Numero e figura
Idee per un’epistemologia della ripetizione
II, § 2

Giovanni Piana

2

- La geometria e la terra
- Husserl e Mandelbrot: un invito a ricordare
- Il problema di una tipologia empirica delle forme
- Inizio di una libera riflessione che prende spunti da Euclide
- Riflessioni su linee molto sottili
- Riflessioni sull’angolo piatto


Geometria è costituita da due parole una delle quali allude alla «misurazione», l’altro alla «terra» - e la terra di cui si parla è naturalmente la terra nel senso in cui ne parlano i contadini piuttosto che gli astronomi, la terra da arare, la terra da vendere, la terra da misurare. In un’appendice famosa della Crisi delle scienze europee, Husserl sottolinea più volte la circostanza secondo la quale il sapere geometrico si è sviluppato nella pratica degli agrimensori, e lo sottolinea avendo di mira un discorso non certo di carattere storico, quanto di genesi e di formazione dei concetti[1]. |1|

In tempi molto più recenti, Benoît Mandelbrot ha nuovamente richiamato l’attenzione su questa origine in termini pressoché identici e in tutta probabilità senza conoscere l’analoga presa di posizione di Husserl. Quel che rende poi particolarmente interessante la sua presa di posizione è che essa non ha alla propria base ragioni filosofiche di carattere generale, ma motivi strettamente legati ai progressi della geometria come impresa scientifica. |2|

Egli scrive così: «È ben noto che descrivere la terra fu uno dei primi problemi formali che si è posto l’uomo. Per opera dei Greci la ’geometria’ diede alla luce la geometria matematica. Tuttavia - come succede così spesso nello sviluppo delle scienze! - la geometria matematica dimenticò molto presto le sue origini, dopo avere appena grattato la superficie del problema iniziale»[2]. |3|

In entrambi gli autori c’è dunque un invito a ricordare. Prima che l’interesse teorico si impossessi del campo delle forme per fare di esso il tema di una scienza come la geometria, questo campo appartiene al nostro mondo circostante ed all’esperienza che facciamo di esso. |4|

Quando si parla di forme concretamente esperite non si vuole alludere solo a puri e semplici dati, ai dati della visione e dell’osservazione visiva. Si tratta piuttosto di un’esperienza pratico-percettiva: non solo per il fatto che le figure possono essere raffigurate, e in quanto raffigurazioni esse possono essere prodotte e ricostituite, ma ancor prima per il fatto che, nella loro inerenza alla cosa materiale, le forme possono essere concretamente realizzate, manipolate e modificate. |5|

Volendo porre l’accento su questo punto, più che all’agrimensura, converrebbe forse pensare ad una pratica diretta di manipolazione, ad esempio alla pratica del falegname, che deve procacciarsi le assi, togliere le asperità alla corteccia, ottenere superfici liscie per poter alla fine realizzare oggetti che debbono assolvere determinate funzioni utili nella vita di ogni giorno. Oppure alle pratiche di modellazione della creta, per realizzare recipienti, anfore e vasi. O a quelle degli scalpellini; in generale alla produzione di materiali da costruzione, come mattoni, lastre, pali, colonne, ecc. |6|

Come nelle operazioni di conteggio, un orizzonte di interessi economici legati agli scopi ed alle necessità della vita presiede queste azioni. Restando all’interno di questo orizzonte si perviene ad una tipologia di forme, ad una classificazione nella quale la forma comincia con l’essere colta ed individuata in se stessa, e dunque riconosciuta come appartenente a questo o a quel tipo. |7|

Potremmo dire che vi sono linee che hanno un certo andamento caratteristico in base a cui esse vengono raccolte sotto un tipo. È questo andamento che riconosco quando dico: questa è una curva, questa è una linea diritta. |8|

