III

 

LA TEORIA MUSICALE

DELLA CRITICA DEL GIUDIZIO

 

 

 

 

 

 

 

1. Violini, archi e concerti

 

Il sentimento di piacere [Vergnügen] per la musica è considerato, alla prima comparsa nell'opera, individuale e soggettivo; la sua validità si limita esclusivamente alla persona che lo prova e a processi verificantisi nel suo senso interno; il soggetto formula un giudizio che si riferisce a ciò che è meramente piacevole [angenehm] e non ha propriamente accesso alla contemplazione del bello. L'udito si rivela equivalente ai sensi della vista, del tatto, dell'olfatto e del gusto; i singoli suoni sono un esempio di soggettività e di contingenza della sensazione estetica e la loro natura giustifica il detto comune de gustibus non est disputandum. Se definiamo gradevole il vino delle Canarie, intendiamo dire che questo giudizio vale solo e soltanto “per noi”; se diciamo che il colore violetto è soave e amabile, non abbiamo nulla in contrario se un altro individuo lo ritiene cupo e spento; ad alcuni può piacere il suono degli strumenti da fiato, ad altri il suono degli archi. Questi giudizi non sono incompatibili e non ha alcun senso “disputare” su essi, per cercare di dimostrare errato il giudizio altrui come se fosse logicamente incompatibile col nostro. Viene così respinta la posizione di coloro i quali, come Burke, credevano di poter istituire un legame fra il bello e il piacevole dei suoni (cfr. CdG, p. 188).

Non ci si può appagare, però, di questa prima definizione: non si può escludere che diversi giudizi, per quanto soggettivi e individuali, e sebbene mirino a qualificare un oggetto, nel nostro caso un suono o una sensazione piacevole, possano concordare fra di loro; più individui possono pronunciarsi positivamente sulla piacevolezza del suono degli strumenti a fiato e al contempo sottolineare lo scarso valore estetico del suono degli strumenti ad arco, e viceversa. In questo caso l'accordo tra i soggetti rivela un tipo particolare di validità: si tratta di una universalità non assoluta ma meramente relativa, i cui criteri sono regole empiriche di carattere generale le quali non possono essere trasformate in norme universali. La dimensione sociale è qui determinante; si deve riconoscere che colui il quale, durante un banchetto, sa intrattenere i suoi ospiti con piacevolezze che suscitano il godimento di tutti i sensi ha “gusto”, ha la facoltà di giudicare il piacevole nella sua generalità, il piacevole che è tale per un gruppo di individui. L'argomentazione si è spostata quindi dalla natura meramente privata del senso dell'udito alla generalità delle sensazioni da esso procurate. Il gusto può così essere definito come facoltà di giudicare del piacevole in generale (cfr. CdG, pp. 188-189). L'analisi del piacevole, sia esso meramente individuale, oppure generale, è indagine a posteriori sul sentimento e sulle sue particolarità; se rimaniamo all'interno di questo ambito non ci sarà mai possibile affermare l'universalità assoluta di un giudizio, ma solo la sua universalità comparativa; perverremo a regole generali, non universali; potremo certo raccogliere osservazioni e materiale per un'antropologia empirica come disciplina che procede a posteriori, ma non saremo mai in grado di stabilire una norma a priori del giudizio, né potremo mai oltrepassare il principio de gustibus non est disputandum.

Per formulare un criterio che abbia validità universale assoluta e che si fondi su regole universali dobbiamo abbandonare il terreno dell'antropologia empirica e intraprendere una ricerca di carattere trascendentale sulla struttura logica del giudizio estetico, introducendo una separazione netta fra il piacere [Lust] che sorge di fronte al bello e il piacere [Lust] per ciò che è meramente piacevole, sia esso individuale oppure generale.

È una particolarità della bellezza che il sentimento di piacere che da essa deriva esiga universalità e necessità; per sua natura la struttura del giudizio sul bello non è assimilabile alla struttura del giudizio sul piacevole: colui il quale giudica bello un oggetto esige che quest'ultimo piaccia a tutti gli altri soggetti e presuppone in essi il medesimo piacere che egli prova in sé. Non appena si abbandoni il campo della singola sensazione individuale e ci si dedichi all'analisi del bello, si profila la possibilità di attribuire al giudizio di gusto sulla musica un valore a priori. Colui il quale pronuncia il giudizio “questo concerto è bello” attribuisce il medesimo piacere agli altri individui e pretende che il concerto debba piacere anche a essi; in questo modo non giudica solo per se stesso, come nel caso delle singole impressioni sonore, ma per tutti; parla della bellezza come se essa fosse una proprietà dell'oggetto. Il riferimento alla validità individuale della sensazione non vale nel caso del concerto (cfr. CdG, p. 188).

Al singolo suono, al suono degli strumenti a fiato o a corda è contrapposto il concerto; quest'ultimo non può essere catalogato né sotto la rubrica della sensazione piacevole, né nella sfera del piacevole in generale. La bellezza di un concerto è sullo stesso piano della bellezza di un edificio e di una poesia. Anche l'udito come senso esterno ha così accesso alla dimensione dell'a priori: l'armonia di un concerto e il rapporto fra più suoni non sono tema di una disciplina antropologica, poiché il giudizio su di essi si fonda su un principio a priori (cfr. CdG, p. 189).

La critica trascendentale del gusto è stata così integrata da osservazioni antropologiche. Se l'indagine prende drasticamente le distanze da princìpi psicologici ed empirici, può però esser messo in risalto che le ricerche della psicologia empirica non sono rifiutate come inutili, ma anzi rivelano un valore particolare per una trattazione trascendentale la quale le assuma come punto di partenza che deve essere superato.

2. Suoni attraenti, puri e belli

 

Sin qui il giudizio di gusto disinteressato è stato distinto dal giudizio sul piacevole; ora anche l'oggetto di questo giudizio è differenziato dall'oggetto del giudizio sul bello. La rigida separazione fra bello e piacevole sembra mostrare come Kant proponga un'eliminazione degli elementi sensibili. Questa netta contrapposizione è stata spesso interpretata come una conseguenza del rigorismo morale di Kant. Basch scrive che qui come ovunque Kant ha commesso l'errore di ammettere una sola forma del bello e di voler ridurre l'inesauribile ricchezza dei fenomeni a un'unica formula. Il disprezzo con cui Kant si accosta alla sensibilità e che molto probabilmente si deve al profondo influsso della sue educazione pietistica sarebbe errato sia nell'estetica sia nella morale (citato in Kulenkampff 1974, pp. 258-259). Michäelis rivaluta contro Kant l'attrattiva dei suoni, affermando che essa non si può eliminare completamente e che non esistono né una musica senza suono, né un dipinto senza colori, perché l'attrattiva non reca danno al bello se si mantiene entro certi limiti (Michäelis 1892, p. 21). Per Fischer l'estetica di Kant accetta solo la forma della sensibilità non l'attrattiva e un'ascesi ipostatizzata esige in lui il sacrificio della vita fisica (Fischer 1994, p. 129). Ketzer rileva che l'estetica come disciplina scientifica può essere ammessa se è in grado di rapportarsi non solo ai fenomeni idealtipici ma anche a fenomeni del mondo della vita e che proprio con questa esigenza essa urta contro i limiti posti da una estetica filosofica di carattere kantiano (Ketzer 1993, p. 146).

In effetti, per Kant attrattiva ed emozione sono azioni prodotte dagli oggetti che colpiscono il soggetto e possono corromperne il giudizio. Gli esponenti dell'empirismo estetico errano a suo avviso in quanto attribuiscono bellezza proprio alla materia e trascurano completamente il valore della forma. Le singole sensazioni acustiche sono mera attrattiva (cfr. CdG, p. 199). Kant pensa anche qui a un singolo suono, al suono di un violino; i suoni sono a suo avviso mera materia nella quale non si possono reperire elementi a priori, residuo non ulteriormente riconducibile ad una forma, il quale si oppone anzi a quest'ultima in una radicale eterogeneità. Un oggetto che dà origine al sentimento del piacevole attrae e l'attrazione è la sua azione sul soggetto; un oggetto che attrae implica che nel soggetto sorga la volontà di indugiare nella sua contemplazione. Nell'attrattiva l'animo è meramente passivo, esposto ad un'azione che proviene dall'esterno, dalle impressioni sensibili. La Verweilung nell'attrattiva del piacevole si muove su di un livello diverso rispetto al gioco della facoltà nel piacere per il bello: solo in quest'ultimo si mostra la spontaneità dell'animo, solo il gioco delle facoltà conoscitive che costituisce il fondamento del giudizio di gusto deve essere inteso come una vis viva che si rafforza e si riproduce autonomamente. Il giudizio di gusto empirico è contrapposto al giudizio di gusto puro: mentre i giudizi empirici hanno come oggetto il piacevole e sono giudizi dei sensi o giudizi estetici materiali, i giudizi estetici formali si riferiscono alla bellezza.

Il quadro della teoria sin qui delineato non è però ancora completo. Infatti, Kant sottolinea anche che l'attrattiva può esser considerata analoga al gioco delle facoltà conoscitive: se la considerazione del bello si rafforza e si riproduce, anche l'effetto dell'attrattiva si presenta come un continuo essere risvegliati alla contemplazione del bello.

I singoli suoni possono contribuire al piacere per la forma: la loro attrattiva suscita attenzione grazie alla molteplicità, al contrasto e infine alla purezza. Questa funzione positiva dell'attrattiva non coincide con il gioco delle facoltà originato dalle facoltà conoscitive nel singolo individuo; che i suoni possano offrire un incentivo al piacere per la forma con la loro attrattiva non significa che essi si trovino sul medesimo livello della forma; non sono elementi formali. Fra il gioco e l'attrattiva vi sono però punti di contatto. La purezza, la molteplicità, il contrasto possono contribuire sotto un certo profilo alla bellezza, avvicinando la forma all'intuizione sensibile e rendendola più precisa, più completa, più determinata e anche più intuitiva; possono vivificare la rappresentazione con la loro attrattiva e risvegliare e mantenere l'attenzione.

Kant non si limita, però, ad osservare la relatività delle singole sensazioni e il loro contributo empirico al piacere per la forma, ma cerca di spogliare il singolo suono dell'empiricità dell'attrattiva e di scoprirne il nesso con l'a priori. Il paragrafo 14 compie il tentativo di salvare l'empiricità delle sensazioni acustiche esaminando l'oggetto del giudizio di gusto puro. Anzitutto chiarisce che, anche sotto il profilo oggettivo, al giudizio di gusto sul bello corrisponde una struttura che non si può ridurre alla contingenza della sensazione. I suoni sono la qualità della sensazione che non è uguale per tutti e di conseguenza non può essere comunicata ad altri; sarà compito del filosofo, ora, mostrare l'elemento formale presente anche in queste datità empiriche che di per sé possono produrre solo attrattiva, e conferire loro la qualifica di oggetti belli. L'unica condizione che possa garantire la bellezza dei suoni è l'idea della loro purezza.

Quali sono i suoni che possono essere identificati come suoni puri? Posto che solo la forma può essere considerata oggetto di un giudizio passibile di validità a priori, esclusivamente i suoni semplici possono essere oggetto di un giudizio puro, poiché proprio grazie alla costanza e alla stabilità della loro forma non colpiscono l'udito con la medesima forza dei suoni forti e misti.

Nonostante questi tentativi di unificare il concetto della purezza trascendentale con il concetto della purezza delle modalità di sensazione, la posizione di Kant permane decisa e drastica. Il riconoscimento del valore dell'attrattiva e l'introduzione delle modalità di sensazione pura non sono sufficienti a salvare le sensazioni e la materia; vero e autentico oggetto del giudizio puro di gusto è, infatti, la composizione; attrattiva e sensazioni non giocano qui alcun ruolo. L'udito il quale, insieme alla vista, è il senso esterno che presenta interesse per il filosofo trascendentale ha come punto di riferimento il gioco ed è sottoposto alla forma pura del tempo. Il gioco delle sensazioni è una struttura che non appartiene al soggetto, ma alla forma dell'oggetto e si può ulteriormente definire “composizione”. Oggetto del giudizio di gusto puro è, dunque, la composizione che risulta da rapporti matematici fra suoni.

Rimangono però ancora irrisolti due problemi: anzitutto, la giustificazione dei suoni puri non è condotta relativamente al giudizio, ma riguarda la struttura dell'oggetto. Non si è quindi ancora dimostrato come non si possa negare la dimensione dell'a priori al singolo suono quando ci si soffermi sul lato soggettivo del giudizio e non sulla struttura dell'oggetto. In secondo luogo: sebbene alcuni suoni si differenzino da altri per la loro necessità in quanto puri, non si è ancora chiarito se tutti i suoni possano essere giudicati belli. Che ne è di quei suoni che non sono semplici e quindi non possono essere definiti puri? Al centro delle considerazioni sin qui svolte si trova un passo nel quale si argomenta che non solo i singoli suoni, ma tutti i suoni in generale, considerati in sé e per sé, sono belli. Kant dice qui “per se stessi” (CdG, p. 200): questa espressione indica, a mio avviso, che l'autore si riferisce a tutti i suoni nel loro complesso, non solo a quelli semplici o puri. Il fatto che ci occupiamo di questo passo solo ora, dopo aver dato la precedenza alla trattazione delle sensazioni acustiche semplici, è giustificato dalla considerazione che esse ben difficilmente rientrano nel contesto; sembrano piuttosto costituire un excursus; se avessimo seguito la struttura del testo avremmo dovuto interrompere la trattazione delle sensazioni pure e riprenderla più avanti. Non è facile stabilire se questa disposizione abbia un significato particolare, se l'excursus sia un'aggiunta più tarda e rifletta una fase più tarda della teoria. È certo, però, che il tema dell'excursus sarà ripreso nel paragrafo 51 sotto l'aspetto della teoria dell'arte e che Kant lo ha comunque voluto consapevolmente inserire nel paragrafo 14.

 

Se con Euler interpretiamo i colori come vibrazioni (pulsus) di frequenza regolare dell'etere, così come i suoni lo sono dell'aria perturbata, e, ciò che più importa, ammettiamo che l'animo non si limiti a percepire l'effetto di eccitazione sensibile sull'organo, ma anche - e su ciò non ho dubbi -, con la riflessione, il gioco regolare delle impressioni (quindi la forma nell'unione di rappresentazioni diverse): in tal caso colore e suono non sarebbero semplici sensazioni, ma già determinazione formale dell'unità d'una molteplicità di sensazioni, ma già determinazione formale dell'unità d'una molteplicità di sensazioni, potendo quindi venir considerati per se stessi come cose belle (CdG, pp. 199-200).

 

Si profila qui uno fra i problemi più discussi e controversi dell'interpretazione e soprattutto dell'edizione della terza Critica. Dopo la parola “percepire” si trova, fra parentesi, nella prima (1790) e nella seconda edizione (1793) l'espressione: woran ich doch gar sehr zweifle. Nella terza edizione il testo è stato modificato e il termine sehr è stato sostituito dalla negazione nicht dando alla parentesi un nuovo significato. Nelle prime due edizioni Kant afferma: “e su ciò dubito molto”, nella terza: “e su ciò non ho dubbi”. Quale fra le due varianti ci restituisce la posizione effettiva di Kant? Si deve stabilire se Kant abbia o non abbia dubitato, se entrambe le varianti siano corrette e se esse rispecchino un mutamento nella teoria nel periodo compreso fra il 1793 e il 1799. E, inoltre, a che cosa si riferisce l'eventuale dubbio: alla teoria ondulatoria oppure al rapporto fra suoni e riflessione? Infine, si deve chiarire se Kant attribuisca a Euler le due tesi oppure solo la prima: Euler ha proposto, secondo Kant, solo una teoria ondulatoria oppure ha anche sviluppato una teoria della riflessione valida per la critica del giudizio di gusto?

La costruzione della proposizione rende difficile comprenderne il significato. Ritorniamo però al testo e cerchiamo di analizzare le singole proposizioni. I suoni, si può ipotizzare, sono pulsus aëris. Quale significato ha questa ipotesi? Il lettore deve porsi questa domanda perché tema del paragrafo è l'enumerazione di esempi a conferma della tesi che il giudizio puro di gusto esclude attrattiva ed emozione. L'ipotesi ha a che vedere con la costituzione fisica dei suoni musicali? Si deve constatare che non abbiamo qui un'ipotesi di natura estetica, ma un'affermazione desunta dalla fisica che ci spiega, all'interno di una Critica del Giudizio estetico, che la struttura fisica dei suoni musicali è un susseguirsi regolare di pulsus dell'aria che agiscono sul nostro orecchio. Con questa ipotesi l'autore mira, dunque, a definire la struttura dell'oggetto, e oggetto sono qui le singole sensazioni acustiche.

Kant formula poi una seconda ipotesi: supponiamo che l'animo non percepisca solo l'effetto delle vibrazioni sulla vivificazione dell'organo di senso, ma anche il gioco regolare delle impressioni e quindi la forma nella connessione di molteplici rappresentazioni. In questo secondo caso il giudizio sarebbe opera non già del senso ma della riflessione, e l'animo sarebbe in grado di percepire la struttura regolare dell'oggetto. Se l'animo fosse in grado di elevarsi alla riflessione sulla forma non sarebbe più sottoposto all'azione causale delle vibrazioni dell'aria che vivificano l'organo di senso dell'udito. L'autore suppone, peraltro, che l'animo possa percepire le oscillazioni e distinguerle l'una dall'altra giungendo a riconoscere la struttura fisica oggettiva dei suoni. Sulle caratteristiche della percezione non sono date qui ulteriori indicazioni, che troveremo però nel paragrafo 51 e saranno approfondite nel paragrafo 53. Da queste due ipotesi Kant trae la conclusione che i singoli suoni possono essere considerati belli solo nel caso in cui le prime due premesse siano corrette. Anche se non si potesse decidere quale fra le varianti woran ich doch gar sehr e woran ich doch gar nicht si debba considerare corretta, l'argomentazione risulterebbe comunque comprensibile; la risposta è resa più facile dalla ricostruzione dell'argomentazione e della sua struttura. Ci troviamo di fronte a due premesse alle quali fa seguito una conclusione: se è valida la teoria fisica in base alla quale i suoni sono pulsus dell'aria che si susseguono con regolarità, e se è vero che l'animo possiede la facoltà di percepire la proporzione sussistente fra le singole oscillazioni, ne segue che anche il singolo suono può ricevere l'appellativo “bello”. La prima premessa è derivata dalla teoria di Euler e accettata da Kant, la seconda contiene al tempo stesso sia la teoria della riflessione che in Euler non è presente, ma è elaborata da Kant, sia il riferimento alla teoria della percepibilità dei suoni, di Euler e altri. Emergerà dall'analisi del paragrafo 51 che anche nella seconda premessa sono implicite suggestioni provenienti da Euler. L'argomentazione non è dunque modificata dal contenuto della parentesi; la conclusione è possibile a condizione che si accettino le premesse, e può essere spiegata indipendentemente da Euler. Si può notare che la prima premessa si inserisce completamente nell'ottica e nell'acustica, mentre la seconda premessa e la conclusione sono parte integrante di una Critica del Giudizio estetico.

 

Annotazione. Edizioni e interpretazioni della variante del § 14:  “E su ciò non ho dubbi”.

 

Questo complesso problema è stato discusso a più riprese dopo la pubblicazione della Critica del Giudizio nell'edizione dell'Accademia delle Scienze di Berlino. Fino al suo apparire si adottò la variante della prima e della seconda edizione e si accettò la tesi che nulla sarebbe mutato fra il 1790 e il 1799; il cambiamento nella terza edizione sarebbe, quindi, un errore di stampa. Kirchmann accetta il testo delle due prime edizioni: woran ich doch gar sehr zweifle, e soggiunge in nota: “3. Edizione: 'doch gar nicht'; è evidente che qui 'nicht' è stato sostituito a 'sehr' solo per un errore di stampa” (Kant 1869, p. 67). Benno Erdmann pubblica l'opera fondandosi sulla seconda edizione del 1793 e non segnala in nota la modifica apportata dalla terza (Kant 1880, p. 60). Questa decisione è ripresa da Vorländer, il quale nell'edizione della Critica del Giudizio del 1902 ripete in nota la tesi di Kirchmann e giustifica la sua decisione mediante il ricorso a una pretesa evidenza (Kant 1902, p. 67).

Sulla base di queste edizioni si è sostenuta la tesi che la posizione di Kant sia negativa tanto nei confronti della teoria ondulatoria quanto nei confronti della teoria della riflessione e che entrambe siano state esposte da Euler. Il dubbio espresso fra parentesi riguarderebbe quindi entrambe le ipotesi e si identificherebbe con una negazione. I suoni sarebbero sensazioni piacevoli e la musica rientrerebbe nella sfera del piacevole (cfr. Mellin 1799, vol. II, tomo I, articolo “Euler”, pp. 456-462). Meyer fonda su questo presunto atteggiamento negativo l'interpretazione secondo la quale Kant, a differenza di Euler, non sarebbe da considerarsi formalista puro, poiché se fosse tale, riconoscerebbe, d'accordo con Euler, già al singolo suono la qualifica della bellezza; questa sensazione rientrerebbe dunque espressamente nel campo del piacevole, poiché in assenza di una forma in senso kantiano non può sorgere alcuna riflessione (Meyer 1920-21, p. 478). Carl Klinkhammer segue Meyer: “Non si potrà quindi più designare Kant formalista puro [... ]. In favore di questa ipotesi vi è inoltre il fatto che egli ha completamente rifiutato le teorie matematiche di Euler sulla musica, perché a suo avviso esse sono completamente contrarie ai suoi princìpi” (Klinkhammer 1926, p. 44). Neppure per Cohen Kant concede ad Euler che l'animo non percepisca solo le vibrazioni dell'aria fra le note, ma anche il regolare gioco delle impressioni attraverso la sensazione. “Kant dubita di ciò che insegna Euler: che cioè nei suoni sia percepita la riflessione stessa sulla forma; e riconosce al contrario senza riserve che i suoni, in quanto siano puri, diano origine alla riflessione” (Cohen 1889, p. 312). Della medesima idea è Paul Menzer: “Il problema più complesso per Kant è mostrare nei singoli colori e nei singoli suoni la qualità che conferisce ai giudizi su di essi il carattere di giudizi estetici e non quello di meri giudizi dei sensi. Sembra che entrambi abbiano a fondamento solo la materia delle rappresentazioni, ovvero solo la sensazione. L'idea che un suono o un colore siano puri e che ciò riguardi già la forma può convincere ben poco. Rimane problematico se Kant abbia realmente accettato la teoria dei suoni e dei colori di Euler. In questo caso avrebbe potuto applicare il principio dell'unità nella molteplicità e avrebbe potuto guadagnare il concetto di forma. Ciò tuttavia non è verosimile e in ogni caso la sua intera spiegazione non contiene questo momento” (Menzer 1952, p. 141). In modo analogo si esprime Dahlhaus: “[...] Kant nutre forti dubbi sulla teoria di Euler, in base a cui percepiamo vibrazioni dell'etere e dell'aria di singoli colori e di singoli suoni come un regolare gioco di impressioni e che quindi colore e suono non siano mere sensazioni ma siano già una determinazione formale dell'unità di un molteplice e quindi possano anche di per sé essere considerati belli”.

