CONCLUSIONE

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

Kant non si accosta all'arte musicale come musicista, né come raffinato e colto critico musicale; al fine di chiarire la sua posizione è necessario tener presente che egli "capiva", come è unanimemente riconosciuto, l'antropologia, la fisica, la matematica, la logica, la critica della ragione pura (nella sua triplice articolazione in critica della ragione pura, della ragione pratica e del Giudizio, come essa è proposta in base alla nuova concezione formulata sin dalla Prefazione alla Critica del Giudizio), conosceva numerose teorie musicali e diverse forme di produzione musicale. Quando, in un'aggiunta al § 53 dell'edizione del 1793, afferma che la musica "disturba il vicinato", Kant non si riferisce alla musica in sé e per sé considerata come arte bella, ma a quel tipo di musiche che propriamente si dovrebbero designare "rumori" spiacevoli per l'udito; non nomina Bach, Mozart o Haydn ma, espressamente, i "chiassosi" e "farisaici" inni spirituali del vicinato e dei reclusi del carcere.

Il capitolo I ha tracciato il quadro delle discussioni nel quale la teoria di Kant si è inserita, riportando alla luce le dottrine note al filosofo. Per l'indagine matematica e fisica sulla musica si rivelano fondamentali Pitagora, Platone, Leibniz, Rameau, e soprattutto Euler, le cui Lettere a una principessa tedesca si impongono come l'autorità cui il filosofo sempre si richiama; Euler riveste, per la musica, la medesima importanza di Winckelmann per la concezione delle arti figurative, di Omero, Virgilio, Milton e Pope per la poesia, di Euclide per la geometria, di Newton per la fisica. Si dimostra di grande rilievo, per la concezione della natura della singola impressione sonora, la lettura dei manuali di fisica di Segner, Johann Peter Eberhard, Erxleben, Karsten; né si può escludere la presenza di un dialogo implicito con Sulzer, Mendelssohn, Burke e Hutcheson. Kant intervenne relativamente alla progettata costruzione di un clavicembalo oculare da parte di Louis Bertrand Castel, che suscitò vivo interesse fra i contemporanei, assumendo un atteggiamento negativo, e accettando l'analogia fra suoni e colori nella formulazione ad essa conferita da Euler. Significativo risulta, infine, il confronto con le concezioni di Hume, Home e Rousseau sul rapporto fra musica e cultura della sensibilità, con l'identificazione fra dissonanze e "dolori innominati" esposta da Pietro Verri, con le considerazioni di Mendelssohn, Derham, Euler, de Hautesierck e Kausch sull'effetto corporeo della musica e con le osservazioni di Derham (e forse anche di Sulzer) sugli affetti.

Il capitolo II ha ricostruito le diverse fasi dell'estetica musicale kantiana nelle loro linee fondamentali, mettendone in rilievo le trasformazioni e le modificazioni. Le Osservazioni sul sentimento del bello e del sublime assegnano alla musica la sfera del sentimento e ne riconoscono il valore per la formazione del sentimento morale. Nei documenti successivi a questa data si trovano tracce dell'interesse per la fisica e la matematica nel loro rapporto con la musica.

Intorno al 1770 Kant dà una veste filosofica sua propria alle ricerche acustiche di Leonhard Euler. Il fondamento del giudizio a priori è dato dalla forma pura del tempo alla quale corrisponde una relazione strutturata di singole sensazioni sonore, che prende il nome di "gioco delle sensazioni". L'attività dell'organista è un'attività intellettuale inconscia, non il risultato di un sentimento individuale e soggettivo. Anche le singole sensazioni sonore sono giudicate belle, data la loro struttura matematica. Accanto a queste considerazioni sull'aspetto a priori della musica si collocano riflessioni sul suo rapporto con il piacere individuale e soggettivo. Intorno al 1780 l'a priori non è più rintracciato nel tempo, ma è affidato paradossalmente all'esperienza: si delinea una concezione dell'a priori del gusto comparativo, relativo. A partire dal 1775 l'atto del comporre musica è ricondotto al principio della genialità, che discende a sua volta dall'idea, di derivazione platonica; idea è una totalità, il tema musicale, progettata dal genio in modo autonomo, indipendentemente da ogni ricorso all'esperienza. Se fino al 1780 la musica è annoverata fra le arti figurative, dopo questa data viene a far parte delle "arti del gioco delle sensazioni". Intorno al 1780 si realizza inoltre la trasformazione di significato delle dissonanze, che da alternanza diventano dolore momentaneo necessario al piacere; e ciò, come si vedrà, in seguito alla lettura di Verri.

