Numero e figura
Idee per un’epistemologia della ripetizione
I, § 10

Giovanni Piana

10

- Ciò che manca ai metodi corporei per approdare realmente sul terreno del numero
- Limiti dell’organicismo dell’ordine
- In che senso parlare del corpo come origine dell’aritmetica potrebbe essere del tutto sbagliato


È opportuno in ogni caso indugiare un poco sulle ragioni per le quali non possiamo affatto arrestarci alle acquisizioni precedenti, certo già in se stesse significative [1]. |1|

In fin dei conti non siamo ancora affatto approdati alla serie numerica vera e propria, nemmeno nella forma cieca in cui la abbiamo imparata a scuola, alla «filastrocca» dei numeri - 1, 2, 3, 4... Possiamo solo affermare che ormai siamo abbastanza vicini ad essa. Tuttavia se chiedessimo se le parti del corpo percorse in successione possano forse essere intese come qualcosa di simile ad una serie numerica, sembrerebbe giusto dare una risposta dubitativa. Restiamo ancora nell’ambito delle grossolanità qualitative, e d’altronde nulla è più caratteristico del fatto che la successione si chiude inesorabilmente sul mignolo del piede sinistro, oltre il quale non può esservi altro che l’indeterminatezza dei «molti». |2|

In realtà ha scarsa che importanza che il «molti» venga dopo il numero dopo il numero tre o il numero cinque o il numero 41. Ciò che manca in ogni caso è l’idea della proseguibilità infinita. Ma allora c’è qualcosa che non va nel tipo di relazione che si istituisce tra l’uno e l’altro elemento della serie ordinata data. Questa relazione è tale da non proporre o imporre a partire da se stessa la possibilità della prosecuzione. |3|

Qual è il senso di questa circostanza tanto singolare, come può accadere che l’idea dell’ordine non si incontri con quella della proseguibilità infinita, che sembra essere ad essa strettamente correlata? Evidentemente, l’ordine di successione, così come è fissato nel sistema corporeo è strettamente subordinato al dato di fatto di questo sistema, cosicché l’essere prima, il precedere o il seguire non ha alcun senso generale e resta interamente all’interno del sistema stesso. Questo sistema è un sistema chiuso: il nostro corpo non si prolunga fattualmente al di là delle nostre membra. Possiamo riconoscere un ordine in esso, in esso vi è la possibilità di un percorso relativamente stabile, sia pure con qualche margine di gioco. Di conseguenza quando il sistema «termina», ovvero raggiunge i proprio confini, termina anche ogni appiglio per il proseguimento di un ordine. Il «molti» indeterminato, che subentra all’ultimo elemento del sistema, ha il senso dell’essere-fuori-dal-sistema, e tutto ciò ha anche strettamente a che vedere con il tipo di relazione che collega l’un membro all’altro. |4|

Di che tipo di relazione si tratta? Non c’è dubbio che, come abbiamo già osservato, la scelta del metodo corporeo sia dovuta al fatto che nell’esperienza corporea è avvertita la connessione delle parti e la loro correlazione interna in senso psicofisiologico: cosicché le parti che costituiscono i nodi della successione stanno l’una accanto all’altra, assumendo questo senso solo in virtù della loro appartenenza all’intero fattuale della corporeità. Ora questa caratteristica, che in qualche modo ci avvicina alla problematica del numero, anche ce ne allontana poiché questo essere l’uno accanto all’altro ha un carattere concreto, non meramente relazionale. Al 41 non segue il 42 per il semplice fatto che accanto al mio piede e fuori da esso non c’è nulla che mi appartenga come il mio dito mignolo. Quindi c’è un essere accanto all’altro in forza di un’unità sovraordinata, e nello stesso tempo questa forma relazionale non ha la possibilità di svilupparsi al di fuori dell’unità a cui le parti sono subordinate. L’organicismo che rappresenta un superamento della mera dispersione del metodo del tanti-quanti e che suggerisce il problema dell’ordine, rappresenta un limite che deve essere superato. |5|

Vogliamo spiegare meglio questo punto. |6|

Un esempio di ordine non troppo dissimile a quello delle dita di un mano potrebbe essere quello di una fila di alberi. Volendo mettere in evidenza essenzialmente l’aspetto dell’ordine, e quindi la forma tipica della fila, questa potrebbe essere schematizzata con una sequenza di tratti: |7|

