaggio cifrato della natura
interpretabile solo grazie a un interesse intellettuale, ora si chiarisce che
questo linguaggio esprime idee estetiche, non solo idee intellettuali. Lo
sviluppo ulteriore di questa definizione della bellezza, naturale e artistica,
si avrà nel paragrafo 59.
Precisata questa definizione dell'arte bella Kant
delinea una tripartizione fra le arti avvalendosi di un ragionamento per
analogia. Gli esseri umani esprimono e comunicano non solo i loro concetti, ma
anche le loro intuizioni e le loro sensazioni grazie alla parola, al gesto, al
tono, ovvero con l'articolazione, la gesticolazione e la modulazione;
analogamente le arti belle, che sono espressione delle idee estetiche, possono
essere suddivise in arti della parola come poesia ed eloquenza, arti del gesto
come le arti figurative e arti del suono come la musica e l'arte dei colori.
Certo, questo abbozzo di una possibile divisione delle arti belle non dovrà
essere considerato una vera e propria teoria, ma uno degli svariati tentativi
che è lecito e al contempo doveroso compiere (CdG, p. 294).
Vi è, infatti, anche una seconda possibilità di
suddivisione a carattere dicotomico: l'arte bella può essere articolata al suo
interno secondo l'espressione dei pensieri oppure delle intuizioni e
l'espressione delle intuizioni, a sua volta, nell'espressione della loro forma
oppure della loro materia. Kant non si sofferma però su questo secondo
criterio, esaminata nel corso delle lezioni di antropologia.
L'argomentazione si richiama alla problematica esposta
nel paragrafo 14 e non affronta il tema della produzione della musica, ma solo
quello della sua valutazione. Al centro della parte dedicata alla musica nel
paragrafo 51 è il problema della bellezza dei suoni singoli, non solo di quelli
semplici e puri. Sebbene la definizione delle arti belle e la loro suddivisione
sia stata appena condotta nel senso dell'espressione delle idee estetiche che
presuppongono un concetto dell'oggetto, nei capoversi che affrontano direttamente
l'arte musicale l'aspetto della produzione artistica non è presente, in quanto
essi mirano ancora alla valutazione da parte del gusto. L'analisi dal punto di
vista della produzione sarà ripreso, dopo il paragrafo 48, nel paragrafo 53.
Quale “status” si può assegnare alla musica nel
contesto delle arti? La questione che ancora una volta si prospetta come una
difficoltà per una critica trascendentale del gusto deriva dal fatto che la
musica è connessa con sensazioni e impressioni nelle quali il soggetto sembra
essere meramente passivo. La musica è solo un'arte piacevole o può essere
annoverata fra le arti belle? È possibile dimostrare l'esistenza di un
principio a priori, e quindi universale e necessario, del giudizio di gusto sui
suoni? Comparata con i documenti della genesi dell'opera nei quali non si
evidenzia alcuna indecisione dell'autore, questa problematica è completamente
nuova. Mentre nelle fasi precedenti non è espresso alcun dubbio
sull'appartenenza della musica alla cerchia delle arti belle, questa
localizzazione nel sistema delle arti diventa problematica nella terza Critica.
Rimanendo fedele allo spirito e al principio di un esame privo di pregiudizi,
del quale si era dichiarato debitore nei confronti di Hume già negli anni
Settanta, Kant passa in rassegna sia le motivazioni a sostegno della tesi della
bellezza, sia le argomentazioni che potrebbero giustificare quella della
piacevolezza (cfr. AA XXIV, p. 217).
9.1. Perché la musica è un'arte piacevole?
Soffermiamoci dapprima sulle ragioni che potrebbero
indurci a definire la musica un'arte meramente piacevole.
Dal punto di vista della loro struttura fisica i suoni
sono vibrazioni e oscillazioni dell'aria che si susseguono molto rapidamente
l'una all'altra. Come nel paragrafo 14, si riprende anche qui la teoria di
Euler sulla natura del suono, né si formula alcun dubbio sul fatto che essa sia
adeguata al suo oggetto. Come già nel paragrafo 14, l'elemento fondamentale per
una critica del gusto non è la considerazione della struttura fisica del suono
musicale, ma la soluzione del problema se le vibrazioni siano percepite dal
senso dell'udito come partizioni del tempo e se esse permettano una valutazione
estetica del bello. Se nel paragrafo 14 si afferma che è determinante stabilire
se l'animo sia in grado di distinguere le vibrazioni, ora si ribadisce che le
vibrazioni dell'aria si susseguono così rapidamente che non si può escludere
che l'animo abbia difficoltà a percepirle e a distinguerle l'una dall'altra.
Nelle fasi precedenti si ammetteva con sicurezza che l'animo avesse la facoltà
di cogliere con la sua attenzione sia la proporzione fra i suoni, sia la
proporzione interna a ogni singolo suono e che ciò rendesse possibile il
giudizio sul bello. Solo nella Berliner Physik si afferma che le onde si
susseguono con tale rapidità che la loro differenza non può essere percepita.
Ora Kant si esprime con maggiore prudenza: come nel paragrafo 14 egli non si
decide né per la risposta affermativa, né per quella negativa, ma si chiede se
questa facoltà del senso dell'udito possa essere effettivamente dimostrata.
Prospetta l'ipotesi che l'incapacità dell'udito di connettere l'effetto delle
vibrazioni sulle sue parti elastiche con la percezione della partizione del
tempo condurrebbe necessariamente all'inserimento della musica fra le arti
piacevoli; non si esclude che l'udito possa rivelare una simile incapacità. Ciò
non è però sufficiente per identificare la posizione di Kant con quella di
Herder come vorrebbe Zeuch: “Il criterio per decidere che nel singolo suono sia
contenuto di più che in tutti i rapporti fra suoni, e nell'armonia, è il grado
della vibrazione interna e quindi la sensazione soggettiva. Il modo della
sensazione decide le differenze nella percezione acustica, se si tratti di
percezioni del suono oppure del suono interno” (Zeuch 1996, p. 236). Questa
sarebbe secondo Zeuch la posizione di Herder: Kant compare come colui che ha
inteso la musica come una specie di movimento dell'aria. Per Herder la
soggettività del suono ha un significato positivo, per Kant essa è mera
empiricità (Zeuch 1996, nota 34, p. 236).
Nel paragrafo 14 il dubbio espresso nella parentesi
non riguarda l'ipotesi della struttura fisica delle sensazioni acustiche, ma la
loro valutazione estetica; nel paragrafo 51 Kant non si pone la domanda se la
spiegazione fisica da lui prospettata in accordo con Euler sia esatta, ma se
l'animo sia in grado di distinguere le vibrazioni. Se, infatti, si pensa alla
rapidità delle onde sonore che verosimilmente supera di molto la nostra capacità
di valutare immediatamente, nella percezione, la proporzione delle divisioni
del tempo, si dovrebbe affermare che sentiamo soltanto l'effetto che le
vibrazioni provocano sulle parti elastiche del nostro corpo, ma non avvertiamo
né valutiamo la divisione del tempo, e concludere quindi che i suoni siano
meramente piacevoli (cfr. CdG, p. 298).
9.2. Perché la musica è un'arte bella?
Passiamo ora alle motivazioni che ci autorizzerebbero
a considerare la musica un'arte bella. Qui si tratta di dimostrare che la
percezione della successione delle impressioni da parte dell'animo è possibile.
Se a dimostrazione della piacevolezza fu addotta l'impossibilità del
realizzarsi della riflessione ora il filosofo che intende fondare il concetto
della bellezza si trova posto di fronte al compito di coniugare bellezza e
riflessione. Come prima prova a favore della bellezza della musica Kant propone
la considerazione che le proporzioni fra vibrazioni e onde sonore hanno
carattere matematico e che il giudizio è in grado di coglierle nella percezione
(cfr. CdG, p. 298). La nostra facoltà di giudicare la proporzione della
partizione temporale immediatamente all'atto della percezione delle vibrazioni
dell'aria si palesa esistente al di là della capacità del senso dell'udito di ricevere
le impressioni necessarie ad acquisire concetti degli oggetti esterni. L'udito
è capace d'una peculiare sensazione legata alle impressioni a proposito della
quale non si riesce a decidere realmente se trovi il suo fondamento nel senso o
nella riflessione (cfr. CdG, p. 297). Il senso dell'udito possiede dunque sia
la facoltà di essere colpito da impressioni operanti nell'ambito della
conoscenza, sia una sensibilità nella quale la conoscenza non gioca alcun
ruolo. Il paragrafo 14 ha già chiarito che il vero e proprio oggetto del
giudizio di gusto sulla musica è, propriamente, la composizione; di questo
punto sarà dato un approfondimento nel paragrafo 53. Nel paragrafo 51
l'elemento matematico compare solo in funzione di strumento atto a risolvere il
problema della bellezza; sin qui si è dimostrato che la musica deve essere
designata arte bella in quanto il rapporto fra diversi suoni è in realtà
fondato su proporzioni matematiche che l'udito può percepire.
Rimane però ancora irrisolto se anche i suoni musicali
singoli possano essere considerati belli e se la musica possa essere
considerata nel suo insieme, anche relativamente ai singoli suoni e non solo
alla loro proporzione, un'arte bella. Mentre finora l'argomentazione si è
servita del concetto di forma, ora la critica trascendentale del gusto deve
confrontarsi con un fattore di per sé empirico, con la materialità delle
singole sensazioni acustiche: si passa così dalla struttura matematica delle
onde ad altre tre motivazioni. Questa struttura bipartita dell'argomentazione
di cui si trovano forme preparatorie, in parte, nei documenti della genesi è
passata per lo più inosservata e non ne sono stati indagati i fondamenti.
Per quale motivo la prima motivazione, l'elemento
matematico, è contrapposta ad altre tre ragioni? La ripartizione è meramente
casuale oppure corrisponde a una strategia precisa?
Questa forma di fondazione pone l'interprete di fronte
a una struttura dicotomica in base alla quale la seconda motivazione si
articola, al suo interno, in tre ulteriori argomentazioni. Si deve tener conto,
in primo luogo, che vi sono casi, seppur rari, di esseri umani che, pur essendo
stati dotati dalla natura di un udito finissimo, non sono in grado di
discernere le note musicali, differenziando così il mero suono [Schall]
dal suono musicale [Ton]. Come nella prima motivazione l'attenzione
dell'animo alla proporzione dei rapporti numerici era assunta a dimostrazione
di una particolare sensibilità non riconducibile all'uso normale del senso
dell'udito a scopi conoscitivi, così ora si fa riferimento a un'ulteriore
peculiarità di quel senso: è rilevante che, oltre alla ricettività per le
impressioni necessaria a ottenere concetti degli oggetti esterni, l'udito provi
una sensazione particolare di cui talvolta si deve constatare l'assenza in
soggetti nei quali il senso, in relazione al suo uso nella conoscenza di
oggetti, non è affatto carente, ma anzi è superiore alla norma. Come prima la
sensazione particolare era designata merkwürdig, così ora è merkwürdig
la sua assenza. Kant descrive quindi tre diverse funzioni dell'udito: grazie
all'orecchio percepiamo normalmente in modo passivo impressioni che poi sono
utilizzate per formare concetti degli oggetti nella conoscenza; a differenza
dell'udito della persona normale, un orecchio musicale percepisce rapporti
matematici fra le vibrazioni sonore e ha quindi una sensazione dell'ordine; un
orecchio straordinariamente fine nella sua funzione può non essere dotato di
alcuna capacità di discernere la musica dal mero rumore. La prima funzione è
normale e non suscita alcuna meraviglia nel filosofo trascendentale che la
indaga in una Critica della ragion pura, la seconda e la terza sono
invece casi eccezionali che meritano l'attenzione meravigliata del filosofo
trascendentale in una Critica del Giudizio estetico, perché dimostrano
che il giudizio di gusto non si può ridurre al mero godimento dei sensi, e che
il Wohlgefallen per i suoni implica una riflessione sulla forma; anche
ammesso, infatti, che il senso dell'udito sia straordinariamente sviluppato e
possa perfettamente svolgere la sua funzione in quanto senso esterno ad uso
della conoscenza, ciò non è ancora motivo sufficiente per affermare che sia
anche in grado di percepire la differenza fra il rumore e un suono musicale.
Joseph Green e una famiglia inglese sono gli esempi concreti cui l'autore
pensa, come emerge da una lettera a Christoph Friedrich Hellwag del 3 gennaio
1791.
Qui è di nuovo rilevante la distinzione che Kant ha
ripreso da Euler fra Ton e Schall: il semplice Schall può
anche rivelarsi rumore e non vero e proprio Ton musicale esprimibile
attraverso una nota e oggetto di un orecchio musicale, il Ton è suono in
cui sia presente ordine, che comprende armonia e durata.
A favore della tesi della bellezza della musica si
possono addurre ancora due considerazioni: se coloro che sono in grado di
distinguere i suoni dal rumore percepiscono un mutamento di qualità e non solo
un mutamento del grado della sensazione a seconda delle diverse intensità sulla
scala dei suoni e se il numero delle vibrazioni corrispondente ad ogni singolo
suono può essere determinato in base a differenze concettuali, si può dedurre
che i suoni non sono mere sensazioni individuali e passive, ma un'attiva
riflessione sulla forma. Questi due punti esprimono il medesimo concetto sotto
angolature diverse; mentre il terzo punto è riferito al senso dell'udito e
affronta il problema sotto il profilo del soggetto, il quarto rinvia
all'oggetto percepito e considera l'aspetto oggettivo. Günther Jacoby scrive:
“Kant identifica quest'ultimo problema (se nel singolo suono sia presente una
molteplicità che procura alimento alla conoscenza teoretica) con il problema,
se nel singolo suono siano contate le vibrazioni [...]” (Jacoby 1907, p. 298).
