CAPITOLO 2: LA QUESTIONE ONTOLOGICA




1. INTRODUZIONE

Quando ci si interroga sulla natura del tempo, si incontra subito un grosso problema, ovvero l'identificazione dei termini di cui si parla. Si vorrebbe parlare di istanti, ma che cosa sono gli istanti? Di cosa si sta effettivamente parlando? Poiché il tempo non può essere percepito con nessuno dei cinque sensi, occorre rifarsi a qualcosa che è percepibile e conoscibile: l'evento. Che cos'è un evento? Le definizioni variano. Si può avere a che fare con un evento fattuale, cioè con un soggetto che gode di determinate proprietà, oppure con un evento verbale, come l'emissione di una frase da parte di un soggetto parlante.

L'evento ha durata? Dal punto di vista percettivo sicuramente sì. Non si può percepire un evento se non ha una certa durata; infatti l'abilità percettiva umana ci permette di riconoscere solo quegli eventi che hanno una durata superiore ad una certa soglia. Ma gli eventi possono avere una durata che varia da un minimo di qualche secondo fino a mesi, anni e oltre. Un evento può essere infatti lo starnuto di Giovanni così come la prima guerra mondiale o la vita di un dinosauro.

Se la ragione per cui si introducono gli eventi per parlare del tempo è che gli eventi sono percepibili attraverso i sensi, mentre gli istanti sono conoscibili solo attraverso gli eventi, allora sembra possibile concludere che gli eventi e di conseguenza gli istanti hanno tutte e solo quelle proprietà con cui vengono percepiti.

La durata di un evento crea però dei problemi dal punto di vista concettuale quando si introduce il presente. Si prenda ad esempio in considerazione un evento come il regno della regina Elisabetta II d'Inghilterra e ci si chieda: è presente? La risposta è chiaramente affermativa. Ci si trova così di fronte ad un evento presente con una durata. Si può però dividere questo evento in più sezioni temporali, ad esempio si può dividere in base agli anni: il regno del 1997, del 1996, del 1995, del 1994, ecc. e ci si chiede: il regno del 1994 è presente come quello del 1997? La risposta è ovviamente negativa (assumendo di essere nel 1997). Inoltre all'interno dello stesso anno 1997, solo un giorno è presente. E all'interno del giorno presente solo un'ora, un minuto, un secondo, un centesimo di secondo è presente. Si arriva così ad ammettere che se un evento ha una durata, quest'ultima è divisibile in parti temporali di cui è presente solo una e in senso stretto è presente solo una parte che non ha durata, ovvero che non è ulteriormente scomponibile in sottoparti. Se al contrario si potessero definire presenti due parti, il presente perderebbe la sua peculiarità. Quindi se un evento è percepito come duraturo, solo una parte istantanea è strettamente presente.

Le proprietà dell'evento quali durata o istantaneità e le relazioni di precedenza, simultaneità e successione sono perfettamente traducibili in termini geometrici. Se infatti si introduce il tempo-retta, si visualizza facilmente che ad esempio l'evento E ha durata da a a b, che la sua parte istantanea c precede b e che la parte di E che dura da c a b è simultanea con l'evento F.

C'è però una caratteristica del tempo che non sembra trovare un esatto riscontro nello spazio, ovvero il divenire del tempo: ciò che era ieri, oggi non è più, quello che è oggi, ieri non era ancora e domani non sarà più, quello che sarà domani, oggi non è ancora. In effetti, si è storicamente cercato di fornire una descrizione spaziale del divenire del tempo prendendo l'avvio dalla metafora del tempo-retta: i termini cui si fa riferimento sono gli eventi che sono considerati alla stregua di oggetti nello spazio e ci si chiede in che modo passato, presente e futuro ineriscono agli eventi.

Gli oggetti nello spazio possono essere definiti da qualità o da relazioni. Si supponga che passato, presente e futuro siano paragonabili a qualità, in tal caso si verifica che passato, presente e futuro siano una serie di qualità che individuano man mano eventi diversi. In questo caso si può chiedere: a che velocità procedono le qualità? Con questa domanda emerge il paradosso di Williams e Smart. Pertanto passato, presente e futuro non sono da considerarsi come qualità.

Si provi invece a considerare passato, presente e futuro come relazioni. Se sono relazioni che si instaurano fra gli stessi eventi si finisce per ricadere in una descrizione statica e atemporale del divenire del tempo, come si è visto attraverso la ricostruzione dell'argomento di McTaggart.

Si può anche ritenere che passato, presente e futuro siano relazioni fra eventi stabili ed immutabili da una parte e un termine extratemporale dall'altra. Quest'ipotesi, avanzata per la prima volta da McTaggart, necessita di alcuni approfondimenti; infatti sarebbe utile sapere che cos'è questo termine extratemporale, quali caratteristiche ha e soprattutto come rende conto del divenire del tempo. In mancanza di queste delucidazioni, non resta che abbandonare anche quest'ipotesi.

A questo punto il problema con cui ci si trova a fare i conti è: che cosa significa divenire? Che cosa diviene? Ora invece di considerare gli eventi come soggetti stabili e immutabili cui afferiscono qualità o relazioni, si potrebbe introdurre l'idea che siano gli eventi stessi a trasformare le loro caratteristiche ontologiche: ovvero ad iniziare ad esistere o smettere di esistere. Questa ipotesi è stata scartata dapprima da McTaggart, poi anche da Williams e Smart e in generale dalla maggior parte dei filosofi analitici che si sono occupati del tempo.