All’interno di questa tipologia delle forme una particolare importanza assume la distinzione tra forme regolari e irregolari. Questa distinzione poggia anch’essa, almeno in parte, sull’impressione visiva, cioè sul modo in cui una certa figura, con l’aspetto che tipicamente la contraddistingue, si imprime nella mia mente - quindi l’irregolarità sull’impressione visiva del disordine, mentre la regolarità sulla presenza di ricorrenze interne che propongono caratteri più nettamente e chiaramente definiti facilitando in qualche modo la sua appropriazione. All’interno di un orizzonte pratico si fa sentire anche un interesse in senso lato «architettonico» per la regolarità, che appare allora legata alla stabilità dell’oggetto, all’aderenza alla funzione che esso deve assolvere. Con quelle superfici lisciate a dovere il falegname dovrà realizzare sedili che si reggano sulle proprie gambe e tavoli non troppo sghembi; e così l’acqua non si dovrà rovesciare dalle anfore e i mattoni dovranno poter essere facilmente essere messi in una pila. |9|

È il caso di ricordare che «isoscele» significa letteralmente «con gambe eguali» (skelos, gamba) e l’espressione «scaleno» viene invece, secondo l’etimologia proposta da Proclo, collegata allo zoppicare (skazein)[3]. In ogni caso può essere connesso con che richiama qualcosa di sghembo, di malamente inclinato[4]. In effetti, da ciò che abbiamo chiamato andamento o aspetto caratteristico non sono affatto escluse valenze che ribadiscono il carattere della figura sul piano delle sintesi immaginative. Le forme-figure possono ricevere così mani e piedi, ed apparire equilibrate come persone dalle belle proporzioni oppure avere un andamento claudicante che manifesta un equilibrio instabile. |10|

Naturalmente non appena l’attenzione teorica comincia a ridestarsi, districandosi a poco a poco ed emergendo come un interesse autonomo, queste valenze si attenuano, perdono di importanza, e muta l’angolatura secondo cui gli stessi aspetti vengono colti: così ad esempio nella regolarità si intravvede l’azione della regola, e quindi strutture e uniformità che possono essere oggetto di conoscenza, prospettando la possibilità di operazioni generalizzanti. Anche da questo punto di vista è esemplare l’enfasi platonica sui solidi regolari. Gli andamenti caratteristici possono essere colti secondo un’intenzione rivolta non tanto a fissare caratteri accidentalmente ricorrenti o proprietà comuni intorno alle quali raccogliere il tipo, ma a stabilire nessi tra l’aspetto delle figure e possibili relazioni funzionali interne. |11|

Nel tipo empirico traspare il tipo eidetico: si è messo in moto un processo che deve condurre dalle intuizioni e dai concetti bastardi concresciuti in esse, ai concetti puri : dagli uni agli altri non si passa di salto. Vi sono invece transizioni, formazioni miste in cui coesistono componenti percettive e immaginative insieme a frammenti di concettualizzazione vera e propria. Ma sarebbe certo un errore pensare che un processo che comincia così continui semplicemente all’insegna della progressiva purificazione. La questione è, dal punto di vista epistemologico, assai più movimentata. |12|

Ripensiamo ancora ad Euclide. Con Euclide abbiamo lasciato alle nostre spalle tutti i falegnami, gli scalpellini ed i vasai del mondo. Prima di lui vi è uno straordinario accumulo di acquisizioni orientate da un autentico interesse conoscitivo. Ed Euclide non si pone il problema di raccogliere insieme, di realizzare un puro e semplice sommario delle conoscenze disparate sulle forme spaziali, quelle conoscenze che la riflessione geometrica greca aveva già prodotto in gran numero e con straordinaria fecondità. L’intenzione di ridare il giusto valore alla grande tradizione di pensiero che precede la sintesi degli Elementi, e che questa sintesi ha forse contribuito a oscurare quasi che tutto sorgesse in questo grande libro, non deve affatto indurre a ritenere ingiustificata l’ammirazione che gli è stata tributata per secoli. Al contrario: proprio perché con un sapere storiografico più avveduto è possibile mostrare che la geometria greca non è uscita dalla testa di Euclide come Minerva dalla testa di Giove, siamo in grado di riconoscere ancor più e ancor meglio il fatto che il merito autentico ed esclusivo di Euclide sta anzitutto nel senso globale del suo progetto: egli si pone infatti il problema di una vera e propria costituzione originaria del campo delle forme, di una costituzione in via di principio compiuta e, in un senso particolare, interamente chiusa. |13|