Il capitolo III si è soffermato sull'opera pubblicata nel 1790 in prima edizione, nel 1793 e nel 1799 in seconda e terza edizione. Emerge come la teoria dell'arte musicale che vi è contenuta possa essere compresa solo quando la si inserisca nel contesto sistematico della terza Critica, e non la si separi forzatamente dalle sue premesse. Se si tiene presente come ogni accenno all'arte musicale non sia una riflessione casuale, né un'osservazione sporadica, ma si ricolleghi direttamente ed esplicitamente a principi fondamentali della Critica, si comprenderà come questa teoria, ben lungi dal potersi considerare un coacervo di contraddizioni, presenti una sua unitarietà sistematica, né sia riconducibile alle bizzarrie della psiche del filosofo, al deteriorarsi delle sue facoltà mentali o al suo pessimo gusto musicale. Si è notato che la concezione musicale di Kant è riconducibile a un'impostazione idealistica, in quanto la musica esprime idee estetiche, formalistica poiché la forma matematica indipendente da qualsiasi sentimento è l'oggetto del giudizio musicale, sensistica in quanto considera l'effetto corporeo lo scopo principale della musica, e infine naturalistica, poiché fonda l'espressione del sentimento sulle modulazioni naturali della voce. Una comprensione unitaria della musica, si osserva (si veda ad esempio il saggio di Moos del 1922 ristampato in Nachtsheim 1997, p. 264), fu esposta non da Kant, ma dai pensatori del XIX secolo che si fondavano sui risultati della sua filosofia.

Si potrebbe forse rispondere a questa obiezione con l'osservazione che la teoria di Kant non è né idealismo, né formalismo, né sensismo, né naturalismo ma, semplicemente, "kantismo". La teoria della Critica del Giudizio si fonda sulla compresenza di diversi piani di indagine: vi si notano la riflessione sulla natura fisica del suono, la considerazione della sua percezione estetica, l'osservazione dei suoi effetti empirici, corporei, oggetto di un'antropologia. Non se ne desuma necessariamente la convinzione che Kant non avesse chiari i presupposti del suo pensiero, né che la sua concezione non sia unitaria; l'interpretazione della teoria presuppone piuttosto sempre la necessità di distinguere il contesto (fisico, trascendentale o antropologico) entro il quale sono formulate le diverse asserzioni; quando ciò sia posto in chiaro, la teoria si presenta nella sua complessità, nella sua ricchezza e nella sua coerenza; difficile è, infatti, incontrare vere e proprie contraddizioni insolubili o considerazioni prive di senso ed incompatibili con altre parti della terza Critica.