Altri interpreti, sebbene propendano per l'idea che la parentesi si riferisca sia al rapporto fra Kant e Euler sia al problema della bellezza delle singole sensazioni, credono al contrario che Kant non abbia espresso alcun dubbio né sulla teoria di Euler, né sulla bellezza delle sensazioni ottiche e acustiche e assumono la variante della prima e della seconda edizione. Otto Buek, editore della Kritik der Urteilskraft per la Cassirer-Ausgabe sostiene che la variante della terza edizione corrisponde in tutto e per tutto alla posizione che Kant ha sempre assunto nei confronti di questo problema. Rinvia poi al De Igne, ai Primi fondamenti metafisici della scienza della natura, al § 19 dell'Antropologia dal punto di vista pragmatico, e infine anche ai paragrafi 42 e 51 della terza Critica (cfr. Kant 1911-1922, vol. V, pp. 612-613).

Nell'Edizione dell’Accademia ha dedicato a questo controverso problema un'estesa nota Wilhelm Windelband. Poiché l'edizione da lui curata ha costituito sinora il fondamento cui si sono per lo più richiamate sia le edizioni italiane sia le edizioni straniere e le sue proposte sono state quasi unanimemente accettate sembra opportuno soffermarsi su di essa. Sebbene richiami l'attenzione sul fatto che la variante della terza edizione probabilmente non risale a Kant stesso ma al correttore del testo, Windelband assume la variante della terza edizione; decisione che sarebbe a suo avviso pienamente giustificata in quanto Kant non avrebbe dubitato né della teoria ondulatoria di Euler né della propria teoria della riflessione. Windelband separa così, a differenza degli altri interpreti, la prima dalla seconda questione e attribuisce ad Euler la teoria della vibrazione, mentre ritiene che la teoria della riflessione sia propria di Kant. La posizione di Kant è poi analizzata sotto un duplice punto di vista: dapprima si propone una breve storia dello sviluppo del pensiero kantiano sulla teoria ondulatoria, rilevando come negli scritti che precedono la terza Critica il lettore non possa mai rintracciare un atteggiamento critico o dubitativo nei confronti della teoria ondulatoria della luce. In secondo luogo, Windelband concentra la sua attenzione direttamente sulla Critica del Giudizio e le dedica un'analisi immanente; la conseguenza che ne ricava è che neppure la terza Critica espone dubbi sulla teoria di Euler: il ricorso all'elemento matematico dimostra che Kant inserisce la teoria di Euler nell'ambito estetico. Il problema della bellezza dei singoli suoni è risolto quindi in modo positivo sulla base della teoria di Euler (cfr. AA V, pp. 527-528). Windelband conclude con queste parole le sue considerazioni: “Anche nel caso in cui, come si suppone, il correttore ignoto della terza edizione avesse sostituito il gar sehr con il gar nicht e perfino se la forma da lui proposta in correlazione con il testo precedente avesse prodotto un'espressione troppo forte, questa variante corrisponde alla teoria esposta da Kant in tutta l'opera, cosicché la sua assunzione nel testo non solo è parsa giustificata, ma addirittura necessaria” (AA V, pp. 528-529).

Manfred Frank e Veronique Zanetti citano il De igne, I primi princìpi metafisici della scienza della natura e l'Antropologia dal punto di vista pragmatico (1798) e notano che anche nella Critica del Giudizio luce e suono sono considerati in un rapporto di parallelismo in relazione ai sensi superiori (cfr. §§ 42 e 51). “La correzione è significativa perché Kant ha effettivamente accettato in più passi della sua opera la teoria ondulatoria della luce sviluppata dal matematico e fisico svizzero Leonhard Euler (1707-1783)” (Kant 1996, p. 1332).

Vorländer ha modificato in una riedizione della Critica del Giudizio la sua posizione originaria con la motivazione che Windelband ha dimostrato, con verosimiglianza e grazie a citazioni da diversi scritti di Kant, che la variante della terza edizione corrisponde all'effettiva posizione del filosofo. Anche Uehling ritiene che Windelband abbia addotto ragioni più che valide a sostegno della variante della terza edizione. Ciò che egli tenta di mostrare è che la dottrina che i colori puri e i suoni puri non sono solo prodotti del senso ma implicano anche una riflessione sul gioco regolare delle impressioni è proposta in tutta la Critica del Giudizio. Nel paragrafo 51, che secondo Uehling sarebbe, stranamente, parte dell'“Analitica del sublime” (si deve però notare che l'“Analitica del sublime” è conclusa al paragrafo 29) Kant prenderebbe in considerazione l'impiego estetico della teoria fisica di Euler e sembrerebbe dire che la musica deve essere interpretata come un bel gioco di sensazioni (Uehling 1971, pp. 23-25). Weatherstone crede che Kant sia d'accordo con Euler nel ritenere la forma percepibile nei colori e nei suoni puri e che quindi la variante della terza edizione debba essere preferita (Weatherstone 1996, p. 64 nota 3). Infine, Nachtsheim afferma: “La possibilità che le sensazioni acustiche si accordino entro una forma dipende soprattutto dalla possibilità che sia percepita la differenza nell'altezza dei suoni. Kant si appoggia all'acustica di Leonhard Euler che gli suggerisce che i singoli suoni, a differenza del suono o del rumore, non sono mera attrattiva” (Nachtsheim 1996, p. 338).

Si può a questo punto rilevare che Windelband non procede secondo considerazioni di natura filologica ma condivide con le interpretazioni a lui precedenti la convinzione che la parentesi si riferisca sia alla teoria ondulatoria di Euler sia alla teoria della riflessione di Kant. Anche ammesso che la parentesi si riferisca ad Euler, non sarebbe però giustificato dedurre dalla ricostruzione della posizione kantiana rispetto alla teoria di Euler negli anni che precedono la terza Critica che questa posizione, considerata positiva, si sia mantenuta immutata anche all'epoca della stesura dell'opera. La storia dello sviluppo può, infatti, delineare le fasi precedenti del confronto di Kant con il problema, ma non può sostituire un'analisi immanente della teoria dell'opera più tarda; lo studio della genesi della teoria non permette di per sé la comprensione dell'opera matura.

Diversa la lettura proposta da Erich Adickes, per il quale Kant non avrebbe mosso alcuna obiezione alla teoria di Euler e le sue riserve riguarderebbero solo la teoria della riflessione che Kant non attribuirebbe a Euler. “Si è voluto a torto vedere nelle prime due edizioni della KdU un'opposizione a Euler. Si tratta di un passo del paragrafo 14 [...]. Nella terza edizione del 1799 nell'ultima parentesi sehr è sostituto da nicht, probabilmente non da Kant, ma dal correttore di Berlino. A prescindere dalla legittimità di questa modifica, la parentesi si può riferire per ragioni stilistiche solo alla seconda metà della proposizione (che inizia con und, was das Vornehmste ist), non all'osservazione su Euler e sul rapporto fra colori-etere e suoni-aria. Così inteso il passo contiene un indubbio apprezzamento della teoria di Euler, perché nella prima metà della proposizione, al contrario della seconda, non è introdotta alcuna riserva” (Adickes 1924-25, pp. 169-170). Alcuni interpreti si oppongono a Windelband, affermando che mentre il paragrafo 14 dubita della bellezza delle singole sensazioni, il paragrafo 42 e il paragrafo 51 modificano la posizione originariamente oscillante di Kant a favore della tesi della bellezza (Von Aster 1909, pp. 465 sg.; Schöndörffer 1911, pp. 16 sgg.). Meredith ritiene che gar sehr sia fedele al contenuto della teoria della prima edizione, ed è irrilevante a suo avviso determinare se Kant abbia accettato la teoria di Euler, perché la parentesi si riferisce solo all'uso estetico di quella dottrina che sarebbe il vero e proprio fulcro del problema. Il capoverso del paragrafo 14 è, secondo Meredith, un'aggiunta più tarda come del resto la conclusione del paragrafo 51. Kant credeva originariamente che la musica fosse un'arte piacevole, come emerge dal paragrafo 54, che risale a una fase antecedente della stesura dell'opera: durante la stesura Kant, convintosi che colori e suoni siano percepiti dall'animo come unità regolari del molteplice, avrebbe aggiunto fra parentesi che non aveva dubbi in proposito. Meredith ne ricava la conseguenza che gar nicht debba essere preferito a gar sehr; la variante gar sehr sarebbe stata aggiunta da Kiesewetter, il quale notò che la parentesi non era coerente con il contenuto del paragrafo 14 (cfr. Kant 1911, pp. 246-248).

Per Eckart Förster la variante della terza edizione corrisponde alle intenzioni di Kant, il quale non dubita che i suoni siano vibrazioni dell'aria, ma sembra essere meno sicuro che i colori siano vibrazioni dell'etere e sembra più incline a pensare che i suoni, più che i colori, siano percepiti dalla riflessione. Nel 1796 Kant ipotizza in base alla sua teoria della materia un etere dinamico e proprio per questo motivo modifica il testo (cfr. Förster 1993, passim). La Rocca ritiene che la variante risalga a Kant e che non si tratti di un errore di stampa, ma di una modificazione della sua posizione (cfr. La Rocca 1998, p. 537 nota). Secondo Tomasi, sia in relazione alla costituzione fisica dei colori e dei suoni sia relativamente al loro valore estetico Kant si rivela incerto; “a motivo dell'incertezza sulla natura fisica del colore, le affermazioni di Kant a questo proposito sono piuttosto prudenti” (Tomasi 1996, p. 49 nota 33): infatti da un lato suoni e colori sono attribuiti alla sensazione, dall'altro sembrano presupporre la riflessione; ipotesi quest'ultima che si fonda sia sulla teoria di Euler sia sulla teoria della riflessione di Kant; se esse sono entrambe accettate, le singole sensazioni sono belle. Alla tesi dell'insicurezza Tomasi affianca però una conclusione positiva: la parentesi riguarderebbe solo la teoria della riflessione e Kant non avrebbe alcun dubbio su di essa (cfr. Tomasi 1996, p. 63). Per Hohenegger-Garroni, Kant non approda a una decisione definitiva e il suo dubbio non riguarda Euler: “Kant non sta dubitando affatto della teoria di Euler [... ], ma, sì, della possibilità di cogliere la regolarità dei colori e dei suoni puri mediante la riflessione, cioè attraverso la sensazione” (Kant 1999, pp. 59-60).

Schmidt afferma che nel paragrafo 14 Kant dubita manifestamente della possibilità che l’animo percepisca la forma. Se comunque avesse ammesso questa possibilità non ne avrebbe dedotto alcuna conclusione sul timbro, né sulla differenza fra l’altezza dei diversi suoni, ma solo la differenza fra un suono e il mero rumore. Tuttavia il problema del significato formale del suono singolo non ha significato determinante, dato che la musica si risolve nell’unificazione ordinata dei suoni (Schmidt 1990, p. 19).

 

 

3. L'organista e l'oscuro

 

La Confutazione della dimostrazione di Mendelssohn della permanenza dell'anima, aggiunta nella seconda edizione della Critica della ragion pura (1787), accenna rapidamente ai processi che si compiono nell'anima dell'organista quando improvvisa. La rilevanza sistematica di questa attività, che abbiamo incontrato come tema costante delle lezioni di logica e di antropologia, viene in luce con chiarezza e sarà confermata dal paragrafo 16 della terza Critica, in cui le improvvisazioni esemplificano la “bellezza libera”. Nella Confutazione si rimprovera a Mendelssohn e alla dimostrazione dell'immortalità dell'anima da lui avanzata nel Fedone di aver argomentato che l'anima è una sostanza semplice e per questo motivo non può cessare di esistere né per decomposizione, né per estinzione. L'errore di Mendelssohn, obietta Kant, consiste nell'aver trascurato il concetto di grandezza intensiva; sebbene si possa ammettere che l'anima abbia una natura semplice poiché non contiene in sé una molteplicità di parti reciprocamente esterne e non è quindi una quantità estensiva, è impossibile negarle una quantità intensiva. Si ha motivo di supporre che l'anima non possa ridursi al nulla, se non per decomposizione, almeno per una progressiva diminuzione delle sue forze; come la coscienza di oggetti anche l'esser coscienti di sé e ogni altra facoltà hanno sempre un grado.

L'identificazione della chiarezza con la coscienza, alla quale Leibniz, Wolff e Mendelssohn si attengono, si dimostra errata a una più attenta considerazione: se, infatti, seguendo l'esempio dei logici, prendiamo le mosse dall'idea che la chiarezza sia la coscienza di una rappresentazione, non possiamo più sostenere che anche nelle rappresentazioni oscure vi sia coscienza; la definizione della chiarezza della scuola leibniziana è incompatibile con la teoria delle rappresentazioni oscure. Contro la tesi di Mendelssohn si può addurre che un musicista all'organo compie una grande quantità di riflessioni oscure, perché quando improvvisa è in grado di distinguere le note l'una dall'altra e di suonare contemporaneamente più note; poiché il musicista non ha però coscienza di questa differenza la sua attività si può definire “oscura”. Di fatto, la coscienza può essere coscienza dell'atto della distinzione oppure coscienza della differenza; solo in questo secondo caso è coscienza chiara; il musicista ha coscienza della differenza dei suoni, ma essa è insufficiente a raggiungere la coscienza della distinzione di un suono dall'altro; egli ha quindi una rappresentazione oscura delle note. Pur non potendosi negare che la musica scaturisca da sensazioni e che i suoni siano di natura sensibile, non si può neppure misconoscere che la loro connessione abbia origine nella spontaneità dell'anima: origine della musica non è l'entusiasmo né il sentimento, ma l'intelletto. Sebbene l'esempio dell'organista ricordi da vicino il Saggio sull'intelletto umano di Locke, non ne è accettato il principio esplicativo dell'associazione psicologica, e neppure si accoglie l'idea che il prodotto del processo sia una melodia: all'associazione subentra il principio a priori del grado della quantità intensiva elaborato nelle Anticipazioni delle percezioni, la melodia è sostituita dall'improvvisazione. Modifiche assai significative e rilevanti, poiché permettono di inserire l'esempio nella filosofia trascendentale, eliminando la soggettività sia dell'associazione sia della melodia e del suo effetto in quanto attrattiva.

Nella Critica del Giudizio la spiegazione dell'attività intellettuale oscura non è svolta, a differenza di quanto avviene nelle fasi precedenti, con il ricorso all'esempio del musicista: mentre la coscienza morale può essere ancora spiegata con il concetto dell'attività inconscia dell'intelletto, nell'ambito del gusto la differenza fra rappresentazioni chiare e rappresentazioni confuse non è più valida: infatti il gusto non è conoscenza, ma sentimento di piacere. Questa modificazione può essere ricondotta a uno sviluppo nella teoria del giudizio di gusto. Sebbene già precedentemente fosse sempre distinta dall'attrattiva e dall'emozione e indipendente da qualsiasi condizionamento empirico, la bellezza era sempre ricondotta alla conoscenza. Nel 1790, invece, il concetto della bellezza non solo è purificato dalla sensazione ma anche distinto dal concetto della perfezione: appunto perché ha sempre avuto una connotazione conoscitiva l'inconscio non è mai stato contrassegnato da un legame con il sentimento di piacere. Se finora la creazione di improvvisazioni era sempre un'attività conoscitiva, ora si deve rinunciare a questo legame con la facoltà della conoscenza, se non si vuole cadere in contraddizione con il nuovo concetto della bellezza che si rivela indipendente da ogni connotazione concettuale.

 

 

4. Improvvisazioni, musica senza testo e bellezza libera

 

È emerso, dalla lettura condotta sinora della Critica del Giudizio, che la composizione è il vero e proprio oggetto del giudizio di gusto puro; nel paragrafo 16 si fa riferimento a diverse specie di musica e si stabilisce un'ulteriore connessione esplicita con quella che Kant chiama, nel paragrafo 9, la “chiave della Critica del gusto”, ovvero la teoria dell'armonia e del gioco delle facoltà conoscitive. Al gusto corrisponde una disposizione dell'animo “che si conserva da sé e possiede una validità soggettiva universale” (CdG, p. 206), che non presuppone alcun concetto di scopo; la libertà dell'immaginazione gioca nella contemplazione della figura. Le improvvisazioni senza tema, e perfino l'intera musica senza testo che si sviluppa sulla base di un tema, sono il correlato oggettivo del giudizio di gusto e quindi un concreto esempio di bellezza libera: “Nella stessa categoria si può includere la improvvisazione musicale (senza tema), anzi tutta la musica senza testo” (CdG, p. 205). La musica senza testo non presuppone alcun concetto di scopo che determini l'oggetto della sua rappresentazione e ponga limiti alla libertà dell'immaginazione; nessun concetto di perfezione ne determina l'essenza, ma essa piace in modo immediato, perché la molteplicità che la costituisce non è ricondotta a un concetto determinato; la libertà dell'immaginazione è garantita e si dà una specie di musica che genera il libero gioco di immaginazione e intelletto.

Per il filosofo trascendentale la musica è rilevante solo in quanto costituita da una molteplicità ordinata di sensazioni; non ci si può meravigliare se essa condivide la libertà della sua bellezza con uccelli e fiori, disegni alla greca, fogliami delle cornici e delle tappezzerie. Con il termine “musica” Kant non intende alludere a una composizione musicale determinata, né a un'opera specifica, ma all'unificazione di molteplici sensazioni; è rilevante esclusivamente il fatto che fiori, uccelli come il colibrì, l'uccello del paradiso o il pappagallo, fogliami delle tappezzerie possano esemplificare il concetto di bellezza libera e che anche una composizione armonica di suoni non riferita ad alcun tema determinato, analogamente a una composizione incentrata su un tema ma non riferentesi ad alcun testo, rappresenti il correlato oggettivo del giudizio di gusto puro. Con questo, Kant non afferma certo che la musica di Haydn o di Mozart possieda il medesimo valore estetico di una tappezzeria, dei fogliami delle cornici, di fiori e uccelli; se quindi non ci si può esimere da un sorriso quando il filosofo pone la realtà dell'esperienza musicale sul medesimo piano della contemplazione di fiori e tappezzerie, è comunque giustificato osservare che l'equiparazione di musica strumentale e bellezza libera non mira a esaurire analiticamente l'esperienza musicale; mi sembra si possa puntualizzare che Kant non ha mai perseguito questo scopo poiché non opera come critico musicale, ma come critico del principio a priori del gusto.

 

Annotazione 1

 

Nella musica pura, strumentale, il canto, la voce umana non svolge alcun ruolo, non dovendo essa accompagnare alcun testo scritto. Autori come Sulzer, Schulz, Wolf, Greiling, Beattie non valutavano positivamente la musica strumentale; la vera musica poteva essere, a loro avviso, sempre e soltanto musica applicata alla parola. Verso la fine del XVII secolo si sviluppa però un nuovo concetto di musica strumentale essenzialmente diverso da quello diffuso nei secoli XV e XVI: prima la musica strumentale era musica cantata trasferita su strumenti, formatasi in correlazione con forme di canto e di danza; nel corso del diciottesimo secolo, invece, si trasforma in una forma d'arte autonoma, completamente indipendente dalla musica vocale (cfr. Schering 1910, p. 174). A Königsberg operano Richter, proveniente dalla scuola di Emanuel Bach del quale introduce l'arte del pianoforte, e Veichtner che introduce l'arte del violino di Franz Benda. Le sonate per pianoforte si diffondono anche grazie a Podbielski che nel 1780 e nel 1783 pubblica sei composizioni presso Johann Friedrich Hartknoch, editore anche di scritti kantiani, a Riga con il titolo: Sei sonate per pianoforte, composte e dedicate da C.W. Podbielski ad alcuni dei suoi amici particolarmente stimabili per il loro spirito e il loro cuore. Hartknoch era egli stesso pianista e maestro di Johann Friedrich Reichardt, del quale pubblicò nel 1773 i Vermischte Musikalien (cfr. Güttler 1925).

 

Annotazione 2

 

Il rapporto fra bellezza libera e musica non vocale che emerge dalle righe appena discusse non è spesso preso in considerazione. Secondo Karl Dahlhaus la musica pura, non vocale rappresenta il paradigma della musica ed è meramente gradevole; lo dimostrerebbe l'Antropologia dal punto di vista pragmatico del 1798 per la quale la musica che non accompagna le parole è un intrattenimento piacevole che si trasforma da godimento in cultura solo quando è associata alla parola (cfr. Dahlhaus 1967, pp. 49 sgg). A prescindere dall'interpretazione del passo dell'Antropologia, si può notare che nella terza Critica la musica bella è musica pura, senza nesso con la parola e quindi non è piacevole. Anche Schmidt ritiene che non vi sia alcun rapporto fra gioco delle facoltà conoscitive e musica: “Poiché è stata tracciata una linea di separazione netta fra la materia, l'effetto immediato sull'ascoltatore e la 'forma matematica', la quale soltanto può fondare la bellezza della musica per il giudizio di gusto, la musica non coglie, anche perché agisce tradizionalmente in modo così intenso, il particolare effetto che secondo la Critica del Giudizio è ancora tipico del bello: l'unificazione soggettiva, non solo individuale ma universale che si compie nell'atto del giudizio estetico, fra le facoltà conoscitive della sensibilità e dell'intelletto come libero gioco” (Schmidt 1990, pp. 23-24). Secondo Schmidt la musica senza testo è sottesa a tutto ciò che Kant dice su quest’arte e appare priva di pensiero in relazione alle altre arti; può acquisire la dignità di arte bella solo in correlazione alla poesia. Kant non riflette, a suo avviso, senza premesse e senza presupposti sulla natura e sulle possibilità della musica, ma la sua valutazione è determinata notevolmente dall’estetica sentimentale della musica del XVIII secolo. Essa rifiuta procedimenti pittorici o allegorici come procedimenti artificiali che disturbano l’effetto della musica (cfr. Schmidt 1990, p. 25). Infine, per Schubert, la musica senza testo è oggetto del giudizio dell'intuizione pura del tempo, non dell'armonia di intelletto e immaginazione. Il valore del giudizio di gusto libero, l'universalità del bello musicale che appare bellezza libera derivano dal giudizio e procedono in base alla mera forma, ovvero in base alla forma intuitiva del tempo. Solo l'articolazione di qualcosa di formale come tale grazie alla forma dell'intuizione del tempo è fondamento del bello musicale che non è provocato né dall'attrattiva sensibile né da un concetto determinato. Per mostrare che la musica senza testo è giudicata in base al tempo Schubert richiama la Riflessione 672 che però, secondo la datazione di Erich Adickes, risale ai primi anni Settanta (cfr. Schubert 1975, p. 18).