Non si tratta, però, di un'identificazione di due problemi, ma di due aspetti
di un solo ed unico problema. Dal punto di vista oggettivo si pone, infatti, il
problema di determinare quale sia la struttura di un singolo suono. Dal punto
di vista soggettivo si riflette sulla forma della percezione del singolo suono.
Che le vibrazioni siano contate dall'udito non corrisponde inoltre alla teoria
di Kant, il quale non ha ammesso la possibilità di contare le vibrazioni, ma
solo la possibilità di percepire la differenza fra le vibrazioni. È quindi
errata anche la tesi di Jacoby per la quale la molteplicità delle vibrazioni
nel suono singolo procuri materiale alla conoscenza teoretica; quest'ultima non
è l'oggetto della trattazione dell'arte bella e del gusto.
Nella Critica della ragion pura la forma
intensiva aveva la preminenza sulla forma della qualità perché di natura
categoriale, non sensibile; nell'Estetica trascendentale si introduce il
concetto di un senso esterno che non coincide né con i singoli cinque sensi
legati ai corrispettivi organi, né con un concetto generale di questi sensi. Il
senso esterno è una disposizione dell'animo che rende possibile il riferimento
a qualcosa außer uns grazie a determinati organi corporei. Ai cinque
sensi, ai sensi esterni è riconosciuta solo la capacità di ricevere impressioni
poiché non sono una vera e propria disposizione dell'animo, ma sono situati nel
corpo. L'animo è a fondamento sia del senso esterno sia del senso interno e
quindi non è situato né nello spazio né nel tempo, ma rende possibile gli
oggetti grazie allo spazio e al tempo. Si traccia una linea di separazione fra
gusto interpretato come senso esterno e non come facoltà di giudizio del bello
e colori da un lato, e spazio dall'altro; questa contrapposizione tende a
dimostrare che lo spazio è l'unica rappresentazione del soggetto correlata a
qualcosa di esterno che si possa definire a priori (cfr. AA IV, p. 34). Mentre
lo spazio, inteso come condizione degli oggetti esterni, rientra necessariamente
nel fenomeno o nell'intuizione, gusto e colori non sono rappresentazioni a
priori, ma si fondano su sensazioni. Il gusto si può ricondurre al sentimento
di piacere e dispiacere che è a sua volta da intendersi come un effetto della
sensazione; il gusto di un vino non rientra nelle determinazioni oggettive del
vino e quindi in un oggetto considerato come fenomeno, ma nella specifica
natura del senso per il soggetto che ne gode. Come il gusto neppure i colori
sono proprietà dei corpi e della loro intuizione, ma solo modificazioni del
senso della vista che derivano dal fatto che essa è colpita “in un certo modo”
dalla luce: vi è quindi un processo di affezione da parte della luce e i colori
scaturiscono solo da questo processo. Né il gusto né i colori sono condizioni
necessarie alle quali gli oggetti possono diventare per noi oggetti dei sensi
ma sono effetti dell'organizzazione connessi in modo puramente casuale con il
fenomeno (cfr. AA IV, pp. 34-35).
Questa differenza fra spazio e colori, fra spazio e
gusto, la separazione fra validità a priori e ricettività meramente empirica e
passiva di impressioni esterne si può applicare anche ai suoni. Anche ai suoni
è negata la caratteristica dell'a priori, poiché anch'essi agiscono sul
sentimento di piacere e non meritano quindi che altro si attribuisca loro se
non una validità soggettiva e individuale. Quando si afferma che i colori sono
modificazioni del senso della vista, si potrebbe dire analogamente che i suoni
sono modificazioni del senso dell'udito che è colpito in un certo modo dal
suono [Schall]. Equiparazione e integrazione sicuramente giustificate se
si pon mente al fatto che in questi anni l'autore sosteneva il parallelismo fra
colori e suoni, come si può ricavare da un confronto con le Riflessioni
e le Lezioni. Non affrontiamo qui il problema speculativo relativo
all'origine del materiale offerto dai sensi dell'udito e della vista; ci
limitiamo a segnalare che Kant propone sia il concetto di cosa in sé sia il
concetto di affezione da parte della luce (ed eventualmente anche del suono).
Questa concezione è mantenuta nella seconda edizione
della Critica della ragion pura in cui è espressamente applicata al
senso dell'udito. Nell'Estetica trascendentale, la spiegazione
trascendentale del concetto di spazio assegna allo spazio soltanto il titolo di
rappresentazione soggettiva, riferita però a un oggetto esterno, che possa
essere dotata di validità a priori: oltre allo spazio non esiste alcun'altra
rappresentazione soggettiva riferita a qualcosa di esterno che si possa
designare oggettiva, perché da nessun'altra rappresentazione se non
dall'intuizione dello spazio si può derivare un principio sintetico a priori.
Sebbene abbiano in comune con lo spazio l'appartenenza alla natura soggettiva
del senso, vista, udito, tatto e le loro sensazioni, colori, suoni e caldo o
freddo, non hanno alcun carattere di “idealità”, perché non conducono alla
conoscenza di alcun oggetto (cfr. AA III, p. 56).
L'udito come senso esterno può provare sensazioni che
mai potranno innalzarsi a una validità universale e necessaria; tali sensazioni
sono separate dall'intuizione pura e dalle sue forme da un abisso incolmabile.
La prima edizione non affronta il tema della natura fisica dei colori e dei
suoni; analogamente, nella seconda edizione, i suoni non sono ricondotti a una
successione regolare di vibrazioni dell'aria, ma rimangono mere sensazioni
individuali. L'ipotesi di Euler non viene presa in considerazione e le singole
sensazioni acustiche rimangono semplice materia.
Nel capitolo della Critica della ragion pura dedicato
alle anticipazioni della percezione è compiuto però il tentativo di indagare le
condizioni a priori della materia dei sensi. La dimostrazione si snoda nel 1787
a partire dal concetto, ancora assente nel 1781, della coscienza empirica che
presuppone sempre la datità di sensazioni. Il reale della sensazione è ciò che
ha una grandezza intensiva e di conseguenza è determinabile a priori. La
sensazione di per sé non è una rappresentazione oggettiva; con le forme
intuitive dello spazio e del tempo all'intelletto non è ancora dato nulla di
effettivo, né alcun oggetto; è quindi impossibile avere un'intuizione
spazio-temporale della sensazione.
Poiché nella Critica della ragion pura la
sensazione è dotata di grandezza intensiva, di un grado, è però certo che essa
abbia una relazione con qualcosa di esterno che in un secondo momento può
essere determinato nello spazio e nel tempo e trasformato in un giudizio
conoscitivo; l'idealismo, che nega l'esistenza di una realtà al di fuori del soggetto,
è così confutato. Nella discussione delle anticipazioni della percezione si
richiama l'attenzione sulla differenza tra grado e qualità della sensazione.
Sebbene la qualità, ad esempio, un colore, il gusto del palato, un suono, sia
semplicemente empirica è possibile tuttavia averne una conoscenza a priori.
Kant propone un concetto di “anticipazione” che riguardi la quantità intensiva,
il grado della qualità. Ogni sensazione e ogni realtà che le corrisponde nel
fenomeno, per quanto piccole, hanno sempre un grado, una grandezza intensiva
che può essere ancora diminuita; fra la realtà e la negazione si snoda una
scala continua di realtà possibili e di possibili percezioni più piccole. Ogni
colore, ad esempio, il rosso ha un grado che per quanto sia piccolo non è mai
il più piccolo in assoluto (cfr. AA IV, p. 117). Grazie al principio
dell'anticipazione delle percezioni la qualità può essere determinata da una
sintesi matematica; alla qualità possono essere applicate grandezze numeriche
che la determinano come grandezza. Nella prima Critica l'analisi inizia
dalla sensazione che è designata empiricamente data; le anticipazioni
introducono una struttura formale del contenuto della sensazione che si può
definire qualità in generale.
Non può, dunque, sorprendere che anche nella terza Critica
sia proposto il tema della fondazione a priori di un giudizio sul grado della
qualità: il problema che deve essere
risolto è, infatti, il rapporto fra l'a priori del giudizio estetico e la
sensazione. Il senso dell'udito rivela di possedere una sensibilità [Affektibilität]
che non può essere derivata dai sensi e non ha alcuna funzione nel dominio
della conoscenza, non offrendo alcun tipo di conoscenza. Sebbene la qualità del
suono e le sue modificazioni non possano certo essere oggetto di una
determinazione categoriale da parte dei princìpi sintetici dell'intelletto
puro, dal momento che generano piacere estetico, l'udito rivela una spontaneità
che è designata con il termine “riflessione” e si esplica come la percezione di
una modificazione della qualità che la conoscenza non sarebbe mai in grado di
compiere; la riflessione estetica non coglie a priori solo il grado, ma anche
la qualità della sensazione singola, perché un orecchio musicale non percepisce
solo un mutamento di grado della sensazione acustica, ma anche un mutamento di
qualità nelle diverse tensioni della scala musicale. Il mutamento di qualità è
dunque la differenza fra i suoni sulla scala musicale. Se spostiamo
l'attenzione sull'oggetto, notiamo che i suoni non si offrono alla percezione
solo come sensazioni caratterizzate da un grado, perché sono una successione di
singole vibrazioni dell'aria e a questa struttura fisica corrisponde una
particolare struttura matematica. Un suono è dunque sia un movimento ondulatorio
dell'aria, sia una proporzione matematica fondata sui rapporti fra le
vibrazioni dell'aria. Il suono è, in una critica trascendentale del giudizio
estetico, il correlato di un giudizio risultante da un'attività della
riflessione che realizza l'unificazione del molteplice. Nella Critica del
Giudizio il punto di partenza è dato dal singolo suono e dal singolo
colore, considerati dapprima semplici attrattive prive di bellezza autentica;
qualità e grado sono posti sullo stesso piano, perché riguardano il senso
esterno dell'udito e quindi la sensibilità. Se ciò è corretto, la percezione
del mutamento di una qualità rientra nell'orizzonte generale della Critica
del Giudizio estetico e la differenza rispetto alla prima Critica
può essere compresa notando che nello scritto del 1790 si cerca un principio
per la giustificazione della legalità del particolare, mentre nella prima
Critica questo problema non emerge. Nella prima Critica non è
possibile assicurare alla qualità una determinazione formale, perché le anticipazioni
possono conferire una validità a priori solo alla qualità in generale, ma non
alla qualità della singola sensazione. Questa argomentazione si trova forse in
aperta contraddizione con il paragrafo 14 e l'introduzione dei suoni puri?
Wieninger crede che Kant ora capovolga la sua dimostrazione: dapprima avrebbe
negato la qualità e la avrebbe sostituita con la forma e la sua struttura
stabile, ora la qualità diverrebbe causa delle differenze graduali nell'organo
di senso che dovrebbe essere fondata nella riflessione (si veda Wieninger 1929,
p. 45). Ciò che Wieninger ritiene una contraddizione è, a mio avviso, un
progresso della dimostrazione: ora si cerca di determinare come l'animo
percepisca i singoli suoni grazie alla riflessione. In un orecchio musicale si
determina, invece, la percezione d'una variazione qualitativa e non solo del
grado della sensazione, a seconda delle diverse intensità sulla scala dei
colori e dei suoni (cfr. CdG, p. 298). Sullo sfondo di queste due
argomentazioni si trovano ancora le considerazioni del paragrafo 14 sulla
percezione del suono singolo e la sua struttura fisica e quindi le tesi di
Euler sui limiti entro i quali ci è possibile percepire i suoni.
Annotazione
A Cohen non è sfuggito questo punto: “i suoni devono
diventare forme pure. Per questo motivo deve essere valorizzato il concetto
della grandezza intensiva ovvero del grado […]. Il suono indica il grado di
tensione dei sensi [...]. La tensione fa emergere la Stimmung presente
nella sensazione accanto al contenuto qualitativo. Il senso non è stimolato
semplicemente e in modo indeterminato. Le tensioni si possono ricondurre a
gradi. I gradi sono grandezze intensive, sono valori fissabili matematicamente.
La sensazione non è quindi soggettiva e imprecisa perché designa il sentimento,
ma diviene accessibile a determinazioni oggettive di misura. Di conseguenza si
può produrre anche una proporzione sulla quale si fondi il bel gioco, l'arte.
Il grado che qui determina come grado di tensione il nuovo concetto del suono,
significa quindi qualcosa di diverso dal grado della grandezza intensiva nel
principio delle anticipazioni della percezione. Perché questo grado usuale
costruisce il reale della sensazione e in esso i valori fisici reali. Esso
concerne quindi proprio le qualità nelle quali consiste il contenuto oggettivo
dell'oggetto. Qui però il grado come grado della Stimmung non concerne
l'oggetto, ma a differenza di questo deve spiegare esclusivamente le differenze
nell'elemento soggettivo della sensazione-sentimento” (Cohen 1889, pp.
