Numero e figura
Idee per un’epistemologia della ripetizione
II, § 3

Giovanni Piana

3

- L’intuizione e il buon senso
- La differenza tra giochi linguistici e le loro possibili sovrapposizioni
- Le definizioni euclidee guardano da due parti
- Importanza della verbalizzazione


Le nostre precedenti osservazioni mirano a far sorgere il sospetto che quei commenti che si affrettano a presentare le definizioni euclidee come residui «intuitivi» che il pensiero evoluto saprà finalmente mettere da parte, come scorie che attendono ancora di essere passate ad un filtro provvisto di più sottili trame, siano fuorvianti, nonostante una loro ovvia e superficiale validità. Il citare queste formulazioni al più per mostrare in quali secche si finisca quando si pretenda di dare definizioni esplicite dei termini primitivi è realmente un discorso troppo semplice e riduttivo, che cancella l’interesse di qualunque tentativo di gettare lo sguardo sulle dinamiche effettive delle procedure astraenti. |1|

Altrettanto insoddisfacente è un’altra posizione che in apparenza muove, in rapporto alle definizioni euclidee, in direzione opposta e che sembrerebbe trovarsi maggiormente in armonia con la posizione che stiamo cercando di delineare. In luogo di trovare troppo «intuitive» quelle definizioni, le si trovano «controintuitive» - anzi contro il «buon senso». |2|

Non sembra forse che urti proprio il nostro innato buon senso il parlare di una linea senza larghezza o di un punto senza parti, quasi che il togliere la larghezza possa preservare la lunghezza, o ridurre a zero il diametro di un cerchio possa preservare il cerchio stesso? |3|

Le definizioni euclidee andranno allora difese proprio per il fatto che superano - attraverso nozioni logiche - il piano dell’intuizione. Una simile direzione di discorso in realtà ha già di mira l’idea che se vogliamo capir qualcosa della geometria in genere, euclidea o non euclidea, dobbiamo fin dall’inizio ficcarci bene in testa che in essa si tratta di «logica», e non di «intuizione». |4|

Anche in questo caso vi è una parte di verità che viene falsata da un’epistemologia troppo elementare. Nonostante la diversità degli esiti, non si stenta a rilevare che ci troviamo di fronte ad un atteggiamento che non è poi troppo diverso dal precedente. In entrambi i casi parole come intuizione, intuitivo, ecc. - mettendo bellamente da parte un dibattito scientifico-filosofico secolare la cui stessa esistenza spesso si ha ragione di sospettare sia del tutto ignorata - vengono ad essere assimilate a espressioni come: «sapere approssimativo», «a lume di naso», «alla buona», «pregiudizi correnti», «evidenza ingannevole», «opinioni infondate e presumibilmente false», «delimitazioni concettuali prive di rigore», e infine anche, come abbiamo visto or ora, ad un «buon senso» che di buono non ha proprio nulla, ma è tutto arricchito dalle connotazioni negative presenti nelle espressioni precedenti. Curiosamente la stessa parola vuol talvolta dire anche «idea geniale», «illuminante», «chiarimento improvviso», venuto da qualche parte in modo peraltro non troppo chiaro. |5|

Simili scelte terminologiche sono spesso il veicolo di inaccettabili semplificazioni sul terreno della teoria della conoscenza e in particolare sul problema delle relazioni tra intuizioni e concetti. In entrambe le direzioni di discorso la presa di posizione elementare che sopprime ogni problema sta, come è chiaro, nel contrapporre conflittualmente il cosiddetto «buon senso» - che includerebbe intuizione e immaginazione, ma non la capacità riflessiva del ragionamento e del calcolo - al pensiero logico-matematico il cui imperativo categorico primario sarebbe proprio quello ignorare il buon senso, costi quello che costi. L’esistenza di una complessa dialettica tra formazioni di esperienza e formazioni concettuali è semplicemente al di fuori del campo visuale di un simile punto di vista. Questa dialettica può anche essere presentata molto efficacemente come una dialettica tra «giochi linguistici». |6|

Come abbiamo osservato, in Euclide si apre il problema di un gioco linguistico interamente diverso da quello quotidiano: quest’ultimo è strettamente legato ai bisogni della vita, ai suoi orizzonti pratici, in generale all’esperienza pratico-percettiva del mondo, alle tipologie empiriche ed alle configurazioni caratteristiche. E proprio tutto ciò deve essere superato e soppresso. Ma questa Aufhebung è un processo complesso, in certo senso sempre iniziato e mai esaurito. |7|

La singolarità che ci sconcerta nelle formulazioni definitorie euclidee è dovuta al fatto che in questo processo sono possibili parziali sovrapposizioni. Quelle formulazioni stanno appunto a cavallo di giochi linguistici profondamente differenti: nel gioco linguistico quotidiano ci sono linee più o meno spesse, più o meno sottili. Ci sono punti grossi e punti piccoli - ed essi non sono affatto punti o linee del «buon senso»! Sono invece configurazioni caratteristiche, che rimangono impresse nella nostra mente, a cui abbiamo applicato dei nomi, e che possiamo facilmente riconoscere quando ci si presentano sotto il nostro sguardo - figure dell’intuizione, per l’appunto. |8|