Perché? Perché anche questa descrizione del divenire del tempo è inevitabilmente condizionata da parametri spaziali che la fanno necessariamente incorrere in un paradosso simile a quello presentato da Williams e Smart. Se infatti gli eventi iniziano ad esistere e smettono di esistere, devono iniziare e smettere di esistere rispetto a qualcosa. Come i confini spaziali di un qualsiasi oggetto sono definibili solo rispetto ad un sistema di riferimento spaziale più ampio dell'oggetto stesso, allo stesso modo i confini temporali sono definibili solo rispetto a dei parametri temporali che si estendono al di là dell'evento preso in considerazione. Nel caso del sistema di riferimento spaziale ci si immagina di poter isolare una certa regione solidale rispetto all'osservatore e di poter idealmente attribuire a ciascun punto delle coordinate numeriche che permettono di individuarlo. All'interno di questo contesto, i confini degli oggetti assumono valori ben definiti e qualsiasi loro movimento è altrettanto definibile, nel senso che si può descrivere la zona di partenza, tutti gli spazi attraversati e il luogo di destinazione finale.

Per quel che riguarda il tempo ci sono dei problemi nel ritenere che si possa in qualche modo dispiegare un insieme di istanti solidali e immutabili rispetto all'osservatore all'interno dei quali avviene il divenire temporale. Si potrebbe pensare al sistema di riferimento temporale come ad una distesa ben ordinata di istanti a ciascuno dei quali viene dato un nome, comunemente noto come data. Gli eventi possono essere immaginati come oggetti che appaiono, occupano uno dopo l'altro gli istanti in successione, e scompaiono. Ma una volta che si dà una caratterizzazione del tempo estesa e si postula che siano gli eventi a trasformarsi, allora si cade nel paradosso di Williams e Smart. Infatti ci si chiede: a che velocità si succedono gli eventi lungo la linea del tempo?

Questa descrizione del tempo non è compatibile con le premesse da cui si è partiti. Gli eventi sono infatti stati introdotti col preciso scopo di individuare gli istanti di tempo. Poiché gli istanti di tempo non sono conoscibili se non attraverso ciò che accade, gli accadimenti o, per meglio dire, gli eventi diventano i termini che si usano per parlare del tempo. Ma quando si introduce il divenire temporale in qualunque delle sue forme, si è costretti a introdurre un sistema di riferimento temporale che costituisca il parametro all'interno del quale è definibile il cambiamento. Il sistema di riferimento che si introduce è il tempo-retta, ovvero un tempo esteso, immobile e spazializzato. Un punto dopo l'altro o, per meglio dire, un istante dopo l'altro è caratterizzato dall'esistenza istantanea dell'evento che lo caratterizza. Ovvero se l'evento può essere immaginato come una luce che illumina l'istante, si dà la seguente situazione:

Anche se per ragioni di semplicità grafica sono costretta a rappresentare diversi tempi-retta, è opportuno tenere presente che il tempo-retta resta unico e ciò che inizia e smette di esistere sono gli eventi. Questa rappresentazione del divenire temporale è chiaramente destinata ad incorrere nel paradosso di Williams e Smart: infatti ci si può chiedere a che velocità si succedono gli eventi. Per rispondere alla domanda occorre far intervenire un ipertempo e si genera così un regresso all'infinito.

Di fronte a questa situazione, C. D. Broad propone di abbandonare progressivamente i presupposti spaziali all'interno dei quali si fornisce una descrizione del divenire del tempo. Egli avanza l'ipotesi che il divenire non necessiti del sistema di riferimento all'interno del quale viene misurato: abolisce infatti il tempo-retta.

Broad arriva ad affermare che il cambiamento del tempo non avviene nel tempo, ma lo stesso divenire degli eventi è il tempo. Quindi il tempo, per restare all'interno della metafora, è costituito dall'illuminarsi uno dopo l'altro degli eventi senza che ci sia il sistema di riferimento all'interno del quale tale divenire è misurato. Questa affermazione, se corretta, mina alle fondamenta la metafora del tempo-retta. Infatti la metafora spaziale presuppone che qualsiasi movimento nello spazio sia misurabile in base a ben precisi parametri spaziali e temporali, e allo stesso modo il cambiamento temporale presuppone dei punti di riferimento temporali stabili e immutabili. Dicendo che lo stesso cambiamento del tempo costituisce il tempo, non c'è parametro all'interno del quale il divenire può essere misurato: si abbandonano così i presupposti spaziali che sembravano imprescindibili per una adeguata descrizione del tempo.

2. BROAD

Broad ha avanzato l'ipotesi che la metafora del tempo-retta e, in generale, gli strumenti spaziali per analizzare il tempo risultino inadeguati per una corretta descrizione del divenire del tempo. Egli ha pertanto fornito una revisione della metafora e ha mostrato quali aspetti del tempo trovano una corrispondenza nello spazio e quali lo differenziano dallo spazio rendendo la metafora spaziale assolutamente inadeguata. Il presente capitolo si propone di ricostruire tre diverse tappe che contraddistinguono l'evoluzione del pensiero di Broad.

2.1. GLI ESORDI ATEMPORALISTI

2.1.1. LE PROPOSIZIONI TEMPORALI RIGUARDANO GLI EVENTI O I 'CONTINUANTS'?

Il primo resoconto di Broad sul tempo si ritrova in un intervento scritto per l'Encyclopedia of Religion and Ethics nel 1922. Alla voce "Time" egli si pone apertamente dalla parte degli atemporalisti. Nella terza sezione del suo articolo intitolata "Relations of Time to Logic" egli affronta le espressioni temporali, ovvero quelle che enunciano l'occorrenza di un particolare evento. Broad considera ad esempio l'espressione "la regina Anna è morta", che è vera in alcuni istanti e falsa in altri. Le proposizioni temporali si contrappongono (1) a quelle che individuano verità eterne, come ad esempio la proposizione matematica "2+2=4", che esprime una relazione atemporale fra elementi atemporali, e (2) alle espressioni ipotetiche, come "se piove e sono senza ombrello, mi bagno", che non si riferiscono ad alcun istante particolare.