Karl Nef scrive che la musica è valutata da Kant come un gioco piacevole e che la sua bellezza ha il medesimo valore della bellezza di un pappagallo, di un colibrì, dell'uccello del paradiso; lo scopo della musica non sarebbe quindi spirituale ma corporeo (cfr. Nef 1905, p. 33). Nef nota però che questa analogia si fonda su un'intuizione corretta: anche l'effetto della musica dipende dalla bellezza dei rapporti temporali come la bellezza delle arti figurative deriva dalla bellezza delle relazioni spaziali (Nef 1905, p. 35).

 

 

5. Canto dell'usignolo e musica vocale

 

Il piacere a priori del gusto si distingue dal piacere a priori dell'approvazione. Se la regolarità che conduce al concetto di un oggetto è interpretata a prescindere dal concetto stesso, se essa non mira direttamente alla conoscenza, può valere anche come conditio sine qua non che permette di “afferrare l'oggetto in un'unica rappresentazione, determinando il molteplice nella forma di quello” e implica sempre il piacere estetico a priori [Wohlgefallen]; come è stato acquisito dal paragrafo 14 e sarà ripetuto nel paragrafo 53, la matematica è la conditio sine qua non di quella proporzione fra le impressioni nel loro nesso e nella loro alternanza che ne rende possibile l'unificazione in una composizione musicale. Se, invece, come ora si spiega, la regolarità, come quella dei numeri dell'aritmetica in quanto scienza, implica necessariamente l'unificazione del molteplice in un concetto in vista della conoscenza dell'oggetto, essa può dar luogo all'approvazione per la soluzione di determinati problemi, ma non può suscitare un intrattenimento libero e finalistico delle facoltà dell'animo. Nella musica l'elemento matematico non è rappresentato con concetti determinati; Kant non identifica la regolarità nella successione delle note con la regolarità dei numeri, ma precisa che tutto ciò che è regolare “si avvicina” alla regolarità matematica: “Tutto ciò che (avvicinandosi alla regolarità matematica) è rigidamente regolare […]”; tutto ciò che è rigidamente regolare, ad esempio i rapporti matematici fra i suoni, non è identico alla regolarità matematica delle figure geometriche, ma si avvicina soltanto a essa.

L'argomentazione si sposta poi dallo a priori all'empirico e analizza approvazione e gusto in relazione all'attrattiva. Ciò deve essere sottolineato con decisione in quanto le affermazioni che seguono sono state spesso intese come la dimostrazione della presenza di una contraddizione. Quando sostiene che tutto ciò che si avvicina alla regolarità matematica delle figure geometriche ha in sé un aspetto negativo che non invita a intrattenersi nella contemplazione, anzi annoia, se non ha espressamente un fine conoscitivo o un definito scopo pratico, l'autore intende senza dubbio riferirsi alla regolarità che sta a fondamento della musica, alla regolarità non concettuale che è già stata presentata nel paragrafo 16. Sotto questo punto di vista il canto degli uccelli, che non riusciamo a ricondurre a regole musicali, sembra avere in sé più libertà e quindi maggiore ricchezza per il gusto dello stesso canto umano, eseguito con tutte le regole dell'arte musicale.

Si potrebbe quindi essere indotti a credere che i rapporti matematici fra i suoni compaiano sia come fondamento del gusto musicale a priori, che presuppone il rapporto armonico fra le facoltà conoscitive nel soggetto, sia come ostacolo al gusto e causa di noia. Siamo forse in presenza di una palese contraddizione? Sembra che questa sia l'opinione di Gustav Wieninger: “La determinatezza matematica della forma musicale che da un lato fonda l'universalità del piacere, ostacola dall'altro lato nuovamente il valore estetico della musica, poiché danneggia la libertà dell'immaginazione [...]. Con questa obiezione Kant contraddice la fondazione della libertà dell'immaginazione da lui appena compiuta [...]” (Wieninger 1929, pp. 34-35).

Mi pare però che il discorso non presenti qui alcuna contraddizione, ma piuttosto una differenza di livelli: al piacere a priori dell'approvazione è contrapposto il piacere a priori del gusto, dal piacere a priori del gusto è differenziato poi il piacere empirico dell'attrattiva. Quando afferma che le regole dell'arte musicale contengono un numero di elementi in grado di favorire il gusto minore rispetto a quelli che offre il canto degli uccelli, e che la musica può causare noia con la sua struttura matematica, Kant non intende svolgere, a mio avviso, un'analisi del valore estetico della musica; la musica è indagata entro questa argomentazione sotto il profilo del godimento ed esclusivamente in questo senso è proposta, mi pare, la tesi che la matematica possa diventare fonte di noia; non si esclude che anche il canto umano possa avere un nesso con la libertà del gusto, ma si nota che il piacere per un canto prodotto dall'uomo è meno libero del piacere estetico suscitato dal canto degli uccelli.

A conclusione della nota sono elencati alcuni oggetti che né sono belli, né sono figure geometriche, ma possono contribuire alla bellezza con la loro attrattiva. La vista delle mutevoli forme del fuoco d'un caminetto o d'un ruscello mormorante è oggetto di un tipo di immaginazione produttiva particolare, ovvero dell'immaginazione involontaria come, nelle fasi precedenti, lo erano l'ascolto di una musica e la vista delle figure assunte dal fumo. Si può ipotizzare che non vi sia un motivo specifico per il quale non si allude qui alla musica e al fumo, e che ciò dipenda semplicemente dal fatto che gli esempi qui addotti siano stati ritenuti sufficienti a dare una raffigurazione intuitiva dell'attrattiva esercitata dalla varietà (cfr. CdG, pp. 216-218).

 

 

6. Suoni artistici e suoni naturali

 

Per illustrare le caratteristiche dell'interesse per il bello come incentivo alla moralità, tema del paragrafo 42, Kant si avvale di una comparazione con l'interesse empirico, la cui descrizione psicologica si arricchisce di nuove osservazioni. Una prima constatazione che l'esperienza conferma regolarmente è che fra coloro che si dedicano alla contemplazione delle arti belle si possono trovare individui privi di carattere morale, totalmente in balìa di rovinose passioni: le tesi di Rousseau erano, dunque, corrette. Per Rousseau le arti ingentiliscono le nostre maniere e insegnano alle nostre passioni un linguaggio ricercato; nate dall'ozio e dalla vanità portano con sé il lusso, la dissolutezza dei costumi e la corruzione del gusto (Si veda Rousseau 1970, pp. 209-237; cfr. AA XV pp. 887, 889, 441-442, XXIV, p. 65 e XXV, p. 846). Nachtsheim propone di “distinguere nettamente in Kant tra affermazioni per le quali si esige che abbiano un senso rigoroso ('scientifico') e affermazioni dalle quali non si può esigere, sin dal principio, una scientificità illimitata perché si riferiscono a contenuti che non si possono completamente dominare con gli strumenti della scienza [... ]. Di questo genere sono affermazioni come quella che spesso si incontrano 'imbecilli' fra coloro che si dedicano alla musica” (1997, pp. 9-10).

Questa valutazione negativa, si può notare, è di carattere empirico e riguarda i “virtuosi del gusto”, non coloro che possiedono un gusto autentico, originale e a priori; virtuosi del gusto sono coloro che non si attengono alla natura costante e a priori del gusto, ma si orientano secondo le mode e il gusto transeunte e mutevole. I “virtuosi” sono anche l'esatto opposto del vero genio e fra essi non si devono inserire gli autentici geni che creano qualcosa di nuovo nella loro arte; l'interesse per il bello artistico che è qui definito inferiore all'interesse per il bello naturale, in quanto non sarebbe indizio sicuro di un carattere morale, riguarda in particolare quell'arte nella quale Kant include “anche l'uso artificiale di bellezze naturali a scopo di ornamento e quindi di vanità” (CdG, p. 272); non l'arte in sé e per sé, ma l'arte in quanto è considerata come una bellezza che alimenta la “vanità o tutt'al più le gioie della società” (CdG, p. 273); l'assenza di carattere riguarda quindi gli intenditori o gli appassionati dell'arte (cfr. CdG, p. 273), non le produzioni dei geni autentici. Un esempio concreto: Patrick Brydone (1741-1818), viaggiatore e scienziato inglese, nota che a Caterina Gabrieli (1730-1796), dell'opera di Palermo, fu spesso impossibile cantare non per capriccio personale, ma per cause fisiche, ovvero a causa della delicatezza della sua sensibilità. “Dice anche che non sempre è il capriccio a trattenerla dal canto, ma che ciò può dipendere spesso da cause fisiche, e io voglio crederle”. Brydone si dichiara disposto a credere che anche la più piccola mutazione dell'aria debba causare una differenza considerevole e che nel nostro clima umido vi sia il pericolo che le fibre perdano la loro straordinaria sensibilità e molto spesso non siano accordate a tal punto da permettere il canto (cfr. Brydone 1774, II 208-217. Su Brydone cfr. AA XXV pp. 994, 1540, 1562). Criticare i virtuosi non significa, quindi, distruggere il fondamento del gusto per il bello affermando che tra il sentimento per il bello e il sentimento morale, ben lungi dal sussistere un'affinità, si spalanca un abisso incolmabile; né significa sentenziare l'inconciliabilità fra l'interesse per il bello e l'interesse morale.

Supponiamo di raggirare un amante della vera bellezza piantando in terra fiori artificiali del tutto simili a quelli naturali, collocando uccelli abilmente intagliati sui rami degli alberi; una volta scoperto l'inganno, l'amante della bellezza potrebbe provare per questi oggetti solo l'interesse della vanità, il proposito di ornare la propria camera per l'occhio altrui, non per il proprio piacere a priori. Questo giudizio è congiunto a un interesse mediato, riferito alla società, il quale non offre alcun indizio sicuro di disposizioni al bene morale. Il modo di pensare [Denkungsart] di coloro che sono privi del sentimento per la bellezza naturale, che non mostrano la disponibilità ad interessarsi alla contemplazione della natura e si attengono al godimento puramente sensibile del mangiare o del bere è da noi giudicato grossolano e volgare quando pretendiamo di attribuire l'interesse immediato per la bellezza agli altri esseri umani conferendo ad esso valore universale e necessario. Queste considerazioni sono quindi osservazioni empiriche su aspetti non certo a priori della bellezza; quando si avvale del termine “arte bella” Kant concentra la sua attenzione sull'uso artificiale di bellezze naturali a scopo di ornamento e quindi di vanità.

Tema del paragrafo 42 è la differenza fra bellezza naturale e bellezza artistica in relazione al loro nesso con il sentimento morale. Non si affronta, quindi, il problema della natura del giudizio del “mero gusto” (CdG, p. 274), ma quello della “valutazione” [Schätzung] (CdG, p. 274) relativa alla natura e all'arte. L'interesse intellettuale per il bello è maggiormente compatibile con la bellezza naturale che con la bellezza artistica. Intenzione dell'autore non è negare che anche la bellezza artistica possa generare un interesse intellettuale, ma mostrare che soprattutto la contemplazione della bellezza naturale è compatibile con in sentimento morale. Ciò può essere dimostrato se ci si interroga sullo scopo ultimo dell'umanità e sulla disposizione naturale propria dell'essere umano; sono qui accettate le teorie che, contro Rousseau, sottolineavano il valore della contemplazione del bello come propedeutica alla moralità e strumento di educazione, come ad esempio quelle di Sulzer, di Home e di Hume che in questo orizzonte avevano valutato la musica. Esse sono sottratte all'orizzonte empirico nel quale originariamente erano collocate e connesse con il concetto dello scopo ultimo del genere umano, ovvero con il bene morale. La considerazione è a priori e riguarda la destinazione ultima del genere umano.

L'argomentazione prende le mosse dall'analisi della differenza fra facoltà Giudizio estetico e facoltà del Giudizio intellettuale. La prima giudica le forme e prova piacere per il semplice giudizio, attribuendolo al tempo stesso a tutti come regola, a prescindere da concetti e da un interesse, e senza produrre alcun interesse, né empirico né intellettuale; questo tipo di giudizio era già stato esaminato come giudizio puro nei paragrafi precedenti la deduzione e aveva trovato il suo oggetto precipuo nel concetto della bellezza libera di cui trattava il paragrafo 16. La facoltà del Giudizio estetico non solo non si fonda su un interesse ma neppure produce alcun interesse.

La seconda facoltà determina a priori un piacere per le semplici forme delle massime pratiche, in quanto esse si qualifichino da se stesse atte a valere come legislazione universale, determina questo piacere come legge valida per tutti, senza presupporre alcun interesse e producendo tuttavia l'interesse per la legge morale. Mentre il piacere prodotto dalla facoltà del Giudizio estetico è il gusto, il piacere derivante dalla facoltà del Giudizio intellettuale è il sentimento morale, analizzato nella Critica della ragion pratica.

Sin qui i due Giudizi e i due tipi di piacere, il piacere del gusto e il piacere del sentimento morale che ne scaturiscono, sono l'uno a fianco all'altro, nella loro indipendenza e nella loro autonomia. La questione dell'interesse intellettuale potrà essere posta a condizione che si muova non dall'interno della facoltà del Giudizio estetico così concepita, ma dalla ragione e da un suo interesse a priori. Se analizziamo la natura della ragione, notiamo che essa è contraddistinta da un interesse a conferire realtà oggettiva alle idee per le quali produce un interesse immediato nel sentimento morale; la ragione è interessata a che le idee morali abbiano realtà oggettiva, a che la natura mostri almeno una traccia, oppure dia un cenno che ci riveli che essa contiene in sé un qualsivoglia fondamento che ci legittimi a supporre una concordanza secondo leggi fra i suoi prodotti e il nostro piacere indipendente da qualsiasi interesse, conosciuto a priori come legge universale e non fondato su prove. Poiché la ragione deve provare interesse per ogni espressione nella natura di questa armonia con il nostro sentimento di piacere a priori, l'animo non può riflettere sulla bellezza naturale a prescindere da questo tipo di interesse. Questo interesse per il bello naturale presuppone necessariamente un interesse per il bene morale già ben fondato e sviluppato, in quanto esso è morale per affinità; se dunque a qualcuno interessa in modo immediato la bellezza naturale, si ha motivo di credere che egli possieda almeno una disposizione all'intenzione morale buona.

Kant è ben consapevole delle obiezioni che si potrebbero sollevare contro questa sua interpretazione dei giudizi estetici in relazione alla loro affinità con il sentimento morale; si potrebbe dire che è troppo artificiosa e troppo costruita arbitrariamente per poter costituire la vera comprensione della “scrittura cifrata”, in base alla quale la natura ci parla “in modo figurato” attraverso le sue belle forme. Egli crede però di poter rispondere anticipatamente a queste critiche mostrando che a favore della sua spiegazione si possono addurre tre argomenti. Innanzitutto, questo interesse immediato per la bellezza della natura non è comune, ma proprio di coloro il cui modo di pensare [Denkungsart] sia o già formato per il bene oppure particolarmente ricettivo a questa formazione morale. Questo linguaggio della natura può essere interpretato perché è un “linguaggio cifrato con il quale la natura ci parla in modo figurato” (CdG, p. 274) e la sua interpretazione è resa possibile o dalla presenza di un sentimento morale già sviluppato oppure dall'esistenza di una disposizione morale non ancora portata a pieno sviluppo; la moralità o la disposizione a essa, ovvero il sentimento morale, sono dunque la conditio sine qua non dell'interesse per la bellezza della natura.

Inoltre, l'interesse per il bene e l'interesse per il bello sono entrambi immediati, né richiedono una riflessione evidente, sottile e intenzionale; la differenza fra i due consiste nel fatto che l'interesse per il bello naturale è libero, mentre l'interesse per il bene morale è fondato su leggi oggettive. L'analogia fra giudizi di gusto puri e giudizi morali si può esprimere come segue: il giudizio di gusto puro, senza dipendere da alcun interesse, causa un sentimento di piacere e lo rappresenta al tempo stesso a priori come conveniente all'umanità in generale; anche il giudizio morale causa un sentimento di piacere, lo rappresenta al tempo stesso a priori attribuendolo all'umanità in generale, ma il suo fondamento è dato da concetti. Il bello può produrre, dunque, un interesse “libero” che si distingue dall'interesse fondato su concetti che deriva dal bene morale.

Questi due primi argomenti a sostegno della concezione morale dell'interesse immediato per il linguaggio cifrato della natura sono desunti dalla critica trascendentale del Giudizio estetico. Vi è però una terza argomentazione, la quale presuppone la concezione teleologica della natura che sarà elaborata e fondata nella seconda parte dello scritto: l'ammirazione della natura, la quale si mostra come arte nei suoi prodotti belli. La natura produce la bellezza non semplicemente in modo casuale, ma per così dire intenzionalmente, in base a una disposizione secondo leggi e a una finalità senza fine. Il fine di questa produzione della bellezza naturale non può essere individuato negli oggetti esterni, ma è riposto in noi stessi, in ciò che costituisce il fine ultimo della nostra esistenza, nella destinazione morale.

Rispondendo in anticipo a critiche che poi furono di fatto rivolte alla sua dottrina, Kant nota che si potrebbe dire che l'interesse per la bellezza naturale deriva esclusivamente dal legame con un'idea morale; l'oggetto bello della natura può generare un interesse, si potrebbe rimproverare a Kant, solo in quanto vi si aggiunga un'idea morale; presupponendo un concetto morale, anche il bello naturale genera quindi un interesse mediato e ciò comporta l'eliminazione della differenza fra la bellezza naturale e la bellezza artistica. A questa osservazione si può però replicare che non il legame con un'idea morale, ma la costituzione della natura in se stessa, tale per cui si presenta atta a una tale unficazione con un'idea morale, costituzione che le appartiene intrinsecamente, è ciò che genera un interesse immediato. La bellezza naturale è già, in quanto tale, predisposta al legame intrinseco e immediato con l'idea morale, che non le si aggiunge quindi dall'esterno.

Nella natura bella rientrano anche sensazioni cui si può attribuire notevole attrattiva, come i colori e i suoni; i primi sono modificazioni della luce, i secondi del suono [Schall] ed entrambi sono come “mescolati” alla bella forma, fusi con essa. Anch'essi sono oggetto di una critica trascendentale, in quanto sono le uniche sensazioni che permettono non solo il sentimento dei sensi, ma anche la riflessione sulla forma delle modificazioni dei sensi della vista e dell'udito, contenendo in sé “come, per così dire”, un linguaggio che avvicina la natura a noi e “sembra” avere un significato superiore. Il colore bianco del giglio sembra condurre l'animo a idee di innocenza, gli altri colori, dal rosso al violetto, sembrano rinviare alla sublimità, al coraggio, alla magnanimità, all'amicizia, all'umiltà, al contegno e alla delicatezza. Anche nei suoni naturali si può constatare la presenza di un linguaggio cifrato della natura: il canto degli uccelli annuncia gaiezza e contentezza della propria esistenza. Questo è il modo in cui noi interpretiamo la natura, a prescindere dal fatto che ciò corrisponda alle sue intenzioni oppure non le sia conforme. Affinché possiamo provare un interesse immediato per un oggetto e supporre che anche altri debbano [sollen] provarlo, è necessario che esso sia natura, o che sia da noi considerato tale. Questa non è una conclusione puramente astratta, ma è qualcosa che si verifica di fatto quando riteniamo rozzo e non nobile il modo di pensare di coloro che sono privi di sentimento per la natura bella e si divertono in pranzi e bevute nel godimento delle semplici sensazioni dei sensi; sentimento è ricettività di un interesse per la contemplazione del bello naturale.

I suoni non compaiono qui come sensazioni che hanno una funzione particolare all'interno di un'arte, ma come un linguaggio naturale. È possibile avere un interesse intellettuale per la natura, se essa è bella forma e non contiene attrattive. Attrattiva e bellezza sono contrapposte nuovamente l'una all'altra come nei paragrafi che precedono la deduzione. Come nel paragrafo 14 si affermava che vi è un tipo di attrattiva che si può sussumere sotto il concetto della bellezza, ovvero i suoni, così ora si sostiene che l'attrattiva dei suoni che provengono direttamente dalla natura non deve essere confusa con l'attrattiva generata da altre sensazioni. Che cosa distingue i suoni naturali dalle altre sensazioni che la natura ci può fornire? I suoni costituiscono una scrittura cifrata della natura e sembrano quindi formare un particolare linguaggio; un linguaggio ha, però, una forma e l'elemento formale è, appunto, la forma del linguaggio stesso in quanto tale. Precedentemente abbiamo visto che la forma di suoni prodotti artisticamente è la matematica; potremo seguire lo sviluppo della forma matematica e il suo legame con il linguaggio nel paragrafo 53.

È in questo modo chiarito nelle sue motivazioni intrinseche il significato dell'affermazione contenuta nella Nota generale alla prima sezione [in realtà, “libro”] dell'Analitica; preferiamo il canto dell'usignolo alla musica vocale umana perché scambiamo la bellezza del suono naturale con l'espressione della felicità di quell'animale; per il canto dell'usignolo abbiamo un interesse immediato che deriva dal sentimento morale, dall'analogia con il giudizio morale e dal giudizio teleologico.

Fin qui si è spiegato quale sia il fondamento a priori della valutazione della bellezza naturale come bellezza che produce un interesse libero; ora si può porre il quesito sulla presenza di un interesse non immediato per il piacere generato dall'arte. Esclusivamente la natura risveglia un piacere immediato, mentre l'arte, che può essere superiore alla natura secondo la forma, può risvegliare un interesse solo in base al suo scopo, mai in se stessa. Il piacere per l'arte bella non è connesso con un interesse immediato, perché l'arte può essere imitazione della natura al punto tale da diventare illusione e da suscitare il medesimo effetto che deriva dalla bellezza naturale con la quale può essere confusa; in questo caso proviamo piacere immediato per la natura, non per l'arte. Inoltre, l'arte bella può essere intenzionalmente mirata al nostro piacere, nel qual caso il piacere stesso avrebbe luogo senza dubbio in modo immediato grazie al gusto, ma non risveglierebbe interesse se non in modo mediato per la causa che ne costituisce il fondamento, ovvero per un'arte che può suscitare interesse solo in base al suo proprio scopo, mai in se stessa. Kant non esclude allora che possiamo provare un interesse mediato per l'arte, e l'interesse intellettuale non è affatto precluso al bello artistico.

