Numero e figura
Idee per un’epistemologia della ripetizione
I, § 14

Giovanni Piana

14

- Qualunque numero deve poter avere un nome
- Che cosa è una denominazione sistematica per i numeri
- La notazione-tratto


Nelle nostre considerazioni iniziali avevamo segnalato come la parola «numero» possa anche indicare ciò che dovremmo chiamare più propriamente «nomi dei numeri» - cioè dei segni o dei simboli che rappresentano numeri, quindi le cifre. Con questo termine si possono intendere sia le cifre elementari di cui si serve un determinato sistema di notazione sia i segni composti attraverso di esse - in ogni caso si tratta sempre del livello segnico-notazionale. |1|

Se ad esempio chiediamo che vengano scritti dei numeri sulla lavagna, intendiamo evidentemente le cifre. Il numero in sé non può apparire intorno a noi tra le cose di questo mondo. La cifra scritta sulla lavagna è la sua rappresentazione nell’ambito di un simbolismo. |2|

Dovremmo allora recriminare sulle imprecisioni e imperfezioni del linguaggio comune che stenta sempre a distinguere il designante dal designato, il simbolizzante dal simbolizzato - e che usa la stessa espressione ora per indicare l’oggetto ora per indicare il suo nome? |3|

Al contrario, io credo che questo sia un buon esempio che mostra come queste recriminazioni siano giustificate solo secondo i casi. Talvolta le equivocità del linguaggio corrente sono indizi che vanno accolti ed esplorati a fondo proprio perché possono insegnarci qualcosa. In questo caso l’equivocità potrebbe suggerire di esaminare meglio come stiano le cose per ciò che concerne il rapporto tra simbolo (segno) numerico e il numero che esso rappresenta. |4|

È possibile infatti che tra l’una e l’altra cosa sussista una sorta di reciproca coappartenenza che potrebbe rendere difficile, se non impossibile separarne i destini. |5|

In effetti, quando il rapporto designativo sussiste in forza di una pura e semplice convenzione, simbolizzante e simbolizzato stanno l’uno al di fuori dell’altro come la parola «foresta» rispetto alla foresta o come un nome proprio rispetto al portatore del nome. E perché mai ciò non dovrebbe valere anche per i «nomi dei numeri»? Sembra ovvio che la parola «tredici» non abbia nulla a che fare con il numero corrispondente - un altro nome sarebbe altrettanto possibile, e d’altronde nelle diverse lingue avremo nomi differenti. |6|

Ciò lo si potrà dire - forse - anche per le cifre vere e proprie, ad es. per la cifra «13». Anche qui la forma del segno non è obbligatoria, ed un’altra convenzione segnica potrebbe essere utilizzata in luogo di questa. Ma qui siamo tentati da un «forse» che ha il suo peso. Tutti sappiamo infatti che i metodi notazionali evoluti, per quanto possano essere diversi, sono caratterizzati da un ordine sistematico in base al quale qualunque numero può avere un nome. Nell’esempio non è obbligatoria la forma delle cifra 1 e della cifra 3, e ciò vale in generale per le cifre da 0 a 9. Ma per il resto il nome verrà costruito in base ad una regola in modo da poter ottenere un segno per ogni possibile elemento della serie aritmetica. Si comprende a questo proposito, da un diverso punto di vista, come sia importante distinguere tra una serie aritmetica autentica ed una serie pseudo-aritmetica che termina nel «molti». In questo caso possono bastare designazioni convenzionali, si tratti di segni scritti oppure di gesti che possano essere in grado di contrassegnare determinazioni quantitative realizzate su molteplicità di oggetti. |7|

Nel caso della serie aritmetica vera e propria invece si pone il problema di una denominazione sistematica: si tratta cioè di indicare un metodo in base al quale ogni numero producibile all’interno della serie possa essere designato in modo chiaro e distinto. Nel porre questo problema non vogliamo saltare nel bel mezzo della soluzione proponendo la risposta che tutti sanno. Questa risposta risaputa ce la vogliamo riguadagnare compiendo il tragitto teorico necessario, a partire dal primo passo. |8|