313-314). Cohen connette l'orizzonte delle anticipazioni a quello della teoria
dell'arte: “Se ora la matematica è connessa in qualche modo con le sensazioni
dei colori e dei suoni, essi non possono rimanere mere sensazioni in base al
linguaggio trascendentale, ma diventano una specie di intuizione” (Cohen 1889,
p. 312). Klemme distingue la determinazione matematica dei rapporti armonici
fra i suoni nel piacere estetico per la musica dai veri e propri giudizi
conoscitivi che sono oggetto della Critica della ragion pura nel
capitolo sulle anticipazioni della percezione. Esclusivamente i giudizi
conoscitivi sono a suo avviso possibili sul fondamento di un Beharrliches
del senso esterno, mentre i giudizi estetici contengono una determinabilità
matematica che si limita ai soli rapporti armonici (Klemme 1998, p. 264). Il
nesso con le anticipazioni della percezione non è colto, invece, da Mellin. “Un
terzo motivo per il quale i colori sono valutati belli è la modificazione della
qualità nelle diverse tensioni della scala dei colori. Ovvero: non solo il
grado della sensazione può aumentare o diminuire, ma se la luce agisce
immediatamente sul nostro occhio e l'impressione di essa diventa più debole, i
colori che l'occhio vede si trasformano, e così non si trasforma solo la
quantità intensiva (il grado) della luce, ma anche la qualità (la natura) di
essi in relazione allo spettro dei colori. La viva impressione che l'occhio
riceve in generale dall'intuizione del sole o di un corpo illuminato produce
dapprima un'immagine gialla, poi verde e infine blu” (Mellin 1797-1804, Art.
“Farbenkunst”, II Bd., II Abth., p. 543).
9.3. La musica è bella o piacevole?
Quale conclusione si può trarre dall'esame degli
argomenti a favore e contro la tesi della bellezza della musica?
Kant stesso spiega a conclusione del paragrafo 51:
“come abbiamo fatto”; dichiara quindi di aver definito la musica “bel gioco di
sensazioni” e con questa dichiarazione si accorda l'inserimento fra le arti
belle e la definizione di arte del bel gioco delle sensazioni. Nonostante le
oscillazioni è maggiormente incline a concepire la musica un bel gioco di
sensazioni e quindi a riconoscere la bellezza anche del singolo suono. La
musica non è arte piacevole, ma è inserita nel sistema delle arti belle accanto
alla poesia, all'eloquenza, alla pittura, alla scultura, all'architettura;
sebbene occupi il gradino più basso in questa partizione le è comunque
riconosciuto lo status di arte bella.
Si possono addurre motivazioni a favore sia della
prima sia della seconda soluzione ed è quindi molto complesso e arduo designare
una delle due soluzioni come quella corretta: “non si può affermare con
certezza se un colore o una nota (suono) siano soltanto sensazioni piacevoli, o
se contengano già in sé un bel gioco di sensazioni” (CdG, p. 298). Kant esprime
le proprie incertezze nel corso del paragrafo 51 ma adduce, come già nel
paragrafo 14, ragioni e argomentazioni mirate a legittimare la tesi che le
singole sensazioni acustiche siano belle. In nessun passo il problema è risolto
con certezza, ma sono analizzati il pro e il contra e si spiega
che solo assumendo il pro la bellezza dei suoni può essere dimostrata.
Il problema del filosofo di Königsberg consiste proprio in questo: nel
decidere, come egli stesso ripetutamente sottolinea, se la musica debba essere
inserita fra le arti belle oppure fra le arti piacevoli e ciò che lo trattiene
dal condividere la prima ipotesi è l'enigma se i singoli suoni siano belli o
piacevoli.
Anche ai colori si possono applicare i risultati
ottenuti in relazione ai suoni musicali: essi sono vibrazioni, non dell'aria,
ma dell'etere. Ammesso che Kant abbia esposto dubbi in proposito, ciò non si
dovrebbe comunque interpretare come una negazione, ma come un procedimento
spesso adottato nell'affrontare problemi relativamente ai quali non crede di
potere arrivare a una soluzione definitiva. È però importante richiamare
l'attenzione sul fatto che sia le motivazioni a favore sia quelle contrarie
derivano dal confronto con Euler e che Kant ha di fatto dubitato della
possibilità di concepire la musica come arte bella. Le considerazioni
sull'analogia fra sensazioni acustiche e sensazioni ottiche non possono a mio
avviso essere interpretate come eredità dell'interesse per l'invenzione di
Castel, per le teorie di Descartes, di Huyghens o di Newton, ma si devono alla
presenza di Euler: abbiamo visto nel capitolo precedente come Kant affronti la
questione tanto nelle Riflessioni quanto nelle Lezioni di fisica
ancora sulla base della teoria ondulatoria di Euler.
Annotazione
Diversa è l'ipotesi di Dahlhaus: il regno inferiore
della musica è a suo avviso il suono singolo, mero gioco delle sensazioni nel
tempo; solo la connessione fra più suoni è per Kant, sebbene con riserve, forma
matematica che racchiude il particolare nell'universale, e quindi è bella. Le
differenze fra i suoni sono 'begreifliche Unterschiede', e la percezione di una
successione di suoni non è più un mero gioco delle sensazioni, ma l'effetto di
un giudizio della forma nel gioco di molte sensazioni. Kant pensa all'elemento
matematico della proporzione delle vibrazioni e alla percezione di un mutamento
della qualità (non solo del grado della sensazione). L'affermazione che i suoni
siano sensazioni unite alla riflessione contenuta nel paragrafo 42 non può
essere utilizzata per dimostrare il contrario perché la proposizione si
riferisce manifestamente a successioni di suoni (Dahlhaus 1953, p. 342). Si può
obiettare a Dahlhaus che il paragrafo 51 definisce la musica arte del bel gioco
delle sensazioni e che non si può dimostrare che nella proposizione citata dal
paragrafo 42 Kant si riferisca manifestamente a successioni di suoni, in quanto
è certo che il suo discorso verte in quel contesto su singoli e isolati suoni
naturali. Secondo Meredith le considerazioni sulla musica e l'arte dei colori
nel paragrafo 51 sono un'aggiunta più tarda. Non possediamo documenti che
possano giustificare l'ipotesi di una stesura stratificata dell'opera. Il
contenuto del paragrafo 51 al quale si riferisce Meredith non legittima l'idea
che esso sia di origine più tarda dei paragrafi 14 e 54 (Kant 1911, p. 247).
Wieninger crede che il paragrafo 51 si pronunci a favore della bellezza e che
esso si differenzi quindi dal paragrafo 14 (Wieninger 1929, p. 40). Windelband
non assegna un significato rilevante all'indecisione di Kant e crede che egli
sia certo della bellezza dei suoni. Per Windelband le ragioni addotte non sono
ipotesi, né condizioni imprescindibili, ma la soluzione del problema.
Riethmüller sottolinea che la musica non è considerata arte piacevole, ma al
tempo stesso arte bella e arte piacevole (cfr. Riethmüller 1979-80, pp. 194
sg.). Riethmüller e Nachtsheim si limitano però alla constatazione che il
piacevole non è rifiutato, ma posto accanto al bello. A loro avviso non vi è
nulla di irritante nel fatto che la musica prima sia annoverata fra le arti
belle e poi fra le arti piacevoli, perché come tutte le arti rientra in tutte e
due le categorie. Nachtsheim si allontana dal contenuto e dalla lettera della
teoria di Kant quando si sforza di dimostrare la validità della tesi che non vi
sia nella contrapposizione fra piacevole e bello in generale alcuna
indecisione, né alcuna oscillazione. “Non si tratta di un'oscillazione se Kant
constata che la musica ammette entrambe le forme di valutazione che di per sé
sono rigorosamente diverse, senza che l'una si risolva nell'altra. Sulla base
della sua teoria della validità questa idea non presenta alcuna difficoltà. E
proprio perché Kant aveva un concetto chiaro sia del bello sia del piacevole
poteva attribuire senza esitazioni l'artefatto musicale sia alla sfera del
piacevole sia a quella del bello, poiché ciò è giustificato dal punto di vista
oggettivo. Questa duplice determinatezza non sarebbe frutto di un'oscillazione
né di un'indecisione teoretica, ma esclusivamente una visione corretta
dell'oggetto stesso (cfr. Nachtsheim 1997, p. 31; si veda anche Nachstheim
1997, p. 28). A differenza di Windelband La Rocca crede che il paragrafo 51
possieda ancora un carattere problematico (cfr. La Rocca 1998, p. 537 nota).
Dell'opinione di Windelband è invece Butts (cfr. Butts 1993, p. 12).
10. L'oratorio e il sublime
Se nei paragrafi 14 e 51 si è posto l'elemento
essenziale dell'arte bella nella forma, ora non si discorre più soltanto della
forma in sé che può essere oggetto di un giudizio di gusto puro, ma della forma
come fondamento della cultura; la forma soltanto rende possibile la cultura, nella
quale si comprende sia l'incremento delle facoltà conoscitive sia lo sviluppo
di idee morali, in un processo di formazione che non si realizza
necessariamente nella società, poiché né la cultura né il gusto sono favoriti,
come vorrebbero i fautori dell'empirismo estetico, dalla socievolezza.
La cultura presuppone in noi un nesso con le idee
estetiche le quali a loro volta sono in relazione con idee morali; per
diventare cultura la forma deve essere posta in rapporto con idee estetiche e
deve rifiutare come suo unico fine la distrazione volta ad allontanare la
scontentezza di sé. Queste considerazioni valgono sia per il canto, in cui la
poesia può essere abbinata alla musica, sia per la danza, in cui i suoni
musicali sono combinati con le figure e con il loro movimento nello spazio, sia
per un oratorio in cui vi può essere un predominio del momento artistico sulla
bellezza. L'arte diventa l'elemento fondamentale nel quale si unificano i due
tipi diversi del piacere [Wohlgefallen] per il bello e per il sublime
(cfr. CdG., p. 325); l'oratorio, si pensi ai grandi oratori di Haydn e Bach, è,
dunque, bello e sublime al tempo stesso, ed ha un significato morale. Mentre
nel paragrafo 42 la musica, come ogni arte piacevole, era giudicata inferiore
alla natura, ora la si considera arte bella.
Annotazione
L'oratorio è musica per lo più religiosa in cui
possono convenire le più svariate forme vocali e sinfoniche; pur essendo molto
simile all'opera, non ha né scena, né azione, ma consta essenzialmente di suono
e parola; di solito rievoca una vicenda sacra affidandosi alla voce di un
solista e a cantori che riferiscono le parole dei vari personaggi; al coro
spetta impersonare la folla. Si pensi ai più grandi fra gli oratori del
Settecento: la Creazione e le Stagioni di Haydn, e le Passioni
secondo Matteo e secondo Giovanni di Johann Sebastian Bach. A Königsberg
l'oratorio di Philipp Emanuel Bach, Hasse, Rolle, Graun, Pergolese e Händel fu
particolarmente apprezzato e suonato nei concerti pubblici. Particolare
successo ebbero le opere di Friedrich Ludwig Bendas Padre nostro, La
religione, La morte. Johann Friedrich Henrich Riel, successore di
Benda e Richter, introdusse l'oratorio nella sua forma classica (Haydn e
Händel). Dell'oratorio siamo certi che Kant ebbe conoscenza almeno attraverso
Johann Jakob Heidegger. Nato a Zurigo nel 1666, morto a Richmond, Surrey nel
1749, fu impresario svizzero attivo a Londra dai primi anni del secolo XVIII;
sostenitore dell'opera italiana fu nel 1713 successore di O. Swiney nella direzione
del Queen's Theatre che mantenne sino al 1745. Al 1719 risale la fondazione
dell'Accademia Reale di Musica e agli anni fra il 1729 e il 1734 la sua
collaborazione con Georg Friedrich Händel che scritturò nel 1737 come direttore
musicale e a cui affidò nel 1738 il teatro per l'esecuzione dei suoi oratori
(ne riferisce Bielfeld 1770, vol. I, pp. 348-349; si veda AA XXV, p. 1330).
11. Tema, affetto dominante,
idea estetica
Il paragrafo 51 ha mostrato che alla musica spetta
l'ultimo posto dopo le arti dell'articolazione e del gesto e che essa è arte
della modulazione. Per quale motivo una suddivisione sistematica fra le arti
dovesse comportare la collocazione dell'arte musicale al gradino inferiore a
fianco dell'arte dei colori, non è però stato ancora completamente spiegato.
Ora emerge con chiarezza il rapporto con il concetto della cultura; e proprio
da questo punto di vista e solo quando si accetta questo criterio di giudizio
la musica rivela di avere, commisurata alle altre arti, un valore culturale inferiore.
Il paragrafo 53 si prefigge di sviluppare una valutazione estetica delle
singole arti e compie questo esame adottando successivamente due punti di
vista: le arti sono analizzate dapprima in relazione al sentimento del
piacevole e in un secondo momento in rapporto alla loro capacità di comunicare
idee morali e di incrementare in tal modo la cultura delle facoltà conoscitive.
Il discorso, più volte affrontato, della piacevolezza o, in alternativa, della
bellezza della musica, ha offerto il fianco a critiche che hanno accusato Kant
di avere sottovalutato la musica e di averla intesa come arte piacevole; nel
paragrafo 51 la musica è comunque inserita fra le arti belle nonostante il
dubbio che Kant esprime a chiare lettere. Il paragrafo 53 mostra che la
piacevolezza non è una qualità che si possa assegnare esclusivamente alla
musica: se si compie un'analisi del Vergnügen e dell'attrattiva, l'arte
musicale non si trova al primo gradino del sistema ma è preceduta dalla poesia;
non si può certo dire che Kant abbia sottovalutato o condannato la poesia. La
musica soggiace, come tutte le arti, a un duplice criterio di valutazione: e
sotto il profilo del piacevole è affine alla poesia perché agisce con la sua
attrattiva.