Vale la pena di sottolineare che le proposizioni temporali sono così definite:

Propositions which assert the occurrence of particular events

E' interessante notare che, secondo Broad, le espressioni temporali riguardano eventi e non oggetti. C. W. K. Mundle, nella sua ricostruzione del pensiero di Broad, scrive che i predicati temporali si applicano ai cosiddetti 'continuants' oltre che agli eventi:

Tensed verbs are not only employed in statements which asserts the occurrence of the events; they are employed also in statements which predicate a quality of a continuant (e. g. "John is (now) thin"), and these, too, are "at the mercy of time"

Il termine inglese 'continuant', che non ha un'esatta traduzione in italiano, vuol dire approssimativamente 'soggetto che permane ed è il referente di qualità e relazioni' e serve generalmente per indicare oggetti o esseri viventi, ovvero ciò che permane al variare di qualità e relazioni che comunemente si percepiscono. Ma perché Broad non si occupa dei 'continuants'? Mundle propone la sua interpretazione:

Broad simplifies the problem by concentrating on the use of tensed verbs in statements which assert the occurrence of an event, usually a fall of rain.

In effetti, nell'articolo in considerazione, Broad tratta gli eventi come 'continuants', ovvero come 'sostrati immutabili e permanenti di relazioni'. Negli scritti successivi egli modificherà alcune caratteristiche degli eventi che ancora sono conservate nell'articolo del 1922: la permanenza e la stabilità.

2.1.2. LA RIDUZIONE ATEMPORALE DELLE PROPOSIZIONI TEMPORALI

L'atemporalismo di C. D. Broad è una conseguenza del fatto che considera gli eventi come sostrati permanenti di relazioni. Come ho mostrato nella mia analisi dell'argomento di McTaggart, ogniqualvolta "passato", "presente" e "futuro" sono trattati come le relazioni "precedente", "contemporaneo" e "successivo" fra eventi, emerge l'atemporalismo. Vi fa eco l'affermazione dello stesso Broad che le proposizioni temporali sono chiaramente traducibili in espressioni atemporali, attraverso una copula atemporale e una fra le relazioni "precedente", "contemporaneo" e "successivo". Ogni proposizione temporale non fa altro che porre in relazione un evento con un certo istante. Infatti passato, presente e futuro sono proprio le relazioni che si instaurano fra un evento e un istante; Broad dichiara che presente, e indirettamente futuro e passato, sono predicati ambigui di un evento se non viene specificato l'istante cui si fa riferimento:

The statement 'e is present' is essentially incomplete and ambiguous, for, as we loosely say, it is sometimes true and sometimes false. The first thing is then to fill in the special time involved in the proposition. We then get 'e is present at t', where t is some definite moment fixed by some system of dating from a well-known and presumably unique event.

A questo punto si pongono i seguenti problemi: innanzitutto verificare se esistono cose come gli istanti di tempo e in secondo luogo come riferirsi agli stessi. Infatti come scrive lo stesso Broad:

We are not directly aware of moments of time, and so can date events only by other events.

La soluzione che Broad propone per datare gli eventi è quella di introdurre degli eventi che sono enunciati verbali. Nel concreto Broad propone di procedere alla traduzione atemporale di espressioni temporali nel modo seguente:

The statement 'e is present' is an incomplete statement which is interpreted in use to mean 'e is at (or occupies) the same moment as my assertion that is now present'; 'e is now past'='e was present'='e is at a moment earlier than my assertion that e is now past'. Similarly, 'e will be present'='e is now future'='e is at a moment subsequent to my statement that e is now future.'

L'idea è che si stabilisce una relazione atemporale fra un evento e una emissione verbale o, per meglio dire, fra un evento verbale e uno fattuale.

E' qui evidente ancora una volta la difficoltà di scindere istante ed evento, poiché l'istante non sembra caratterizzabile altrimenti che per mezzo di un evento; Broad non fa direttamente riferimento agli istanti, ma agli eventi verbali che individuano in modo univoco gli istanti. Pertanto l'occorrenza verbale che individua un istante non è una data, bensì un evento unico e irripetibile. Quindi poiché non ci si può riferire direttamente ad un istante, si può solo creare una relazione fra eventi, fattuali da una parte e verbali dall'altra.

2.1.3. L'ASPETTO FENOMENOLOGICO

Si potrebbe obiettare alla caratterizzazione appena descritta che le date sono dei modi per individuare gli istanti indipendentemente dagli eventi. Pertanto le proposizioni temporali potrebbero essere traducibili in relazioni fra eventi e date. Perché Broad non introduce le date? La risposta a questa domanda la si trova nel paragrafo successivo dello stesso articolo intitolato "Past, present and future". Egli scrive:

These three distinctions (past, present and future) correspond to the three possible temporal relations between our judgments and the events which our judgments are about.

Quindi passato, presente e futuro individuano relazioni fra giudizi ed eventi, fra stati epistemologici e psicologici da una parte ed eventi dall'altra. Di fatto i giudizi che si possono enunciare su un qualsiasi evento fattuale non devono coincidere temporalmente con quest'ultimo. Passato, presente e futuro sono infatti generati, a parere di Broad, dalle diverse relazioni che si vengono a instaurare fra giudizi ed eventi fattuali.

Di fatto i giudizi sono strettamente connessi a stati psicologici ed epistemologici, in particolare la consapevolezza ("awareness") e il ricordo.