Potremmo dire che in Euclide si inaugura un modello di discorso del tutto nuovo e mai sperimentato prima di lui. Ciò che viene inventato è un vero e proprio nuovo gioco linguistico che, a differenza di quello quotidiano, non comincia ovunque e in nessun luogo, ma deve esibire esplicitamente i propri inizi e le proprie regole e contenere proposizioni vere che debbono avere all’interno di quel gioco le proprie giustificazioni assolute. |14|

Questo gioco comincia con le definizioni - e noi dovremmo cercare un contatto vivente con quei tempi lontani per essere in grado di avvertire la grandiosità del progetto che in esse si annuncia. Certamente, aprendo gli Elementi, ciascuno ha già una qualche idea del senso di parole come punto, linea, angolo, ecc., dal momento che ci accade di impiegarle in contesti quotidiani. Di fronte a quei sensi precostituiti legati agli impieghi correnti, quelle definizioni giungono inattese e sconcertanti. |15|

Tu sai certamente che cosa sia un punto. Ed ora io ti dirò che cosa esso è:

Un punto è ciò che non ha parti

Era così? Sapevi già questo? Si prova qui un leggero senso di vertigine. Oppure:

La linea è lunghezza senza larghezza

Chiunque avrebbe ragione di chiedersi se una frase come questa possa in generale essere compresa. |16|

Di lunghezza e di larghezza si può certo parlare in rapporto alle linee che eventualmente vediamo o possiamo produrre su un foglio di carta. Le linee possono essere spesse o sottili, e possiamo anche stabilire un ordine che va dal più al meno. Supponiamo allora di disporre di uno strumento traccialinee che ci consenta di regolare a piacere lo spessore della linea. Tracciamo dunque una linea di un determinato spessore, poi altre linee sempre più sottili, o inversamente. Compiamo dunque un’azione, e la andiamo ripetendo secondo la possibilità del più e del meno, che è tuttavia limitata sia dalle capacità dello strumento sia della nostra disposizione rispetto al senso delle parole spesso e sottile. |17|

Voglio dire che di fatto ci sarà uno spessore massimo al di là del quale non saremo più disposti a chiamare la figura così prodotta una linea, ma parleremmo piuttosto di una superficie rettangolare nera; nell’altra direzione sappiamo che prima o poi si arriverà ad un punto in cui diremo: «Più sottile di così non si può»! Oppure: per i nostri scopi è del tutto irrilevante ottenere una linea più sottile. |18|

Su questo semplice esempio cominciamo ad intravvedere in che modo, a partire da operazioni e oggetti concreti, si innestano processi che vanno del tutto al di là di essi. In effetti abbiamo imparato dalla scuola che le figure tracciate sulla lavagna, su un foglio di carta o sullo schermo di un calcolatore non sono le figure di cui parla propriamente la geometria. Il maestro elementare renderà subito avvertiti di questo i suoi giovani allievi. Le figure geometriche sono, non meno dei numeri, delle oggettività ideali, sono «oggetti del pensiero». Ma come rendere conto del senso di queste espressioni, che certamente non siamo a nostra volta obbligati a comprendere? Non basta il parlare di idealizzazione o di ideazione: l’idealizzare deve infatti potersi precisare facendo riferimento a procedure determinatamente indicabili, a vere e proprie regole che annunciano, nel momento in cui vengono messe in opera, la presenza del pensiero puro. Questo pensiero si appiglia, nel nostro esempio, alla possibilità di disporre di una serie ordinata che rimanda a sua volta ad un’azione iterata. L’iterazione può essere intesa come una semplice possibilità, mettendo interamente da parte ogni problema relativo all’eseguibilità effettiva dell’operazione, con gli scopi che eventualmente la determinano, così come agli strumenti materiali che consentono la sua realizzazione oppure agli impedimenti ed agli ostacoli empirici che renderebbero la prosecuzione di fatto impossibile. |19|