11.1. Attrattiva e affetti
L'analisi
si concentra dapprima sull'aspetto dell'attrattiva e dei movimenti dell'animo
da essa suscitati; entrambi sono oggetto di una ricerca antropologica e hanno
ben poco a che fare con una valutazione estetica dell'arte; la loro presenza in
una critica del Giudizio deriva dal fatto che sono inscindibili dalla natura
della musica e costituiscono l'esatto opposto dei princìpi a priori che è
compito di una critica trascendentale stabilire. Considerata sotto l'aspetto
dell'attrattiva e dei movimenti dell'animo la musica, arte che non fa
riferimento alla parola, è costituita da mere sensazioni che non offrono alcuna
materia alla riflessione del filosofo; l'assenza di concettualità conoscitiva è
constatata ancora una volta in piena coerenza con le altre parti dell'opera
così come si ribadisce che la musica attrae e muove il nostro animo. Sebbene
questa attrattiva sia passeggera, essa è più profonda di quella delle altre
arti; ciò significa che la musica è anche godimento, anzi più godimento che
cultura e suscita noia quando è ripetuta. Poiché la musica ci attrae, poiché ci
procura godimento deve essere considerata come ogni altra attrattiva e ogni
altro godimento; come ogni altro diletto dei sensi, esige alternanza e non può
essere ripetuta senza trasformarsi nel suo contrario. Le impressioni musicali
riescono più fastidiose che piacevoli se sono richiamate dalla nostra
immaginazione involontaria; nelle Lezioni di antropologia è commentato
da Kant un fatto, che può apparire insignificante, narrato da Johann Wilhelm
Albrecht: ai soldati svizzeri dell'esercito francese fu proibito di cantare una
musica tipica delle loro montagne, accompagnata dalla danza, perché avrebbero
sofferto di nostalgia della patria e della giovinezza, e ciò ne avrebbe
diminuita la forza e l'impegno; la fantasia avrebbe rievocato in loro un
passato molto più piacevole del presente, ostacolandone la serenità (Albrecht
1734, § 299, p. 121. Cfr. AA XXV 951-952, 1259; AA XXVIII 853; questo tema era
già stato esaminato da Hofer 1678, cfr. AA VII, pp. 178-179, AA IX, pp. 244
sgg., AA XXVIII, p. 853).
Quale funzione assolve la matematica se la
consideriamo sotto questo punto di vista antropologico? Certo essa non ha la
benché minima parte nell'attrattiva e nel gioco di emozioni, ma è solo la
condizione indispensabile, la conditio sine qua non, di quella
proporzione delle impressioni, sia nel loro rapporto sia nel mutamento, che
permette di considerarle in unità, evitando che si distruggano a vicenda,
facendo anzi sì ch'esse cospirino a produrre un duraturo stato di emozione e
animazione mediante affetti, e quindi di tranquillo, intimo godimento. Questa
tesi è spesso interpretata come l'ammissione che la struttura dei rapporti fra
suoni espressa in proporzioni matematiche non ha alcun ruolo nella fondazione
della bellezza dell'arte musicale. Kant, si dice, esprime l'opposizione, tipica
del Romanticismo, alla proporzione, all'unificazione di numero e calcolo,
proporzione e misurazione razionalistica (Zeuch 1996, pp. 240-241). Si deve
sottolineare, però, che l'argomentazione riguarda l'attrattiva e i movimenti
dell'animo, non la bellezza; la struttura matematica in se stessa non può
suscitare né attrattiva né movimenti dell'animo, ma ciò è compatibile con
l'idea che la bellezza dipenda dalla forma, perché significa esclusivamente che
il principio della forma non può essere fonte di attrattiva empirica. Kant però
non si arresta a questa considerazione: vuole analizzare il contributo della
forma matematica all'attrattiva empirica che è necessariamente connessa con il concetto
della percezione della musica. Già nella Nota generale alla prima sezione
dell'Analitica del bello la funzione della struttura matematica è stata
considerata secondo questa particolare prospettiva e si è affermato che il
canto degli uccelli risveglia il gusto più di un canto composto secondo tutte
le regole dell'arte musicale. Il punto di vista dal quale era compiuta la
valutazione della musica vocale non era il piacere estetico [Wohlgefallen],
ma il diletto corporeo [Vergnügen].
La caratteristica essenziale che ci spiega per quale
motivo la musica eserciti questa azione sui movimenti dell'animo è la sua
“comunicabilità universale”. Come si può interpretare questo concetto? Qual è
il suo rapporto con il Wohlgefallen an der Form, con il piacere
estetico? È stato di recente affermato che istituendo un legame con l'idea
della comunicabilità universale Kant ha fatto dell'arte qualcosa di più di un
secondo ambito della bellezza oltre all'ambito della natura; poiché la musica
comunica un sentimento, la forma entro la quale avviene questa comunicazione
deve assumere un aspetto diverso da una proposizione, dal modello del discorso
razionale; questo secondo modello nel quale si realizza la comunicazione di
sentimenti, non il discorso su sentimenti, si esprime nella sua forma più pura
laddove nella comunicazione sono assolutamente assenti pensieri. Proprio per
questo motivo acquisterebbe un ruolo di primo piano quell'arte che di solito è
respinta da Kant come pensatore rigoroso e che occupa la posizione inferiore
nella gerarchia delle arti: la musica. Secondo questa interpretazione Kant si
fonderebbe su di un modello di comunicazione presentato per la prima volta da
Jakob Böhme: siamo di fronte ad un linguaggio di sentimenti, all'espressione e
alla comprensione interiore. Sebbene non tutti siano geni, né possano rendere
altri partecipi del proprio stato d'animo grazie alla creazione di opere d'arte
come espressione, ci si attende che chiunque sia dotato di gusto sia capace di
giudizio e di scelta. Chi dunque non sappia comunicare il proprio sentimento
con la produzione di opere d'arte, sarà comunque capace, come uomo di gusto, di
rendere partecipi altri del suo piacere estetico; l'uomo di gusto, l'uomo fine
abbellisce ciò che lo circonda e si circonda di oggetti belli, rendendo anche
altri partecipi del suo piacere estetico per il mondo. La validità universale
dei giudizi di gusto sulla musica li rende dunque in linea di principio
comunicabili; ciò che può essere comunicato non è però un contenuto logico o
un'asserzione oggettiva, ma un sentimento relativo, in questo caso, a un
determinato brano musicale riconosciuto come bello. Questa definizione sarebbe
tipica del contesto sociale della borghesia colta nell'epoca del Rococò; il
bello non è origine del terribile né oggetto di desiderio né qualcosa di
divino, ma serve a coltivare la vita, preparando così alla moralità ed alla
autentica socialità (così interpreta Böhme 1999, pp. 29-34).
Se così fosse, tra comunicabilità universale e
bellezza vi sarebbe un nesso diretto; la comunicabilità universale di cui Kant
ricerca il fondamento sarebbe dunque identica alla comunicabilità universale
del giudizio estetico puro. A mio avviso, questa identificazione è però
piuttosto dubbia. La comunicabilità universale di cui Kant qui parla non è
infatti identica alla comunicabilità universale che sta alla base
dell'apriorità del giudizio di gusto.
Già nel paragrafo 7 si è sottolineato che si deve
attribuire al gusto un rilievo sociale poiché esso si fonda su un accordo
empirico nel quale convengono tutti gli esseri umani; si tratta di una
“universalità relativa” che deve essere nettamente distinta dall'universalità a
priori; l'attrattiva si identifica con l'effetto piacevole sull'animo
dell'ascoltatore; che essa sia universalmente comunicabile significa allora che
è passibile di una “universalità comparativa”, oggetto non di una critica
trascendentale ma di un'antropologia empirica. Se poi questo concetto sia
l'espressione del “mondo della vita della borghesia del Rococò” risulta
irrilevante per la determinazione della sua funzione nella teoria.
Il paragrafo 53 introduce un nuovo concetto:
l'attrattiva è ora connessa con la facoltà di generare affetti; come la
modulazione è una lingua universale delle sensazioni da tutti comprensibile,
nella quale ogni suono rivela in chi parla e genera in chi ascolta un'idea
corrispondente a un affetto secondo la legge dell'associazione psicologica,
così la musica come linguaggio degli affetti comunica universalmente le idee
estetiche congiunte in modo naturale a quel linguaggio, secondo la legge
dell'associazione. Martin Sherlock, noto a Kant, si sofferma sul potente
effetto della musica italiana sugli ascoltatori e sulla sua differenza rispetto
alla musica francese: l'impressione che producono le cantanti italiane è
notevolmente più forte di quella prodotta dalle cantanti francesi e gli
italiani si recano all'opera solo per sentire le arie, non l'intera
composizione; non vanno a teatro, ma ad un concerto e negli intervalli fra le
arie amoreggiano, giocano a carte oppure banchettano (Sherlock 1782, Lettera
34, p. 183). La “condanna” non è così grave come si ipotizza, perché la
musica non agisce direttamente sulla facoltà di desiderare, ma solo sul
sentimento di piacere e dispiacere; la volontà non è ostacolata dal fatto che
agli affetti sia conferito impulso, dato che gli affetti non costituiscono
l'eliminazione definitiva della libertà come le passioni. La riconduzione della
musica agli affetti presuppone la distinzione fra affetti e passioni che la Nota
generale all'esposizione dei giudizi estetici riflettenti riprende immutata
dalle Lezioni di antropologia. Non si tratta, precisiamo, di una
condanna inappellabile dal punto di vista morale; solo le passioni, infatti,
riguardano la facoltà di desiderare, oggetto della filosofia pratica, e
sopprimono la libertà, mentre gli affetti si limitano a ostacolare
momentaneamente la determinabilità dell'arbitrio in base a princìpi morali. Non
mi pare accettabile la convinzione di Cohen (citato in Nachstheim 1997, pp.
192-193) che gli affetti non siano distinti dalle passioni, ma rappresentino la
coscienza del movimento in tutta la sua estensione come coscienza del volere;
per Cohen i suoni non sono solo i segni degli affetti, ma anche i testimoni dei
dolori e delle gioie; per questo motivo la musica commuove intimamente l'animo.
Si deve dunque constatare che la cultura è presente nella musica in un senso
completamente diverso dalle altre arti, perché essa “gioca” con sensazioni; se
consideriamo che nell'ascolto di un'opera d'arte musicale percepiamo
sensazioni, dobbiamo trarre la conclusione che, in conformità con la natura
delle sensazioni, la musica offre impressioni passeggere; l'immaginazione
involontaria può rievocarne alcune, e ricavarne una sensazione di piacere, ma
altre si estinguono interamente, oppure, se sono ripetute involontariamente
dall'immaginazione, ci riescono più moleste che piacevoli (CdG, p. 303).
Annotazione
Se ci si attenesse alle argomentazioni sin qui esposte
si potrebbe avere l'impressione che la musica sia il risultato di sensazioni
soggettive e mutevoli; questa è di fatto l'opinione che ha dominato quasi
incontrastata nella ricerca su Kant, la quale interpreta l'espressione bloßes
Spiel der Empfindungen nel senso di una derivazione dalla mera sensazione;
la matematica, si afferma, è solo la conditio sine qua non dell'attrattiva
e non gioca alcun ruolo nella fondazione della bellezza. Se così fosse la
musica sarebbe solo godimento e non cultura (Schering 1910, pp. 174-175; Desmond
1998, p. 613); Kant apprezzerebbe quest'arte all'unica condizione che essa sia
applicata alla parola, sia musica vocale; la musica strumentale pura sarebbe un
gioco di pensieri divertente ma comunque infruttuoso, dal quale eventualmente
guardarsi. Rilevando che la musica sia “più piacere che cultura, e che quindi
abbia, considerata in base alla ragione, un valore inferiore a qualsiasi altra
arte” (Friedländer 1867, p. 124), Friedländer ne ricava la conclusione che Kant
non ha certo avuto una grande opinione di quest'arte.
Si è affermato che Kant avrebbe sussunto valore
estetico e valore culturale sotto un unico concetto; gli si è fatto notare che
i due problemi non sono identici, ma anzi incompatibili, in quanto il primo
rientra in una problematica trascendentale, mentre il riferimento alla morale
occupa un altro livello. Wieninger ritiene che il punto debole della Critica
del Giudizio nel suo complesso debba essere colto nella contaminazione fra
valore estetico e significato culturale. Con questo passaggio Kant, attratto
dal primato della morale, abbandona il terreno della problematica
trascendentale (Wieninger 1929, p. 74). Anche Nachtsheim muove dal presupposto
che la dimensione estetica sia in Kant completamente separata dalla dimensione
morale e che la determinazione del valore culturale della musica non dipenda da
punti di vista relativi alla validità estetica. Di fatto, si tratterebbe in
ultima analisi di criteri pratici o pragmatici e, di conseguenza, anche
pedagogici (Nachstheim 1997, p. 31 nota). Per Schubert, nel superamento delle
sensazioni con idee indeterminate nel bello musicale si abbandona il campo
dell'estetica. Questa violazione dell'immanenza del giudizio di gusto è
compiuta nel nome della moralità e dell'eticità. Il giudizio fondato sulla
ragione elimina questa autonomia (Schubert 1975, p. 24). Meyer nota che il
contenuto artistico non possiede valore culturale poiché consiste solo nelle
sensazioni (Meyer 1920-21, p. 481). Per Maecklenburg Kant intende in modo
troppo ristretto il concetto di cultura, poiché lo limita alla conoscenza. La
musica ha valore culturale perché produce un gioco di pensieri che è spiegato
come effetto di una associazione quasi meccanica (cfr. Maecklenburg 1914-15, p.