 

Annotazione

 

Wilhelm Windelband cita questo paragrafo a conferma della tesi che Kant avrebbe considerato i suoni in tutta la terza Critica sensazioni riflesse, per giustificare l'assunzione della variante woran ich doch gar nicht zweifle nel paragrafo 14 (cfr. AA V, p. 528; Windelband è seguito da Von Aster 1909, pp. 465 sg.; Buek, in Kant 1911-1922, V, pp. 612-613; La Rocca 1998, p. 537 nota; Böhme 1999, p. 50). Si deve però notare che il discorso non verte qui su suoni musicali, ma esclusivamente su suoni naturali.

È stato recentemente affermato che le proposizioni del paragrafo 42 sui suoni naturali come linguaggio figurato avrebbero un contenuto esplosivo che minaccerebbe di far saltare l'estetica kantiana (Böhme 1999, p. 44). Per Böhme il passo citato non risponde più alla domanda relativa all'interesse intellettuale per il bello, perché la spiegazione che Kant ne dà sarebbe troppo intellettualistica, ma alla seguente domanda: “Che cosa dovrebbe dire qualcuno il quale comprendesse il linguaggio della natura più con il sentimento che con l'intelletto? Kant stesso ci dà una risposta. Si tratta del secondo passo, che fa anch'esso l'effetto di un corpo estraneo nell'opera di Kant, nel quale si parla di un linguaggio della natura” (Böhme 1999, p. 50). La ragione per la quale Kant non dà risposta è, probabilmente, che egli non si è posto la domanda che inquieta Böhme. Böhme coglie l'affinità fra giudizio estetico e giudizio morale, non la presenza della ragione pratica nell'interesse intellettuale: il sentimento morale sarebbe una valutazione intuitiva dei motivi dell'azione, delle massime pratiche in relazione alla loro convenienza morale. La natura, il cui linguaggio, costituito anche da suoni, è oggetto dell'interpretazione umana è, secondo Böhme, un contesto di comunicazione di cui l'uomo stesso è parte integrante; la comprensione di questo linguaggio implica che il nostro animo sia posto in una Stimmung particolare. Kant espone qui, prosegue Böhme, un'idea estranea al suo pensiero e se ne deve trarre la conclusione che egli conosce evidentemente, come essere umano, esperienze che non può attribuirsi come pensatore; Kant non riesce a decidersi ad assegnare al linguaggio della natura la legittimità di finzione necessaria che invece riconosce all'idea della finalità della natura, perché la sua teoria del bello non è una teoria della comunicazione, ma una teoria del giudizio. Mentre l'auscultazione del linguaggio della natura presuppone compartecipazione, il giudizio sulla natura esige distanza dalla bellezza (cfr. Böhme 1999, pp. 52-53).

Coglie nel segno, a mio avviso, l'interpretazione di Hölderlin che premette come motto del suo Inno alla bellezza le seguenti parole: “La natura nelle sue belle forme ci parla con un linguaggio figurato e la capacità di interpretare la sua scrittura cifrata ci è data nel sentimento morale. Kant”. Secondo Böhme, invece, Hölderlin misconoscerebbe che l'idea di un linguaggio e di una scrittura cifrata della natura non è rigorosamente kantiana, dal momento che l'interpretazione di quel linguaggio non dipenderebbe dal sentimento morale, ma si verificherebbe in modo solo analogo al sentimento morale.

 

7. La piacevole musica da tavola

 

La musica da tavola, molto apprezzata nel Settecento, è per Kant “cosa ben singolare”, la quale come un rumore lieve mantiene un'atmosfera di allegria generale e favorisce la libera conversazione (CdG, p. 279). Peraltro la musica da tavola non è arte bella: nel suo caso il giudizio di gusto non può esigere universalità, né necessità. La valutazione si riferisce, infatti, solo al piacere da essa prodotto, non certo al Wohlgefallen, al piacere a priori; poiché il soggetto non dedica alcuna attenzione alla composizione e l'elemento matematico non è preso in considerazione, la musica si trasforma in mero rumore dal quale non si può desumere una regolare e ordinata successione di suoni fondata su leggi costanti. Kant non sta affermando che la musica da tavola possa essere rappresentata dal punto di vista oggettivo come fondata su rapporti matematici; la sua peculiarità consiste nello spostare l'attenzione dell'ascoltatore in un'altra direzione. La composizione non è certo il correlato del giudizio sul piacevole. Kant non considera dunque la musica da tavola come il paradigma della musica, ma anzi come arte diretta unicamente al godimento, della quale si può apprezzare il contributo al diletto di una riunione conviviale, all'intrattenimento e all'effimero divertimento, purché renda possibile chiacchierare tra una portata e l'altra. Del resto, nota Kant, la conversazione cui la musica fa da sottofondo non mira alla riflessione prolungata o alla discussione; infatti nessuno vuole assumersi la responsabilità di quel che dice, ma mira solo a far passare il tempo piacevolmente.

 

Annotazione

 

Diverse da quella proposta sono le interpretazioni di Nachstheim e Böhme che non inseriscono la musica da tavola solo fra le arti piacevoli, ma ritengono che Kant la consideri anche arte bella. Secondo Nachtsheim la musica da tavola può servire all'uno come piacevole intrattenimento, all'altro può piacere per la sua forma (ed entrambi i casi sono legittimi) e per un terzo può avere una finalità in relazione a un dialogo. Per colui il quale desidera intrattenersi è naturalmente contraria allo scopo, ma valutabile proprio in relazione a rapporti di mezzo-fine. Un aspetto particolare consiste poi nel fatto che si può avere, in modo del tutto generale, lo scopo di procurarsi qualsiasi tipo di piacevolezza; anche la musica da tavola è quindi, come musica piacevole, finalistica relativamente a questo scopo e in tal modo condizionatamente rilevante sotto il profilo pratico (Nachtsheim 1997, p. 30 e nota 93). Böhme nota che la musica da tavola rientra in un contesto che noi oggi chiameremmo “design”; sono assenti a suo avviso in questo paragrafo una distinzione chiara fra arte e mestiere e soprattutto un concetto chiaro di arte autonoma. Sebbene le arti belle siano distinte dalle arti piacevoli, non sembra derivarne che il prodotto di un'arte piacevole non sia bello ma semplicemente piacevole; la libertà dal concetto di scopo tipica del bello può essere mantenuta completamente anche se il bello è utile alla socievolezza: la musica da tavola è un esempio di bellezza piuttosto che di piacevolezza (Böhme 1999, p. 22). La distinzione fra arti belle e arti piacevoli non è dunque riuscita nel caso della musica da tavola, la quale può essere valutata anche nella sua bellezza; ciò dipende dalla distanza, dal fatto che non si provi piacere immediato, ma piacere riflesso (Böhme 1999, p. 35).

 

8. Genio, gusto e musica

 

A differenza del paragrafo precedente che ci prospettava un tipo particolare di musica inserendolo nel novero delle arti piacevoli, il paragrafo 48 offre la possibilità di mostrare come la musica sia arte bella, arte del genio e del gusto contemporaneamente. La presenza del gusto e di una forma bella non assicura che ad essa si accompagni il genio e che siamo di fronte a un'arte bella; un servizio da tavola, una dissertazione morale e una predica, che sono prodotti dell'arte meccanica o della scienza, sono realizzati secondo regole determinate che possono essere apprese e si possono seguire rigorosamente; tuttavia, possono avere una forma solo piacevole o anche una bella forma artistica. A questa forma si assegna però solo il valore di veicolo della comunicazione e di stile dell'esecuzione; la forma è dotata di una certa libertà che la avvicina alla libertà dell'arte geniale, ma rimane pur sempre legata a uno scopo determinato. Siamo di fronte, in questi casi, a prodotti del gusto non a prodotti del genio.

Una musica, una poesia, una pinacoteca si inseriscono, invece, a pieno titolo nella categoria dell'arte bella perché in esse il gusto e il genio possono coniugarsi e dare luogo a un prodotto veramente artistico. Anche nella forma della musica, quindi, come in tutte le altre arti, è presentato un concetto comunicabile universalmente; anche la musica è “la bella rappresentazione di una cosa”, la cui bella forma è dovuta al gusto affinato ed esercitato dall'artista sulla base dei numerosi esempi incontrati nell'arte e nella natura. La bella forma di una composizione dipende dunque dal gusto e non dall'ispirazione o dal libero slancio delle facoltà dell'animo; può essere solo il risultato di un lento e faticoso perfezionamento, in cui la forma si adegua al pensiero senza recar pregiudizio al libero gioco delle facoltà dell'animo (cfr. CdG, pp. 285-286).

9. L'arte del bel gioco delle sensazioni

 

Sia la bellezza naturale sia la bellezza artistica possono essere definite “espressione di idee estetiche”; mentre però nell'arte bella l'idea estetica presuppone il nesso con un concetto dell'oggetto, nella bellezza naturale è sufficiente la riflessione su di un'intuizione data a risvegliare e a comunicare l'idea estetica di cui l'oggetto è l'espressione. Se nel paragrafo 42 la bellezza naturale era un linguaggio cifrato della natura interpretabile solo grazie a un interesse intellettuale, ora si chiarisce che questo linguaggio esprime idee estetiche, non solo idee intellettuali. Lo sviluppo ulteriore di questa definizione della bellezza, naturale e artistica, si avrà nel paragrafo 59.

Precisata questa definizione dell'arte bella Kant delinea una tripartizione fra le arti avvalendosi di un ragionamento per analogia. Gli esseri umani esprimono e comunicano non solo i loro concetti, ma anche le loro intuizioni e le loro sensazioni grazie alla parola, al gesto, al tono, ovvero con l'articolazione, la gesticolazione e la modulazione; analogamente le arti belle, che sono espressione delle idee estetiche, possono essere suddivise in arti della parola come poesia ed eloquenza, arti del gesto come le arti figurative e arti del suono come la musica e l'arte dei colori. Certo, questo abbozzo di una possibile divisione delle arti belle non dovrà essere considerato una vera e propria teoria, ma uno degli svariati tentativi che è lecito e al contempo doveroso compiere (CdG, p. 294).

Vi è, infatti, anche una seconda possibilità di suddivisione a carattere dicotomico: l'arte bella può essere articolata al suo interno secondo l'espressione dei pensieri oppure delle intuizioni e l'espressione delle intuizioni, a sua volta, nell'espressione della loro forma oppure della loro materia. Kant non si sofferma però su questo secondo criterio, esaminata nel corso delle lezioni di antropologia.

L'argomentazione si richiama alla problematica esposta nel paragrafo 14 e non affronta il tema della produzione della musica, ma solo quello della sua valutazione. Al centro della parte dedicata alla musica nel paragrafo 51 è il problema della bellezza dei suoni singoli, non solo di quelli semplici e puri. Sebbene la definizione delle arti belle e la loro suddivisione sia stata appena condotta nel senso dell'espressione delle idee estetiche che presuppongono un concetto dell'oggetto, nei capoversi che affrontano direttamente l'arte musicale l'aspetto della produzione artistica non è presente, in quanto essi mirano ancora alla valutazione da parte del gusto. L'analisi dal punto di vista della produzione sarà ripreso, dopo il paragrafo 48, nel paragrafo 53.

Quale “status” si può assegnare alla musica nel contesto delle arti? La questione che ancora una volta si prospetta come una difficoltà per una critica trascendentale del gusto deriva dal fatto che la musica è connessa con sensazioni e impressioni nelle quali il soggetto sembra essere meramente passivo. La musica è solo un'arte piacevole o può essere annoverata fra le arti belle? È possibile dimostrare l'esistenza di un principio a priori, e quindi universale e necessario, del giudizio di gusto sui suoni? Comparata con i documenti della genesi dell'opera nei quali non si evidenzia alcuna indecisione dell'autore, questa problematica è completamente nuova. Mentre nelle fasi precedenti non è espresso alcun dubbio sull'appartenenza della musica alla cerchia delle arti belle, questa localizzazione nel sistema delle arti diventa problematica nella terza Critica. Rimanendo fedele allo spirito e al principio di un esame privo di pregiudizi, del quale si era dichiarato debitore nei confronti di Hume già negli anni Settanta, Kant passa in rassegna sia le motivazioni a sostegno della tesi della bellezza, sia le argomentazioni che potrebbero giustificare quella della piacevolezza (cfr. AA XXIV, p. 217).


9.1. Perché la musica è un'arte piacevole?

 

Soffermiamoci dapprima sulle ragioni che potrebbero indurci a definire la musica un'arte meramente piacevole.

Dal punto di vista della loro struttura fisica i suoni sono vibrazioni e oscillazioni dell'aria che si susseguono molto rapidamente l'una all'altra. Come nel paragrafo 14, si riprende anche qui la teoria di Euler sulla natura del suono, né si formula alcun dubbio sul fatto che essa sia adeguata al suo oggetto. Come già nel paragrafo 14, l'elemento fondamentale per una critica del gusto non è la considerazione della struttura fisica del suono musicale, ma la soluzione del problema se le vibrazioni siano percepite dal senso dell'udito come partizioni del tempo e se esse permettano una valutazione estetica del bello. Se nel paragrafo 14 si afferma che è determinante stabilire se l'animo sia in grado di distinguere le vibrazioni, ora si ribadisce che le vibrazioni dell'aria si susseguono così rapidamente che non si può escludere che l'animo abbia difficoltà a percepirle e a distinguerle l'una dall'altra. Nelle fasi precedenti si ammetteva con sicurezza che l'animo avesse la facoltà di cogliere con la sua attenzione sia la proporzione fra i suoni, sia la proporzione interna a ogni singolo suono e che ciò rendesse possibile il giudizio sul bello. Solo nella Berliner Physik si afferma che le onde si susseguono con tale rapidità che la loro differenza non può essere percepita. Ora Kant si esprime con maggiore prudenza: come nel paragrafo 14 egli non si decide né per la risposta affermativa, né per quella negativa, ma si chiede se questa facoltà del senso dell'udito possa essere effettivamente dimostrata. Prospetta l'ipotesi che l'incapacità dell'udito di connettere l'effetto delle vibrazioni sulle sue parti elastiche con la percezione della partizione del tempo condurrebbe necessariamente all'inserimento della musica fra le arti piacevoli; non si esclude che l'udito possa rivelare una simile incapacità. Ciò non è però sufficiente per identificare la posizione di Kant con quella di Herder come vorrebbe Zeuch: “Il criterio per decidere che nel singolo suono sia contenuto di più che in tutti i rapporti fra suoni, e nell'armonia, è il grado della vibrazione interna e quindi la sensazione soggettiva. Il modo della sensazione decide le differenze nella percezione acustica, se si tratti di percezioni del suono oppure del suono interno” (Zeuch 1996, p. 236). Questa sarebbe secondo Zeuch la posizione di Herder: Kant compare come colui che ha inteso la musica come una specie di movimento dell'aria. Per Herder la soggettività del suono ha un significato positivo, per Kant essa è mera empiricità (Zeuch 1996, nota 34, p. 236).

Nel paragrafo 14 il dubbio espresso nella parentesi non riguarda l'ipotesi della struttura fisica delle sensazioni acustiche, ma la loro valutazione estetica; nel paragrafo 51 Kant non si pone la domanda se la spiegazione fisica da lui prospettata in accordo con Euler sia esatta, ma se l'animo sia in grado di distinguere le vibrazioni. Se, infatti, si pensa alla rapidità delle onde sonore che verosimilmente supera di molto la nostra capacità di valutare immediatamente, nella percezione, la proporzione delle divisioni del tempo, si dovrebbe affermare che sentiamo soltanto l'effetto che le vibrazioni provocano sulle parti elastiche del nostro corpo, ma non avvertiamo né valutiamo la divisione del tempo, e concludere quindi che i suoni siano meramente piacevoli (cfr. CdG, p. 298).

 

 

9.2. Perché la musica è un'arte bella?

 

Passiamo ora alle motivazioni che ci autorizzerebbero a considerare la musica un'arte bella. Qui si tratta di dimostrare che la percezione della successione delle impressioni da parte dell'animo è possibile. Se a dimostrazione della piacevolezza fu addotta l'impossibilità del realizzarsi della riflessione ora il filosofo che intende fondare il concetto della bellezza si trova posto di fronte al compito di coniugare bellezza e riflessione. Come prima prova a favore della bellezza della musica Kant propone la considerazione che le proporzioni fra vibrazioni e onde sonore hanno carattere matematico e che il giudizio è in grado di coglierle nella percezione (cfr. CdG, p. 298). La nostra facoltà di giudicare la proporzione della partizione temporale immediatamente all'atto della percezione delle vibrazioni dell'aria si palesa esistente al di là della capacità del senso dell'udito di ricevere le impressioni necessarie ad acquisire concetti degli oggetti esterni. L'udito è capace d'una peculiare sensazione legata alle impressioni a proposito della quale non si riesce a decidere realmente se trovi il suo fondamento nel senso o nella riflessione (cfr. CdG, p. 297). Il senso dell'udito possiede dunque sia la facoltà di essere colpito da impressioni operanti nell'ambito della conoscenza, sia una sensibilità nella quale la conoscenza non gioca alcun ruolo. Il paragrafo 14 ha già chiarito che il vero e proprio oggetto del giudizio di gusto sulla musica è, propriamente, la composizione; di questo punto sarà dato un approfondimento nel paragrafo 53. Nel paragrafo 51 l'elemento matematico compare solo in funzione di strumento atto a risolvere il problema della bellezza; sin qui si è dimostrato che la musica deve essere designata arte bella in quanto il rapporto fra diversi suoni è in realtà fondato su proporzioni matematiche che l'udito può percepire.

Rimane però ancora irrisolto se anche i suoni musicali singoli possano essere considerati belli e se la musica possa essere considerata nel suo insieme, anche relativamente ai singoli suoni e non solo alla loro proporzione, un'arte bella. Mentre finora l'argomentazione si è servita del concetto di forma, ora la critica trascendentale del gusto deve confrontarsi con un fattore di per sé empirico, con la materialità delle singole sensazioni acustiche: si passa così dalla struttura matematica delle onde ad altre tre motivazioni. Questa struttura bipartita dell'argomentazione di cui si trovano forme preparatorie, in parte, nei documenti della genesi è passata per lo più inosservata e non ne sono stati indagati i fondamenti.

Per quale motivo la prima motivazione, l'elemento matematico, è contrapposta ad altre tre ragioni? La ripartizione è meramente casuale oppure corrisponde a una strategia precisa?

Questa forma di fondazione pone l'interprete di fronte a una struttura dicotomica in base alla quale la seconda motivazione si articola, al suo interno, in tre ulteriori argomentazioni. Si deve tener conto, in primo luogo, che vi sono casi, seppur rari, di esseri umani che, pur essendo stati dotati dalla natura di un udito finissimo, non sono in grado di discernere le note musicali, differenziando così il mero suono [Schall] dal suono musicale [Ton]. Come nella prima motivazione l'attenzione dell'animo alla proporzione dei rapporti numerici era assunta a dimostrazione di una particolare sensibilità non riconducibile all'uso normale del senso dell'udito a scopi conoscitivi, così ora si fa riferimento a un'ulteriore peculiarità di quel senso: è rilevante che, oltre alla ricettività per le impressioni necessaria a ottenere concetti degli oggetti esterni, l'udito provi una sensazione particolare di cui talvolta si deve constatare l'assenza in soggetti nei quali il senso, in relazione al suo uso nella conoscenza di oggetti, non è affatto carente, ma anzi è superiore alla norma. Come prima la sensazione particolare era designata merkwürdig, così ora è merkwürdig la sua assenza. Kant descrive quindi tre diverse funzioni dell'udito: grazie all'orecchio percepiamo normalmente in modo passivo impressioni che poi sono utilizzate per formare concetti degli oggetti nella conoscenza; a differenza dell'udito della persona normale, un orecchio musicale percepisce rapporti matematici fra le vibrazioni sonore e ha quindi una sensazione dell'ordine; un orecchio straordinariamente fine nella sua funzione può non essere dotato di alcuna capacità di discernere la musica dal mero rumore. La prima funzione è normale e non suscita alcuna meraviglia nel filosofo trascendentale che la indaga in una Critica della ragion pura, la seconda e la terza sono invece casi eccezionali che meritano l'attenzione meravigliata del filosofo trascendentale in una Critica del Giudizio estetico, perché dimostrano che il giudizio di gusto non si può ridurre al mero godimento dei sensi, e che il Wohlgefallen per i suoni implica una riflessione sulla forma; anche ammesso, infatti, che il senso dell'udito sia straordinariamente sviluppato e possa perfettamente svolgere la sua funzione in quanto senso esterno ad uso della conoscenza, ciò non è ancora motivo sufficiente per affermare che sia anche in grado di percepire la differenza fra il rumore e un suono musicale. Joseph Green e una famiglia inglese sono gli esempi concreti cui l'autore pensa, come emerge da una lettera a Christoph Friedrich Hellwag del 3 gennaio 1791.

Qui è di nuovo rilevante la distinzione che Kant ha ripreso da Euler fra Ton e Schall: il semplice Schall può anche rivelarsi rumore e non vero e proprio Ton musicale esprimibile attraverso una nota e oggetto di un orecchio musicale, il Ton è suono in cui sia presente ordine, che comprende armonia e durata.

A favore della tesi della bellezza della musica si possono addurre ancora due considerazioni: se coloro che sono in grado di distinguere i suoni dal rumore percepiscono un mutamento di qualità e non solo un mutamento del grado della sensazione a seconda delle diverse intensità sulla scala dei suoni e se il numero delle vibrazioni corrispondente ad ogni singolo suono può essere determinato in base a differenze concettuali, si può dedurre che i suoni non sono mere sensazioni individuali e passive, ma un'attiva riflessione sulla forma. Questi due punti esprimono il medesimo concetto sotto angolature diverse; mentre il terzo punto è riferito al senso dell'udito e affronta il problema sotto il profilo del soggetto, il quarto rinvia all'oggetto percepito e considera l'aspetto oggettivo. Günther Jacoby scrive: “Kant identifica quest'ultimo problema (se nel singolo suono sia presente una molteplicità che procura alimento alla conoscenza teoretica) con il problema, se nel singolo suono siano contate le vibrazioni [...]” (Jacoby 1907, p. 298). Non si tratta, però, di un'identificazione di due problemi, ma di due aspetti di un solo ed unico problema. Dal punto di vista oggettivo si pone, infatti, il problema di determinare quale sia la struttura di un singolo suono. Dal punto di vista soggettivo si riflette sulla forma della percezione del singolo suono. Che le vibrazioni siano contate dall'udito non corrisponde inoltre alla teoria di Kant, il quale non ha ammesso la possibilità di contare le vibrazioni, ma solo la possibilità di percepire la differenza fra le vibrazioni. È quindi errata anche la tesi di Jacoby per la quale la molteplicità delle vibrazioni nel suono singolo procuri materiale alla conoscenza teoretica; quest'ultima non è l'oggetto della trattazione dell'arte bella e del gusto.