A questo punto si verifica una radicale modificazione della situazione complessiva e dunque una radicale modificazione di senso: il più e il meno, da cui la serie riceve il proprio ordine, stabiliscono anche che essa deve continuare finché lo può: ciò significa che il processo potrà essere idealmente proseguito sino ad una linea di sottigliezza pari a zero. Ogni suo passo verrà poi concepito come un’approssimazione a questo valore. |20|

Cominciamo così a identificare nella nozione di ordine, di iterazione e del procedere-verso-un-limite alcune delle leve su cui il pensiero può appoggiarsi nella sua attività produttiva di nuove oggettività. |21|

Nella seconda definizione euclidea, e del resto in ogni altra, possiamo dunque cogliere quelli che potremmo chiamare metodi di idealizzazione, che sono vere e proprie regole del pensiero puro. Occorre anzi sottolineare che solo la possibilità di fornire esempi di questi metodi è in grado di riempire di contenuto parole che altrimenti resterebbero vuote ed oscure, apparentemente affidate ad un’interpretazione psicologizzante, come idealizzazione, pensiero puro, attività intellettuale e così via. |22|

Tutto ciò può essere illustrato anche per difetto - prendendo nota di ciò che in Euclide ancora non c’è. |23|

Di angolo piatto nemmeno si parla. Alcuni commenti ci rendono avvertiti di questa «lacuna». |24|

L’angolo piatto «è per noi un angolo vero e proprio» [5]mentre per Euclide non lo era. Anzi, esso viene escluso dalla Definizione VIII: «Angolo piano è l’inclinazione reciproca di due linee su un piano, le quali si incontrino fra loro e non giacciano in linea retta»[6]. |25|

Ma siamo realmente certi che per noi l’angolo piatto sia un angolo vero e proprio? (Se qualcosa è piatto, si sarebbe tentati di dire, non è certo un angolo). |26|

La verità è che qui dobbiamo far valere la tensione tra discorso corrente e gioco linguistico geometrico: e il discorso corrente non ha imparato nemmeno nel ventesimo secolo che vi sono angoli piatti. Per esso vi sono ancora angoli e spigoli, e tra gli uni e gli altri vi è una profonda e ben nota differenza. «Vai nell’angolo!» - si dice al bambino nel gioco dei quattro cantoni (mai e poi mai intenderemmo l’angolo piatto); oppure «Attento allo spigolo!» - agli spigoli, infatti, a differenza che agli angoli, bisogna soprattutto fare attenzione. E questo accade non perché il discorso corrente sia particolarmente refrattario alla scienza, ma per il fatto che esso è immerso tra le cose concrete di questo mondo, e ad esse riferisce in primo luogo i suoi termini. |27|

Naturalmente questa grossolana differenza potrebbe assottigliarsi nello stesso momento in cui la forma-figura viene estratta dal mondo delle cose e per così dire semplificata e stilizzata in un disegno. Noi siamo tentati di concepire anche una simile semplificazione e stilizzazione come un processo astraente in cammino. Angoli e spigoli non interessano più come momenti di una spazialità concretamente praticata ma, tra le configurazioni possibili, comincia con l’assumere risalto l’angolo in una nuova accezione ad un tempo più «astratta» e «più generale». |28|

La definizione euclidea si appiglia a questo inizio di astrazione e lo porta un poco oltre: in essa ci si richiama ad una pura disposizione spaziale delle linee, ad una possibile relazione tra l’una e l’altra: esse sono «reciprocamente inclinate» - e se da un lato la definizione proprio attraverso il riferimento all’«inclinazione» (greco:klisis) può forse adempiere un «compito descrittivo»[7], dall’altro essa è tale da superare nettamente angoli e spigoli della quotidianità, e di riunire sotto un unico termine angoli acuti, ottusi e retti. |29|