Il rapporto fra l'atto percettivo e l'atto mentale corrispondente individua l'origine psichica della distinzione fra passato e presente. Quando lo stato mentale (che si chiama "consapevolezza") è contemporaneo all'atto percettivo si ha l'esperienza che è alla base del presente, quando invece l'atto percettivo (il "ricordo") è successivo all'atto percettivo si ha l'esperienza del passato. Nel descrivere questi stati ci si trova nella condizione di dover fare riferimento ad istanti e ad unità di misura per intervalli di tempo che prescindono da qualsiasi stato mentale. Si individua cioè un certo intervallo di tempo che determina i confini all'interno dei quali si costituisce l'atto mentale della consapevolezza: se l'oggetto ha una distanza dall'atto percettivo superiore a quell'intervallo, lo stato mentale ad esso corrispondente è il ricordo, se invece l'oggetto rientra temporalmente nei confini dell'atto percettivo, allora lo stato mentale corrispondente è la consapevolezza.

Se quindi da una parte Broad definisce passato, presente e futuro in relazione a differenze psicologiche ed epistemologiche, gli occorre poi poter definire la durata del presente specioso indipendentemente dal soggetto percepiente e giudicante.

2.1.4. L'UNIFORMITÀ ONTOLOGICA

Il fatto di aver voluto prendere come punto di partenza per descrivere il tempo l'atto mentale che corrisponde alla percezione fa sì che si chieda una giustificazione dell'apparente iniziare ad esistere e smettere di esistere degli eventi, per cui quando diventano presenti iniziano ad esistere e quando diventano passati smettono di esistere. E' interessante che Broad si ponga la questione perché, sebbene in questo primo scritto dia una risposta atemporalista, il problema ha radici profonde e riemergerà con soluzioni differenti negli scritti successivi.

Broad presenta la questione come se riguardasse le sole espressioni linguistiche:

We can now deal with such statements as that only the present exists, or that the present is a mere transition from one infinite non-existent to another.

Ma la sua posizione di fronte a queste proposizioni è la seguente:

These phrases are mere rhetoric rooted in confusions.

Egli mette in evidenza che sebbene non tutti gli eventi coesistano temporalmente, tutti coesistono in quanto fanno parte di quel tutto che è la storia:

It is perfectly true, of course, that the all history of the world is not a complex of co-existing parts (in the sense of parts existing at the same time), as a table is. But this does not mean that it is not a whole, or that one part of it exists any less than any other part.

Broad quindi distingue due tipi di coesistenza:

The fallacy that we have to avoid is that of confusing two different senses of co-existence. In one sense the parts of any related whole co-exist; in another only those events that occupy the same moment of time co-exist. It is clear that the whole course of history does not co-exist in the second sense, and it is thought that this prevents it from co-existing in the first. Yet this is necessarily false, since it is admitted that events do have and continue to have temporal relations, and therefore they must form a related whole all of whose parts have being.

In questo modo si viene a creare una uniformità ontologica fra tutti gli eventi, non solo quelli passati e presenti, ma anche quelli futuri: tutti sono ugualmente esistenti.

2.1.5. CONSIDERAZIONI

E' opportuno ripercorrere come si è arrivati a queste conclusioni. Innanzitutto, nel paragrafo 3 del suo articolo, Broad mette in evidenza che passato, presente e futuro sono relazioni fra eventi ed istanti. Come si è visto attraverso l'analisi dell'argomento di McTaggart, quando passato, presente e futuro diventano relazioni si incorre inevitabilmente nell'atemporalismo. Infatti la relazione richiede che i due termini che vengono collegati siano confrontabili e perciò abbiano un sistema di riferimento all'interno del quale siano definibili. Quindi, quando si parla di relazione, si è costretti a porre sullo stesso piano i termini della stessa relazione e da questo deriva l'uniformità ontologica degli eventi sia fattuali che verbali.

La descrizione del tempo che emerge è chiaramente assimilabile alla B serie come è stata descritta nel paragrafo 2.1 del primo capitolo. Gli eventi hanno tutti la stessa consistenza ontologica e si possono istituire fra loro delle ben precise relazioni. La metafora del tempo-retta può quindi rientrare a pieno titolo:

Gli eventi A, B, C, D hanno tutti una precisa collocazione temporale e mantengono fra loro relazioni stabili e immutabili. Si può quindi concludere, come per la B serie, che:

1) gli eventi sono immutabili (non iniziano e non smettono di esistere)

2) gli eventi sono collegati fra loro da relazioni.

Come rientra la descrizione fenomenologica in un tale panorama? Broad desidera distinguere passato e presente sulla base di differenze negli stati mentali. Nella descrizione che egli fornisce degli stati mentali è costretto ad introdurre una certa quantità temporale che costituisce idealmente la durata dell'evento percepito come presente, egli quindi deve in un certo senso misurare la percezione dell'evento con un metro, cioè con un'unità di misura, che prescinde dalla percezione stessa e dallo stato mentale ad essa corrispondente. In questo modo si mette in luce da una parte che la prospettiva atemporalista pervade tutto lo scritto, dall'altra che considerazioni di tipo fenomenologico incominciano ad emergere fin dal primo scritto di Broad sul tempo.

2.2. LA SVOLTA TEMPORALISTA

E' proprio l'uniformità ontologica che viene messa in discussione nell'anno successivo (ovvero il 1923) dallo stesso Broad. Nel suo libro Scientific Thought egli mette subito in evidenza le differenze fra lo spazio e il tempo, sottolineando che passato, presente e futuro prescindono completamente da qualsiasi caratterizzazione di tipo spaziale. Dal punto di vista ontologico egli sostiene una teoria che "accetta la realtà del presente e del passato, ma afferma che il futuro è un semplice nulla."

