Numero e figura
Idee per un’epistemologia della ripetizione
I, § 4

Giovanni Piana

4

- Numero cardinale
- Le molteplicità ordinate
- Il numero come numero-di-posizione
- Cardinalità e ordinalità
- I numeri iterativi
- I segni numerici


Il numero come quanto del molto ovvero il numero che presuppone l’idea della molteplicità come pluralità, e che noi abbiamo voluto chiamare anche numero-di-oggetti, è naturalmente ciò che comunemente si indica con il termine di numero cardinale. Nessuna caratterizzazione della cardinalità potrebbe fare a meno di richiamarsi ad una molteplicità in genere. |1|

Nello stesso tempo non appena parliamo di cardinalità viene subito richiamata alla mente la nozione di ordinalità e di numero ordinale, sulla quale vogliamo ora spostare la nostra attenzione. |2|

La grammatica della lingua italiana provvede a stabilire anche sul piano linguistico questa differenza proponendo degli specifici «numerali ordinali». Si tratta, come si sa, delle parole «primo, secondo, terzo, quarto, ecc.». Queste espressioni verrano impiegate quando ci troviamo alla presenza di una molteplicità ordinata e siamo interessati alla posizione che un certo elemento occupa in essa. |3|

Un buon esempio di molteplicità ordinata sono le lettere del nostro alfabeto. Esse ci vengono insegnate esattamente secondo un certo ordine che comincia con la A e finisce con la Z, anche se quest’ordine non ha nessuna necessità interna. Cosicché ha perfettamente senso chiedere in quale posizione esattamente si trovi la lettera M - domanda a cui la lingua italiana ci raccomanda di rispondere con un numero ordinale. Di passaggio non è forse inutile osservare che se nella lingua italiana non esistessero affatto dei numerali ordinali, la distinzione concettuale non per questo verrebbe meno e saremmo tenuti a metterla in evidenza. |4|

Potremmo allora dire che il numero ordinale è un tipo di numero che risponde alla domanda: «In quale posizione?» Anch’esso può allora essere caratterizzato come numero-di... e precisamente come numero-di-posizione. |5|

La differenza tra cardinale e ordinale è per certi versi ovvia, e tuttavia, non appena ci si pensa un po’ sopra, questa ovvietà tende ad attenuarsi. La differenza inizialmente chiara sta in questo: un conto è determinare il numero degli elementi di un insieme (parola che usiamo qui nello stesso senso di molteplicità o di pluralità) ed un altro è determinare la posizione che un singolo elemento ha nell’insieme. |6|

Nel primo caso potremmo dire che l’ordine è del tutto indifferente, sia che esso ci sia o non ci sia. Le lettere dell’alfabeto restano ventuno sia che la recitazione dell’alfabeto cominci dalla A o dalla Z oppure che l’alfabeto venga scritto su tessere sparpagliate su un tavolo da leggere in un modo qualunque. Per qualunque ordine, il risultato del conteggio non cambia. Vedremo in seguito se il contare sia da riferire essenzialmente alla cardinalità - come saremmo forse indotti a pensare badando non tanto allo svolgimento dell’operazione di conteggio, quanto al suo risultato - oppure se il problema abbia un grado maggiore di complessità e debba essere affrontato in altro modo. |7|

Nel caso del numero ordinale invece non siamo interessati a determinare il numero totale degli elementi dell’insieme, ma la posizione di un singolo elemento in esso. |8|

Di fronte a queste differenze occorre però proporre una precisa relazione: se determiniamo la posizione dell’ultimo elemento di un insieme ordinato abbiamo determinato anche quanti sono gli elementi dell’insieme. Se sappiamo che la Z si trova al ventunesimo posto e che essa è l’ultima lettera sappiamo anche che vi sono 21 lettere dell’alfabeto. Naturalmente il numero di posizione della lettera M è anche il numero di lettere della molteplicità delle lettere comprese tra A e M. |9|

Alla luce di questa constatazione, cardinalità e ordinalità ci appaiono ora assai meno nettamente differenziate di quanto potesse sembrare dalle considerazioni precedenti; e non vi sarebbe da meravigliarsi se sorgessero, pur a partire da determinazioni così semplici e chiare, nodi particolarmente difficili da dipanare proprio per ciò che riguarda il modo in cui esse si trovano in rapporto. |10|