215). Secondo Dahlhaus la musica è esclusa dall'ambito della cultura (Dahlhaus
1953, pp. 52-54). Klinkhammer scrive che questa valutazione dipende dal fatto
che Kant ha un concetto limitato della cultura e non si può liberare
dall'impressione che l'essenza della cultura consista nell'estensione delle facoltà
conoscitive e, quindi, nell'incremento della conoscenza concettuale
(Klinkhammer 1926, p. 29). Queste osservazioni non tengono però conto
dell'autentica intenzione del paragrafo, che trova la sua chiara espressione
nel titolo: Vergleichung des ästhetischen Werts der schönen Künste
untereinander. La prospettiva nella quale Kant si pone non è quella della
valutazione pratica o pragmatica o pedagogica, ma è ancora un interesse
estetico, sebbene ciò non significhi certo che egli rinneghi la fondazione dell'estetica
sul sentimento morale. La costruzione sistematica della terza Critica
risulterebbe radicalmente compromessa dalle riserve appena esposte, consistendo
essa proprio nella riconduzione della necessità estetica al sentimento morale;
Kant non ha mai l'intenzione di abbandonare il terreno della ricerca
trascendentale, quando introduce il rapporto con il sentimento morale, né deve
decidersi in una scelta tra morale ed estetica, perché la Critica del
Giudizio estetico non è Critica del Giudizio morale.
11.2. Cultura e matematica
Occupiamoci ora, però, del secondo criterio adottato
nel paragrafo 53 per la valutazione estetica dell'arte musicale: l'incremento
della cultura. Se fino a questo punto la ricerca ha esaminato attrattiva e
movimenti dell'animo, ora si ritorna al piacere per il bello e si integrano i
risultati ottenuti nelle pagine precedenti. Kant non è dell'idea che la musica
produca esclusivamente attrattiva, affetti e benessere corporeo, ma la compara
con le altre arti; la musica suscita sensazioni in misura maggiore delle altre
arti. Non si pone in dubbio che a suo fondamento vi sia qualcosa che non è
godimento corporeo; è sufficiente analizzare i concetti della composizione e
dell'elemento matematico per rendersi conto della forma e del contenuto a
priori dell'arte del bel gioco delle sensazioni.
La composizione è un accordo di note basato sul numero
delle vibrazioni dell'aria per unità di tempo, in cui le note sono legate in
simultaneità o successione, accordo che può essere riportato a leggi
matematiche definite; la forma compositiva delle sensazioni è data dall'armonia
e dalla melodia. È già emerso dal paragrafo 51 che sia i rapporti fra
molteplici note, sia le singole note si possono riportare al concetto della
“divisione del tempo”. La forma matematica non è rappresentata in base a
concetti; il bersaglio polemico potrebbe essere Leibniz, la cui teoria del
calcolo inconscio era costruita proprio sul presupposto che l'anima potesse
generare un'attività concettuale inconscia. Il gioco delle sensazioni
sottoposto a leggi matematiche è il correlato del piacere estetico e
sull'elemento matematico poggiano sia la validità universale sia la validità
necessaria del giudizio di gusto a priori.
La facoltà, da parte dell'anima, di dividere il tempo è
presente già nella Critica della ragion pura in cui è rilevante per la Deduzione
dei concetti puri dell'intelletto. La condizione di possibilità della
rappresentazione di un molteplice nell'intuizione dipende dalla facoltà
dell'animo di distinguere il tempo nella successione delle impressioni; da ciò
sorge l'intuizione della molteplicità che altrimenti rimarrebbe sempre semplice
unità. Questa proprietà dell'animo è fondata nell'intuizione stessa, che opera
una sintesi dell'apprensione; a prescindere dal significato della sintesi
dell'apprensione, la divisione del tempo è condizione della distinzione del
molteplice e della sua sintesi (AA IV, p. 77).
La differenza rispetto alla terza Critica risiede
nel fatto che la divisione del tempo è qui presentata come atto
dell'intuizione, la quale, come abbiamo visto, non è un senso esterno. Nella Critica
del Giudizio la forma matematica percepita dall'animo che divide il tempo è
il correlato oggettivo dell'universalità del piacere [Wohlgefallen]: è
la sola condizione che rende possibile l'apriorità come necessità del giudizio
di gusto sulla musica e riconduce quest'arte nell'ambito delle arti belle.
Questa dimensione della necessità a priori era già presente nei primi
paragrafi, ma non era in essi oggetto di discussione. La necessità - in base al
paragrafo 29 - è ciò che rende possibile il fatto che i giudizi sul bello siano
sottratti alla psicologia empirica e inseriti a pieno titolo nella filosofia
trascendentale.
Annotazione
Nachtsheim sostiene che la composizione nel gioco
delle sensazioni acustiche permette di valutare la musica in relazione alla
bellezza in generale, ma non permette ancora di dichiararla necessariamente
bella. È decisivo che la bellezza non elimini in alcun modo, ma anzi ponga la
possibilità della piacevolezza (Nachtsheim 1997, p. 27). Se si accetta questa
interpretazione la differenza sistematica fra psicologia empirica o
antropologia e critica trascendentale del gusto sottesa all'intera Critica
del Giudizio estetico va persa e i due livelli vengono unificati e
confusi l'uno con l'altro. Ciò è ancora più strano se si pensa che Nachtsheim
conosce questa distinzione e la pone a ragione in rapporto con il problema
della piacevolezza o della bellezza della musica. La composizione permette
certo di valutare la musica nella sua relazione con bellezza in quanto fa parte
delle motivazioni che possono fondare questa bellezza. Con questa concezione è
però incompatibile la considerazione che la composizione non renda la musica
“necessariamente bella”. La bellezza di quest'arte è infatti determinata da due
elementi: in primo luogo dalla struttura matematica oggettiva della
composizione, in secondo luogo dal giudizio, dal riconoscimento che l'animo
possiede la facoltà di percepire la struttura matematica. Se si accettano
questi due punti ne consegue che la musica è bella; la composizione è sempre
bella e la sua valutazione nella riflessione dà sempre luogo a un giudizio a
priori. Essa è piacevole se non è percepita come composizione. Affermare che la
composizione non è necessariamente bella significa conferirle un significato
empirico e antropologico, perché l'antropologia ha il compito di osservare in
qual modo gli esseri umani sentono con l'udito, non di ricercare i fondamenti a
priori della sensazione. La bellezza è oggetto di una teoria trascendentale, la
piacevolezza di un'antropologia empirica; esse possono coesistere, ma non si
può accettare che le stesse condizioni che danno luogo alla bellezza siano,
considerate da un altro punto di vista, meramente piacevoli. L'a priori non può
infatti essere al tempo stesso uno a posteriori.
Wieninger ritiene che Kant abbia mantenuto nella Critica
del Giudizio il medesimo punto di vista da lui assunto negli anni Settanta;
l'a priori della musica dipende per Wieninger ancora dal concetto del tempo
inteso come coordinazione. Un'analisi dei documenti a nostra disposizione,
sostiene, ha condotto al risultato che Kant non ha ancora superato
relativamente alla fondazione a priori del piacere per la musica il punto di
vista iniziale della sua estetica, che considerava la dottrina del bello come
un'estetica particolare, come una parte della teoria delle leggi universali
della sensibilità, dell'estetica trascendentale. Questa interpretazione -
riconosce Wieninger - non si può giustificare né comprovare appoggiandosi al
testo perché in esso non si trova espressamente formulata (cfr. Wieninger 1929,
p. 36). Non mi pare si possa condividere questa lettura. La matematica ha la
funzione di scienza dei numeri e come tale è fondata su un principio a priori,
l'intuizione pura del tempo. Questa forma pura dell'intuizione non ha però la
medesima funzione che aveva nelle dissertazione del 1770. Il paragrafo 53 si
esprime molto chiaramente sul fatto che la forma matematica non è mai
rappresentata in concetti determinati. Non si può quindi accettare senza
riserve ciò che Wieninger dice sul tempo nel paragrafo 51, ovvero che la musica
sia interpretata come intuizione pura, perché già il paragrafo 16 ha mostrato
quale sia la sua relazione con il gioco delle facoltà.
L’elemento matematico è interpretato secondo Schmidt
come se esso fosse la mera forma della proporzione fra i suoni senza che però
sia nominato il ritmo, la proporzione relativa alla durata temporale. Il
fattore temporale non ha alcuna funzione nell’elemento matematico (Schmidt
1990, p. 20). Per Schmidt il primato della composizione nel paragrafo 51 non è
determinato dalla struttura temporale del singolo suono, ma dalle differenze
comprensibili che si rendono note nelle costellazioni degli intervalli e non
sono legate alla percezione temporale. Kant crede al contrario che la velocità
delle vibrazioni dell’aria superi la capacità percettiva del soggetto. Il
primato della composizione sulla Klangfarbe deriverebbe dal ricorso alla
tradizione della teoria dell’arte (Schmidt 1990, p. 332 nota 15).
Le considerazioni sulla struttura matematica della
musica mostrano che Kant conosce una tradizione ben precisa che trova le sue
prime espressioni nell'antichità; sebbene Euler non sia più nominato nella
discussione dei rapporti fra i suoni, l'esame appena condotto può dimostrare
come Kant non abbia mutato la sua posizione rispetto agli anni precedenti per
quanto concerne il suo apprezzamento della teoria del matematico svizzero.
Annotazione
L'importanza della lettura di opere di Euler è stata
spesso studiata in rapporto ad altre dottrine kantiane. Heimsoeth sottolinea il
ruolo di Euler nella genesi della teoria dello spazio e del tempo e nella
formazione del problema delle antinomie (Heimsoeth 1960, pp. 379‑380).
Cantelli afferma che “le sue analisi dei concetti di spazio e di tempo, la
determinazione che egli compie dei princìpi del movimento e la definizione che
egli riesce a stabilire delle proprietà dei corpi, esercitarono la più grande
influenza su Kant” (Cantelli 1958, p. XX).
È rimasta, però, sinora inosservata la presenza di
Euler nella teoria kantiana dei rapporti matematici fra i suoni musicali.
Alcuni esempi. Kathi Meyer sostiene che Kant sapeva orientarsi bene nel giudizio
sulle arti figurative, perché aveva letto le opere di Winckelmann, e che era
invece privo di una guida nello studio dell'arte musicale. Per questo motivo
egli non era in grado di elaborare una teoria coerente, tanto più che gli
faceva difetto anche un rapporto diretto con la musica (Meyer 1920-21, p. 477).
Klinkhammer rinvia a Platone, Aristotele e Leonardo e all'idea dell'unità nella
molteplicità. “Qui l'estetica musicale di Kant si fonda manifestamente su una
delle fondamentali leggi della bellezza che fu elaborata già da Leonardo,
grande artista del Rinascimento, e risale ad Aristotele e Platone” (Klinkhammer
1926, p. 27). Anche Schueller ricorda che il ricorso ai rapporti matematici
nella Critica del Giudizio presuppone una tradizione: “egli dice qui
qualcosa che è stato detto molte volte prima che egli scrivesse la Critica
del Giudizio e che è stato ripetuto altrettante volte dopo che egli scrisse
quest'opera ('La musica razionalizza il suono', dice Santayana, intendendo che
il suono può essere espresso in rapporti matematici)” (Schueller 1955, p. 225).
Le ricerche che hanno cercato di determinare l'influsso esercitato da Euler
sulla Critica del Giudizio prendono le mosse dalla citazione del
paragrafo 14 la quale però, come abbiamo visto, non riguarda i rapporti
matematici fra i suoni, ma l'ipotesi di Euler sulla costituzione fisica dei
singoli suoni e della loro percezione. Uehling affronta ad esempio
esclusivamente il problema dei suoni singoli (Uehling 1971, pp. 30‑32).
Sebbene Butts ponga il problema: “Kant ha superato le teorie precedenti, le
quali ammettevano che le consonanze sono rapporti matematici regolari? Siamo
ritornati a un problema che si presenta frequentemente nelle teorie musicali:
che cosa collega la forma matematica all'esperienza del piacere?” (Butts 1993,
p. 7), non si occupa poi di Euler (cfr. Butts 1993, p. 21). Morpurgo‑Tagliabue
rinvia a Leibniz, Rameau e Diderot (Morpurgo‑Tagliabue 1991, p. 268). Per
Nachtsheim, Euler fu rilevante per Kant relativamente alla determinabilità matematica
del singolo suono, ma non si sa con certezza se Kant abbia letto il Tentamen
(Nachtsheim 1997, p. 26 e nota; cfr. Nachtsheim 1997, p. 13 e nota 27).
Nachtsheim non cita le Lettere di Euler, ma il Musicae mathematicae
Hodegus curiosus del 1687 di Andreas Werckmeister, e invita il lettore a
non considerare Werckmeister fonte di Kant (Nachtsheim 1997, p. 12 nota 22). A
parere di Wolfgang Riedel l'allontanamento dalla connessione tradizionale di
musica e matematica, che si può documentare ancora in Leibniz, si riflette
nell'estetica da Batteux a Kant e inoltre nella definizione standard della
musica come linguaggio delle sensazioni (Riedel 1996, p. 432; si veda anche
Schlapp 1901, Marschner 1901, Basch 1927, Art. “Musik” nello Historisches
Wörterbuch der Philosophie 1971 sgg).
11.3. Matematica e affetti
Qual è il rapporto fra questa concezione e l'idea che
una composizione musicale esprime, e al contempo suscita, affetti?
Parlare di
formalismo kantiano e di un suo preteso contrasto con il contenuto non è a mio
avviso corretto: la forma non è infatti separata dal contenuto, ma assolve
esclusivamente al compito di esprimerlo; la teoria dell'arte di Kant si può
comprendere solo quando si tenga presente l'unitarietà di forma matematica e
tema. Già nella Critica della ragion pura si incontra il concetto del
tema: in ogni conoscenza di un oggetto è richiesta l'unità del concetto, che si
può chiamare unità qualitativa, in quanto è solo l'unità dell'unificazione del
molteplice della conoscenza, ed è analoga all'unità del tema di una
rappresentazione teatrale, di un discorso, di una favola (B 114); il tema
musicale è, dunque, un'unità qualitativa perché rende possibile l'unificazione
del molteplice a scopi conoscitivi.
