Numero e figura
Idee per un’epistemologia della ripetizione
I, §13

Giovanni Piana

13

- Riproposizione del problema del contare
- Nel contare non si sorteggiano numeri
- Cardinalità, ordinalità e iteratività
- Importanza fondamentale del numero iterativo nella filosofia del numero
- Iterazione e apertura infinitaria
- La soppressione dell’esperienza


A questo punto possiamo finalmente dare una risposta alla domanda intorno al rapporto tra il numero e il contare che abbiamo più volte formulata e che in realtà abbiamo sempre lasciata in sospeso. Propriamente si trattava di decidere quale significato attribuire alla parola "contare" e in che modo essa possa essere connessa con il numero, qualora si ammetta l’esistenza di una relazione significativa dal punto di vista concettuale. |1|

Naturalmente dipende solo da noi lo stabilire o meno di usare la parola "contare" in un’accezione tanto ampia da poter abbracciare qualunque metodo di determinazione quantitativa di una molteplicità. In questa accezione possono cadere ovviamente tutte le varianti delle procedure del metodo tanti-quanti e dei metodi corporei in genere. Analogamente saranno nomi di numeri tutti i termini utilizzati in quelle procedure per indicare le determinazioni quantitative acquisite. L’intero percorso che abbiamo compiuto fin qui mostra tuttavia che è più istruttivo riconoscere l’opportunità di operare una precisa restrizione. C’è il contare se c’è la serie dei numeri nel senso proprio del termine - ed allora contare significa essenzialmente, come è stato spesso notato, stabilire una correlazione tra la molteplicità da contare e la serie aritmetica. |2|

Questa osservazione va tuttavia accompagnata dalla consapevolezza che la formazione di una serie aritmetica, e quindi il concetto di numero, concresce all’interno della crescita stessa del problema del contare. Ma questa precisazione non basta ancora: il parlare di una correlazione tra la molteplicità da contare e la serie aritmetica può indurre nell’equivoco di intendere il contare come un’applicazione del metodo del tanti-quanti che si ripresenterebbe dopo la costituzione della serie. In tal caso il procedimento del contare viene frainteso in ciò che esso ha di più caratteristico, e cioè nel riferimento alla serie numerica come rappresentativa della forma della concatenazione. |3|

La proposizione fondamentale della filosofia del numero potrebbe essere: i numeri non si possono mettere in disordine. |4|

Ciò ha naturalmente strettamente a che vedere con un preciso modo di intendere il processo del contare. Nel contare non si gioca a tombola. Non vi è da un lato un sacchetto di sassolini e dall’altro un sacchetto di numeri; i numeri con cui si conta non vengono estratti a sorte, come potrebbe accadere per un qualunque insieme-modello. Dunque nel contare non vi è nessun metodo del tanti-quanti. Il contare è interamente determinato dalla presenza dell’ordine e precisamente da un ordine che ha la forma della concatenazione, anche se questa presenza si consuma all’interno del processo stesso. Non solo i numeri debbono essere «presi» nell’ordine che spetta loro, ma questa circostanza fa sì che alla molteplicità da contare sia prestato un ordine provvisorio, che è il percorso tracciato dallo stesso processo del contare, nel quale ogni elemento della molteplicità dovrà mantenere provvisoriamente quel posto che il contare gli ha assegnato almeno fino al termine del conteggio. Si conta appunto dal primo elemento all’ultimo. |5|

Riprendiamo da Ifrah le due figure che egli propone molto opportunamente per illustrare questo punto[1]:

La cardinalità viene determinata attraverso l’ordinalità, l’ordinalità rimanda all’iterazione ed il contare in questa accezione ristretta presuppone la costituzione del numero come oggettività e nello stesso tempo come costruzione iterativa. Il numero-di-volte, che così raramente viene rammentato nella filosofia del numero assume, all’interno della nostra esposizione, un’importanza fondamentale nel rendere conto del problema dell’ordine e della forma di concatenazione - e dunque della formazione della serie aritmetica. Non è naturalmente irrilevante il fatto che abbiamo voluto parlare di numero-di-oggetti, del numero-di-posizione e del numero-di-volte prima di parlare del numero sic et simpliciter. E che poi nel corso della nostra discussione siamo in certo senso invitati a ripercorrere a ritroso quelle distinzioni iniziali. |6|

Risulta infine confermato e ribadito che, se il problema del contare viene correttamente affrontato, è possibile isolare con chiarezza le componenti che hanno un puro interesse antropologico o psicologico da quelle che non riguardano la mera empiria degli impieghi numerici. In effetti laddove ci sembra interessante fare riferimenti a questa empiria, come anche noi abbiamo fatto, ci troviamo ben oltre le pura curiosità e l’aneddotica, perché all’interno di questi materiali sono leggibili i problemi di una «storia» che racconta molte cose intorno allo statuto teorico del numero. In questa storia si vede anche in che modo riusciamo finalmente a liberarci dalle pastoie dei dati intuitivi, dai riferimenti materiali, dal rapporto con l’immediatezza e la concretezza. |7|