Questo consisterà probabilmente in una proposta di costruzione del segno numerico che non faccia altro che rispecchiare il modo di costruzione del numero stesso. Si tratterà dunque di una procedura che produca i segni numerici secondo la forma della concatenazione ricorsiva. |9|

Questa procedura potrebbe essere presentata nel modo seguente: anzitutto abbiamo bisogno di un segno che potrebbe il nostro ben noto segno 1. Ci è poi utile poter disporre di un segno in rapporto al quale sia predisposta una regola di sostituzione. Tale segno sia x. Naturalmente questi segni potrebbero essere sostituiti da altri qualsiasi. |10|

Ciò premesso stabiliamo un inizio ed una regola:

Inizio: x

Regola: x® 1x

Non vi è evidentemente bisogno di altro per generare in sequenza 1x, 11x, 111x, 1111x, ecc. Poiché stiamo giocando a carte scoperte, sappiamo già che il segno 1 è nome del numero uno, e si comprende subito che cosa accadrà nell’applicazione iterata della regola. Il criterio che abbiamo enunciato in precedenza - che la produzione dei segni numerici rispecchi la produzione dei numeri - viene indubbiamente rispettato. Inoltre possediamo una denominazione sistematica per un elemento qualsiasi della serie aritmetica. Attraverso questa notazione, che potremmo chiamare notazione-tratto, il numero - e proprio il numero inteso come oggettività ideale - è ritornato in qualche modo a far parte del nostro mondo circostante dopo una lunga vicenda che aveva preso le mosse dalle molteplicità concrete. Esso si appoggia nuovamente a qualcosa - al segno stesso che lo rappresenta e che è appunto un oggetto visivo come qualsiasi altro. |11|

Eppure appare subito subito chiaro che con la notazione-tratto, raggiungiamo un esito del tutto insoddisfacente, ed anzi paradossale. Il paradosso che impedisce di considerare una cosa simile come una notazione per i numeri è che i tratti di cui deve essere composta ogni singola cifra debbono essere contati per poter essere riconosciuti. Per i primi elementi della serie delle cifre potremo cercare di afferarrare le differenze a «colpo d’occhio» - regredendo così allo stadio più primitivo della storia del concetto di numero. La notazione si autosopprime. Di fronte a noi vi è di fatto niente altro che una molteplicità. |12|

Una rappresentazione per il numero deve poter essere utilizzabile, e dunque dominabile - ed una rappresentazione come quella precedente non è dominabile già per il fatto che non è perspicua. |13|

Nessuna notazione che non sia intuitivamente dominabile è una buona notazione. Non lo è mai dal punto di vista «pratico», della sua maneggevolezza; e talvolta non lo è nemmeno dal punto di vista delle giuste esigenze della teoria. Nel nostro caso, la notazione è ovviamente impraticabile, ma è anche inaccettabile dal punto di vista concettuale per il fatto che la differenza tra i numeri non trova manifestazione adeguata nella loro rappresentazione. |14|

Ma se questo esito paradossale è stato ottenuto attraverso l’idea di un rispecchiamento, allora l’esigenza di una notazione adeguata, che si propone come una esigenza che non viene affatto dall’esterno, ma anzi dal cuore stesso del problema, deve essere soddisfatta secondo una direzione che è essenzialmente diversa da quella che termini come «rispecchiamento» e «adeguatezza» suggeriscono. Numero e notazione del numero non stanno probabilmente l’uno di fronte all’altro, come se vi fosse di là il concetto e di qui il segno, e dall’uno all’altro un mero rapporto statico di designazione. Vi è piuttosto una interazione tra il segno e il concetto, in modo tale che il concetto suggerisce un segno, ma il segno a sua volta suggerisce nuovi pensieri, e la stessa formazione del concetto procede oltre, su una strada che comincia a serpeggiare tra il numero e la sua rappresentazione. |15|


  § 13

§ 15  


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