Nella Critica del Giudizio, per la vera e
propria musica senza tema, cioè per le improvvisazioni, vale l'idea che esse
possono sussistere senza affetto ed essere quindi additate a esempio di
bellezza libera, la quale non si limita alla natura ma si estende ad alcune
specie di arte. Solo in quanto Kant si riferisce alla musica senza tema,
potremmo riconoscere nella sua posizione l'espressione del formalismo. Se si
prende in considerazione la musica che prevede la presenza di un tema si può
certo ancora parlare di formalismo, ma questa espressione deve essere
ulteriormente specificata: si tratta di un formalismo a priori che è espresso
nella teoria dell'arte, ovvero della fondazione del giudizio a priori sulla
forma matematica. Ciò non significa che la forma matematica sia sufficiente di
per sé a costituire la musica, ma che il giudizio deve fondarsi sulla forma, se
vuole essere dotato di necessità. Esclusivamente la forma matematica
dell'unificazione delle idee estetiche come sensazioni rende possibile
l'espressione delle idee estetiche: l'espressione dell'affetto dominante in una
composizione musicale si può quindi ottenere solo per mezzo della matematica;
la forma matematica non sussiste indipendentemente dal contenuto, ma lo
esprime, dà espressione all'affetto dominante nella composizione musicale,
affetto che si identifica con l'idea estetica del tema. Matematica e affetto,
forma e contenuto non sono tenute separate l'una dall'altro, ma costituiscono i
due aspetti della composizione musicale: della musica strumentale con un tema.
Che la forma “sia separata in modo evidente dall''espressione' della musica,
dal suo carattere come 'linguaggio delle sensazioni'” è una determinazione che
si può spiegare da un punto di vista esclusivamente filosofico in quanto
riguarda il nostro giudizio estetico e l'espressione di idee estetiche per
mezzo dell'arte; ma la musica senza testo è in sé un fenomeno unitario e
l'ascoltatore percepisce contemporaneamente forma e attrattiva, l'elemento
matematico e l'affetto. Kant intende cercare l'apriorità di questo fenomeno e
la rinviene nella forma matematica grazie alla quale è data espressione al tema
e all'idea estetica, non negli affetti che essi presuppongono o suscitano.
Le idee estetiche non sono né concetti né pensieri
determinati, ma idee di una totalità coerente di un'inesprimibile ricchezza di
pensieri. Ciò non significa che il tema sia empirico, poiché il tema non è
identico agli affetti ma costituisce l'oggetto cui si riferiscono gli affetti;
le idee estetiche non possono essere empiriche, perché Kant le definisce
rappresentazioni dell'immaginazione alle quali nessun concetto può essere
adeguato; il tema è, in quanto tono affettivo dominante della composizione,
l'oggetto di un piacere universale e necessario.
Si può avanzare l'ipotesi che anche le idee estetiche dominanti
nella musica siano il prodotto del genio; il paragrafo 51, che introduce il
principio dell'espressione delle idee estetiche, analizza solo l'aspetto del
giudizio sull'opera d'arte musicale, non quello della sua produzione e il
paragrafo 53 non tratta, se non per qualche accenno, il processo della
creazione, ma il rapporto fra l'espressione delle idee estetiche e il piacere
estetico [Wohlgefallen] oppure il piacere corporeo [Vergnügen].
Ciononostante, non è ingiustificato supporre che l'espressione delle idee
estetiche di cui parla il paragrafo 53 e il concetto del tema siano prodotti
del genio (sul concetto del tema e dell'idea estetica si vedano le corrette
osservazioni di Cohen, in Nachstheim 1997, pp. 191-192).
Annotazione
A Kant si dovrebbe rimproverare, pensa una nutrita
schiera di interpreti, di aver teorizzato “la rigorosa separazione fra la
musica come esperienza vissuta della forma e la musica come esperienza vissuta
di un affetto”, “dalla quale deriva la separazione fra bellezza musicale ed
espressione musicale”. Marschner (in Nachtsheim 1997, p. 207) afferma: “Nella Critica
del Giudizio di Kant sono presenti in nuce i due orientamenti
opposti dell'estetica musicale contemporanea: l'estetica formale e l'estetica
contenutistica ed essi si trovano l'uno accanto all'altro senza mediazione.
Kant, che non sembra aver avuto la conspavolezza della netta opposizione di
quei due momenti, non ha né tentato né realizzato il superamento di questa
contraddizione”. Wieninger cita a conferma di questa opinione un passo della Anthropologie-Brauer:
“Un brano composto in osservanza di tutte le regole della musica può essere
bello e piacere, ma non avere alcuna attrattiva. Ci lascia indifferenti; noi ci
limitiamo ad approvare” (Wieninger 1929, p. 54). Hilbert scrive: “L'idea
kantiana della musica ha elementi formalistici ed elementi contenutistici;
posizioni che, nel corso dello sviluppo storico, saranno antitetiche e si
escluderanno a vicenda sono qui strettamente connesse. Kant non prende una
decisione definitiva [...]” (Hilbert 1911, p. 14). Secondo Schmidt 1990 (p.
23), nel paragrafo 53 il concetto di forma è separato nettamente dal concetto
di espressione e di linguaggio delle sensazioni. La musica non può avere
l’effetto particolare che è tipico del bello secondo la Critica del Giudizio:
l’unificazione soggettiva di validità universale delle facoltà conoscitive,
l’unità di sensibilità e intelletto come libero gioco.
Schering ritiene che Kant sia consapevole del fatto
che “l'intrinseco valore di bellezza” della musica non possa essere esaurito
dalla considerazione della sua fondazione matematica. Il contenuto della
musica, la sua attrattiva, i movimenti dell'animo che essa suscita, la
“unnenbare Gedankenfülle” espressa nell'elaborazione di un tema ricco di affetti
sono oggetto di studio analogamente all'elemento matematico. Tutti questi temi,
però, si baserebbero per Schering su presupposti casuali e non interesserebbero
veramente Kant, perché la loro analisi non “rientrava nei compiti della sua
ricerca” il cui scopo era la fondazione dei princìpi del giudizio di gusto
puro, non quella del giudizio di gusto applicato.
12. Musica e Vergnügen
Sono in particolare due le premesse che devono essere
prese in considerazione quando ci si proponga di esaminare la teoria kantiana
dell'effetto suscitato dalla musica e soprattutto della sua attrattiva.
Anzitutto, l'antropologia empirica ci insegna che le nostre rappresentazioni, a
prescindere dalla loro origine e a prescindere dal fatto che esse siano
meramente sensibili o meramente intellettuali, non possono essere indifferenti;
ciò è valido però solo a condizione che colpiscano il nostro sentimento vitale.
In questo caso esse sono necessariamente connesse o con il sentimento del
piacere [Vergnügen] o con il sentimento del dolore [Schmerz],
come già avevano insegnato Burke e Verri. Passiamo ora alla seconda premessa: Vergnügen
e Schmerz sono in ultima analisi sempre di natura corporea, a
prescindere dal fatto che derivino dall'immaginazione o da rappresentazioni
dell'intelletto. La motivazione di questa seconda tesi si può ritrovare nella
decisa differenziazione fra vita come “coscienza della propria esistenza” e
vita come “sentimento di benessere o malessere”. Questa separazione è
strettamente legata alla concezione del sentimento vitale, il quale, nel caso
in cui sia sentimento vitale corporeo, esige che la coscienza della propria
esistenza sia al tempo stesso sentimento dell'organo corporeo; esclusivamente
in questo modo risulta pensabile il sentimento del benessere. Wieninger scrive
che la teoria della sensazione vitale come effetto della musica si fonda su ben
determinate premesse della psicologia empirica di Kant, la cui esposizione
sarebbe assente nella Critica del Giudizio, ma non può essere omessa
(Wieninger 1929, p. 56). Paul Menzer crede che il sentimento vitale sia un tema
irrilevante sul quale Kant avrebbe scritto osservazioni altrettanto insignificanti
(Menzer 1952). Il sentimento vitale è spesso interpretato come la coscienza
della nostra libertà empirica. “La vita, per Kant, è la proprietà di una
volontà intelligente, la capacità di scegliere, di agire. È libertà della
volontà nella sua effettività: Willkühr secondo la precisa terminologia
kantiana”. Zammito sottolinea anche che il sentimento vitale ha in Kant un
significato fisiologico quando è stadiato nella psicologia empirica (Zammito
1992, p. 295).
Questa non è però l'unica connotazione assunta dal
sentimento vitale nella terza Critica: oltre alla vita del piacere e del
dolore corporei, vi compaiono sia il sentimento vitale legato al gusto, sia il
sentimento spirituale del rispetto che porta al sublime. Quando si afferma che
il giudizio di gusto si riferisce al sentimento vitale ciò non significa che il
gioco delle facoltà conoscitive, che si identifica nel giudizio di gusto con il
piacere [Wohlgefallen] per l'oggetto e riguarda il livello
trascendentale dell'armonia delle facoltà conoscitive, sia un sentimento di
benessere corporeo. Le rappresentazioni producono Vergnügen o Schmerz
solo a condizione che colpiscano il soggetto; se però le rappresentazioni
non sono modificazioni del soggetto, non le si potrà interpretare in senso
corporeo. Il gusto e il sentimento del rispetto non sono modificazioni del
soggetto: sono anzi gli unici sentimenti che possano essere a priori senza
avere derivazione empirica; di conseguenza non hanno a che vedere con benessere
e malessere. Il concetto di vita e quello di corpo non sono quindi identici,
poiché si dà anche un sentimento vitale indipendente dal corpo: vi può essere
un sentimento vitale che sia solo coscienza della propria esistenza (cfr. CdG,
p. 252). Se si tiene presente ciò risulta chiaro che le osservazioni
sull'influsso della musica sul corpo rappresentano una parte dell'antropologia
empirica che si colloca su di un piano diverso rispetto alla critica
trascendentale del gusto. Non è necessario supporre che il paragrafo 54 risalga
ad un periodo precedente della teoria di Kant per poterne giustificare la
presunta contraddizione con altre parti della teoria; ne è necessario formulare
l'ipotesi che la musica in una fase precedente della redazione dell'opera
rientrasse nell'ambito delle arti piacevoli, per dimostrare che le osservazioni
del paragrafo 54 sono compatibili con quelle che le precedono. Non abbiamo
infatti alcuna possibilità di ricostruire dal punto di vista filologico il
processo della redazione dell'opera poiché non sono rimasti a nostra disposizione
i manoscritti. Occorrerà invece porre in rilievo che mentre le ricerche dei
paragrafi 14 e 51, che attribuiscono la musica all'ambito delle arti belle,
rientrano nell'orizzonte di una critica del gusto che indaga i fondamenti del
nostro giudizio, il paragrafo 54 analizza il Vergnügen e il piacevole.
In questo modo si potrà dimostrare, ad un tempo, la compatibilità delle due
tesi e la coerenza della teoria di Kant.
Annotazione 1
Molti interpreti hanno rivolto lo sguardo a questo
paragrafo per suggerire l'idea che la concezione della musica di Kant nel suo
insieme sia localizzata al livello empirico della considerazione fisiologica e
psicologica degli effetti sulle fibre del corpo. A partire da Herder si è
imposta la convinzione che Kant scorga il valore della musica nella “heilsame
Erschütterung des Zwergfells” e nella “gesunde Verdauung in einem
uninteressierten, rein ästhetischen Gedankenspiele” (SW, Bd. XII, p. 72 f.).
Friedrich Rochlitz, che pubblica fra il 1824 e il 1832 quattro volumi Für
Freunde der Tonkunst scrive che per Kant l'arte musicale è arte piacevole.
Gli esempi che egli adduce sembrano derivare dalla convinzione che non vi sia
alcun altro tipo di musica in Kant oltre alla musica da ballo e alla musica da
tavola (Rochlitz 1824-32, 2. Band, p. 185 sg.). Kant tendeva, secondo
Friedländer, a considerare gli effetti della musica come effetti puramente
materiali e ad intendere la musica non come arte bella, ma come arte piacevole;
Schlapp scrive che Kant pone sullo stesso piano musica e comicità giungendo
all'esilarante conclusione che in realtà in entrambi i casi i muscoli
addominali svolgono un ruolo considerevole. L'attività dei musicisti e quella
dei buffoni sono quindi considerate da Kant fondamentalmente sotto il profilo
pratico della ginnastica favorevole alla salute (Friedländer 1867, p. 124).