Occorre indugiare a lungo presso il concreto per comprendere a fondo quanto lontano possa andare il pensiero astratto, e quanto siano ristretti i limiti dell’ «intuizione». |8|

Come abbiamo visto in precedenza, possiamo affermare che la serie aritmetica non è realmente acquisita, pur essendo in possesso di svariate tecniche di conteggio nel senso lato del termine e di una terminologia per i numeri relativamente evoluta, se queste tecniche sfociano infine nel «molti», nella numerosità indeterminata da cui abbiamo preso anzitutto le mosse. Al di là di un certo limite di chiarezza quantitativa distinguibile si ripiomba nella confusa indeterminatezza del modello percettivo del «molti», l’intrico della foresta, il mucchio di sabbia. In tali condizioni il numero non c’è: la serie non è in grado di continuare. Perciò non è un’autentica serie aritmetica. |9|

Il passaggio che mostra che gli argini dei riferimenti concreti sono stati rotti è l’illimitatezza di principio delle iterazioni, ed ancora più precisamente il fatto che siamo qui alla presenza di qualcosa di simile ad un processo ideale che ha in se stesso il principio del proprio movimento. Le operazioni sono iterabili «infinitamente» - il che significa anzitutto che, se una certa regola è stata una volta applicata, allora potrai applicarla ancora una volta, e poi ancora una volta, ed un’altra ancora... Potrai: non proprio tu, non io - in questa o quella situazione concreta. Si potrà, in generale: si tratta di una possibilità fondata sul legame concettuale che unisce l’idea della operazione all’idea di un ancora-una-volta ecceterato. |10|

Con questo passaggio infinitario il piano dell’empiria è certamente oltrepassato: viene in generale superato il piano dell’esperienza per essere mantenuta soltanto la componente strutturale liberata dalle sue limitazioni fattuali. Il numero è in certo senso annidato nelle pieghe delle molteplicità concrete, degli ordini empirici, delle configurazioni ghestaltiche, delle operazioni effettuate, delle regole iterativamente applicate. Ma quando esso viene di qui estratto deve presentarsi come pura costruzione logica - cioè come una costruzione che è faccenda soprattutto del pensiero, non dell’esperienza o dell’intuizione. Secondo il senso delle nostre considerazioni l’elemento intuitivo non si trova in una semplice contrapposizione all’elemento logico, così come ciò che è discorsivo si contrappone al non-discorsivo. L’importante vincolo tra logica e discorso non esaurisce l’ampiezza di senso della parola «logica», ed inversamente il riferimento all’intuizione intesa unicamente come mera comprensione non-discorsiva non può che essere considerato fortemente fuorviante e riduttivo. |11|

Attraverso la percezione non si colgono soltanto degli enti: si colgono anche processi, andamenti, tendenze, rapporti, relazioni, strutture in generale. Queste strutture possono essere apprese con le loro determinatezze empiriche, ma anche all’interno di funzioni ideative che attenuano la forza di queste determinatezze e accentuano invece ciò che in esse appartiene all’ambito delle pure possibilità, quindi ad un ambito a cui la parola «logico» può già cominciare ad essere applicata. |12|

Nello stesso tempo, quando ciò accade stiamo già scivolando al di fuori del campo di ciò che è direttamente sperimentato, l’oggetto o la relazione direttamente colta (ed in questo senso «intuita») tende a sottrarsi a questa presa per entrare nel campo gravitazionale del pensiero puro - ed eventualmente ad esserne interamente assorbita. |13|

L’esperienza dovrà alla fine essere superata e soppressa. Questo tema del superamento ed anzi della soppressione dell’esperienza [2] rappresenta una delle mète importanti del nostro percorso epistemologico. Certamente è un compito squisitamente filosofico riportare alla memoria questa esperienza soppressa. E tuttavia essa, come è suggerito dal termine tedesco di Aufhebung, viene in qualche modo ancora mantenuta, sia pure in lontananza e nell’oblio. La filosofia è un’arte del ricordo. Ma vi è in ogni caso anche qualcosa di profondamente giusto nell’idea, che si ripropone di continuo, di una scienza che deve in qualche modo «liberarsi» dalla filosofia. È come liberarsi dai ricordi - e questo è spesso necessario per procedere oltre. |14|

Note

[1] G. Ifrah, op. cit., p. 41.
[2] Si tratta di un tema husserliano che è stato spesso trascurato dalla letteratura fenomenologica (cfr. G. Piana, La notte dei lampi, Guerini, Milano 1988, pp. 165-66).


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