Analizziamo ora rapidamente i risultati che saranno esposti nel corso del capitolo, soffermandoci sulla struttura e sul contenuto della teoria. La Critica del Giudizio prevede una bipartizione in "Critica del giudizio estetico" e "Critica del giudizio teleologico". Entro la prima è posta una suddivisione fra Analitica del bello (§§ 1-22) e Analitica del sublime (§§ 23-29). Il § 7 chiarisce, sviluppando un'antropologia empirica, che il giudizio su un singolo suono, ad esempio di un violino oppure di uno strumento ad arco, non può essere se non soggettivo e individuale. Da esso ci si può spingere tutt'al più sino a un'universalità relativa; è possibile che, pur nella loro assoluta diversità, i giudizi dei singoli soggetti si possano ricondurre, grazie all'osservazione empirica, ad alcune regole generali che li accomunano in una società particolare, ma non si potrà mai affermare che il giudizio debba essere valido necessariamente per tutti gli individui a prescindere da qualsiasi osservazione empirica. Spostandosi sul terreno di una critica trascendentale, il paragrafo afferma che solo il giudizio su un concerto nel quale regni sovrana l'armonia potrà aspirare a valere a priori per tutti, perché suo oggetto è la regolarità dei rapporti numerici fra i suoni. Il § 14 analizza l'oggetto del giudizio e distingue l'attrattiva della singola sensazione, tema di un'antropologia empirica, dalla bellezza dei suoni puri e della composizione, oggetto di una critica trascendentale. Se la bellezza possa competere non solo ai suoni semplici, ai suoni fondamentali, ma anche a tutti i suoni in generale è problema del quale è prospettata una soluzione in via ipotetica; non si può stabilire con certezza che ogni singolo suono possa essere considerato bello, ma si può dire che ciò può verificarsi se si accettano due premesse: che sia vera la teoria fisica (ripresa da Euler) sulla natura ondulatoria del suono e che sia vera la teoria trascendentale che l'animo è in grado di percepire questa struttura fisica nella valutazione estetica. Kant nutre tuttavia seri dubbi sulla seconda possibilità, mentre accetta senza esitazione la prima. Il § 15 esclude che vi possa essere un'attività oscura dell'animo a fondamento di tutto ciò che è relativo al gusto o alla produzione dell'arte bella; non accetta quindi la tesi, di derivazione leibniziana, che le improvvisazioni di un organista siano dovute a un'attività conoscitiva oscura della nostra anima. Il § 16 presenta le improvvisazioni musicali prive di un tema e la musica senza testo in generale, la musica strumentale pura, come oggetto di un giudizio sulla bellezza indipendente da ogni concetto: solo il libero gioco fra le facoltà dell'intelletto e dell'immaginazione può pronunciare un giudizio a priori su questo tipo di musica. Sia nel § 15 sia nel § 16 è svolta, relativamente alla musica, una critica trascendentale, né vi si rintraccia alcun interesse empirico o antropologico. La "Nota generale alla prima sezione dell'analitica" non analizza se non la musica come arte piacevole ed è un contributo all'osservazione antropologica dei suoi effetti; la struttura matematica, è sì, come si ripeterà nel § 53, la conditio sine qua non dell'attrattiva, ma non è sufficiente a suscitarla; al contrario può verificarsi che essa risulti sgradevole e sia di ostacolo al libero movimento dell'immaginazione involontaria.

Alla nota fa seguito una Deduzione del giudizio di gusto (§§ 30-38). I paragrafi dal 39 al 41 affrontano in successione il problema della comunicabilità di una sensazione, il concetto del senso comune, l'interesse empirico per il bello. Il § 42 svolge una duplice considerazione: il virtuosismo nelle arti non è certo rivelatore di un interesse morale per la bellezza ed è quindi inferiore all'interesse per la bellezza naturale che manifesta direttamente un nesso molto stretto con il sentimento morale. I suoni musicali sono inferiori, sotto l'aspetto dell'interesse morale, ai suoni naturali; questi ultimi sono un linguaggio cifrato attraverso il quale la natura parla in modo immediato al nostro sentimento morale. Queste due considerazioni non escludono un nesso fra l'arte dei suoni e la moralità. Le considerazioni di questo paragrafo sulla bellezza naturale sono riprese nel § 59 che presenta la bellezza come simbolo della moralità.