Anche Marschner nota che, quando (nel paragrafo 54) stabilisce la differenza
essenziale fra ciò che piace solo nel giudizio e ciò che piace nella
sensazione, Kant, per il quale la musica è gioco di sensazioni, considera
quest'arte in modo così superficiale da trasformarla in mero godimento e arte
piacevole (cfr. Marschner 1901, p. 29; cfr. anche Sponheuer 1987, p. 103). “Non
si può comprendere infatti con quale diritto Kant, che in altri passi esalta
gli effetti della musica, possa spiegare il mero piacere [Vergnügen] che
la musica dovrebbe offrire e dovrebbe essere come fosse un'opera d'arte. La
concezione che vi possa e debba essere anche entro la musica un gioco che
suscita piacere non si potrebbe considerare quella accettata dall'autore, come
invece risulta dal paragrafo che sarà ora oggetto di indagine” (Marschner 1901,
in Nachtsheim 1977, p. 209). Anche Klinkhammer ritiene che queste spiegazioni
fisiologiche occupino uno spazio troppo esteso. “Fondamentalmente, contro
questa descrizione dell'aspetto sensistico della musica si deve obiettare che
Kant la svolge con una tale inattesa dovizia che fa apparentemente scomparire
sullo sfondo le altre sue considerazioni sull'estetica musicale” (Klinkhammer
1926, p. 40) e crede che “Kant in questo passo pensi alla musica da tavola”
(Klinkhammer 1926, p. 39). Per citare un ultimo esempio, Moos condanna questo
paragrafo e crede che Kant si spinga troppo in là, decretando che lo scopo
finale della musica non è spirituale, ma corporeo (citato in Nachtsheim 1997,
p. 261). Per Schering, Kant si interessa della musica come arte piacevole più
di quanto facciamo noi oggi e ciò non può essere se non la conseguenza della
sua intrinseca assenza di musicalità, del suo gusto dilettantesco; tutto ciò
che egli dice in proposito non ha se non un valore storico. Da questo punto di
vista la concezione kantiana è lo specchio di una valutazione condizionata
dall'epoca che si può documentare in numerosi altri autori (Schering 1910, pp.
170-175). Anche Meredith si è lasciato guidare dall'idea che la musica nel
paragrafo 54 sia considerata un'arte piacevole. Ciò non sarebbe però
compatibile, a suo avviso, con i paragrafi 14 e 51 che assegnano la musica alla
sfera delle arti belle (in Kant 1911).
Annotazione 2
Secondo Maecklenburg l'origine di questa concezione
fisiologica sarebbe il saggio di carattere psicologico di Kausch sull'influsso
dei suoni sul corpo e sull'anima pubblicato nel 1782 (Maecklenburg 1914, p.
211). Come si è visto nel capitolo precedente, la concezione è stata elaborata
da Kant prima del 1782; è però un dato di fatto che Kausch ha inviato a Kant il
proprio contributo nel 1787. Nachtsheim ha toccato, seppure rapidamente, il
tema del rapporto fra il piacevole nella musica e la valutazione positiva
dell'antropologia di Burke nella Nota generale all'esposizione dei Giudizi
estetici riflettenti. Nachtsheim nota che il nesso fra il sistema di Kant e
la sua estetica musicale è rimasto inesplorato (1997, p. 31 nota 96): “Kant
accenna alla motivazione sistematica di ciò nella Esposizione generale dei
giudizi estetici riflettenti, constatando mediante il richiamo a Burke che
accanto ad un'esposizione trascendentale è possibile anche una deduzione
empirica (fisiologica o psicologica) del bello, che rientra però
nell'antropologia empirica [...]. Ma questa esposizione empirica sfocia sempre
soltanto in ciò che Kant chiama piacevolezza. Detto altrimenti: la teoria di
Burke è, agli occhi di Kant, in quanto si occupa di prodotti delle arti belle,
una teoria (meritevole di essere studiata) del piacevole”. Al contrario, Moos
sostiene che “Kant non si arresta a questa concezione materialistica, ma che
essa significa una ricaduta occasionale nel sensismo di un Burke combattuto da Kant”
(Moos 1922, citato in Nachtsheim 1997, p. 262).
13. Musica e finalità
oggettiva formale
Il paragrafo 62 affronta il tema della finalità
oggettiva e meramente formale e della sua differenza dalla finalità materiale;
esso mira a dimostrare che accanto alla finalità soggettiva e formale, di cui
si è svolta l'analisi nella teoria del bello, nell'analitica del sublime e
nella definizione del genio, vi è anche una finalità oggettiva, anch'essa
formale, che deve essere a sua volta differenziata dalla finalità oggettiva e
materiale che rappresenta l'oggetto vero e proprio della teleologia. Il gusto
si fonda sulla finalità soggettiva e formale che coincide con il libero gioco
delle facoltà conoscitive; anche il sublime si può ricondurre a una forma
particolare di finalità soggettiva e formale che non deriva dal rapporto fra
immaginazione e intelletto, ma dal rapporto fra immaginazione e ragione;
immaginazione, intelletto, spirito e gusto sono le facoltà da cui risulta la
finalità soggettiva e formale che è alla base del genio.
In che consiste, allora, la finalità oggettiva e
formale? Kant illustra questo concetto con due esempi: le figure geometriche, i
numeri aritmetici. Se i primi sono oggetto della geometria i secondi rientrano
nella matematica come scienza dei numeri. Certo, l'argomentazione si sofferma
più sulle figure geometriche e l'intero paragrafo si prefigge di dimostrare che
alle figure geometriche non si può attribuire la qualifica della bellezza
perché il giudizio che si formula su di esse è fondato su concetti e quindi è
in contraddizione con le condizioni che rendono possibile il gusto, il quale
non può essere ricondotto a concetti conoscitivi determinati. Tuttavia, è
possibile applicare le considerazioni relative alle figure geometriche anche
all'aritmetica e ai suoi numeri e chiedersi quale sia il rapporto fra la musica
e la matematica come scienza dei numeri. “Si usa il termine bellezza a
proposito di queste proprietà sia delle figure geometriche che dei numeri”
(CdG, p. 337): numeri e figure geometriche sono atti alla soluzione di una
quantità di problemi secondo un unico principio, e questa soluzione non ha
luogo sulla via del pensiero discorsivo bensì su quella dell'intuizione. I
numeri sono considerati belli da alcuni autori e posti sullo stesso piano della
bellezza delle figure geometriche perché rivelano una certa finalità. Kant
critica qui Johann Georg Sulzer che attribuisce alle formule algebriche la
qualifica della “bellezza intellettuale”: il suo errore consiste nel chiamare
“bellezza” la finalità delle figure geometriche e dei numeri; la finalità è un
accordo, una convenienza nei confronti della nostra facoltà conoscitiva, ma non
riguarda il sentimento di piacere.
Platone ha compreso che l'animo è dotato della facoltà
di percepire i rapporti numerici armonici, ma ha cercato l'origine dei rapporti
numerici musicali in un intelletto divino; la sua ammirazione per l'armonia si
è così surrettiziamente trasformata in esaltazione.
Questi passi sembrano non essere noti a Bosanquet che
afferma che il nostro filosofo non aveva conoscenza alcuna del valore che la
musica rivestiva per i pensatori dell'antichità: “Prendendo nota delle
perplessità di Kant sulla musica, possiamo ricordare che egli fece ben poco uso
degli antichi che sapevano qualcosa del vero valore di quell'arte che abbiamo
visto trascurata nel medioevo e nell'estetica del diciottesimo secolo”
(Bosanquet 1949, pp. 281-282).
Differenziandosi esplicitamente da Platone e anche da
Pitagora, Kant non reputa che i rapporti matematici siano oggetto di una
conoscenza che derivi a priori dalla mera ragione e non pensa che i sensi non
svolgano alcun ruolo in essa. Egli non può accettare che i sensi contengano lauter
Blendwerck, mero inganno: proprio il senso dell'udito, un senso esterno,
può percepire i rapporti fra i suoni; Kant rimprovera a Platone e Pitagora la
tendenza a sconfinare nel misticismo, sottovalutando la sensibilità e la sua
funzione.
Se non vogliamo commettere l'errore di chiamare belle
le formule algebriche e le proprietà dei numeri per cui essi si distinguono per
la loro attitudine alla soluzione di una quantità di problemi secondo un unico
principio, dobbiamo quindi tracciare una netta linea di separazione fra la
finalità che le caratterizza e la vera e propria bellezza: non esiste una
bellezza intellettuale, perché la bellezza è sempre soltanto sensibile;
l'espressione “bellezza intellettuale” dovrebbe essere sostituita dal termine
“finalità formale e oggettiva”. Se però si vuole applicare l'aggettivo “bello”
anche alla scoperta di rapporti numerici e alla soluzione di problemi
aritmetici, si deve chiarire che non le formule algebriche sono belle; bella è
la dimostrazione matematica in cui intelletto e immaginazione si sentono
corroborati a priori, bello è il fondamento del piacere che ne deriva, il
quale, sebbene sia dato da concetti, è comunque soggettivo; la perfezione, al
contrario, è connessa con un piacere [Wohlgefallen] oggettivo (cfr. CdG,
p. 337).
È dunque chiaro che la critica al concetto di bellezza
intellettuale riguarda solo i numeri algebrici e il loro uso nella matematica;
in questo senso Kant è avversario di Sulzer. Per quanto concerne però la
bellezza sensibile di cui parla Sulzer, Kant non nega che essa sia vera e
propria bellezza; allorché Sulzer adduce come esempio di bellezza intellettuale
regole algebriche, e si riferisce alla matematica come scienza dei numeri, ed
esemplifica la bellezza sensibile con le proporzioni aritmetiche stabilite da
Euler fra i numeri delle vibrazioni delle onde sonore, Kant ne apprezza il
discorso. Contro Sulzer egli annovera le formule algebriche nella finalità
oggettiva e formale; con Sulzer inserisce i rapporti fra le note nella sfera
della bellezza. I rapporti numerici che stanno a fondamento della musica non
sono, quindi, per Kant, bellezza oggettiva e formale, ma corrispondono al gioco
delle facoltà in quanto sono musica senza testo e anche musica senza tema come
è stato mostrato dal paragrafo 16, con il quale il presente paragrafo è in
completo accordo.
14. La seconda edizione della
Critica del Giudizio (1793)
14.1. Kant a Hellwag
Sebbene numerosi editori e interpreti abbiano pensato
che la variante della terza edizione woran ich doch gar nicht zweifle
fosse corretta anche per la prima e per la seconda, si è mostrato precedentemente
per quale motivo sia verosimilmente esatta, in relazione alla teoria esposta
nel 1790, la variante della prima edizione. Le ricerche sopra condotte hanno
portato al seguente risultato: secondo Kant si ha ragione di supporre che i
suoni non siano altro se non una successione regolare di vibrazioni dell'aria
che colpiscono le parti elastiche del nostro orecchio. Non si può peraltro
sostenere con certezza che l'animo sia in grado di percepire la natura fisica
dei suoni come unità di una molteplicità, sebbene si possano addurre motivi che
rendono legittima la tesi della bellezza dei singoli suoni.
La teoria musicale della seconda edizione non si
differenzia da quella della prima. La seconda edizione coincide con la prima
nei paragrafi sulla musica e l'espressione woran ich doch gar sehr zweifle
compare anche nella seconda. Può forse trattarsi di un errore di stampa sia
nella prima sia nella seconda edizione? Si può dimostrare che Kant ha avuto a
lungo fra le mani la prima edizione dell'opera e che la sottopose ad accurate
revisioni. Ciononostante egli non mutò il gar sehr, sebbene si possa
constatare che egli corresse abbondantemente il testo precedente e seguente a
questo passo. Si può dunque accettare che la variante gar sehr rifletta
la posizione di Kant nel 1790 e nel 1793. Erdmann scrive nell'introduzione alla
sua edizione della Kritik der Urteilskraft che Kant mostrava una rara
indifferenza per la correzione dei suoi scritti a stampa e che probabilmente
dalla fine degli anni Cinquanta in poi non ha mai corretto personalmente una
delle sue opere; si limitava ad approntare di malavoglia errata corrige
per gli errori di stampa che gli balzavano agli occhi in modo particolarmente
evidente a una lettura superficiale (cfr. Erdmann 1880, pp. XXXIII-XXXIV).
Werner Stark si è opposto a questa tesi diffusa nella filologia kantiana,
secondo la quale Kant aveva scarsissimo interesse per la forma esteriore delle
sue opere, affermando che la collaborazione dell'autore era ridotta per motivi
esteriori. Non fu dunque l'autore, ma il correttore a rivedere le opere al
momento della loro stampa (cfr. Stark 1988).
Sulla stampa della seconda edizione siamo però ben
informati grazie alle lettere di Kant a De La Garde; “le lettere di Kant alla
casa editrice berlinese, che ebbe vita breve, di François Théodore de LaGarde
(1756-18??) sono il documento più esausitivo per comprendere il modo in cui
Kant collaborò alla stampa dei suoi scritti” (Stark 1993, p. 32); esse
dimostrano che Kant era interessato alla revisione dell'opera e che se ne
occupò a lungo. Il 2 agosto 1791 Kant prega De La Garde di inviargli
l'esemplare interfogliato promesso (AA XI, p. 275); il 28 ottobre 1791 conferma
di aver ricevuto l'esemplare e comunica di voler restituire l'esemplare
corretto entro la fine di novembre 1791 (AA XI, p. 301). Il 12 giugno 1792
scrive, infine, di avere inviato il 10 giugno l’esemplare corretto dell’opera
in un pacco; segnala che le correzioni iniziano dalla lettera A ad eccezione
della prefazione e della introduzione e che, fatta eccezione per la nota a p.
462, nulla è stato aggiunto perché non lo si è ritenuto necessario. La
correzione della prefazione e della introduzione, se vi si trovano errori
oppure sono necessarie piccole aggiunte, sarà inviata tra breve, garantisce Kant
che prega il suo destinatario di iniziare la stampa dal foglio A. (AA XI, p.
341). Da queste lettere risulta che Kant ha sottoposto la prima edizione a una
revisione protrattasi dall'agosto del 1791 al luglio del 1792. Rosenkranz
riteneva che Kant non avesse mai compiuto “una trasformazione intrinseca del
testo”. Hartenstein conosce la differenza fra la prima e la seconda edizione,
ma crede che la terza sia una semplice ristampa della seconda e Kirchmann parla
di una ristampa immutata. L'ultima lettera è particolarmente rilevante poiché
ne risulta che Kant finì solo il 10 giugno 1792 la correzione dell'esemplare
della Kritik der Urteilskraft ad eccezione della prefazione e della
introduzione che aveva promesso per la fine del mese di novembre 1791. Ancora più
significativo è il fatto che Kant dica di non avere aggiunto nulla al testo,
fatta eccezione per la nota a p. 462.