Ma l’angolo piatto, appunto, non c’è e si potrebbe sostenere che questa circostanza sia un indizio del fatto che il versante «intuitivo» non è del tutto abbandonato, che si sarebbe potuto andare ancora oltre. |30|

Si tratta di una affermazione in sé fondamentalmente giusta. Il punto importante da mettere in rilievo è però forse un altro, e precisamente il fatto che questa interessante lacuna mostra che in Euclide, almeno in questo punto, non viene resa operante una fondamentale procedura «intellettuale», una delle molte regole dell’astrarre. Questa regola consiste in una modalità di formazione concettuale che non può affatto essere descritta nei termini consueti dei «caratteri comuni» e del rapporto di genere a specie, ma consiste piuttosto nell’esibizione di un nesso generativo, e quindi di una relazione che sussiste in forza di un percorso possibile che conduce, senza lacune, dall’uno all’altro oggetto. Così facendo in realtà ci allontaniamo anche da una nozione di formazione concettuale che prenda le mosse dall’aspetto caratteristico. Una linea rettilinea ed un angolo acuto hanno in effetti un aspetto molto differente:

ed una classificazione meramente fondata nell’aspetto non giungerebbe certo ad una subordinazione sotto un unico «concetto». In una parola, facendo riferimento a «ciò che tutti gli angoli hanno in comune» sembra difficile pervenire all’angolo piatto. Diversamente stanno le cose se facciamo notare in che modo la linea rettilinea possa essere raggiunta a partire dall’angolo acuto:

Parlare di angolo piatto significa indubbiamente stabilire una connessione logica tra la «posizione spaziale» che abbiamo indicato con A e la «posizione spaziale» che abbiamo indicato con B: a partire da questa posso raggiungere quella senza salti. Il parlare di connessione logica sembra qui appropriato, anche se si stabilisce una connessione tra oggetti, piuttosto che tra proposizioni. |31|

Nello stesso tempo diventa forse più chiaro sulla base di questo esempio in quale direzione potrebbe essere fraintesa l’affermazione, in sé del tutto giusta, secondo cui possiamo ovunque trovare nel testo euclideo delle «sopravvivenze» intuitive. Non vi è dubbio infatti che la possibilità di includere tra gli angoli, anche gli angoli piatti presupponga un maggiore livello di astrazione. Eppure, stando al nostro esempio, il mutamento che interviene per accedere a quel livello riguarda ancora un pensiero che continua a trovarsi presso la figure: esso prende le mosse da una modificazione del modo di guardarle. La figura non viene colta in se stessa, isolatamente e staticamente, ma viene vista come un momento all’interno di un processo. Questa circostanza invita alla riflessione. |32|

Note


[1] E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, tr. it. di E. Filippini, Il Saggiatore, Milano 1969, Appendice Terza, pp. 380 sgg.
[2] B. Mandelbrot, Gli oggetti frattali - Forma, caso, dimensione. Einaudi, Torino 1987 (1 ed. 1975), p. 16.
[3] Cfr. Proclo, Commento al I Libro degli Elementi di Euclide, a cura di M. Timpanaro Cardini, Giardini, Pisa 1971, pp. 147-148.
[4] Nel proporre questa informazione A. Frajese e L. Maccioni che hanno curato l’edizione italiana degli Elementi di Euclide, UTET, 1970 sottolineano che essa viene concessa "per curiosità filologica" e si aggiunge, chissà perché, «ad uso del lettore»(p. 69): quasi che volessero dire: noi beninteso ce ne laviamo le mani (atto purificatore per eccellenza). - Il sospetto che essi possano dare una qualche importanza alla cosa è così esorcizzato.
[5] A. Frajese e L. Maccioni, ibid., p. 67.
[6] ibid.
[7] ibid.

  § 1

§ 3  


Indice