Nella teoria del numero si è molto discusso, ad esempio, su quale fosse la nozione primaria del numero, se la nozione cardinale o quella ordinale, e spesso si è pensato che, proprio per il fatto che l’ordine presuppone qualcosa da ordinare, si dovesse prendere le mosse da una nozione generale di molteplicità, e quindi da una nozione di molteplicità indifferente all’ordine. Una sorta di priorità spetterebbe così alla nozione di numero cardinale. Ma vi sono anche autorevoli teorie opposte. Ciò di cui spesso si sente la mancanza in questo genere di discussioni è un chiarimento preliminare sul senso in cui si parla di primarietà e il contesto in cui questo problema viene posto. In realtà l’interesse della questione diventa chiaramente visibile all’interno di un punto di vista genetico-costitutivo. L’interrogativo verrebbe così posto anzitutto sul modo in cui cardinalità e ordinalità intervengono all’interno della formazione del concetto di numero. In effetti stiamo costruendo il terreno per una ripresa della questione da questo punto di vista. |11|

A queste due forme numeriche, per così dire, ufficialmente riconosciute, ne vogliamo tuttavia aggiungere una terza, che è intervenuta nelle discussioni sulla filosofia del numero assai meno delle precedenti, mentre noi intendiamo dare ad essa la massima importanza. |12|

Si risponde con un numero non solo alla domanda «Quanti?» e «In quale posizione?» ma anche alla domanda «Quante volte?». Ciò suggerisce di istituire una terza nozione di numero da porre accanto a quella dei numeri cardinali e dei numeri ordinali. |13|

La domanda «Quante volte?» è essenzialmente diversa sia dalla domanda «Quanti?» sia dalla domanda «In quale posizione?». A differenza di entrambe, essa non rimanda alla nozione di molteplicità, non rimanda dunque in genere ad oggetti, ma ad azioni o ad operazioni in genere. |14|

«Quante volte ti sei bagnato nello stesso fiume?» - noi rispondiamo appunto «una volta, due volte, tre volte,...». Non possiamo assolutamente trascurare il fatto che ci troviamo qui di fronte ad un impiego del termine numerico che richiede, per essere illustrato, una situazione esemplificativa essenzialmente differente. Non solo il tema della molteplicità nel senso precedentemente inteso non assolve un ruolo, ma si affaccia qui per la prima volta il motivo della ripetizione. |15|

Nella lingua italiana non esiste una designazione numerica speciale come nel caso dei numeri ordinali. Nella lingua latina troviamo invece alcuni indizi interessanti. In essa «Quanti?» si dice Quot? e «in quale posizione?» si dice «Quotus». Tuttavia, oltre a Quot e Quotus il latino possiede anche la formula «Quotiens» (o «Quoties») che chiede appunto «Quante volte?». Ed a questa domanda si risponde con dei numerali specifici come «semel, bis, ter, quater, quinquies» (con carattere avverbiale) che sono diversi sia dai numerali cardinali (unus, duo, tres, quattuor, quinque, ecc.), sia dai numerali ordinali (primus, secundus, tertius, quartus, quintus, ecc.). Si tratta di un’accidentalità linguistica che tuttavia per noi assume il senso di un indizio significativo in relazione ad una specificità dell’impiego del segno numerico. |16|

In assenza di una terminologia consolidata, vogliamo parlare di numeri iterativi. Il numero iterativo in quanto numero-di-volte apparterrà in ogni caso al tipo del numero-di.... e dovrà essere contrapposto, insieme al numero di oggetti ed al numero di posizione al numero inteso come oggettività a sé stante. È opportuno notare che nel caso dei numeri-di... è sempre implicito un riferimento all’applicazione, mentre questo riferimento manca interamente nel caso dei numeri considerati come oggettività. |17|

Ma vi è un altro significato notevole della parola «numero» nel discorso corrente. Talora questa parola designa equivocamente anche la cifra, il segno grafico, il grafema che indica il numero, ad es. il segno «5», che può essere equivalentemente sostituito da qualunque altra convenzione segnica, come «V» secondo la numerazione romana, o da qualunque altra cosa alla quale si sia attribuito un significato designativo numerico. |18|

Diremo allora che una determinata cifra, ad esempio «5», ha una duplice possibilità di riferimento: ciò che viene inteso attraverso quel segno può infatti essere il numero come numero-di... ; oppure come oggettività ideale. |19|

Possiamo riassumere ciò che abbiamo acquisito sino a questo punto nello schema che segue:

 

Si può intravvedere fin d’ora che l’intera nostra discussione successiva dovrà vertere sul modo in cui interagiscono fra loro i tipi diversi di numeri-di... e l’eventuale rapporto che sussiste tra essi e la nozione del numero come oggetto. |20|


  § 3

§ 5  


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