Sul periodo di tempo che intercorre fra la prima e la
seconda edizione della Critica del Giudizio abbiamo a nostra
disposizione un certo numero di informazioni che si possono ricavare
soprattutto dall'epistolario di Kant. Hellwag ricordava a Kant nella lettera da
lui inviata di aver pubblicato nel “Deutsches Museum” del 1786 un saggio su
questo tema. Il 3 gennaio 1791 Kant risponde in una lettera della quale ci sono
conservati, nell'Edizione dell’Accademia, sia la stesura definitiva sia il
progetto. Arthur Warda pubblicò entrambi i testi in un saggio dal titolo Zwei
Briefentwürfe Kants che comparve nel volume del 1900 della “Altpreußische
Monatsschrift”. A differenza della trascrizione della Edizione dell’Accademia,
nel saggio di Warda è accessibile anche la stesura originaria del progetto che
Kant sottopose poi a revisione, modificando le proposizioni in alcuni punti.
Opportuno, a questo punto, un confronto fra la
lettera, il progetto e la trascrizione del progetto ad opera di Warda, che
riporta alla luce oscillazioni e incertezze che possono dimostrarsi rilevanti.
Sebbene la lettera non contenga alcuna dichiarazione sul passo del paragrafo 14
relativo a Euler e alla teoria della riflessione, si può determinare sulla base
degli altri due documenti quale variante rifletta la posizione di Kant nel
1791. Dalla lettura comparata dei tre testi si possono trarre le seguenti
conclusioni: 1) anche durante la stesura della risposta a Hellwag, Kant si
sente insicuro e dubita di fatto che la musica abbia a che fare con la
riflessione; egli definisce “problematico” anche il parallelismo fra suoni e
colori 2) Kant è però incline a designare “belli” sia i suoni sia i colori
singoli. Ecco testo e progetto della lettera inviata da Kant a Hellwag:
In primo luogo, per quanto concerne l'analogia fra i
colori e i suoni, Ella porta sicuramente più vicino alla soluzione il problema
del loro rapporto con il giudizio di gusto (che non può essere un mero giudizio
dei sensi sul piacevole e sullo spiacevole). A questo proposito, mi sembra
interessante, e meritevole di venire ulteriormente sviluppata, la Sua scala
delle vocali, intese come gli unici suoni che possono avere di per se stessi un
suono. Infatti nessuno può pensare la musica, se non è al tempo stesso in grado
di accompagnarla con il canto, per quanto inetto egli sia. Qui appare nel
contempo evidente la differenza fra il gioco dei colori e quello dei suoni, giacché
il primo non presuppone il potere produttivo dell'immaginazione. Sennonché al
momento attuale sono troppo immerso nella meditazione di altri argomenti, per
potermi per ora adeguatamente occupare di questa indagine. Devo solo rilevare
che, quando nella Critica del Giudizio ho parlato di persone che,
sebbene possedessero un ottimo udito, non sapevano distinguere una nota
dall'altra, ma che non erano assolutamente in grado di distinguere una nota da
un semplice suono. Avevo presente alla mente il mio migliore amico, il
commerciante inglese Green, scomparso quattro anni fa. Quando era bambino, i
suoi genitori avevano rilevato questo difetto e perciò gli avevano fatto
imparare a suonare il piano con le note. Sennonché né allora né dopo egli
riusciva a rilevare la minima differenza quando era un altro a suonare al piano
o a cantare un pezzo totalmente diverso; di conseguenza, le note erano per lui
un mero rumore. Analogamente, ho letto da qualche parte di persone le quali non
riuscivano a discriminare nell'insieme della natura altro che luci e ombre e,
sebbene i loro occhi fossero sanissimi, vedevano tutti gli oggetti come in
un'incisione in rame. È interessante notare che nel mio amico Green questa
incapacità si estendeva anche alla poesia: non riusciva mai a riconoscere la
sua differenza rispetto alla prosa, se non per il fatto che essa consiste in
una disposizione delle sillabe coatta ed artificiosa. Perciò leggeva molto
volentieri gli Essays on Man di Pope, ma trovava seccante che fossero scritti
in versi (Kant 1990, pp. 249-250).
Progetto
Vs. Sig. Ill. ma mi pone una quantità di problemi che
per la maggior parte ha già risolto benissimo da sé. Permetta che le comunichi
per cenni, piuttosto che renderlo perspicuo nei dettagli, il mio giudizio,
giacché esso - a causa della brevità del tempo a mia disposizione - non è
ancora pervenuto a maturazione. Ritenendo che li si debba giudicare come un bel
gioco delle sensazioni, Ella ha sicuramente portato più vicino alla soluzione
il parallelo fra i colori e i suoni in un giudizio estetico; parallelo che io
ho avanzato in modo meramente problematico. Sennonché mi sono attualmente tanto
allontanato da questo tipo di indagine, che - per tener conto dell'insieme
delle ragioni pro e contro - mi occorrerebbe adesso molto più tempo di quello
che posso dedicarvi, e lascio volentieri alla Sua ulteriore indagine
l'esecuzione di questo compito. Mi sembra che la Sua scala dei suoni verbali
indipendenti (le vocali) dia occasione ad importanti osservazioni: le vocali
sono le sole ad essere dotate di suono, a differenza degli elementi verbali
puramente sonori (le consonanti), che non sono di per sé veicoli dei suoni, ma
servono alla voce umana solo per collegare le vocali. Infatti nessuno può
intendere una musica se non sa accompagnarla con il canto, e nemmeno può
indicare chiaramente le note (per questo motivo il canto degli uccelli non è
per noi vera musica). A questo proposito rilevo ancora soltanto che, quando a
p. 2[09] della Critica del Giudizio parlavo di coloro che non riescono a
percepire alcuna differenza fra le note nel canto di un altro o in una musica
strumentale, non intendevo dire che essi confondono spesso le note, ma che non
riescono assolutamente a distinguere una nota da un semplice suono. Un esempio
sorprendente me lo forniva un mio amico scomparso quattro anni fa, il
commerciante inglese Joseph Green. Durante la giovinezza era stato costretto a
suonare al piano pezzi di spartiti, ma né allora né per tutta la vita riuscì a
percepire la differenza quando qualcuno suonava su questo strumento un pezzo
totalmente diverso; egli possedeva perciò il senso della sonorità, ma non
possedeva minimamente quello della tonalità. Ciò era collegato anche con la sua
restante capacità di giudicare esteticamente: leggeva volentieri, per es., gli
Essays on Man per i pensieri contenutivi, ma, avvertendoli come qualcosa di
coatto, non riusciva a provare piacere nel verso e nella rima. Analogamente,
d'altro canto, per quanto concerne le differenze cromatiche, intendevo
riferirmi all'esempio (ancorché raro) di quella famiglia inglese, alcuni membri
della quale non avevano assolutamente nessuna rappresentazione di colore, ma
nel mondo visibile percepivano solo luci ed ombre, come in un'incisione in rame
(Kant 1990, pp. 255-256).
Nella trascrizione del progetto pubblicata da Warda si
può notare la presenza, in seguito riprodotta entro parentesi quadra, di
un'affermazione poi cancellata da Kant, che non è trascritta nell'Edizione
dell'Accademia; sebbene il suo contenuto renda manifesto come Kant fosse
propenso ad accettare la soluzione della bellezza dei suoni e dei colori, il
fatto stesso che egli dapprima la scrisse e in un secondo momento la cancellò
lascia trasparire visibilmente la sua indecisione al riguardo, e la presenza in
lui di un “dubbio” non ancora risolto.
Ritenendo che li si debba giudicare come un bel gioco
delle sensazioni [opinione alla quale io stesso sono maggiormente incline] Ella
ha sicuramente portato più vicino alla soluzione il parallelo fra i colori e i
suoni in un giudizio estetico; parallelo che io ho avanzato in modo meramente
problematico.
14.2. L'assenza di urbanità della musica
Nella seconda edizione della Critica del Giudizio Kant
aggiunge, inoltre, la seguente considerazione:
Inoltre, alla musica, bisogna rimproverare una certa
mancanza di urbanità, soprattutto per la proprietà dei suoi strumenti, di
spandere il proprio influsso al di là del richiesto (al vicinato), per così
dire imponendosi e violando la libertà di quanti non partecipano al
trattenimento musicale; cosa che non fanno le arti che parlano agli occhi,
poiché basta distogliere questi quando non se ne vuole accogliere
l'impressione. Pressoché lo stesso accade per il piacere che dà un odore che si
spande lontano. Chi estrae dalla tasca il fazzoletto profumato tiranneggia chi
sta intorno a lui ignorandone la volontà e costringendolo, se vuole respirare,
a godere anch'egli di quel piacere; è perciò che quest'uso è passato di moda (CdG,
p. 303).
Nella nota soggiunge:
Coloro che hanno consigliato per le devozioni
domestiche anche il canto di inni spirituali non hanno riflettuto sul fatto
che, con una pratica di culto tanto chiassosa (e proprio per questo sovente
farisaica) causavano un grosso incomodo al vicinato, costretto, o ad unirsi al
canto, o ad interrompere il suo lavoro intellettuale (CdG, p. 303).
Dal momento che il giudizio negativo del filosofo e le
sue lamentele si riferiscono al canto degli occupanti la prigione posta nelle
vicinanze della sua abitazione, alla loro “stentorische Andacht”, non è facile
trarne la conclusione che Kant non apprezzasse la musica intesa come arte
bella. Nessuno valuterebbe come musica sublime i canti provenienti da un
istituto penitenziario. Fra i canti spirituali cui Kant pensa e i capolavori
dei grandi maestri vi è un abisso incolmabile, e nessuno direbbe che coloro che
apprezzano i canti spirituali provenienti da una prigione abbiano, al
contrario, una profonda conoscenza dell'arte musicale. L'aneddoto mette in luce
un contesto biografico la cui presenza è ancora visibile nella seconda edizione
della Critica del Giudizio. Bersaglio polemico del filosofo sono qui
coloro i quali hanno consigliato per le devozioni domestiche anche il canto di
inni spirituali, usanza da deplorare soprattutto dal punto di vista morale e
religioso. La forma musicale di questi canti non è qui oggetto di discussione;
essi non sono nominati, infatti, come oggetti di un giudizio di gusto estetico,
ma come dimostrazione di una pratica di culto farisaica che non trova origine
nella pace e nella serenità della coscienza morale. Poiché questo tipo di
musica provoca notevole fastidio, l'ascoltatore può essere costretto a unirsi
al canto e ad interrompere il suo lavoro intellettuale. Egli deve
necessariamente unirsi al canto perché, come sappiamo, la musica attrae con
molta forza la facoltà dell'immaginazione involontaria. Che la musica ci
attragga a sé al punto tale da costringerci ad ascoltarla contro la nostra
volontà anche quando siano emessi suoni stentati che nulla hanno a che fare con
la bellezza e sono percepiti nella loro spiacevolezza, non è certo ammissione
che possa fornire testimonianza della valutazione sprezzante e negativa, da
parte di Kant, della musica in generale. L'attenzione del filosofo non è qui
rivolta alla musica in sé e per sé, ma solo alla musica spiacevole, il cui
effetto sull'animo è analizzato nei suoi fondamenti antropologici e fisici. Che
questo tipo di musica ci disturbi deriva dalla natura fisica dei suoni
musicali, fondata a sua volta sulla costituzione fisica del suono in generale:
è una proprietà del suono in generale che esso penetri dappertutto.
Esclusivamente sotto questo aspetto la natura dei suoni musicali non è più
comparata con la natura dei colori; il mondo dei colori e degli oggetti della
vista che nel paragrafo 14 era posto sullo stesso piano dell'udito e dei suoni
musicali ora si avvicina all'odorato e alle sensazioni che lo riguardano, le
quali, per la loro natura fisica, colpiscono necessariamente l'uomo.
Annotazione
Questo aneddoto è citato quasi di norma in ogni
contributo sul tema per dimostrare che il filosofo di Königsberg era uomo poco
amante della musica e che gli eventi musicali non rientravano nelle sue
esperienze di vita. Desmond scrive: “Kant usa un'immagine veramente indicativa:
compara la musica con un gentiluomo che estrae un fazzoletto profumato dalla
sua tasca - il profumo si diffonde dappertutto in modo indeterminato e nessuno
può decidere di sottrarsi al suo effetto […] Kant vede in ciò solo un'intrusione
indesiderata” (Desmond 1998, p. 613). Anche Menzer nota: “Qualcosa di ancor
meno rallegrante si può dire, infine, sul rapporto fra Kant e la musica [...].
Purtroppo il vecchio Kant si è reso colpevole di un biasimevole e deviante
fraintendimento nella seconda edizione della Critica del Giudizio quando
ha rimproverato alla musica una mancanza di urbanità perché disturba il
vicinato” (Menzer 1952, p. 20). E spiega poi che una nota ci rivela il motivo
di questa condanna. Erano i canti farisaici dei reclusi del carcere che lo
avevano disturbato nel suo lavoro (cfr. Menzer 1952, p. 20). Cfr. anche Moos
1992 (citato in Nachtsheim 1997, p. 263): “Sono note le lamentele del grande
filosofo sul rumore molesto prodotto dalla musica […]”. Odebrecht ritiene che
l'amareggiata e caricaturale critica alla teoria musicale di Kant nella Kalligone
colga nel segno (Odebrecht 1938, p. 139).