Accanto a questo gioco, comincia ad esservene un altro nel quale non deve aver senso parlare né di sottigliezza né di spessore della linea o di grossezza del punto. |9|

Quando diciamo: La linea è lunghezza senza larghezza, e parliamo dunque di spessore della linea, anche se per escluderla, questi due giochi linguistici tendono a sovrapporsi parzialmente. Quella frase guarda da due parti, da un lato alla concretezza della linea sperimentata, dall’altro alla linea in idea, alla concezione astratto-geometrica della linea. Il «concepire» si allontana sempre più da un afferrare sulla base di una configurazione percettiva, da una «concezione» che deborda appena dalla «percezione», per assumere il senso vero e proprio che spetta ai concetti. La traccia dell’origine resta nella formulazione verbale. Ma l’origine è superata nello stesso fatto che siamo alla presenza di una formulazione verbale. |10|

Soffermiamoci un poco su quest’ultimo punto che è della massima importanza. Prima ancora che parlare dei contenuti delle definizioni euclidee, bisognerebbe attirare l’attenzione sul fatto che in esse si è in generale alla ricerca di descrizioni verbali complete degli oggetti elementari della geometria. |11|

Si avanza qui una pretesa di cui non si era mai avvertita l’esigenza, e proprio tenendo conto di essa si comincia a comprendere in che senso si inaugura un «gioco linguistico» interamente nuovo. È infatti interessante chiedersi che forma assumerebbe la definizione di parole come punto, linea, cerchio, ecc. restando sul piano dell’esperienza pratico-percettiva delle forme. |12|

Pensiamo al modo in cui ci comporteremmo di fronte al problema di fare apprendere ad un bambino il significato di parole di questo genere. Certamente non cercheremo di introdurre la parola punto o retta dicendo o tentando di dire che cosa essa è. |13|

Ad esempio non diremo: punto è «ciò che non ha parti»; ed ora disegna un punto. Oppure linea è «lunghezza senza larghezza» ed ora disegna qualcosa che è lungo, ma non è largo. |14|

Presumibilmente mostreremo noi stessi un punto o una linea diritta su un foglio di carta, impiegando nello stesso tempo la parola corrispondente e poi, dopo aver ripetuto eventualmente in vari modi queste operazioni, con qualche variante tendente a mettere in evidenza aspetti importanti e non importanti, lo inviteremo a disegnare una linea o un punto, esprimendo approvazione o disapprovazione fino a quando potremo essere ragionevolmente certi che la parola in questione è entrata a far parte del suo gioco linguistico, e in questo senso essa è stata compresa. |15|

Ciò che è talora chiamata «definizione ostensiva» - con terminologia del tutto impropria per il fatto che essa si mantiene ostinatamente abbarbicata al «definire», all’idea del dire ciò che una cosa è - oltre a non essere una definizione affatto, non è nemmeno una pratica ostensiva semplice, è invece un insieme di pratiche di varia natura, un «insegnamento ostensivo» del quale fanno naturalmente parte anche le parole, ma si tratta di parole integrate in una grande varietà di gesti, di comportamenti, di atti mimetici, di raccomandazioni, persino di sottintese minacce, che hanno lo scopo di addestrare ad impiegare «correttamente» le parole di nuova introduzione[1]. |16|

Ciò che con questo insieme di pratiche viene evitata è proprio la definizione verbale, mentre, nei primi passi della geometria come scienza, si cerca al contrario di affidare al linguaggio e - come una linea di tendenza che già si annunzia - soltanto ad esso, ciò che la figura è o deve essere. |17|

In questo senso abbiamo le nostre buone ragioni per affermare che per il solo fatto che nelle definizioni euclidee si tenti di introdurre i termini mediante parole si opera un netto distacco dal piano pratico-percettivo, manifestando il nostro dissenso da chi si affretta a segnalare come una sorta di residuo negativo la presenza di componenti intuitive e immaginative nelle definizioni di Euclide e nelle proposizioni che fanno parte dell’apparato fondazionale, così come del resto anche dalla pretesa che in esse ci troveremmo di fronte ad un puro e semplice conflitto con il «buon senso». |18|

Note

[1] Per la nozione di «insegnamento ostensivo» così interpretata cfr. L. Wittgenstein, Ricerche filosofiche, oss. 8-16. Benché Wittgenstein parli di un hinweisend definieren, tutta la discussione è una critica dell’interpretazione della definizione ostensiva come una pura e semplice ostensione indicativa del rapporto tra nome e oggetto. Il parlare di «insegnamento ostensivo», comprendente un insieme molto vario di pratiche, sembra dunque essere particolarmente appropriato.

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