In questo stesso modo potrebbe essere schematizzata anche la successione delle dita delle mani. Naturalmente affinché si dia la percezione di una successione questa figura deve essere intesa come percorsa da sinistra a destra o da destra a sinistra, e siamo liberi di scegliere l’uno e l’altro percorso così come siamo liberi di scegliere di prendere le mosse dal mignolo oppure dal pollice. Ma a parte questo margine di gioco, la fila si presenta percettivamente come una fila, e quindi con un ordine in qualche modo «interno» alla configurazione, ed ogni elemento della configurazione occupa in essa una posizione determinata. Naturalmente vi sono varie condizioni che debbono essere soddisfatte affinché si dia questa forma, ad esempio gli alberi debbono essere approssimativamente a distanza eguale, ecc. L’effetto della fila può essere rafforzato o indebolito variando certe circostanze (ad esempio, l’altezza, ecc.). |8|

Stando alle apparenze delle configurazioni percettive dobbiamo distinguere piuttosto nettamente tra configurazioni del tipo «una fila di alberi» da configurazioni del tipo «un mucchietto di sassolini». Un sassolino ha con l’intero una relazione piuttosto debole, e così anche con un altro sassolino. Ad esempio, se viene tolto un elemento da una fila si noterebbe una lacuna, e se viene tolto più di un elemento la configurazione può risultare scompaginata. Ciò non accade con i sassolini. Ed è inutile dire che un certo sassolino può occupare un luogo qualunque nel mucchietto - ed anzi proprio per questo si parla di «mucchietto». |9|

Tra l’uno e l’altro caso vi è tuttavia un nesso. Se abbiamo tratto alcuni sassolini e poi li abbiamo messi in una fila, possiamo sempre rimettere i sassolini dentro il mucchietto da cui li abbiamo presi ed essi torneranno ad essere quelli di prima - elementi di un insieme privo di un ordine interno. Certo, essi potrebbero essere stati incollati al pavimento al momento di disporli in fila, così da rendere difficile o impossibile riportarli nel mucchio - ma questa impossibilità fattuale non cambia il senso dell’esempio: tra la fila come forma di ordinamento e il sassolino che entra in quella forma non vi è alcun rapporto di implicazione reciproca. Ciò che ora sta in un ordine può anche stare in un mucchio. |10|

La mano si è potuta imporre come macchina da calcolo e come insieme-modello in generale soprattuto per il fatto che l’ordine è in questo caso assai stabile: alla disposizione delle dita si aggiungeranno poi convenzioni facili da rispettare: c’è chi potrebbe considerare l’ordine dal pollice al mignolo come probabilmente farà ognuno di noi, oppure dal mignolo al pollice come farebbe un antico papua della Nuova Guinea. Al di là di un certo margine di discrezionalità si impone tuttavia un ordine che dipende dalla conformazione della mano. Nello stesso tempo potremmo dire che questo ordine è privo di una necessità interna e che le nostre dita sono in certo senso soltanto incollate sul palmo della nostra mano. Non possono essere rimesse in un sacchetto come nel caso dei bastoncini o dei sassolini - ma questa impossibilità non è connessa ad un ordine necessario della loro disposizione. La loro conformazione è importante, rappresenta un dato di fatto «favorevole» dal momento che in base ad essa sono resi possibili conteggi anche piuttosto complessi. Ifrah rammenta come ipotesi sull’origine della base 12 la possibilità di toccare con il pollice ogni falange delle altre quattro dita: e osserva spiritosamente che un polipo farebbe molto più fatica di noi a contare ed a escogitare metodi di conteggio nonostante l’abbondanza delle sue propaggini prensili. Ma si tratta appunto di conformazioni fattuali accidentali - e se noi ci attenessimo ad esse non riusciremmo in alcun modo a fare quel passo avanti che è assolutamente necessario per approdare su un terreno che meriti di essere chiamato «aritmetico». |11|

Parlare della mano come macchina da calcolo e del corpo come origine dell’aritmetica non avrebbe senso, anzi sarebbe profondamente sbagliato se non venisse chiarita e spiegata la limitazione intrinseca - anzitutto di ordine concettuale - che è qui presente. |12|

Note

[1] Ad esse peraltro si arresta l’esposizione di Ifrah, che procede poi per la propria strada affrontando in vari modi la problematica dei metodi di calcolo. Per gli scopi che l’autore si propone, quell’esposizione può essere considerata sufficiente. In rapporto ai nostri interessi teorici essa ha invece un carattere soltanto preliminare e dobbiamo introdurre ulteriori perfezionamenti e precisazioni.


  § 9

§ 11  


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