E' interessante che, sebbene un solo anno separi la pubblicazione di Scientific Thought dall'articolo apparso su Encyclopedia of Religion and Ethics, fra i due ci sia una notevole differenza nel contenuto e nel secondo non ci sia alcun riferimento all'articolo dell'anno prima.

2.2.1. IL RIFIUTO DELLE DESCRIZIONI SPAZIALI O PSICOLOGICHE DEL TEMPO

Nel capitolo intitolato "The General Problem of Time and Change", Broad esordisce affermando che la metafora del tempo-retta non riesce a descrivere adeguatamente il divenire del tempo, ovvero la direzione degli eventi che diventano da futuri a presenti a passati. Sembra che la soluzione si possa ritrovare nell'aggiungere al tempo-retta un presente in movimento:

We are naturally tempted to regard the history of the world as existing eternally in a certain order of events. Along this, and in a fixed direction, we imagine the characteristic of presentness as moving, somewhat like the spot of light from a policeman's bull's-eye traversing the fronts of the houses in a street.

Ma questa descrizione fa riemergere il problema del regresso all'infinito di Smart e Williams:

But, in the first place, the lighting of the characteristic of presentness now on one event and now on another is itself an event, and ought therefore to be itself a part of the series of events, and not simply something that happens to the latter from outside. (...) Thus all the problems that the policeman's bull's-eye analogy was invented to solve are simply taken out of other events to be heaped on that particular series of events which is the movement of the bull's-eye.

Non solo è quindi scartata l'immagine del tempo-retta combinata col presente in movimento, ma anche l'ipotesi che il divenire dipenda dalla diversa relazione cognitiva che si instaura fra un evento e gli stati mentali. Questa idea ha sempre affascinato Broad che infatti scrive:

It is extremely tempting to try to resolve the difference between past, present and future into differences in the cognitive relations of our minds to different events in a series which has intrinsic order but no intrinsic sense.

Però le caratteristiche cognitive, ad esempio memoria e percezione, creano a loro volta un regresso all'infinito, infatti:

These cognitive characteristics do not suffice to distinguish a past from a present event, since every event that O knows has both these relations to him. If you add that an event always has the perceptual relation to O before it has the memory relation, you only mean that the event of remembering something is present when the event of perceiving it is past, and you have simply defined present and past for O's objects in terms of present and past for his cognitive acts. If you then try to define the latter in terms of different relations to O's acts of introspection, you simply start on an infinite regress, in which past and present remain obstinately undefined at any place where you choose to stop.

Quindi la situazione in cui Broad si trova è quella di descrivere il cambiamento temporale degli eventi avendo escluso innanzitutto il tempo-retta, in secondo luogo il tempo-retta combinato col presente in movimento e in terzo luogo la relazione cognitiva fra eventi e stati mentali.

2.2.2. LA TRASFORMAZIONE ONTOLOGICA

Ciò che Broad propone è di modificare la metafora del tempo-retta per poterla rendere adatta a descrivere il cambiamento temporale degli eventi. Viene infatti mantenuto che il cambiamento riguarda gli eventi, ma il modo in cui gli eventi cambiano è paragonato a quello in cui cambiano gli oggetti.

Il punto di partenza di Broad è costituito dal fatto che passato, presente e futuro ineriscono agli eventi, e ora si tratta di intendere il modo in cui si instaura questa connessione. La prima ipotesi formulata da Broad è che passato, presente e futuro siano qualità che afferiscono agli eventi così come le qualità si attribuiscono agli oggetti. Questa idea si rivela inadeguata: infatti mentre il cambiamento delle qualità degli oggetti è divisibile in sezioni temporali in ciascuna delle quali l'oggetto possiede una ben precisa qualità, nessuna analisi può dividere l'evento in sezioni ciascuna delle quali è o passata o presente o futura, in quanto ciascuna sezione di un qualsiasi evento possiede tutte e tre queste qualità. Si consideri ad esempio un semaforo che da rosso diventa verde; si può stabilire che nell'istante t è rosso mentre nell'istante t' è verde, questo è vero per sempre, mentre l'essere rosso del semaforo a t non è per sempre o passato o presente o futuro, ma assume tutte e tre queste caratteristiche nel corso del tempo.

Non resta dunque che trattare passato, presente e futuro come relazioni, ma Broad mette in evidenza che ci sono due tipi di relazioni degli oggetti. Un tipo è rappresentato dal caso in cui Tom Smith, il figlio di John Smith, diventa più alto di suo padre, il secondo è esemplificabile nella situazione in cui Tom Smith smette di essere il figlio più giovane della famiglia. Il secondo caso è quello da prendere in considerazione: così come Tom Smith trasforma le sue qualità relazionali alla nascita del primo fratello e poi via via alla nascita di tutti i successivi fratelli, così un evento, che smette di essere presente e diventa passato, si mette in relazione con nuovi eventi che iniziano ad esistere. L'idea è quindi che un evento inizia ad esistere ma non smette mai di esistere e la sua esistenza è scandita dalle nuove relazioni che via via instaura con i nuovi eventi che iniziano ad esistere. Broad così descrive la sua teoria:

When an event, which was present, becomes past, it does not change or lose any of the relations which it had before; it simply acquires in addition new relations which it could not have before, because the terms to which it now has these relations were then simply non-entities.

E' rilevante il fatto che contrariamente alle configurazioni sia di McTaggart che di Williams e Smart si dia mobilità ontologica agli eventi: gli eventi iniziano infatti ad esistere; Broad scrive:

The change of an event from present to past turned out to depend on the fact the sum total of existence increases beyond the limits which it had when our given event came into existence.

Ma proprio perché gli eventi iniziano ad esistere nel momento in cui sono presenti, gli eventi futuri non esistono:

It will be observed that such a theory as this accepts the reality of the present and the past, but holds that the future is simply nothing at all.