I paragrafi 43-54 espongono la teoria dell'arte. Il § 44 inserisce la musica da tavola fra le arti piacevoli, atte a generare non il vero piacere estetico a priori, ma godimento e benessere corporei; la musica da tavola non è quindi certo arte bella, né la forma di musica più amata da Kant; compaiono qui ancora osservazioni antropologiche. Il § 48 pone, invece, in evidenza entro una critica trascendentale la possibilità di una contemporanea presenza di genio e gusto nell'opera d'arte musicale. Il § 51 analizza la musica come arte del bel gioco delle sensazioni e conclude che essa può essere considerata arte bella, purché si accetti, con Euler: che i suoni siano vibrazioni dell'aria in successione, che un orecchio musicale sia una particolare ed eccezionale sensibilità in grado di percepire rapporti matematici fra più note e rapporti fra vibrazioni sonore all'interno di una singola nota, che alle vibrazioni sonore siano analoghe le vibrazioni dell'etere che danno luogo ai colori. Su queste basi il paragrafo riprende e risolve nell'estetica il problema, già affrontato nella Critica della ragion pura, di una "anticipazione" della qualità, di una fondazione a priori della sensazione acustica e ottica. Tutte queste considerazioni possono essere collocate sul terreno di una "critica trascendentale", fatta eccezione per la determinazione della struttura fisica dei suoni e dei colori. La possibilità, derivante dall'osservazione sia fisica sia antropologica, che il senso dell'udito non riesca a percepire la struttura matematica degli intervalli e del singolo suono, ravvisando in essi un rumore privo di leggi è prospettata come ipotesi alla quale non si dà però credito. Per il § 51 la musica è arte bella, sia quanto agli intervalli, sia quanto ai singoli suoni, purché si ammettano le ipotesi esposte sopra. Il § 52 imposta il concetto della "cultura", del valore propedeutico dell'arte musicale in relazione allo sviluppo del sentimento morale; il canto, la danza, l'oratorio presentano un'unificazione fra il piacere per il bello e il piacere per il sublime e sono quindi "cultura". Si riprende qui il rapporto con il sentimento morale emerso nel § 42; se queste arti si uniscono all'esposizione di idee morali realizzano il loro proprio fine, se esse si limitano a essere usate come mezzo per scacciare la noia, si trasformano in mero godimento. Il § 53 si sofferma sia sull'aspetto empirico sia sull'aspetto a priori della musica che prende in considerazione non solo relativamente al giudizio di gusto, ma anche con riferimento alla produzione artistica. L'arte musicale esprime e suscita al tempo stesso una serie di sensazioni le quali si qualificano in modo più preciso come affetti, la cui azione è passeggera, riguarda l'immaginazione involontaria ed è sottoposta alle leggi meccaniche dell'associazione psicologica; sono queste le caratteristiche che permettono di rendere comprensibile l'attrattiva empirica che essa esercita universalmente. La musica esprime e suscita, però, anche un affetto dominante, che corrisponde al tema; questo affetto è l'idea estetica, indeterminata, costituita da una ricchezza di pensieri inesprimibile, indipendente dalla legge meccanica dell'associazione, e strettamente connessa invece con idee morali; il mezzo di cui il musicista si avvale per esprimere e comunicare l'idea estetica del tema è la forma matematica della composizione, risultante dall'armonia e dalla melodia, nelle quali il succedersi dei suoni assume struttura temporale; a differenza della comunicabilità universale "relativa" dell'attrattiva, la comunicabilità universale del tema garantita dalla struttura matematica è a priori, favorisce la cultura dell'animo e non dipende dalle leggi meccaniche dell'associazione. La forma musicale alla quale si riferiscono queste osservazioni è la musica strumentale pura costruita attorno a un tema-affetto dominante. Il § 54 è incentrato sull'esame degli effetti corporei, anche terapeutici, delle sensazioni sonore; queste osservazioni empirico-psicologiche, derivanti dagli studi antropologici di Kant, non contribuiscono in nulla alla determinazione del piacere estetico, né si possono confondere con l'analisi del problema se la musica sia bella oppure piacevole, ma si concentrano sugli aspetti piacevoli di quell'arte; il piacere corporeo non è equivalente al piacere a priori, ma coincide, come già aveva notato Epicuro, con un sentimento vitale di benessere. Fra il § 55 e il § 59 (il § 60 è un'appendice e tratta la metodologia del gusto) si sviluppa la Dialettica del giudizio estetico che, però, non contiene accenni alla teoria musicale. Nella Critica del Giudizio teleologico il § 62 dimostra che la finalità delle relazioni aritmetiche fra i suoni musicali è bella, non essendo oggetto della matematica come scienza fondata su concetti, come invece ipotizzava Sulzer, e non essendo neppure oggetto di un intelletto divino intuitivo, come la intendeva Platone.



Torna al sommario