Nella Critica della ragion pura la forma intensiva aveva la preminenza sulla forma della qualità perché di natura categoriale, non sensibile; nell'Estetica trascendentale si introduce il concetto di un senso esterno che non coincide né con i singoli cinque sensi legati ai corrispettivi organi, né con un concetto generale di questi sensi. Il senso esterno è una disposizione dell'animo che rende possibile il riferimento a qualcosa außer uns grazie a determinati organi corporei. Ai cinque sensi, ai sensi esterni è riconosciuta solo la capacità di ricevere impressioni poiché non sono una vera e propria disposizione dell'animo, ma sono situati nel corpo. L'animo è a fondamento sia del senso esterno sia del senso interno e quindi non è situato né nello spazio né nel tempo, ma rende possibile gli oggetti grazie allo spazio e al tempo. Si traccia una linea di separazione fra gusto interpretato come senso esterno e non come facoltà di giudizio del bello e colori da un lato, e spazio dall'altro; questa contrapposizione tende a dimostrare che lo spazio è l'unica rappresentazione del soggetto correlata a qualcosa di esterno che si possa definire a priori (cfr. AA IV, p. 34). Mentre lo spazio, inteso come condizione degli oggetti esterni, rientra necessariamente nel fenomeno o nell'intuizione, gusto e colori non sono rappresentazioni a priori, ma si fondano su sensazioni. Il gusto si può ricondurre al sentimento di piacere e dispiacere che è a sua volta da intendersi come un effetto della sensazione; il gusto di un vino non rientra nelle determinazioni oggettive del vino e quindi in un oggetto considerato come fenomeno, ma nella specifica natura del senso per il soggetto che ne gode. Come il gusto neppure i colori sono proprietà dei corpi e della loro intuizione, ma solo modificazioni del senso della vista che derivano dal fatto che essa è colpita “in un certo modo” dalla luce: vi è quindi un processo di affezione da parte della luce e i colori scaturiscono solo da questo processo. Né il gusto né i colori sono condizioni necessarie alle quali gli oggetti possono diventare per noi oggetti dei sensi ma sono effetti dell'organizzazione connessi in modo puramente casuale con il fenomeno (cfr. AA IV, pp. 34-35).

Questa differenza fra spazio e colori, fra spazio e gusto, la separazione fra validità a priori e ricettività meramente empirica e passiva di impressioni esterne si può applicare anche ai suoni. Anche ai suoni è negata la caratteristica dell'a priori, poiché anch'essi agiscono sul sentimento di piacere e non meritano quindi che altro si attribuisca loro se non una validità soggettiva e individuale. Quando si afferma che i colori sono modificazioni del senso della vista, si potrebbe dire analogamente che i suoni sono modificazioni del senso dell'udito che è colpito in un certo modo dal suono [Schall]. Equiparazione e integrazione sicuramente giustificate se si pon mente al fatto che in questi anni l'autore sosteneva il parallelismo fra colori e suoni, come si può ricavare da un confronto con le Riflessioni e le Lezioni. Non affrontiamo qui il problema speculativo relativo all'origine del materiale offerto dai sensi dell'udito e della vista; ci limitiamo a segnalare che Kant propone sia il concetto di cosa in sé sia il concetto di affezione da parte della luce (ed eventualmente anche del suono).

Questa concezione è mantenuta nella seconda edizione della Critica della ragion pura in cui è espressamente applicata al senso dell'udito. Nell'Estetica trascendentale, la spiegazione trascendentale del concetto di spazio assegna allo spazio soltanto il titolo di rappresentazione soggettiva, riferita però a un oggetto esterno, che possa essere dotata di validità a priori: oltre allo spazio non esiste alcun'altra rappresentazione soggettiva riferita a qualcosa di esterno che si possa designare oggettiva, perché da nessun'altra rappresentazione se non dall'intuizione dello spazio si può derivare un principio sintetico a priori. Sebbene abbiano in comune con lo spazio l'appartenenza alla natura soggettiva del senso, vista, udito, tatto e le loro sensazioni, colori, suoni e caldo o freddo, non hanno alcun carattere di “idealità”, perché non conducono alla conoscenza di alcun oggetto (cfr. AA III, p. 56).

L'udito come senso esterno può provare sensazioni che mai potranno innalzarsi a una validità universale e necessaria; tali sensazioni sono separate dall'intuizione pura e dalle sue forme da un abisso incolmabile. La prima edizione non affronta il tema della natura fisica dei colori e dei suoni; analogamente, nella seconda edizione, i suoni non sono ricondotti a una successione regolare di vibrazioni dell'aria, ma rimangono mere sensazioni individuali. L'ipotesi di Euler non viene presa in considerazione e le singole sensazioni acustiche rimangono semplice materia.

Nel capitolo della Critica della ragion pura dedicato alle anticipazioni della percezione è compiuto però il tentativo di indagare le condizioni a priori della materia dei sensi. La dimostrazione si snoda nel 1787 a partire dal concetto, ancora assente nel 1781, della coscienza empirica che presuppone sempre la datità di sensazioni. Il reale della sensazione è ciò che ha una grandezza intensiva e di conseguenza è determinabile a priori. La sensazione di per sé non è una rappresentazione oggettiva; con le forme intuitive dello spazio e del tempo all'intelletto non è ancora dato nulla di effettivo, né alcun oggetto; è quindi impossibile avere un'intuizione spazio-temporale della sensazione.

Poiché nella Critica della ragion pura la sensazione è dotata di grandezza intensiva, di un grado, è però certo che essa abbia una relazione con qualcosa di esterno che in un secondo momento può essere determinato nello spazio e nel tempo e trasformato in un giudizio conoscitivo; l'idealismo, che nega l'esistenza di una realtà al di fuori del soggetto, è così confutato. Nella discussione delle anticipazioni della percezione si richiama l'attenzione sulla differenza tra grado e qualità della sensazione. Sebbene la qualità, ad esempio, un colore, il gusto del palato, un suono, sia semplicemente empirica è possibile tuttavia averne una conoscenza a priori. Kant propone un concetto di “anticipazione” che riguardi la quantità intensiva, il grado della qualità. Ogni sensazione e ogni realtà che le corrisponde nel fenomeno, per quanto piccole, hanno sempre un grado, una grandezza intensiva che può essere ancora diminuita; fra la realtà e la negazione si snoda una scala continua di realtà possibili e di possibili percezioni più piccole. Ogni colore, ad esempio, il rosso ha un grado che per quanto sia piccolo non è mai il più piccolo in assoluto (cfr. AA IV, p. 117). Grazie al principio dell'anticipazione delle percezioni la qualità può essere determinata da una sintesi matematica; alla qualità possono essere applicate grandezze numeriche che la determinano come grandezza. Nella prima Critica l'analisi inizia dalla sensazione che è designata empiricamente data; le anticipazioni introducono una struttura formale del contenuto della sensazione che si può definire qualità in generale.

Non può, dunque, sorprendere che anche nella terza Critica sia proposto il tema della fondazione a priori di un giudizio sul grado della qualità: il problema che deve essere risolto è, infatti, il rapporto fra l'a priori del giudizio estetico e la sensazione. Il senso dell'udito rivela di possedere una sensibilità [Affektibilität] che non può essere derivata dai sensi e non ha alcuna funzione nel dominio della conoscenza, non offrendo alcun tipo di conoscenza. Sebbene la qualità del suono e le sue modificazioni non possano certo essere oggetto di una determinazione categoriale da parte dei princìpi sintetici dell'intelletto puro, dal momento che generano piacere estetico, l'udito rivela una spontaneità che è designata con il termine “riflessione” e si esplica come la percezione di una modificazione della qualità che la conoscenza non sarebbe mai in grado di compiere; la riflessione estetica non coglie a priori solo il grado, ma anche la qualità della sensazione singola, perché un orecchio musicale non percepisce solo un mutamento di grado della sensazione acustica, ma anche un mutamento di qualità nelle diverse tensioni della scala musicale. Il mutamento di qualità è dunque la differenza fra i suoni sulla scala musicale. Se spostiamo l'attenzione sull'oggetto, notiamo che i suoni non si offrono alla percezione solo come sensazioni caratterizzate da un grado, perché sono una successione di singole vibrazioni dell'aria e a questa struttura fisica corrisponde una particolare struttura matematica. Un suono è dunque sia un movimento ondulatorio dell'aria, sia una proporzione matematica fondata sui rapporti fra le vibrazioni dell'aria. Il suono è, in una critica trascendentale del giudizio estetico, il correlato di un giudizio risultante da un'attività della riflessione che realizza l'unificazione del molteplice. Nella Critica del Giudizio il punto di partenza è dato dal singolo suono e dal singolo colore, considerati dapprima semplici attrattive prive di bellezza autentica; qualità e grado sono posti sullo stesso piano, perché riguardano il senso esterno dell'udito e quindi la sensibilità. Se ciò è corretto, la percezione del mutamento di una qualità rientra nell'orizzonte generale della Critica del Giudizio estetico e la differenza rispetto alla prima Critica può essere compresa notando che nello scritto del 1790 si cerca un principio per la giustificazione della legalità del particolare, mentre nella prima Critica questo problema non emerge. Nella prima Critica non è possibile assicurare alla qualità una determinazione formale, perché le anticipazioni possono conferire una validità a priori solo alla qualità in generale, ma non alla qualità della singola sensazione. Questa argomentazione si trova forse in aperta contraddizione con il paragrafo 14 e l'introduzione dei suoni puri? Wieninger crede che Kant ora capovolga la sua dimostrazione: dapprima avrebbe negato la qualità e la avrebbe sostituita con la forma e la sua struttura stabile, ora la qualità diverrebbe causa delle differenze graduali nell'organo di senso che dovrebbe essere fondata nella riflessione (si veda Wieninger 1929, p. 45). Ciò che Wieninger ritiene una contraddizione è, a mio avviso, un progresso della dimostrazione: ora si cerca di determinare come l'animo percepisca i singoli suoni grazie alla riflessione. In un orecchio musicale si determina, invece, la percezione d'una variazione qualitativa e non solo del grado della sensazione, a seconda delle diverse intensità sulla scala dei colori e dei suoni (cfr. CdG, p. 298). Sullo sfondo di queste due argomentazioni si trovano ancora le considerazioni del paragrafo 14 sulla percezione del suono singolo e la sua struttura fisica e quindi le tesi di Euler sui limiti entro i quali ci è possibile percepire i suoni.

 

Annotazione

 

A Cohen non è sfuggito questo punto: “i suoni devono diventare forme pure. Per questo motivo deve essere valorizzato il concetto della grandezza intensiva ovvero del grado […]. Il suono indica il grado di tensione dei sensi [...]. La tensione fa emergere la Stimmung presente nella sensazione accanto al contenuto qualitativo. Il senso non è stimolato semplicemente e in modo indeterminato. Le tensioni si possono ricondurre a gradi. I gradi sono grandezze intensive, sono valori fissabili matematicamente. La sensazione non è quindi soggettiva e imprecisa perché designa il sentimento, ma diviene accessibile a determinazioni oggettive di misura. Di conseguenza si può produrre anche una proporzione sulla quale si fondi il bel gioco, l'arte. Il grado che qui determina come grado di tensione il nuovo concetto del suono, significa quindi qualcosa di diverso dal grado della grandezza intensiva nel principio delle anticipazioni della percezione. Perché questo grado usuale costruisce il reale della sensazione e in esso i valori fisici reali. Esso concerne quindi proprio le qualità nelle quali consiste il contenuto oggettivo dell'oggetto. Qui però il grado come grado della Stimmung non concerne l'oggetto, ma a differenza di questo deve spiegare esclusivamente le differenze nell'elemento soggettivo della sensazione-sentimento” (Cohen 1889, pp. 313-314). Cohen connette l'orizzonte delle anticipazioni a quello della teoria dell'arte: “Se ora la matematica è connessa in qualche modo con le sensazioni dei colori e dei suoni, essi non possono rimanere mere sensazioni in base al linguaggio trascendentale, ma diventano una specie di intuizione” (Cohen 1889, p. 312). Klemme distingue la determinazione matematica dei rapporti armonici fra i suoni nel piacere estetico per la musica dai veri e propri giudizi conoscitivi che sono oggetto della Critica della ragion pura nel capitolo sulle anticipazioni della percezione. Esclusivamente i giudizi conoscitivi sono a suo avviso possibili sul fondamento di un Beharrliches del senso esterno, mentre i giudizi estetici contengono una determinabilità matematica che si limita ai soli rapporti armonici (Klemme 1998, p. 264). Il nesso con le anticipazioni della percezione non è colto, invece, da Mellin. “Un terzo motivo per il quale i colori sono valutati belli è la modificazione della qualità nelle diverse tensioni della scala dei colori. Ovvero: non solo il grado della sensazione può aumentare o diminuire, ma se la luce agisce immediatamente sul nostro occhio e l'impressione di essa diventa più debole, i colori che l'occhio vede si trasformano, e così non si trasforma solo la quantità intensiva (il grado) della luce, ma anche la qualità (la natura) di essi in relazione allo spettro dei colori. La viva impressione che l'occhio riceve in generale dall'intuizione del sole o di un corpo illuminato produce dapprima un'immagine gialla, poi verde e infine blu” (Mellin 1797-1804, Art. “Farbenkunst”, II Bd., II Abth., p. 543).

 

 

9.3. La musica è bella o piacevole?

 

Quale conclusione si può trarre dall'esame degli argomenti a favore e contro la tesi della bellezza della musica?

Kant stesso spiega a conclusione del paragrafo 51: “come abbiamo fatto”; dichiara quindi di aver definito la musica “bel gioco di sensazioni” e con questa dichiarazione si accorda l'inserimento fra le arti belle e la definizione di arte del bel gioco delle sensazioni. Nonostante le oscillazioni è maggiormente incline a concepire la musica un bel gioco di sensazioni e quindi a riconoscere la bellezza anche del singolo suono. La musica non è arte piacevole, ma è inserita nel sistema delle arti belle accanto alla poesia, all'eloquenza, alla pittura, alla scultura, all'architettura; sebbene occupi il gradino più basso in questa partizione le è comunque riconosciuto lo status di arte bella.

Si possono addurre motivazioni a favore sia della prima sia della seconda soluzione ed è quindi molto complesso e arduo designare una delle due soluzioni come quella corretta: “non si può affermare con certezza se un colore o una nota (suono) siano soltanto sensazioni piacevoli, o se contengano già in sé un bel gioco di sensazioni” (CdG, p. 298). Kant esprime le proprie incertezze nel corso del paragrafo 51 ma adduce, come già nel paragrafo 14, ragioni e argomentazioni mirate a legittimare la tesi che le singole sensazioni acustiche siano belle. In nessun passo il problema è risolto con certezza, ma sono analizzati il pro e il contra e si spiega che solo assumendo il pro la bellezza dei suoni può essere dimostrata. Il problema del filosofo di Königsberg consiste proprio in questo: nel decidere, come egli stesso ripetutamente sottolinea, se la musica debba essere inserita fra le arti belle oppure fra le arti piacevoli e ciò che lo trattiene dal condividere la prima ipotesi è l'enigma se i singoli suoni siano belli o piacevoli.

Anche ai colori si possono applicare i risultati ottenuti in relazione ai suoni musicali: essi sono vibrazioni, non dell'aria, ma dell'etere. Ammesso che Kant abbia esposto dubbi in proposito, ciò non si dovrebbe comunque interpretare come una negazione, ma come un procedimento spesso adottato nell'affrontare problemi relativamente ai quali non crede di potere arrivare a una soluzione definitiva. È però importante richiamare l'attenzione sul fatto che sia le motivazioni a favore sia quelle contrarie derivano dal confronto con Euler e che Kant ha di fatto dubitato della possibilità di concepire la musica come arte bella. Le considerazioni sull'analogia fra sensazioni acustiche e sensazioni ottiche non possono a mio avviso essere interpretate come eredità dell'interesse per l'invenzione di Castel, per le teorie di Descartes, di Huyghens o di Newton, ma si devono alla presenza di Euler: abbiamo visto nel capitolo precedente come Kant affronti la questione tanto nelle Riflessioni quanto nelle Lezioni di fisica ancora sulla base della teoria ondulatoria di Euler.

 

Annotazione

 

Diversa è l'ipotesi di Dahlhaus: il regno inferiore della musica è a suo avviso il suono singolo, mero gioco delle sensazioni nel tempo; solo la connessione fra più suoni è per Kant, sebbene con riserve, forma matematica che racchiude il particolare nell'universale, e quindi è bella. Le differenze fra i suoni sono 'begreifliche Unterschiede', e la percezione di una successione di suoni non è più un mero gioco delle sensazioni, ma l'effetto di un giudizio della forma nel gioco di molte sensazioni. Kant pensa all'elemento matematico della proporzione delle vibrazioni e alla percezione di un mutamento della qualità (non solo del grado della sensazione). L'affermazione che i suoni siano sensazioni unite alla riflessione contenuta nel paragrafo 42 non può essere utilizzata per dimostrare il contrario perché la proposizione si riferisce manifestamente a successioni di suoni (Dahlhaus 1953, p. 342). Si può obiettare a Dahlhaus che il paragrafo 51 definisce la musica arte del bel gioco delle sensazioni e che non si può dimostrare che nella proposizione citata dal paragrafo 42 Kant si riferisca manifestamente a successioni di suoni, in quanto è certo che il suo discorso verte in quel contesto su singoli e isolati suoni naturali. Secondo Meredith le considerazioni sulla musica e l'arte dei colori nel paragrafo 51 sono un'aggiunta più tarda. Non possediamo documenti che possano giustificare l'ipotesi di una stesura stratificata dell'opera. Il contenuto del paragrafo 51 al quale si riferisce Meredith non legittima l'idea che esso sia di origine più tarda dei paragrafi 14 e 54 (Kant 1911, p. 247). Wieninger crede che il paragrafo 51 si pronunci a favore della bellezza e che esso si differenzi quindi dal paragrafo 14 (Wieninger 1929, p. 40). Windelband non assegna un significato rilevante all'indecisione di Kant e crede che egli sia certo della bellezza dei suoni. Per Windelband le ragioni addotte non sono ipotesi, né condizioni imprescindibili, ma la soluzione del problema. Riethmüller sottolinea che la musica non è considerata arte piacevole, ma al tempo stesso arte bella e arte piacevole (cfr. Riethmüller 1979-80, pp. 194 sg.). Riethmüller e Nachtsheim si limitano però alla constatazione che il piacevole non è rifiutato, ma posto accanto al bello. A loro avviso non vi è nulla di irritante nel fatto che la musica prima sia annoverata fra le arti belle e poi fra le arti piacevoli, perché come tutte le arti rientra in tutte e due le categorie. Nachtsheim si allontana dal contenuto e dalla lettera della teoria di Kant quando si sforza di dimostrare la validità della tesi che non vi sia nella contrapposizione fra piacevole e bello in generale alcuna indecisione, né alcuna oscillazione. “Non si tratta di un'oscillazione se Kant constata che la musica ammette entrambe le forme di valutazione che di per sé sono rigorosamente diverse, senza che l'una si risolva nell'altra. Sulla base della sua teoria della validità questa idea non presenta alcuna difficoltà. E proprio perché Kant aveva un concetto chiaro sia del bello sia del piacevole poteva attribuire senza esitazioni l'artefatto musicale sia alla sfera del piacevole sia a quella del bello, poiché ciò è giustificato dal punto di vista oggettivo. Questa duplice determinatezza non sarebbe frutto di un'oscillazione né di un'indecisione teoretica, ma esclusivamente una visione corretta dell'oggetto stesso (cfr. Nachtsheim 1997, p. 31; si veda anche Nachstheim 1997, p. 28). A differenza di Windelband La Rocca crede che il paragrafo 51 possieda ancora un carattere problematico (cfr. La Rocca 1998, p. 537 nota). Dell'opinione di Windelband è invece Butts (cfr. Butts 1993, p. 12).

 

 

10. L'oratorio e il sublime

 

Se nei paragrafi 14 e 51 si è posto l'elemento essenziale dell'arte bella nella forma, ora non si discorre più soltanto della forma in sé che può essere oggetto di un giudizio di gusto puro, ma della forma come fondamento della cultura; la forma soltanto rende possibile la cultura, nella quale si comprende sia l'incremento delle facoltà conoscitive sia lo sviluppo di idee morali, in un processo di formazione che non si realizza necessariamente nella società, poiché né la cultura né il gusto sono favoriti, come vorrebbero i fautori dell'empirismo estetico, dalla socievolezza.

La cultura presuppone in noi un nesso con le idee estetiche le quali a loro volta sono in relazione con idee morali; per diventare cultura la forma deve essere posta in rapporto con idee estetiche e deve rifiutare come suo unico fine la distrazione volta ad allontanare la scontentezza di sé. Queste considerazioni valgono sia per il canto, in cui la poesia può essere abbinata alla musica, sia per la danza, in cui i suoni musicali sono combinati con le figure e con il loro movimento nello spazio, sia per un oratorio in cui vi può essere un predominio del momento artistico sulla bellezza. L'arte diventa l'elemento fondamentale nel quale si unificano i due tipi diversi del piacere [Wohlgefallen] per il bello e per il sublime (cfr. CdG., p. 325); l'oratorio, si pensi ai grandi oratori di Haydn e Bach, è, dunque, bello e sublime al tempo stesso, ed ha un significato morale. Mentre nel paragrafo 42 la musica, come ogni arte piacevole, era giudicata inferiore alla natura, ora la si considera arte bella.

 

Annotazione

 

L'oratorio è musica per lo più religiosa in cui possono convenire le più svariate forme vocali e sinfoniche; pur essendo molto simile all'opera, non ha né scena, né azione, ma consta essenzialmente di suono e parola; di solito rievoca una vicenda sacra affidandosi alla voce di un solista e a cantori che riferiscono le parole dei vari personaggi; al coro spetta impersonare la folla. Si pensi ai più grandi fra gli oratori del Settecento: la Creazione e le Stagioni di Haydn, e le Passioni secondo Matteo e secondo Giovanni di Johann Sebastian Bach. A Königsberg l'oratorio di Philipp Emanuel Bach, Hasse, Rolle, Graun, Pergolese e Händel fu particolarmente apprezzato e suonato nei concerti pubblici. Particolare successo ebbero le opere di Friedrich Ludwig Bendas Padre nostro, La religione, La morte. Johann Friedrich Henrich Riel, successore di Benda e Richter, introdusse l'oratorio nella sua forma classica (Haydn e Händel). Dell'oratorio siamo certi che Kant ebbe conoscenza almeno attraverso Johann Jakob Heidegger. Nato a Zurigo nel 1666, morto a Richmond, Surrey nel 1749, fu impresario svizzero attivo a Londra dai primi anni del secolo XVIII; sostenitore dell'opera italiana fu nel 1713 successore di O. Swiney nella direzione del Queen's Theatre che mantenne sino al 1745. Al 1719 risale la fondazione dell'Accademia Reale di Musica e agli anni fra il 1729 e il 1734 la sua collaborazione con Georg Friedrich Händel che scritturò nel 1737 come direttore musicale e a cui affidò nel 1738 il teatro per l'esecuzione dei suoi oratori (ne riferisce Bielfeld 1770, vol. I, pp. 348-349; si veda AA XXV, p. 1330).