2.2.3. CONSIDERAZIONI

Vale la pena di confrontare il tempo-retta combinato col presente in movimento, che è stato escluso da Broad, coll'immagine del tempo-retta che cresce, proposta da Broad nel corso della sua trattazione in Scientific Thought.

Nel primo caso si ha a che fare da una parte con una serie di eventi e dall'altra col presente in movimento che viene paragonato da Broad ad una luce lampeggiante che illumina man mano i diversi eventi. Se si identifica il tempo con la serie di eventi, emerge la domanda di Williams e Smart: a che velocità scorre il presente? Subito ci si rende conto che per rispondere a questa domanda occorre postulare un ipertempo, ovvero un tempo che non era previsto nell'immagine del tempo-retta col presente in movimento.

Se ho ben inteso l'intento di Broad, egli vuole eliminare l'ipertempo, egli cioè desidera fornire una descrizione del divenire del tempo che non richieda l'intervento di un ipertempo. Per far ciò egli trasforma la descrizione del tempo: il tempo non è più quella serie di istanti ed eventi rispetto alla quale si muove il presente, ma diventa una serie di istanti ed eventi che man mano aumentano. La domanda che mi pongo è se con questa nuova configurazione egli riesce ad evitare il paradosso presentato da Williams e Smart.

Per raggiungere il suo scopo egli intende creare un'identità fra una certa configurazione degli eventi e l'istante di tempo ad essa corrispondente. Si supponga che un certo evento A sia presente: ciò vuol dire che nessun evento si trova nella relazione "dopo di" rispetto ad A. Alla domanda: quando A è presente? La risposta è: quando A non ha nessun successore; l'istante è quindi individuato e anche creato dall'evento che inizia ad esistere insieme a tutti gli eventi che già esistono. O, per dirlo con altre parole, l'istante è determinato da una certa descrizione del mondo, ovvero da tutti gli eventi esistenti in quell'istante. A questi eventi se ne aggiungono man mano degli altri, e man mano che se ne aggiungono si creano nuovi istanti. Si adotta quindi una descrizione "relazionista" del tempo: non esiste il tempo se non esiste anche il cambiamento ontologico degli eventi, ovvero il tempo presuppone il cambiamento. Al tempo viene però tolta una delle dimensioni che tradizionalmente gli si attribuisce, cioè il futuro.

Ma non si può pensare ad una serie di eventi che cresce senza la possibilità di chiedersi: a che velocità cresce la serie temporale? Si ricade cioè nel paradosso di Williams e Smart nonostante sia stato abolito quello che Broad considerava il presupposto problematico della loro descrizione del tempo: l'immobilismo ontologico di istanti ed eventi.

Credo che sia opportuno analizzare le ragioni del fallimento di Broad attraverso un paragone fra le due impostazioni. Williams e Smart avevano descritto il divenire del tempo in base alla relazione mutevole fra istanti ed eventi da una parte e il presente dall'altra. Introducendo una serie crescente di istanti, Broad fa in modo che ad ogni nuovo istante si creino nuove relazioni fra gli eventi già esistenti e l'evento che ha iniziato ad esistere.

Sia in una caratterizzazione che nell'altra, il paradosso si genera quando ci si propone di descrivere questa mutevolezza di relazioni. Per far ciò occorre un sistema di riferimento indipendente dai termini che caratterizzano di volta in volta la relazione mutevole. E il regresso, che è l'origine del paradosso, si genera quando ci si interroga sul sistema di riferimento adottato e si introduce un altro sistema di riferimento per descriverlo: per descrivere ogni sistema di riferimento occorre introdurne uno nuovo.

In un articolo di poco successivo alla pubblicazione di Scientific Thought, R. M. Blake avanza alcune critiche alla proposta di Broad. Egli afferma che la successione degli eventi non è attribuibile alla mutevolezza ontologica degli eventi, bensì alla percezione. Egli mette in luce che la percezione del 'presente specioso' contiene già in sé la successione:

Within what we immediately experience there is already present the character of succession, i.e., one part of the immediately experienced datum is earlier than the other.

Egli scrive inoltre:

The nonentity of the future is certainly not a fact of immediate experience

Egli si propone di mostrare che l'asserzione di Broad secondo la quale il presente non è succeduto da alcunché è decisamente problematica. Infatti c'è incompatibilità fra l'asserzione di Broad secondo cui un evento ha necessariamente una certa durata e l'asserzione che l'evento presente non ha successore:

By an event I am going to mean anything that endures at all, no matter how long it lasts or whether it be qualitatively alike or qualitatively different at adjacent stages in its history.

Blake sottolinea che la sola sezione di un evento che può essere strettamente presente è una sezione istantanea, in particolare l'ultima sezione istantanea di un evento. Si consideri il caso di un evento presente con una certa durata, ad esempio il mio scrivere al computer: si può dividere questo evento in parti, ad esempio l'intervallo di tempo in cui ho scritto la prima parola, l'intervallo in cui ho scritto la seconda parole e così via. Evidentemente l'intervallo in cui ho scritto la prima parola non è contemporaneo all'intervallo in cui ho scritto la seconda parola, pertanto quando uno è presente, l'altro è futuro e quando il secondo intervallo è presente, il primo è passato. L'intervallo in cui ho scritto la prima parola è poi a sua volta scomponibile in parti che non possono essere contemporanee fra loro. Pertanto un evento che ha una durata non può mai essere presente nella sua totalità, ma solo l'ultima sezione istantanea di un evento può essere strettamente presente.

Blake evidenzia così che la descrizione di Broad non permette di distinguere adeguatamente fra eventi presenti e passati, poiché gli eventi continuano ad esistere anche dopo che sono stati presenti.