 

 

11. Tema, affetto dominante, idea estetica

 

Il paragrafo 51 ha mostrato che alla musica spetta l'ultimo posto dopo le arti dell'articolazione e del gesto e che essa è arte della modulazione. Per quale motivo una suddivisione sistematica fra le arti dovesse comportare la collocazione dell'arte musicale al gradino inferiore a fianco dell'arte dei colori, non è però stato ancora completamente spiegato. Ora emerge con chiarezza il rapporto con il concetto della cultura; e proprio da questo punto di vista e solo quando si accetta questo criterio di giudizio la musica rivela di avere, commisurata alle altre arti, un valore culturale inferiore. Il paragrafo 53 si prefigge di sviluppare una valutazione estetica delle singole arti e compie questo esame adottando successivamente due punti di vista: le arti sono analizzate dapprima in relazione al sentimento del piacevole e in un secondo momento in rapporto alla loro capacità di comunicare idee morali e di incrementare in tal modo la cultura delle facoltà conoscitive. Il discorso, più volte affrontato, della piacevolezza o, in alternativa, della bellezza della musica, ha offerto il fianco a critiche che hanno accusato Kant di avere sottovalutato la musica e di averla intesa come arte piacevole; nel paragrafo 51 la musica è comunque inserita fra le arti belle nonostante il dubbio che Kant esprime a chiare lettere. Il paragrafo 53 mostra che la piacevolezza non è una qualità che si possa assegnare esclusivamente alla musica: se si compie un'analisi del Vergnügen e dell'attrattiva, l'arte musicale non si trova al primo gradino del sistema ma è preceduta dalla poesia; non si può certo dire che Kant abbia sottovalutato o condannato la poesia. La musica soggiace, come tutte le arti, a un duplice criterio di valutazione: e sotto il profilo del piacevole è affine alla poesia perché agisce con la sua attrattiva.

 

 

11.1. Attrattiva e affetti

 

L'analisi si concentra dapprima sull'aspetto dell'attrattiva e dei movimenti dell'animo da essa suscitati; entrambi sono oggetto di una ricerca antropologica e hanno ben poco a che fare con una valutazione estetica dell'arte; la loro presenza in una critica del Giudizio deriva dal fatto che sono inscindibili dalla natura della musica e costituiscono l'esatto opposto dei princìpi a priori che è compito di una critica trascendentale stabilire. Considerata sotto l'aspetto dell'attrattiva e dei movimenti dell'animo la musica, arte che non fa riferimento alla parola, è costituita da mere sensazioni che non offrono alcuna materia alla riflessione del filosofo; l'assenza di concettualità conoscitiva è constatata ancora una volta in piena coerenza con le altre parti dell'opera così come si ribadisce che la musica attrae e muove il nostro animo. Sebbene questa attrattiva sia passeggera, essa è più profonda di quella delle altre arti; ciò significa che la musica è anche godimento, anzi più godimento che cultura e suscita noia quando è ripetuta. Poiché la musica ci attrae, poiché ci procura godimento deve essere considerata come ogni altra attrattiva e ogni altro godimento; come ogni altro diletto dei sensi, esige alternanza e non può essere ripetuta senza trasformarsi nel suo contrario. Le impressioni musicali riescono più fastidiose che piacevoli se sono richiamate dalla nostra immaginazione involontaria; nelle Lezioni di antropologia è commentato da Kant un fatto, che può apparire insignificante, narrato da Johann Wilhelm Albrecht: ai soldati svizzeri dell'esercito francese fu proibito di cantare una musica tipica delle loro montagne, accompagnata dalla danza, perché avrebbero sofferto di nostalgia della patria e della giovinezza, e ciò ne avrebbe diminuita la forza e l'impegno; la fantasia avrebbe rievocato in loro un passato molto più piacevole del presente, ostacolandone la serenità (Albrecht 1734, § 299, p. 121. Cfr. AA XXV 951-952, 1259; AA XXVIII 853; questo tema era già stato esaminato da Hofer 1678, cfr. AA VII, pp. 178-179, AA IX, pp. 244 sgg., AA XXVIII, p. 853).

Quale funzione assolve la matematica se la consideriamo sotto questo punto di vista antropologico? Certo essa non ha la benché minima parte nell'attrattiva e nel gioco di emozioni, ma è solo la condizione indispensabile, la conditio sine qua non, di quella proporzione delle impressioni, sia nel loro rapporto sia nel mutamento, che permette di considerarle in unità, evitando che si distruggano a vicenda, facendo anzi sì ch'esse cospirino a produrre un duraturo stato di emozione e animazione mediante affetti, e quindi di tranquillo, intimo godimento. Questa tesi è spesso interpretata come l'ammissione che la struttura dei rapporti fra suoni espressa in proporzioni matematiche non ha alcun ruolo nella fondazione della bellezza dell'arte musicale. Kant, si dice, esprime l'opposizione, tipica del Romanticismo, alla proporzione, all'unificazione di numero e calcolo, proporzione e misurazione razionalistica (Zeuch 1996, pp. 240-241). Si deve sottolineare, però, che l'argomentazione riguarda l'attrattiva e i movimenti dell'animo, non la bellezza; la struttura matematica in se stessa non può suscitare né attrattiva né movimenti dell'animo, ma ciò è compatibile con l'idea che la bellezza dipenda dalla forma, perché significa esclusivamente che il principio della forma non può essere fonte di attrattiva empirica. Kant però non si arresta a questa considerazione: vuole analizzare il contributo della forma matematica all'attrattiva empirica che è necessariamente connessa con il concetto della percezione della musica. Già nella Nota generale alla prima sezione dell'Analitica del bello la funzione della struttura matematica è stata considerata secondo questa particolare prospettiva e si è affermato che il canto degli uccelli risveglia il gusto più di un canto composto secondo tutte le regole dell'arte musicale. Il punto di vista dal quale era compiuta la valutazione della musica vocale non era il piacere estetico [Wohlgefallen], ma il diletto corporeo [Vergnügen].

La caratteristica essenziale che ci spiega per quale motivo la musica eserciti questa azione sui movimenti dell'animo è la sua “comunicabilità universale”. Come si può interpretare questo concetto? Qual è il suo rapporto con il Wohlgefallen an der Form, con il piacere estetico? È stato di recente affermato che istituendo un legame con l'idea della comunicabilità universale Kant ha fatto dell'arte qualcosa di più di un secondo ambito della bellezza oltre all'ambito della natura; poiché la musica comunica un sentimento, la forma entro la quale avviene questa comunicazione deve assumere un aspetto diverso da una proposizione, dal modello del discorso razionale; questo secondo modello nel quale si realizza la comunicazione di sentimenti, non il discorso su sentimenti, si esprime nella sua forma più pura laddove nella comunicazione sono assolutamente assenti pensieri. Proprio per questo motivo acquisterebbe un ruolo di primo piano quell'arte che di solito è respinta da Kant come pensatore rigoroso e che occupa la posizione inferiore nella gerarchia delle arti: la musica. Secondo questa interpretazione Kant si fonderebbe su di un modello di comunicazione presentato per la prima volta da Jakob Böhme: siamo di fronte ad un linguaggio di sentimenti, all'espressione e alla comprensione interiore. Sebbene non tutti siano geni, né possano rendere altri partecipi del proprio stato d'animo grazie alla creazione di opere d'arte come espressione, ci si attende che chiunque sia dotato di gusto sia capace di giudizio e di scelta. Chi dunque non sappia comunicare il proprio sentimento con la produzione di opere d'arte, sarà comunque capace, come uomo di gusto, di rendere partecipi altri del suo piacere estetico; l'uomo di gusto, l'uomo fine abbellisce ciò che lo circonda e si circonda di oggetti belli, rendendo anche altri partecipi del suo piacere estetico per il mondo. La validità universale dei giudizi di gusto sulla musica li rende dunque in linea di principio comunicabili; ciò che può essere comunicato non è però un contenuto logico o un'asserzione oggettiva, ma un sentimento relativo, in questo caso, a un determinato brano musicale riconosciuto come bello. Questa definizione sarebbe tipica del contesto sociale della borghesia colta nell'epoca del Rococò; il bello non è origine del terribile né oggetto di desiderio né qualcosa di divino, ma serve a coltivare la vita, preparando così alla moralità ed alla autentica socialità (così interpreta Böhme 1999, pp. 29-34).

Se così fosse, tra comunicabilità universale e bellezza vi sarebbe un nesso diretto; la comunicabilità universale di cui Kant ricerca il fondamento sarebbe dunque identica alla comunicabilità universale del giudizio estetico puro. A mio avviso, questa identificazione è però piuttosto dubbia. La comunicabilità universale di cui Kant qui parla non è infatti identica alla comunicabilità universale che sta alla base dell'apriorità del giudizio di gusto.

Già nel paragrafo 7 si è sottolineato che si deve attribuire al gusto un rilievo sociale poiché esso si fonda su un accordo empirico nel quale convengono tutti gli esseri umani; si tratta di una “universalità relativa” che deve essere nettamente distinta dall'universalità a priori; l'attrattiva si identifica con l'effetto piacevole sull'animo dell'ascoltatore; che essa sia universalmente comunicabile significa allora che è passibile di una “universalità comparativa”, oggetto non di una critica trascendentale ma di un'antropologia empirica. Se poi questo concetto sia l'espressione del “mondo della vita della borghesia del Rococò” risulta irrilevante per la determinazione della sua funzione nella teoria.

Il paragrafo 53 introduce un nuovo concetto: l'attrattiva è ora connessa con la facoltà di generare affetti; come la modulazione è una lingua universale delle sensazioni da tutti comprensibile, nella quale ogni suono rivela in chi parla e genera in chi ascolta un'idea corrispondente a un affetto secondo la legge dell'associazione psicologica, così la musica come linguaggio degli affetti comunica universalmente le idee estetiche congiunte in modo naturale a quel linguaggio, secondo la legge dell'associazione. Martin Sherlock, noto a Kant, si sofferma sul potente effetto della musica italiana sugli ascoltatori e sulla sua differenza rispetto alla musica francese: l'impressione che producono le cantanti italiane è notevolmente più forte di quella prodotta dalle cantanti francesi e gli italiani si recano all'opera solo per sentire le arie, non l'intera composizione; non vanno a teatro, ma ad un concerto e negli intervalli fra le arie amoreggiano, giocano a carte oppure banchettano (Sherlock 1782, Lettera 34, p. 183). La “condanna” non è così grave come si ipotizza, perché la musica non agisce direttamente sulla facoltà di desiderare, ma solo sul sentimento di piacere e dispiacere; la volontà non è ostacolata dal fatto che agli affetti sia conferito impulso, dato che gli affetti non costituiscono l'eliminazione definitiva della libertà come le passioni. La riconduzione della musica agli affetti presuppone la distinzione fra affetti e passioni che la Nota generale all'esposizione dei giudizi estetici riflettenti riprende immutata dalle Lezioni di antropologia. Non si tratta, precisiamo, di una condanna inappellabile dal punto di vista morale; solo le passioni, infatti, riguardano la facoltà di desiderare, oggetto della filosofia pratica, e sopprimono la libertà, mentre gli affetti si limitano a ostacolare momentaneamente la determinabilità dell'arbitrio in base a princìpi morali. Non mi pare accettabile la convinzione di Cohen (citato in Nachstheim 1997, pp. 192-193) che gli affetti non siano distinti dalle passioni, ma rappresentino la coscienza del movimento in tutta la sua estensione come coscienza del volere; per Cohen i suoni non sono solo i segni degli affetti, ma anche i testimoni dei dolori e delle gioie; per questo motivo la musica commuove intimamente l'animo. Si deve dunque constatare che la cultura è presente nella musica in un senso completamente diverso dalle altre arti, perché essa “gioca” con sensazioni; se consideriamo che nell'ascolto di un'opera d'arte musicale percepiamo sensazioni, dobbiamo trarre la conclusione che, in conformità con la natura delle sensazioni, la musica offre impressioni passeggere; l'immaginazione involontaria può rievocarne alcune, e ricavarne una sensazione di piacere, ma altre si estinguono interamente, oppure, se sono ripetute involontariamente dall'immaginazione, ci riescono più moleste che piacevoli (CdG, p. 303).

 

Annotazione

 

Se ci si attenesse alle argomentazioni sin qui esposte si potrebbe avere l'impressione che la musica sia il risultato di sensazioni soggettive e mutevoli; questa è di fatto l'opinione che ha dominato quasi incontrastata nella ricerca su Kant, la quale interpreta l'espressione bloßes Spiel der Empfindungen nel senso di una derivazione dalla mera sensazione; la matematica, si afferma, è solo la conditio sine qua non dell'attrattiva e non gioca alcun ruolo nella fondazione della bellezza. Se così fosse la musica sarebbe solo godimento e non cultura (Schering 1910, pp. 174-175; Desmond 1998, p. 613); Kant apprezzerebbe quest'arte all'unica condizione che essa sia applicata alla parola, sia musica vocale; la musica strumentale pura sarebbe un gioco di pensieri divertente ma comunque infruttuoso, dal quale eventualmente guardarsi. Rilevando che la musica sia “più piacere che cultura, e che quindi abbia, considerata in base alla ragione, un valore inferiore a qualsiasi altra arte” (Friedländer 1867, p. 124), Friedländer ne ricava la conclusione che Kant non ha certo avuto una grande opinione di quest'arte.

Si è affermato che Kant avrebbe sussunto valore estetico e valore culturale sotto un unico concetto; gli si è fatto notare che i due problemi non sono identici, ma anzi incompatibili, in quanto il primo rientra in una problematica trascendentale, mentre il riferimento alla morale occupa un altro livello. Wieninger ritiene che il punto debole della Critica del Giudizio nel suo complesso debba essere colto nella contaminazione fra valore estetico e significato culturale. Con questo passaggio Kant, attratto dal primato della morale, abbandona il terreno della problematica trascendentale (Wieninger 1929, p. 74). Anche Nachtsheim muove dal presupposto che la dimensione estetica sia in Kant completamente separata dalla dimensione morale e che la determinazione del valore culturale della musica non dipenda da punti di vista relativi alla validità estetica. Di fatto, si tratterebbe in ultima analisi di criteri pratici o pragmatici e, di conseguenza, anche pedagogici (Nachstheim 1997, p. 31 nota). Per Schubert, nel superamento delle sensazioni con idee indeterminate nel bello musicale si abbandona il campo dell'estetica. Questa violazione dell'immanenza del giudizio di gusto è compiuta nel nome della moralità e dell'eticità. Il giudizio fondato sulla ragione elimina questa autonomia (Schubert 1975, p. 24). Meyer nota che il contenuto artistico non possiede valore culturale poiché consiste solo nelle sensazioni (Meyer 1920-21, p. 481). Per Maecklenburg Kant intende in modo troppo ristretto il concetto di cultura, poiché lo limita alla conoscenza. La musica ha valore culturale perché produce un gioco di pensieri che è spiegato come effetto di una associazione quasi meccanica (cfr. Maecklenburg 1914-15, p. 215). Secondo Dahlhaus la musica è esclusa dall'ambito della cultura (Dahlhaus 1953, pp. 52-54). Klinkhammer scrive che questa valutazione dipende dal fatto che Kant ha un concetto limitato della cultura e non si può liberare dall'impressione che l'essenza della cultura consista nell'estensione delle facoltà conoscitive e, quindi, nell'incremento della conoscenza concettuale (Klinkhammer 1926, p. 29). Queste osservazioni non tengono però conto dell'autentica intenzione del paragrafo, che trova la sua chiara espressione nel titolo: Vergleichung des ästhetischen Werts der schönen Künste untereinander. La prospettiva nella quale Kant si pone non è quella della valutazione pratica o pragmatica o pedagogica, ma è ancora un interesse estetico, sebbene ciò non significhi certo che egli rinneghi la fondazione dell'estetica sul sentimento morale. La costruzione sistematica della terza Critica risulterebbe radicalmente compromessa dalle riserve appena esposte, consistendo essa proprio nella riconduzione della necessità estetica al sentimento morale; Kant non ha mai l'intenzione di abbandonare il terreno della ricerca trascendentale, quando introduce il rapporto con il sentimento morale, né deve decidersi in una scelta tra morale ed estetica, perché la Critica del Giudizio estetico non è Critica del Giudizio morale.

 

 

11.2. Cultura e matematica

 

Occupiamoci ora, però, del secondo criterio adottato nel paragrafo 53 per la valutazione estetica dell'arte musicale: l'incremento della cultura. Se fino a questo punto la ricerca ha esaminato attrattiva e movimenti dell'animo, ora si ritorna al piacere per il bello e si integrano i risultati ottenuti nelle pagine precedenti. Kant non è dell'idea che la musica produca esclusivamente attrattiva, affetti e benessere corporeo, ma la compara con le altre arti; la musica suscita sensazioni in misura maggiore delle altre arti. Non si pone in dubbio che a suo fondamento vi sia qualcosa che non è godimento corporeo; è sufficiente analizzare i concetti della composizione e dell'elemento matematico per rendersi conto della forma e del contenuto a priori dell'arte del bel gioco delle sensazioni.

La composizione è un accordo di note basato sul numero delle vibrazioni dell'aria per unità di tempo, in cui le note sono legate in simultaneità o successione, accordo che può essere riportato a leggi matematiche definite; la forma compositiva delle sensazioni è data dall'armonia e dalla melodia. È già emerso dal paragrafo 51 che sia i rapporti fra molteplici note, sia le singole note si possono riportare al concetto della “divisione del tempo”. La forma matematica non è rappresentata in base a concetti; il bersaglio polemico potrebbe essere Leibniz, la cui teoria del calcolo inconscio era costruita proprio sul presupposto che l'anima potesse generare un'attività concettuale inconscia. Il gioco delle sensazioni sottoposto a leggi matematiche è il correlato del piacere estetico e sull'elemento matematico poggiano sia la validità universale sia la validità necessaria del giudizio di gusto a priori.

La facoltà, da parte dell'anima, di dividere il tempo è presente già nella Critica della ragion pura in cui è rilevante per la Deduzione dei concetti puri dell'intelletto. La condizione di possibilità della rappresentazione di un molteplice nell'intuizione dipende dalla facoltà dell'animo di distinguere il tempo nella successione delle impressioni; da ciò sorge l'intuizione della molteplicità che altrimenti rimarrebbe sempre semplice unità. Questa proprietà dell'animo è fondata nell'intuizione stessa, che opera una sintesi dell'apprensione; a prescindere dal significato della sintesi dell'apprensione, la divisione del tempo è condizione della distinzione del molteplice e della sua sintesi (AA IV, p. 77).

La differenza rispetto alla terza Critica risiede nel fatto che la divisione del tempo è qui presentata come atto dell'intuizione, la quale, come abbiamo visto, non è un senso esterno. Nella Critica del Giudizio la forma matematica percepita dall'animo che divide il tempo è il correlato oggettivo dell'universalità del piacere [Wohlgefallen]: è la sola condizione che rende possibile l'apriorità come necessità del giudizio di gusto sulla musica e riconduce quest'arte nell'ambito delle arti belle. Questa dimensione della necessità a priori era già presente nei primi paragrafi, ma non era in essi oggetto di discussione. La necessità - in base al paragrafo 29 - è ciò che rende possibile il fatto che i giudizi sul bello siano sottratti alla psicologia empirica e inseriti a pieno titolo nella filosofia trascendentale.

 

Annotazione

 

Nachtsheim sostiene che la composizione nel gioco delle sensazioni acustiche permette di valutare la musica in relazione alla bellezza in generale, ma non permette ancora di dichiararla necessariamente bella. È decisivo che la bellezza non elimini in alcun modo, ma anzi ponga la possibilità della piacevolezza (Nachtsheim 1997, p. 27). Se si accetta questa interpretazione la differenza sistematica fra psicologia empirica o antropologia e critica trascendentale del gusto sottesa all'intera Critica del Giudizio estetico va persa e i due livelli vengono unificati e confusi l'uno con l'altro. Ciò è ancora più strano se si pensa che Nachtsheim conosce questa distinzione e la pone a ragione in rapporto con il problema della piacevolezza o della bellezza della musica. La composizione permette certo di valutare la musica nella sua relazione con bellezza in quanto fa parte delle motivazioni che possono fondare questa bellezza. Con questa concezione è però incompatibile la considerazione che la composizione non renda la musica “necessariamente bella”. La bellezza di quest'arte è infatti determinata da due elementi: in primo luogo dalla struttura matematica oggettiva della composizione, in secondo luogo dal giudizio, dal riconoscimento che l'animo possiede la facoltà di percepire la struttura matematica. Se si accettano questi due punti ne consegue che la musica è bella; la composizione è sempre bella e la sua valutazione nella riflessione dà sempre luogo a un giudizio a priori. Essa è piacevole se non è percepita come composizione. Affermare che la composizione non è necessariamente bella significa conferirle un significato empirico e antropologico, perché l'antropologia ha il compito di osservare in qual modo gli esseri umani sentono con l'udito, non di ricercare i fondamenti a priori della sensazione. La bellezza è oggetto di una teoria trascendentale, la piacevolezza di un'antropologia empirica; esse possono coesistere, ma non si può accettare che le stesse condizioni che danno luogo alla bellezza siano, considerate da un altro punto di vista, meramente piacevoli. L'a priori non può infatti essere al tempo stesso uno a posteriori.

Wieninger ritiene che Kant abbia mantenuto nella Critica del Giudizio il medesimo punto di vista da lui assunto negli anni Settanta; l'a priori della musica dipende per Wieninger ancora dal concetto del tempo inteso come coordinazione. Un'analisi dei documenti a nostra disposizione, sostiene, ha condotto al risultato che Kant non ha ancora superato relativamente alla fondazione a priori del piacere per la musica il punto di vista iniziale della sua estetica, che considerava la dottrina del bello come un'estetica particolare, come una parte della teoria delle leggi universali della sensibilità, dell'estetica trascendentale. Questa interpretazione - riconosce Wieninger - non si può giustificare né comprovare appoggiandosi al testo perché in esso non si trova espressamente formulata (cfr. Wieninger 1929, p. 36). Non mi pare si possa condividere questa lettura. La matematica ha la funzione di scienza dei numeri e come tale è fondata su un principio a priori, l'intuizione pura del tempo. Questa forma pura dell'intuizione non ha però la medesima funzione che aveva nelle dissertazione del 1770. Il paragrafo 53 si esprime molto chiaramente sul fatto che la forma matematica non è mai rappresentata in concetti determinati. Non si può quindi accettare senza riserve ciò che Wieninger dice sul tempo nel paragrafo 51, ovvero che la musica sia interpretata come intuizione pura, perché già il paragrafo 16 ha mostrato quale sia la sua relazione con il gioco delle facoltà.