Inoltre Blake mette in evidenza che poiché tutti gli eventi possiedono sia la qualità di essere presenti che quella di essere passati o, per dirla con Broad, sono nella condizione sia di non avere successori che di averne e queste caratteristiche sono in contraddizione fra di loro, occorre specificare gli istanti in cui gli eventi in considerazione non hanno successore e gli istanti in cui hanno successore. Quindi passato, presente e futuro sono definiti in rapporto a degli istanti; pertanto diventano relazioni che si instaurano fra eventi ed istanti. Come scrive Blake, ciò non permette di distinguere fra presente ad un istante e presente ora:

For an event to be present at a given time is one thing, and for an event to be present now is quite another.

In sintesi Blake evidenzia alcuni problemi che Broad cercherà di risolvere nel suo successivo scritto sul tempo. Innanzitutto segnala la distanza che si viene a creare fra la percezione del divenire e la descrizione ontologica che ne viene fornita, in secondo luogo la problematica assunzione della durata dell'evento e, indirettamente, del presente, infine l'incapacità di descrivere adeguatamente il presente.

2.3. L'INTERESSE FENOMENOLOGICO

Come mette in evidenza C. W. K. Mundle, Broad nel suo ultimo scritto sulla temporalità fa un'analisi fenomenologica della distinzione fra passato, presente e futuro.

2.3.1. PRESENTEDNESS

Broad prende le mosse dall'affermazione che il 'presente specioso' è l'unico che riesce a rendere conto delle due caratteristiche del tempo: ovvero quella estensiva e quella transitoria. Schematicamente l'aspetto estensivo del tempo è costituito da tutte le caratteristiche che possono essere rappresentate spazialmente, ovvero la durata, la simultaneità e le relazioni "prima di" e "dopo di" fra gli eventi; l'aspetto transitorio racchiude invece quella caratteristica peculiare del tempo che lo differenzia dallo spazio, ovvero la direzione con cui gli eventi diventano man mano da passati a presenti a futuri.

Il problema che Broad si pone è se il presente ha durata o è istantaneo. Da un punto di vista concettuale ciò che è strettamente presente non può avere durata: infatti se il presente avesse una durata sarebbe scomponibile in parti di cui alcune sono passate e altre presenti. D'altra parte per poter percepire sia la persistenza che il cambiamento qualitativo degli oggetti è necessario che si abbia a disposizione la persistenza di qualcosa nel tempo, rispetto al quale l'oggetto permane o muta. Gli esempi che fa Broad sono il sibilo persistente di una emissione di gas e i diversi gradi con cui sento il fischio del treno che si avvicina e si allontana. E' proprio la percezione della durata del sibilo o del fischio che permette di stabilire se sono costanti o variano di intensità.

Per poter conciliare l'aspetto esperienziale con quello concettuale Broad introduce la parola "presentedness". Con "presentedness" si intende una "caratteristica psicologica" in base alla quale si è in grado di percepire una certa quantità di eventi particella, ciascuno dei quali è idealmente senza durata e fra i quali solo il primo è strettamente presente, mentre gli altri si dileguano man mano nel passato.

Pertanto si concilia l'aspetto esperienziale del presente che ha una certa durata e l'aspetto concettuale per cui il presente è istantaneo, è cioè quell'istante che costituisce il confine più recente dell'intervallo percepito come presente.

Sulla base di queste caratteristiche della "presentedness", Broad fornisce il seguente diagramma per descrivere le caratteristiche del presente specioso:

La direzione del tempo è rappresentata dalla direzione spaziale da sinistra a destra della linea AB. Ogni presente specioso è rappresentato da un triangolo rettangolo ABC. Si consideri ad esempio A1B1C1. La durata è rappresentata dal segmento A1B1. Ogni perpendicolare ad un qualsiasi punto del segmento A1B1 rappresenta con la sua lunghezza il grado di presenza dell'evento individuato da quel punto. La perpendicolare C1B1 costituisce l'istante di massimo grado di presenza, ovvero l'unico istante presente in senso stretto.

Attraverso questo diagramma Broad intende rappresentare tre caratteristiche del presente specioso: 1) che tutti i presenti speciosi della stessa mente hanno la stessa durata, 2) che il massimo grado di presenza raggiunge la stessa intensità in tutti i presenti speciosi della stessa mente e 3) che c'è continuità nella nostra esperienza per quel che riguarda i gradi di presenza, ovvero ogni evento viene esperito attraverso tutti i gradi di presenza (pertanto fra due qualsiasi triangoli rettangoli che rappresentano due diversi presenti speciosi, ce ne sono sempre infiniti altri).

2.3.2. IL TRASFORMISMO ONTOLOGICO

Mundle si chiede quali presupposti ontologici sottendono a questa descrizione fenomenologica del divenire temporale e scrive:

Broad adopts the view that the content of the specious present (what a person is now 'prehending') is - apart from its later boundary - to be described as past. In view of this Broad would appear to be committed to a metaphysical theory according to which each event-particle is created and annihilated at successive instants (if it makes sense to talk of successive members of a series which is supposed to be compact); and according to which the answer to the question 'what exists at present?' (what is now real?) would have to be 'a set of simultaneous event-particles' (though, during the time that it takes you to utter this phrase, an infinite number of such sets would have been born and died!).

Broad non è arrivato ad affermare esplicitamente che passato e futuro non esistono e che solo il presente esiste; è interessante in ogni caso notare che la sua presentazione del presente specioso sembra presupporre un tale assunto ontologico. Questa lettura di Mundle è supportata dal fatto che Broad esplicitamente scrive:

Absolute becoming is involved in mere continuance without qualitative change

Egli sostiene quindi che il divenire temporale è un divenire assoluto e questo si differenzia dal divenire qualitativo. Il divenire qualitativo viene generalmente attribuito agli oggetti, gli esempi che Broad propone sono:

when a poker gets hotter or a noise becomes louder

Si ha così a che fare con un oggetto che permane attraverso il cambiamento e assume diverse qualità in istanti diversi. Il cambiamento qualitativo se trasferito sul piano temporale è lo stesso proposto da McTaggart nella sua prima definizione della A-serie: istanti ed eventi sono sostrati immutabili delle qualità passato, presente e futuro che si succedono fra loro.

A qualitative change takes place if and only if there are qualitatively dissimilar terms related by the relation "earlier than".

Per poter rifiutare il cambiamento qualitativo nella descrizione del tempo egli deve per forza rifiutare la premessa principale che è sottesa allo stesso: ovvero l'invarianza ontologica che caratterizza gli eventi. Il divenire temporale non è determinato da qualità o relazioni che vengono attribuite agli eventi da sempre sussistenti, ma coinvolge il fondamento ontologico degli stessi.

Broad stesso nell'ultimo articolo che ha scritto sull'argomento distingue fra cambiamento qualitativo e cambiamento assoluto. Il cambiamento assoluto è così definito:

In the experience of a conscious being Absolute Becoming manifests itself as the continual supersession of what was the latest phase by a new phase, which will in turn be superseded by a new one. This seems to me to be the rock-bottom peculiarity of time, distinguishing temporal sequence from all other instances of one-dimensional order, such as that of points on a line, numbers in order of magnitude, and so on.

Le ragioni che spingono Broad ad adottare il cambiamento assoluto sono di natura ontologica: il cambiamento qualitativo presuppone sempre la preesistenza di ciò a cui le qualità ineriscono, ovvero degli eventi. Eliminando il cambiamento qualitativo, qui Broad intende escludere sia la metafora del tempo-retta combinata col presente in movimento (ovvero la prima definizione della A-serie fornita da McTaggart), sia la metafora del tempo-retta che cresce (la quale è stata adottata dallo stesso Broad in Scientific Thought).

2.3.3. CONSIDERAZIONI

Vale la pena di verificare se la descrizione che Broad fornisce del divenire del tempo risolva i paradossi che intendeva superare. Innanzitutto Broad si propone di far fronte al paradosso di Williams e Smart: egli si rende conto che quando si vuole descrivere il cambiamento del tempo, sia attraverso il tempo-retta combinato col presente in movimento che attraverso un tempo-retta crescente, si postula sempre la coesistenza di eventi con differenti collocazioni temporali. Questa considerazione può essere collegata a quanto è stato rilevato nel paragrafo 2.2.3, e cioè che sia il tempo-retta combinato col presente in movimento che il tempo-retta che cresce cadono nel paradosso di Williams e Smart; è proprio la permanenza degli eventi nel cambiamento che fa sì che ci si chieda: a che velocità il presente si muove da un evento all'altro? oppure: a che velocità nuovi eventi si aggiungono a quelli preesistenti? Com'è noto, per rispondere a questa domanda occorre postulare un ipertempo e quindi cadere in un regresso all'infinito.

L'interpretazione fenomenologica ha sicuramente il pregio di non dover postulare la coesistenza degli eventi, poiché gli eventi iniziano ad esistere quando diventano presenti e smettono di esistere quando cessano di essere presenti. Però proprio l'approccio fenomenologico pone una questione spinosa riguardo alla durata del 'presente specioso'. Infatti, come si è mostrato, dal punto di vista concettuale solo un evento strettamente puntuale può essere presente, mentre dal punto di vista percettivo, che è quello privilegiato dal 'presente specioso', ogni evento deve avere una durata. Broad si propone di far fronte a questa contraddizione attraverso una descrizione bidimensionale del tempo:

The only solution that I can think of is to allege that Time is of at least two dimensions, and that a phase which has zero duration in the dimension which we commonly recognise has a finite "duration" in the other dimension.

Se ci si rifà al diagramma fenomenologico del presente specioso, che è di fatto bidimensionale, ci si rende conto di ciò che Broad ottiene: si prenda un qualsiasi punto della retta AB, che ovviamente non ha alcuna estensione (o "durata") sulla retta AB, ma ha un'estensione variabile sulla perpendicolare ad AB in quel punto a seconda del presente specioso all'interno del quale si trova.

La domanda, a mio parere, essenziale per valutare la descrizione fenomenologica del divenire temporale è: riesce a risolvere il paradosso di Williams e Smart? Io credo che non ci riesca. Si consideri ancora una volta il diagramma presentato da Broad:

ci si può chiedere: a che velocità procede il presente specioso? Come si è evidenziato nel corso della presentazione del pensiero di Broad, il presente specioso assume una durata che viene mantenuta costante al variare degli eventi che sono di volta in volta percepiti come presenti. Questa quantità temporale che permane al variare degli eventi percepiti fa riemergere quella permanenza ontologica che si era abbandonata attraverso il trasformismo ontologico degli eventi. Se col tempo-retta si aveva a che fare con eventi che permanevano al variare del presente, ora si ha a che fare con una certa durata temporale che costituisce il contenitore percettivo all'interno del quale si dispongono di volta in volta gli eventi. Quindi riemerge una situazione che fa ricadere nel paradosso di Williams e Smart che è generato dalla difficoltà di definire un sistema di riferimento all'intero del quale si instaura un rapporto fra ciò che permane (che nel primo caso sono istanti ed eventi, nel secondo il contenitore percettivo) e ciò che muta (nel primo caso le qualità passato, presente e futuro, nel secondo caso l'insieme degli eventi esistenti).
 
 

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Capitolo terzo 

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