L’elemento matematico è interpretato secondo Schmidt come se esso fosse la mera forma della proporzione fra i suoni senza che però sia nominato il ritmo, la proporzione relativa alla durata temporale. Il fattore temporale non ha alcuna funzione nell’elemento matematico (Schmidt 1990, p. 20). Per Schmidt il primato della composizione nel paragrafo 51 non è determinato dalla struttura temporale del singolo suono, ma dalle differenze comprensibili che si rendono note nelle costellazioni degli intervalli e non sono legate alla percezione temporale. Kant crede al contrario che la velocità delle vibrazioni dell’aria superi la capacità percettiva del soggetto. Il primato della composizione sulla Klangfarbe deriverebbe dal ricorso alla tradizione della teoria dell’arte (Schmidt 1990, p. 332 nota 15).

 

Le considerazioni sulla struttura matematica della musica mostrano che Kant conosce una tradizione ben precisa che trova le sue prime espressioni nell'antichità; sebbene Euler non sia più nominato nella discussione dei rapporti fra i suoni, l'esame appena condotto può dimostrare come Kant non abbia mutato la sua posizione rispetto agli anni precedenti per quanto concerne il suo apprezzamento della teoria del matematico svizzero.

 

Annotazione

 

L'importanza della lettura di opere di Euler è stata spesso studiata in rapporto ad altre dottrine kantiane. Heimsoeth sottolinea il ruolo di Euler nella genesi della teoria dello spazio e del tempo e nella formazione del problema delle antinomie (Heimsoeth 1960, pp. 379‑380). Cantelli afferma che “le sue analisi dei concetti di spazio e di tempo, la determinazione che egli compie dei princìpi del movimento e la definizione che egli riesce a stabilire delle proprietà dei corpi, esercitarono la più grande influenza su Kant” (Cantelli 1958, p. XX).

È rimasta, però, sinora inosservata la presenza di Euler nella teoria kantiana dei rapporti matematici fra i suoni musicali. Alcuni esempi. Kathi Meyer sostiene che Kant sapeva orientarsi bene nel giudizio sulle arti figurative, perché aveva letto le opere di Winckelmann, e che era invece privo di una guida nello studio dell'arte musicale. Per questo motivo egli non era in grado di elaborare una teoria coerente, tanto più che gli faceva difetto anche un rapporto diretto con la musica (Meyer 1920-21, p. 477). Klinkhammer rinvia a Platone, Aristotele e Leonardo e all'idea dell'unità nella molteplicità. “Qui l'estetica musicale di Kant si fonda manifestamente su una delle fondamentali leggi della bellezza che fu elaborata già da Leonardo, grande artista del Rinascimento, e risale ad Aristotele e Platone” (Klinkhammer 1926, p. 27). Anche Schueller ricorda che il ricorso ai rapporti matematici nella Critica del Giudizio presuppone una tradizione: “egli dice qui qualcosa che è stato detto molte volte prima che egli scrivesse la Critica del Giudizio e che è stato ripetuto altrettante volte dopo che egli scrisse quest'opera ('La musica razionalizza il suono', dice Santayana, intendendo che il suono può essere espresso in rapporti matematici)” (Schueller 1955, p. 225). Le ricerche che hanno cercato di determinare l'influsso esercitato da Euler sulla Critica del Giudizio prendono le mosse dalla citazione del paragrafo 14 la quale però, come abbiamo visto, non riguarda i rapporti matematici fra i suoni, ma l'ipotesi di Euler sulla costituzione fisica dei singoli suoni e della loro percezione. Uehling affronta ad esempio esclusivamente il problema dei suoni singoli (Uehling 1971, pp. 30‑32). Sebbene Butts ponga il problema: “Kant ha superato le teorie precedenti, le quali ammettevano che le consonanze sono rapporti matematici regolari? Siamo ritornati a un problema che si presenta frequentemente nelle teorie musicali: che cosa collega la forma matematica all'esperienza del piacere?” (Butts 1993, p. 7), non si occupa poi di Euler (cfr. Butts 1993, p. 21). Morpurgo‑Tagliabue rinvia a Leibniz, Rameau e Diderot (Morpurgo‑Tagliabue 1991, p. 268). Per Nachtsheim, Euler fu rilevante per Kant relativamente alla determinabilità matematica del singolo suono, ma non si sa con certezza se Kant abbia letto il Tentamen (Nachtsheim 1997, p. 26 e nota; cfr. Nachtsheim 1997, p. 13 e nota 27). Nachtsheim non cita le Lettere di Euler, ma il Musicae mathematicae Hodegus curiosus del 1687 di Andreas Werckmeister, e invita il lettore a non considerare Werckmeister fonte di Kant (Nachtsheim 1997, p. 12 nota 22). A parere di Wolfgang Riedel l'allontanamento dalla connessione tradizionale di musica e matematica, che si può documentare ancora in Leibniz, si riflette nell'estetica da Batteux a Kant e inoltre nella definizione standard della musica come linguaggio delle sensazioni (Riedel 1996, p. 432; si veda anche Schlapp 1901, Marschner 1901, Basch 1927, Art. “Musik” nello Historisches Wörterbuch der Philosophie 1971 sgg).

 

 

11.3. Matematica e affetti

 

Qual è il rapporto fra questa concezione e l'idea che una composizione musicale esprime, e al contempo suscita, affetti?

 Parlare di formalismo kantiano e di un suo preteso contrasto con il contenuto non è a mio avviso corretto: la forma non è infatti separata dal contenuto, ma assolve esclusivamente al compito di esprimerlo; la teoria dell'arte di Kant si può comprendere solo quando si tenga presente l'unitarietà di forma matematica e tema. Già nella Critica della ragion pura si incontra il concetto del tema: in ogni conoscenza di un oggetto è richiesta l'unità del concetto, che si può chiamare unità qualitativa, in quanto è solo l'unità dell'unificazione del molteplice della conoscenza, ed è analoga all'unità del tema di una rappresentazione teatrale, di un discorso, di una favola (B 114); il tema musicale è, dunque, un'unità qualitativa perché rende possibile l'unificazione del molteplice a scopi conoscitivi.

Nella Critica del Giudizio, per la vera e propria musica senza tema, cioè per le improvvisazioni, vale l'idea che esse possono sussistere senza affetto ed essere quindi additate a esempio di bellezza libera, la quale non si limita alla natura ma si estende ad alcune specie di arte. Solo in quanto Kant si riferisce alla musica senza tema, potremmo riconoscere nella sua posizione l'espressione del formalismo. Se si prende in considerazione la musica che prevede la presenza di un tema si può certo ancora parlare di formalismo, ma questa espressione deve essere ulteriormente specificata: si tratta di un formalismo a priori che è espresso nella teoria dell'arte, ovvero della fondazione del giudizio a priori sulla forma matematica. Ciò non significa che la forma matematica sia sufficiente di per sé a costituire la musica, ma che il giudizio deve fondarsi sulla forma, se vuole essere dotato di necessità. Esclusivamente la forma matematica dell'unificazione delle idee estetiche come sensazioni rende possibile l'espressione delle idee estetiche: l'espressione dell'affetto dominante in una composizione musicale si può quindi ottenere solo per mezzo della matematica; la forma matematica non sussiste indipendentemente dal contenuto, ma lo esprime, dà espressione all'affetto dominante nella composizione musicale, affetto che si identifica con l'idea estetica del tema. Matematica e affetto, forma e contenuto non sono tenute separate l'una dall'altro, ma costituiscono i due aspetti della composizione musicale: della musica strumentale con un tema. Che la forma “sia separata in modo evidente dall''espressione' della musica, dal suo carattere come 'linguaggio delle sensazioni'” è una determinazione che si può spiegare da un punto di vista esclusivamente filosofico in quanto riguarda il nostro giudizio estetico e l'espressione di idee estetiche per mezzo dell'arte; ma la musica senza testo è in sé un fenomeno unitario e l'ascoltatore percepisce contemporaneamente forma e attrattiva, l'elemento matematico e l'affetto. Kant intende cercare l'apriorità di questo fenomeno e la rinviene nella forma matematica grazie alla quale è data espressione al tema e all'idea estetica, non negli affetti che essi presuppongono o suscitano.

Le idee estetiche non sono né concetti né pensieri determinati, ma idee di una totalità coerente di un'inesprimibile ricchezza di pensieri. Ciò non significa che il tema sia empirico, poiché il tema non è identico agli affetti ma costituisce l'oggetto cui si riferiscono gli affetti; le idee estetiche non possono essere empiriche, perché Kant le definisce rappresentazioni dell'immaginazione alle quali nessun concetto può essere adeguato; il tema è, in quanto tono affettivo dominante della composizione, l'oggetto di un piacere universale e necessario.

Si può avanzare l'ipotesi che anche le idee estetiche dominanti nella musica siano il prodotto del genio; il paragrafo 51, che introduce il principio dell'espressione delle idee estetiche, analizza solo l'aspetto del giudizio sull'opera d'arte musicale, non quello della sua produzione e il paragrafo 53 non tratta, se non per qualche accenno, il processo della creazione, ma il rapporto fra l'espressione delle idee estetiche e il piacere estetico [Wohlgefallen] oppure il piacere corporeo [Vergnügen]. Ciononostante, non è ingiustificato supporre che l'espressione delle idee estetiche di cui parla il paragrafo 53 e il concetto del tema siano prodotti del genio (sul concetto del tema e dell'idea estetica si vedano le corrette osservazioni di Cohen, in Nachstheim 1997, pp. 191-192).

 

Annotazione

 

A Kant si dovrebbe rimproverare, pensa una nutrita schiera di interpreti, di aver teorizzato “la rigorosa separazione fra la musica come esperienza vissuta della forma e la musica come esperienza vissuta di un affetto”, “dalla quale deriva la separazione fra bellezza musicale ed espressione musicale”. Marschner (in Nachtsheim 1997, p. 207) afferma: “Nella Critica del Giudizio di Kant sono presenti in nuce i due orientamenti opposti dell'estetica musicale contemporanea: l'estetica formale e l'estetica contenutistica ed essi si trovano l'uno accanto all'altro senza mediazione. Kant, che non sembra aver avuto la conspavolezza della netta opposizione di quei due momenti, non ha né tentato né realizzato il superamento di questa contraddizione”. Wieninger cita a conferma di questa opinione un passo della Anthropologie-Brauer: “Un brano composto in osservanza di tutte le regole della musica può essere bello e piacere, ma non avere alcuna attrattiva. Ci lascia indifferenti; noi ci limitiamo ad approvare” (Wieninger 1929, p. 54). Hilbert scrive: “L'idea kantiana della musica ha elementi formalistici ed elementi contenutistici; posizioni che, nel corso dello sviluppo storico, saranno antitetiche e si escluderanno a vicenda sono qui strettamente connesse. Kant non prende una decisione definitiva [...]” (Hilbert 1911, p. 14). Secondo Schmidt 1990 (p. 23), nel paragrafo 53 il concetto di forma è separato nettamente dal concetto di espressione e di linguaggio delle sensazioni. La musica non può avere l’effetto particolare che è tipico del bello secondo la Critica del Giudizio: l’unificazione soggettiva di validità universale delle facoltà conoscitive, l’unità di sensibilità e intelletto come libero gioco.

Schering ritiene che Kant sia consapevole del fatto che “l'intrinseco valore di bellezza” della musica non possa essere esaurito dalla considerazione della sua fondazione matematica. Il contenuto della musica, la sua attrattiva, i movimenti dell'animo che essa suscita, la “unnenbare Gedankenfülle” espressa nell'elaborazione di un tema ricco di affetti sono oggetto di studio analogamente all'elemento matematico. Tutti questi temi, però, si baserebbero per Schering su presupposti casuali e non interesserebbero veramente Kant, perché la loro analisi non “rientrava nei compiti della sua ricerca” il cui scopo era la fondazione dei princìpi del giudizio di gusto puro, non quella del giudizio di gusto applicato.

 

 

12. Musica e Vergnügen

 

Sono in particolare due le premesse che devono essere prese in considerazione quando ci si proponga di esaminare la teoria kantiana dell'effetto suscitato dalla musica e soprattutto della sua attrattiva. Anzitutto, l'antropologia empirica ci insegna che le nostre rappresentazioni, a prescindere dalla loro origine e a prescindere dal fatto che esse siano meramente sensibili o meramente intellettuali, non possono essere indifferenti; ciò è valido però solo a condizione che colpiscano il nostro sentimento vitale. In questo caso esse sono necessariamente connesse o con il sentimento del piacere [Vergnügen] o con il sentimento del dolore [Schmerz], come già avevano insegnato Burke e Verri. Passiamo ora alla seconda premessa: Vergnügen e Schmerz sono in ultima analisi sempre di natura corporea, a prescindere dal fatto che derivino dall'immaginazione o da rappresentazioni dell'intelletto. La motivazione di questa seconda tesi si può ritrovare nella decisa differenziazione fra vita come “coscienza della propria esistenza” e vita come “sentimento di benessere o malessere”. Questa separazione è strettamente legata alla concezione del sentimento vitale, il quale, nel caso in cui sia sentimento vitale corporeo, esige che la coscienza della propria esistenza sia al tempo stesso sentimento dell'organo corporeo; esclusivamente in questo modo risulta pensabile il sentimento del benessere. Wieninger scrive che la teoria della sensazione vitale come effetto della musica si fonda su ben determinate premesse della psicologia empirica di Kant, la cui esposizione sarebbe assente nella Critica del Giudizio, ma non può essere omessa (Wieninger 1929, p. 56). Paul Menzer crede che il sentimento vitale sia un tema irrilevante sul quale Kant avrebbe scritto osservazioni altrettanto insignificanti (Menzer 1952). Il sentimento vitale è spesso interpretato come la coscienza della nostra libertà empirica. “La vita, per Kant, è la proprietà di una volontà intelligente, la capacità di scegliere, di agire. È libertà della volontà nella sua effettività: Willkühr secondo la precisa terminologia kantiana”. Zammito sottolinea anche che il sentimento vitale ha in Kant un significato fisiologico quando è stadiato nella psicologia empirica (Zammito 1992, p. 295).

Questa non è però l'unica connotazione assunta dal sentimento vitale nella terza Critica: oltre alla vita del piacere e del dolore corporei, vi compaiono sia il sentimento vitale legato al gusto, sia il sentimento spirituale del rispetto che porta al sublime. Quando si afferma che il giudizio di gusto si riferisce al sentimento vitale ciò non significa che il gioco delle facoltà conoscitive, che si identifica nel giudizio di gusto con il piacere [Wohlgefallen] per l'oggetto e riguarda il livello trascendentale dell'armonia delle facoltà conoscitive, sia un sentimento di benessere corporeo. Le rappresentazioni producono Vergnügen o Schmerz solo a condizione che colpiscano il soggetto; se però le rappresentazioni non sono modificazioni del soggetto, non le si potrà interpretare in senso corporeo. Il gusto e il sentimento del rispetto non sono modificazioni del soggetto: sono anzi gli unici sentimenti che possano essere a priori senza avere derivazione empirica; di conseguenza non hanno a che vedere con benessere e malessere. Il concetto di vita e quello di corpo non sono quindi identici, poiché si dà anche un sentimento vitale indipendente dal corpo: vi può essere un sentimento vitale che sia solo coscienza della propria esistenza (cfr. CdG, p. 252). Se si tiene presente ciò risulta chiaro che le osservazioni sull'influsso della musica sul corpo rappresentano una parte dell'antropologia empirica che si colloca su di un piano diverso rispetto alla critica trascendentale del gusto. Non è necessario supporre che il paragrafo 54 risalga ad un periodo precedente della teoria di Kant per poterne giustificare la presunta contraddizione con altre parti della teoria; ne è necessario formulare l'ipotesi che la musica in una fase precedente della redazione dell'opera rientrasse nell'ambito delle arti piacevoli, per dimostrare che le osservazioni del paragrafo 54 sono compatibili con quelle che le precedono. Non abbiamo infatti alcuna possibilità di ricostruire dal punto di vista filologico il processo della redazione dell'opera poiché non sono rimasti a nostra disposizione i manoscritti. Occorrerà invece porre in rilievo che mentre le ricerche dei paragrafi 14 e 51, che attribuiscono la musica all'ambito delle arti belle, rientrano nell'orizzonte di una critica del gusto che indaga i fondamenti del nostro giudizio, il paragrafo 54 analizza il Vergnügen e il piacevole. In questo modo si potrà dimostrare, ad un tempo, la compatibilità delle due tesi e la coerenza della teoria di Kant.

 

Annotazione 1

 

Molti interpreti hanno rivolto lo sguardo a questo paragrafo per suggerire l'idea che la concezione della musica di Kant nel suo insieme sia localizzata al livello empirico della considerazione fisiologica e psicologica degli effetti sulle fibre del corpo. A partire da Herder si è imposta la convinzione che Kant scorga il valore della musica nella “heilsame Erschütterung des Zwergfells” e nella “gesunde Verdauung in einem uninteressierten, rein ästhetischen Gedankenspiele” (SW, Bd. XII, p. 72 f.). Friedrich Rochlitz, che pubblica fra il 1824 e il 1832 quattro volumi Für Freunde der Tonkunst scrive che per Kant l'arte musicale è arte piacevole. Gli esempi che egli adduce sembrano derivare dalla convinzione che non vi sia alcun altro tipo di musica in Kant oltre alla musica da ballo e alla musica da tavola (Rochlitz 1824-32, 2. Band, p. 185 sg.). Kant tendeva, secondo Friedländer, a considerare gli effetti della musica come effetti puramente materiali e ad intendere la musica non come arte bella, ma come arte piacevole; Schlapp scrive che Kant pone sullo stesso piano musica e comicità giungendo all'esilarante conclusione che in realtà in entrambi i casi i muscoli addominali svolgono un ruolo considerevole. L'attività dei musicisti e quella dei buffoni sono quindi considerate da Kant fondamentalmente sotto il profilo pratico della ginnastica favorevole alla salute (Friedländer 1867, p. 124). Anche Marschner nota che, quando (nel paragrafo 54) stabilisce la differenza essenziale fra ciò che piace solo nel giudizio e ciò che piace nella sensazione, Kant, per il quale la musica è gioco di sensazioni, considera quest'arte in modo così superficiale da trasformarla in mero godimento e arte piacevole (cfr. Marschner 1901, p. 29; cfr. anche Sponheuer 1987, p. 103). “Non si può comprendere infatti con quale diritto Kant, che in altri passi esalta gli effetti della musica, possa spiegare il mero piacere [Vergnügen] che la musica dovrebbe offrire e dovrebbe essere come fosse un'opera d'arte. La concezione che vi possa e debba essere anche entro la musica un gioco che suscita piacere non si potrebbe considerare quella accettata dall'autore, come invece risulta dal paragrafo che sarà ora oggetto di indagine” (Marschner 1901, in Nachtsheim 1977, p. 209). Anche Klinkhammer ritiene che queste spiegazioni fisiologiche occupino uno spazio troppo esteso. “Fondamentalmente, contro questa descrizione dell'aspetto sensistico della musica si deve obiettare che Kant la svolge con una tale inattesa dovizia che fa apparentemente scomparire sullo sfondo le altre sue considerazioni sull'estetica musicale” (Klinkhammer 1926, p. 40) e crede che “Kant in questo passo pensi alla musica da tavola” (Klinkhammer 1926, p. 39). Per citare un ultimo esempio, Moos condanna questo paragrafo e crede che Kant si spinga troppo in là, decretando che lo scopo finale della musica non è spirituale, ma corporeo (citato in Nachtsheim 1997, p. 261). Per Schering, Kant si interessa della musica come arte piacevole più di quanto facciamo noi oggi e ciò non può essere se non la conseguenza della sua intrinseca assenza di musicalità, del suo gusto dilettantesco; tutto ciò che egli dice in proposito non ha se non un valore storico. Da questo punto di vista la concezione kantiana è lo specchio di una valutazione condizionata dall'epoca che si può documentare in numerosi altri autori (Schering 1910, pp. 170-175). Anche Meredith si è lasciato guidare dall'idea che la musica nel paragrafo 54 sia considerata un'arte piacevole. Ciò non sarebbe però compatibile, a suo avviso, con i paragrafi 14 e 51 che assegnano la musica alla sfera delle arti belle (in Kant 1911).

 

Annotazione 2

 

Secondo Maecklenburg l'origine di questa concezione fisiologica sarebbe il saggio di carattere psicologico di Kausch sull'influsso dei suoni sul corpo e sull'anima pubblicato nel 1782 (Maecklenburg 1914, p. 211). Come si è visto nel capitolo precedente, la concezione è stata elaborata da Kant prima del 1782; è però un dato di fatto che Kausch ha inviato a Kant il proprio contributo nel 1787. Nachtsheim ha toccato, seppure rapidamente, il tema del rapporto fra il piacevole nella musica e la valutazione positiva dell'antropologia di Burke nella Nota generale all'esposizione dei Giudizi estetici riflettenti. Nachtsheim nota che il nesso fra il sistema di Kant e la sua estetica musicale è rimasto inesplorato (1997, p. 31 nota 96): “Kant accenna alla motivazione sistematica di ciò nella Esposizione generale dei giudizi estetici riflettenti, constatando mediante il richiamo a Burke che accanto ad un'esposizione trascendentale è possibile anche una deduzione empirica (fisiologica o psicologica) del bello, che rientra però nell'antropologia empirica [...]. Ma questa esposizione empirica sfocia sempre soltanto in ciò che Kant chiama piacevolezza. Detto altrimenti: la teoria di Burke è, agli occhi di Kant, in quanto si occupa di prodotti delle arti belle, una teoria (meritevole di essere studiata) del piacevole”. Al contrario, Moos sostiene che “Kant non si arresta a questa concezione materialistica, ma che essa significa una ricaduta occasionale nel sensismo di un Burke combattuto da Kant” (Moos 1922, citato in Nachtsheim 1997, p. 262).

 

 

13. Musica e finalità oggettiva formale

 

Il paragrafo 62 affronta il tema della finalità oggettiva e meramente formale e della sua differenza dalla finalità materiale; esso mira a dimostrare che accanto alla finalità soggettiva e formale, di cui si è svolta l'analisi nella teoria del bello, nell'analitica del sublime e nella definizione del genio, vi è anche una finalità oggettiva, anch'essa formale, che deve essere a sua volta differenziata dalla finalità oggettiva e materiale che rappresenta l'oggetto vero e proprio della teleologia. Il gusto si fonda sulla finalità soggettiva e formale che coincide con il libero gioco delle facoltà conoscitive; anche il sublime si può ricondurre a una forma particolare di finalità soggettiva e formale che non deriva dal rapporto fra immaginazione e intelletto, ma dal rapporto fra immaginazione e ragione; immaginazione, intelletto, spirito e gusto sono le facoltà da cui risulta la finalità soggettiva e formale che è alla base del genio.

In che consiste, allora, la finalità oggettiva e formale? Kant illustra questo concetto con due esempi: le figure geometriche, i numeri aritmetici. Se i primi sono oggetto della geometria i secondi rientrano nella matematica come scienza dei numeri. Certo, l'argomentazione si sofferma più sulle figure geometriche e l'intero paragrafo si prefigge di dimostrare che alle figure geometriche non si può attribuire la qualifica della bellezza perché il giudizio che si formula su di esse è fondato su concetti e quindi è in contraddizione con le condizioni che rendono possibile il gusto, il quale non può essere ricondotto a concetti conoscitivi determinati. Tuttavia, è possibile applicare le considerazioni relative alle figure geometriche anche all'aritmetica e ai suoi numeri e chiedersi quale sia il rapporto fra la musica e la matematica come scienza dei numeri. “Si usa il termine bellezza a proposito di queste proprietà sia delle figure geometriche che dei numeri” (CdG, p. 337): numeri e figure geometriche sono atti alla soluzione di una quantità di problemi secondo un unico principio, e questa soluzione non ha luogo sulla via del pensiero discorsivo bensì su quella dell'intuizione. I numeri sono considerati belli da alcuni autori e posti sullo stesso piano della bellezza delle figure geometriche perché rivelano una certa finalità. Kant critica qui Johann Georg Sulzer che attribuisce alle formule algebriche la qualifica della “bellezza intellettuale”: il suo errore consiste nel chiamare “bellezza” la finalità delle figure geometriche e dei numeri; la finalità è un accordo, una convenienza nei confronti della nostra facoltà conoscitiva, ma non riguarda il sentimento di piacere.

Platone ha compreso che l'animo è dotato della facoltà di percepire i rapporti numerici armonici, ma ha cercato l'origine dei rapporti numerici musicali in un intelletto divino; la sua ammirazione per l'armonia si è così surrettiziamente trasformata in esaltazione.

Questi passi sembrano non essere noti a Bosanquet che afferma che il nostro filosofo non aveva conoscenza alcuna del valore che la musica rivestiva per i pensatori dell'antichità: “Prendendo nota delle perplessità di Kant sulla musica, possiamo ricordare che egli fece ben poco uso degli antichi che sapevano qualcosa del vero valore di quell'arte che abbiamo visto trascurata nel medioevo e nell'estetica del diciottesimo secolo” (Bosanquet 1949, pp. 281-282).

Differenziandosi esplicitamente da Platone e anche da Pitagora, Kant non reputa che i rapporti matematici siano oggetto di una conoscenza che derivi a priori dalla mera ragione e non pensa che i sensi non svolgano alcun ruolo in essa. Egli non può accettare che i sensi contengano lauter Blendwerck, mero inganno: proprio il senso dell'udito, un senso esterno, può percepire i rapporti fra i suoni; Kant rimprovera a Platone e Pitagora la tendenza a sconfinare nel misticismo, sottovalutando la sensibilità e la sua funzione.

Se non vogliamo commettere l'errore di chiamare belle le formule algebriche e le proprietà dei numeri per cui essi si distinguono per la loro attitudine alla soluzione di una quantità di problemi secondo un unico principio, dobbiamo quindi tracciare una netta linea di separazione fra la finalità che le caratterizza e la vera e propria bellezza: non esiste una bellezza intellettuale, perché la bellezza è sempre soltanto sensibile; l'espressione “bellezza intellettuale” dovrebbe essere sostituita dal termine “finalità formale e oggettiva”. Se però si vuole applicare l'aggettivo “bello” anche alla scoperta di rapporti numerici e alla soluzione di problemi aritmetici, si deve chiarire che non le formule algebriche sono belle; bella è la dimostrazione matematica in cui intelletto e immaginazione si sentono corroborati a priori, bello è il fondamento del piacere che ne deriva, il quale, sebbene sia dato da concetti, è comunque soggettivo; la perfezione, al contrario, è connessa con un piacere [Wohlgefallen] oggettivo (cfr. CdG, p. 337).

È dunque chiaro che la critica al concetto di bellezza intellettuale riguarda solo i numeri algebrici e il loro uso nella matematica; in questo senso Kant è avversario di Sulzer. Per quanto concerne però la bellezza sensibile di cui parla Sulzer, Kant non nega che essa sia vera e propria bellezza; allorché Sulzer adduce come esempio di bellezza intellettuale regole algebriche, e si riferisce alla matematica come scienza dei numeri, ed esemplifica la bellezza sensibile con le proporzioni aritmetiche stabilite da Euler fra i numeri delle vibrazioni delle onde sonore, Kant ne apprezza il discorso. Contro Sulzer egli annovera le formule algebriche nella finalità oggettiva e formale; con Sulzer inserisce i rapporti fra le note nella sfera della bellezza. I rapporti numerici che stanno a fondamento della musica non sono, quindi, per Kant, bellezza oggettiva e formale, ma corrispondono al gioco delle facoltà in quanto sono musica senza testo e anche musica senza tema come è stato mostrato dal paragrafo 16, con il quale il presente paragrafo è in completo accordo.

 

14. La seconda edizione della Critica del Giudizio (1793)

 

14.1. Kant a Hellwag

 

Sebbene numerosi editori e interpreti abbiano pensato che la variante della terza edizione woran ich doch gar nicht zweifle fosse corretta anche per la prima e per la seconda, si è mostrato precedentemente per quale motivo sia verosimilmente esatta, in relazione alla teoria esposta nel 1790, la variante della prima edizione. Le ricerche sopra condotte hanno portato al seguente risultato: secondo Kant si ha ragione di supporre che i suoni non siano altro se non una successione regolare di vibrazioni dell'aria che colpiscono le parti elastiche del nostro orecchio. Non si può peraltro sostenere con certezza che l'animo sia in grado di percepire la natura fisica dei suoni come unità di una molteplicità, sebbene si possano addurre motivi che rendono legittima la tesi della bellezza dei singoli suoni.

La teoria musicale della seconda edizione non si differenzia da quella della prima. La seconda edizione coincide con la prima nei paragrafi sulla musica e l'espressione woran ich doch gar sehr zweifle compare anche nella seconda. Può forse trattarsi di un errore di stampa sia nella prima sia nella seconda edizione? Si può dimostrare che Kant ha avuto a lungo fra le mani la prima edizione dell'opera e che la sottopose ad accurate revisioni. Ciononostante egli non mutò il gar sehr, sebbene si possa constatare che egli corresse abbondantemente il testo precedente e seguente a questo passo. Si può dunque accettare che la variante gar sehr rifletta la posizione di Kant nel 1790 e nel 1793. Erdmann scrive nell'introduzione alla sua edizione della Kritik der Urteilskraft che Kant mostrava una rara indifferenza per la correzione dei suoi scritti a stampa e che probabilmente dalla fine degli anni Cinquanta in poi non ha mai corretto personalmente una delle sue opere; si limitava ad approntare di malavoglia errata corrige per gli errori di stampa che gli balzavano agli occhi in modo particolarmente evidente a una lettura superficiale (cfr. Erdmann 1880, pp. XXXIII-XXXIV). Werner Stark si è opposto a questa tesi diffusa nella filologia kantiana, secondo la quale Kant aveva scarsissimo interesse per la forma esteriore delle sue opere, affermando che la collaborazione dell'autore era ridotta per motivi esteriori. Non fu dunque l'autore, ma il correttore a rivedere le opere al momento della loro stampa (cfr. Stark 1988).

Sulla stampa della seconda edizione siamo però ben informati grazie alle lettere di Kant a De La Garde; “le lettere di Kant alla casa editrice berlinese, che ebbe vita breve, di François Théodore de LaGarde (1756-18??) sono il documento più esausitivo per comprendere il modo in cui Kant collaborò alla stampa dei suoi scritti” (Stark 1993, p. 32); esse dimostrano che Kant era interessato alla revisione dell'opera e che se ne occupò a lungo. Il 2 agosto 1791 Kant prega De La Garde di inviargli l'esemplare interfogliato promesso (AA XI, p. 275); il 28 ottobre 1791 conferma di aver ricevuto l'esemplare e comunica di voler restituire l'esemplare corretto entro la fine di novembre 1791 (AA XI, p. 301). Il 12 giugno 1792 scrive, infine, di avere inviato il 10 giugno l’esemplare corretto dell’opera in un pacco; segnala che le correzioni iniziano dalla lettera A ad eccezione della prefazione e della introduzione e che, fatta eccezione per la nota a p. 462, nulla è stato aggiunto perché non lo si è ritenuto necessario. La correzione della prefazione e della introduzione, se vi si trovano errori oppure sono necessarie piccole aggiunte, sarà inviata tra breve, garantisce Kant che prega il suo destinatario di iniziare la stampa dal foglio A. (AA XI, p. 341). Da queste lettere risulta che Kant ha sottoposto la prima edizione a una revisione protrattasi dall'agosto del 1791 al luglio del 1792. Rosenkranz riteneva che Kant non avesse mai compiuto “una trasformazione intrinseca del testo”. Hartenstein conosce la differenza fra la prima e la seconda edizione, ma crede che la terza sia una semplice ristampa della seconda e Kirchmann parla di una ristampa immutata. L'ultima lettera è particolarmente rilevante poiché ne risulta che Kant finì solo il 10 giugno 1792 la correzione dell'esemplare della Kritik der Urteilskraft ad eccezione della prefazione e della introduzione che aveva promesso per la fine del mese di novembre 1791. Ancora più significativo è il fatto che Kant dica di non avere aggiunto nulla al testo, fatta eccezione per la nota a p. 462.

Sul periodo di tempo che intercorre fra la prima e la seconda edizione della Critica del Giudizio abbiamo a nostra disposizione un certo numero di informazioni che si possono ricavare soprattutto dall'epistolario di Kant. Hellwag ricordava a Kant nella lettera da lui inviata di aver pubblicato nel “Deutsches Museum” del 1786 un saggio su questo tema. Il 3 gennaio 1791 Kant risponde in una lettera della quale ci sono conservati, nell'Edizione dell’Accademia, sia la stesura definitiva sia il progetto. Arthur Warda pubblicò entrambi i testi in un saggio dal titolo Zwei Briefentwürfe Kants che comparve nel volume del 1900 della “Altpreußische Monatsschrift”. A differenza della trascrizione della Edizione dell’Accademia, nel saggio di Warda è accessibile anche la stesura originaria del progetto che Kant sottopose poi a revisione, modificando le proposizioni in alcuni punti.

Opportuno, a questo punto, un confronto fra la lettera, il progetto e la trascrizione del progetto ad opera di Warda, che riporta alla luce oscillazioni e incertezze che possono dimostrarsi rilevanti. Sebbene la lettera non contenga alcuna dichiarazione sul passo del paragrafo 14 relativo a Euler e alla teoria della riflessione, si può determinare sulla base degli altri due documenti quale variante rifletta la posizione di Kant nel 1791. Dalla lettura comparata dei tre testi si possono trarre le seguenti conclusioni: 1) anche durante la stesura della risposta a Hellwag, Kant si sente insicuro e dubita di fatto che la musica abbia a che fare con la riflessione; egli definisce “problematico” anche il parallelismo fra suoni e colori 2) Kant è però incline a designare “belli” sia i suoni sia i colori singoli. Ecco testo e progetto della lettera inviata da Kant a Hellwag:

 

In primo luogo, per quanto concerne l'analogia fra i colori e i suoni, Ella porta sicuramente più vicino alla soluzione il problema del loro rapporto con il giudizio di gusto (che non può essere un mero giudizio dei sensi sul piacevole e sullo spiacevole). A questo proposito, mi sembra interessante, e meritevole di venire ulteriormente sviluppata, la Sua scala delle vocali, intese come gli unici suoni che possono avere di per se stessi un suono. Infatti nessuno può pensare la musica, se non è al tempo stesso in grado di accompagnarla con il canto, per quanto inetto egli sia. Qui appare nel contempo evidente la differenza fra il gioco dei colori e quello dei suoni, giacché il primo non presuppone il potere produttivo dell'immaginazione. Sennonché al momento attuale sono troppo immerso nella meditazione di altri argomenti, per potermi per ora adeguatamente occupare di questa indagine. Devo solo rilevare che, quando nella Critica del Giudizio ho parlato di persone che, sebbene possedessero un ottimo udito, non sapevano distinguere una nota dall'altra, ma che non erano assolutamente in grado di distinguere una nota da un semplice suono. Avevo presente alla mente il mio migliore amico, il commerciante inglese Green, scomparso quattro anni fa. Quando era bambino, i suoi genitori avevano rilevato questo difetto e perciò gli avevano fatto imparare a suonare il piano con le note. Sennonché né allora né dopo egli riusciva a rilevare la minima differenza quando era un altro a suonare al piano o a cantare un pezzo totalmente diverso; di conseguenza, le note erano per lui un mero rumore. Analogamente, ho letto da qualche parte di persone le quali non riuscivano a discriminare nell'insieme della natura altro che luci e ombre e, sebbene i loro occhi fossero sanissimi, vedevano tutti gli oggetti come in un'incisione in rame. È interessante notare che nel mio amico Green questa incapacità si estendeva anche alla poesia: non riusciva mai a riconoscere la sua differenza rispetto alla prosa, se non per il fatto che essa consiste in una disposizione delle sillabe coatta ed artificiosa. Perciò leggeva molto volentieri gli Essays on Man di Pope, ma trovava seccante che fossero scritti in versi (Kant 1990, pp. 249-250).

 

Progetto

Vs. Sig. Ill. ma mi pone una quantità di problemi che per la maggior parte ha già risolto benissimo da sé. Permetta che le comunichi per cenni, piuttosto che renderlo perspicuo nei dettagli, il mio giudizio, giacché esso - a causa della brevità del tempo a mia disposizione - non è ancora pervenuto a maturazione. Ritenendo che li si debba giudicare come un bel gioco delle sensazioni, Ella ha sicuramente portato più vicino alla soluzione il parallelo fra i colori e i suoni in un giudizio estetico; parallelo che io ho avanzato in modo meramente problematico. Sennonché mi sono attualmente tanto allontanato da questo tipo di indagine, che - per tener conto dell'insieme delle ragioni pro e contro - mi occorrerebbe adesso molto più tempo di quello che posso dedicarvi, e lascio volentieri alla Sua ulteriore indagine l'esecuzione di questo compito. Mi sembra che la Sua scala dei suoni verbali indipendenti (le vocali) dia occasione ad importanti osservazioni: le vocali sono le sole ad essere dotate di suono, a differenza degli elementi verbali puramente sonori (le consonanti), che non sono di per sé veicoli dei suoni, ma servono alla voce umana solo per collegare le vocali. Infatti nessuno può intendere una musica se non sa accompagnarla con il canto, e nemmeno può indicare chiaramente le note (per questo motivo il canto degli uccelli non è per noi vera musica). A questo proposito rilevo ancora soltanto che, quando a p. 2[09] della Critica del Giudizio parlavo di coloro che non riescono a percepire alcuna differenza fra le note nel canto di un altro o in una musica strumentale, non intendevo dire che essi confondono spesso le note, ma che non riescono assolutamente a distinguere una nota da un semplice suono. Un esempio sorprendente me lo forniva un mio amico scomparso quattro anni fa, il commerciante inglese Joseph Green. Durante la giovinezza era stato costretto a suonare al piano pezzi di spartiti, ma né allora né per tutta la vita riuscì a percepire la differenza quando qualcuno suonava su questo strumento un pezzo totalmente diverso; egli possedeva perciò il senso della sonorità, ma non possedeva minimamente quello della tonalità. Ciò era collegato anche con la sua restante capacità di giudicare esteticamente: leggeva volentieri, per es., gli Essays on Man per i pensieri contenutivi, ma, avvertendoli come qualcosa di coatto, non riusciva a provare piacere nel verso e nella rima. Analogamente, d'altro canto, per quanto concerne le differenze cromatiche, intendevo riferirmi all'esempio (ancorché raro) di quella famiglia inglese, alcuni membri della quale non avevano assolutamente nessuna rappresentazione di colore, ma nel mondo visibile percepivano solo luci ed ombre, come in un'incisione in rame (Kant 1990, pp. 255-256).

 

Nella trascrizione del progetto pubblicata da Warda si può notare la presenza, in seguito riprodotta entro parentesi quadra, di un'affermazione poi cancellata da Kant, che non è trascritta nell'Edizione dell'Accademia; sebbene il suo contenuto renda manifesto come Kant fosse propenso ad accettare la soluzione della bellezza dei suoni e dei colori, il fatto stesso che egli dapprima la scrisse e in un secondo momento la cancellò lascia trasparire visibilmente la sua indecisione al riguardo, e la presenza in lui di un “dubbio” non ancora risolto.

 

Ritenendo che li si debba giudicare come un bel gioco delle sensazioni [opinione alla quale io stesso sono maggiormente incline] Ella ha sicuramente portato più vicino alla soluzione il parallelo fra i colori e i suoni in un giudizio estetico; parallelo che io ho avanzato in modo meramente problematico.

 

 

14.2. L'assenza di urbanità della musica

 

Nella seconda edizione della Critica del Giudizio Kant aggiunge, inoltre, la seguente considerazione:

 

Inoltre, alla musica, bisogna rimproverare una certa mancanza di urbanità, soprattutto per la proprietà dei suoi strumenti, di spandere il proprio influsso al di là del richiesto (al vicinato), per così dire imponendosi e violando la libertà di quanti non partecipano al trattenimento musicale; cosa che non fanno le arti che parlano agli occhi, poiché basta distogliere questi quando non se ne vuole accogliere l'impressione. Pressoché lo stesso accade per il piacere che dà un odore che si spande lontano. Chi estrae dalla tasca il fazzoletto profumato tiranneggia chi sta intorno a lui ignorandone la volontà e costringendolo, se vuole respirare, a godere anch'egli di quel piacere; è perciò che quest'uso è passato di moda (CdG, p. 303).

 

Nella nota soggiunge:

 

Coloro che hanno consigliato per le devozioni domestiche anche il canto di inni spirituali non hanno riflettuto sul fatto che, con una pratica di culto tanto chiassosa (e proprio per questo sovente farisaica) causavano un grosso incomodo al vicinato, costretto, o ad unirsi al canto, o ad interrompere il suo lavoro intellettuale (CdG, p. 303).

 

Dal momento che il giudizio negativo del filosofo e le sue lamentele si riferiscono al canto degli occupanti la prigione posta nelle vicinanze della sua abitazione, alla loro “stentorische Andacht”, non è facile trarne la conclusione che Kant non apprezzasse la musica intesa come arte bella. Nessuno valuterebbe come musica sublime i canti provenienti da un istituto penitenziario. Fra i canti spirituali cui Kant pensa e i capolavori dei grandi maestri vi è un abisso incolmabile, e nessuno direbbe che coloro che apprezzano i canti spirituali provenienti da una prigione abbiano, al contrario, una profonda conoscenza dell'arte musicale. L'aneddoto mette in luce un contesto biografico la cui presenza è ancora visibile nella seconda edizione della Critica del Giudizio. Bersaglio polemico del filosofo sono qui coloro i quali hanno consigliato per le devozioni domestiche anche il canto di inni spirituali, usanza da deplorare soprattutto dal punto di vista morale e religioso. La forma musicale di questi canti non è qui oggetto di discussione; essi non sono nominati, infatti, come oggetti di un giudizio di gusto estetico, ma come dimostrazione di una pratica di culto farisaica che non trova origine nella pace e nella serenità della coscienza morale. Poiché questo tipo di musica provoca notevole fastidio, l'ascoltatore può essere costretto a unirsi al canto e ad interrompere il suo lavoro intellettuale. Egli deve necessariamente unirsi al canto perché, come sappiamo, la musica attrae con molta forza la facoltà dell'immaginazione involontaria. Che la musica ci attragga a sé al punto tale da costringerci ad ascoltarla contro la nostra volontà anche quando siano emessi suoni stentati che nulla hanno a che fare con la bellezza e sono percepiti nella loro spiacevolezza, non è certo ammissione che possa fornire testimonianza della valutazione sprezzante e negativa, da parte di Kant, della musica in generale. L'attenzione del filosofo non è qui rivolta alla musica in sé e per sé, ma solo alla musica spiacevole, il cui effetto sull'animo è analizzato nei suoi fondamenti antropologici e fisici. Che questo tipo di musica ci disturbi deriva dalla natura fisica dei suoni musicali, fondata a sua volta sulla costituzione fisica del suono in generale: è una proprietà del suono in generale che esso penetri dappertutto. Esclusivamente sotto questo aspetto la natura dei suoni musicali non è più comparata con la natura dei colori; il mondo dei colori e degli oggetti della vista che nel paragrafo 14 era posto sullo stesso piano dell'udito e dei suoni musicali ora si avvicina all'odorato e alle sensazioni che lo riguardano, le quali, per la loro natura fisica, colpiscono necessariamente l'uomo.

 

Annotazione

 

Questo aneddoto è citato quasi di norma in ogni contributo sul tema per dimostrare che il filosofo di Königsberg era uomo poco amante della musica e che gli eventi musicali non rientravano nelle sue esperienze di vita. Desmond scrive: “Kant usa un'immagine veramente indicativa: compara la musica con un gentiluomo che estrae un fazzoletto profumato dalla sua tasca - il profumo si diffonde dappertutto in modo indeterminato e nessuno può decidere di sottrarsi al suo effetto […] Kant vede in ciò solo un'intrusione indesiderata” (Desmond 1998, p. 613). Anche Menzer nota: “Qualcosa di ancor meno rallegrante si può dire, infine, sul rapporto fra Kant e la musica [...]. Purtroppo il vecchio Kant si è reso colpevole di un biasimevole e deviante fraintendimento nella seconda edizione della Critica del Giudizio quando ha rimproverato alla musica una mancanza di urbanità perché disturba il vicinato” (Menzer 1952, p. 20). E spiega poi che una nota ci rivela il motivo di questa condanna. Erano i canti farisaici dei reclusi del carcere che lo avevano disturbato nel suo lavoro (cfr. Menzer 1952, p. 20). Cfr. anche Moos 1992 (citato in Nachtsheim 1997, p. 263): “Sono note le lamentele del grande filosofo sul rumore molesto prodotto dalla musica […]”. Odebrecht ritiene che l'amareggiata e caricaturale critica alla teoria musicale di Kant nella Kalligone colga nel segno (Odebrecht 1938, p. 139).



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