Paolo Spinicci


Il mondo della vita e il problema della certezza
Lezioni su Husserl e Wittgenstein

 

 

 

 

 

 

 

 Lezione decima

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2. Dal mondo della vita alla soggettività trascendentale

 

 

 

 

 

Nelle riflessioni che abbiamo dianzi proposto siamo giunti a delineare una tesi impegnativa: sostenere che la Lebenswelt (nella sua accezione più ristretta) è il terreno su cui poggia ogni prassi teorica e culturale significa in ultima analisi riconoscere che le spiegazioni hanno comunque un termine e che la possibilità di fondare i giochi linguistici più complessi poggia infine sul rimando al mondo della vita come titolo generale cui ricondurre una molteplicità di distinzioni concernenti la natura degli oggetti percepiti e di operazioni concrete con essi.

Basta tuttavia addentrarsi un poco nella lettura della Crisi per rendersi conto che non è questa, per Husserl, la parola definitiva cui deve giungere l'indagine fenomenologica. L'esperienza quotidiana con le sue distinzioni e con le sue operazioni elementari è il terreno su cui poggia ogni ulteriore formazione di senso, e tuttavia anche della Lebenswelt si deve poter rendere conto poiché anche il mondo della vita deve apparirci infine come il prodotto di una costituzione soggettiva. Perché ciò accada è tuttavia necessario un mutamento dell'atteggiamento soggettivo: il soggetto, che solitamente agisce nel mondo ed è rivolto alle cose che lo circondano, deve volgere ora la propria attenzione dagli oggetti all'esperienza che ne abbiamo. Il senso di quest'operazione dovrebbe esserci ormai già noto, poiché è più volte emerso nelle considerazioni di natura storica che introducono la Crisi; e tuttavia è forse opportuno cautelarsi ancora una volta da un possibile fraintendimento: disporsi sul terreno delle indagini fenomenologico-costitutive non significa, per Husserl, immergersi nella descrizione di ciò che si trova nell'anima, - dei segni che le cose hanno lasciato in essa. L'epoché cui Husserl ci invita non è il dubbio cartesiano e non ci lascia soli a contemplare ciò che è racchiuso nell'anima. Il risultato cui essa conduce è differente: l'epoché fenomenologica non ci costringe a rinunciare al mondo delle cose e non ci rinchiude nella mente di un soggetto esperiente, ma ci invita a descrivere gli oggetti esperiti in quanto esperiti, a far luce sul modo in cui gli oggetti si danno alla soggettività. Forse qui abbiamo davvero bisogno di un esempio: entriamo in una stanza e vediamo un tavolo e, di fronte ad esso, una sedia. E ora facciamo valere il nostro diritto all'epoché: non parliamo allora del tavolo e della sedia, ma del modo in cui si danno alla soggettività. E come mi si danno innanzitutto il tavolo e la sedia? Mi si danno come cose che vedo e che permangono identiche pur nel variare delle prospettive, anche se di continuo si arricchiscono di nuove acquisizioni. Ma mi si danno anche come oggetti che posso toccare, su cui posso sedermi e appoggiare la borsa, e che ovviamente non sono nella mia mente ed esistono indipendentemente da essa. Di qui, nell'intreccio complesso di queste esperienze e di questa prassi, è racchiusa la costituzione fenomenologica degli oggetti del nostro esempio - di queste cose che diventano interessanti per noi solo in quanto oggetti esperiti. E ciò significa: se anche ci fossimo per un caso ingannati e se anche il tavolo non vi fosse e se non accadessero di fatto quei processi fisiologici che di solito accompagnano la percezione, nulla muterebbe nella nostra descrizione dei fenomeni, poiché non sarebbe per questo meno vero che il tavolo lo vedo e che lo vedo da qui, che lo tocco, che posso imparare ad usarlo nell'accomunamento di un insieme di pratiche intersoggettive, che posso riconoscerlo come lo stesso tavolo che ho visto poc'anzi e che tu ora vedi, e così di seguito. Ma ciò è quanto dire: l'epoché fenomenologica non impoverisce la nostra esperienza del suo rapporto con il mondo e con le cose, ma ci invita soltanto a rivolgere lo sguardo al modo in cui si manifestano. Così, se normalmente il mondo è già dato come il campo universale verso cui si orientano i nostri interessi e la nostra prassi, si deve rammentare, per Husserl, che

Può esistere un modo completamente diverso di vita desta nell'aver coscienza del mondo. Esso consisterebbe in un'evoluzione della coscienza tematica del mondo che è capace di dirompere la normalità di questo vivere verso [Dahinleben]. Consideriamo per esempio il fatto che in generale a noi tutti il mondo e, rispettivamente, gli oggetti non ci sono soltanto già dati, in un mero avere, quali substrati delle loro proprietà, bensì che noi diventiamo coscienti di essi (e di tutto ciò che è supposto onticamente) attraverso modi soggettivi di apparizione e di datità, anche se noi non vi badiamo affatto e se di gran parte di essi non abbiamo il minimo sospetto. Riconsideriamo ora questo fatto nella prospettiva di un nuovo orientamento universale degli interessi, stabiliamo un conseguente interesse universale per il come dei modi di datità e per gli stessi onta, ma non direttamente bensì in quanto oggetti nel loro come, interessandoci appunto esclusivamente e costantemente al come, al modo in cui sorge quella validità unitaria universale che è il mondo, e cioè il mondo così come si dà per noi; interessandoci appunto al modo in cui si costituisce per noi la coscienza costante dell'esistenza universale, dell'orizzonte universale degli oggetti reali, realmente essenti, ciascuno dei quali anche quando è presente alla coscienza nella sua particolarità, come semplicemente essente, lo è solo nell'evoluzione delle sue apparizioni relative, dei suoi modi di apparizione e di validità (ivi, p. 172).

Il senso di questa lunga citazione è relativamente ovvio, e se non ci lasciamo turbare da qualche termine oscuro non è difficile comprendere quale sia il rivolgimento cui Husserl ci invita: il senso delle sue parole è tutto racchiuso nella convinzione che la fenomenologia trascendentale debba indagare come si costituisca nella connessione sintetica delle esperienze quell'insieme di certezze e di cose che vanno sotto il titolo di mondo della vita. Ciò che si dà sul terreno della nostra quotidiana esperienza - il mondo di cose e di persone cui abbiamo dato il nome di Lebenswelt - deve così divenire oggetto di indagine, poiché occorre mostrare come anche il mondo della vita si costituisca fenomenologicamente e debba essere quindi ricondotto alla soggettività, - un termine questo che, per Husserl, racchiude la sfera dell'ego cogito cogitata qua cogitata ed è quindi coestensivo con la nozione di esperienza. L'epoché cui siamo ora invitati è dunque una riduzione alla soggettività; ma non alla soggettività psicologica, e cioè alla mente come res cogitans che si contrappone alla res extensa. La soggettività di cui qui Husserl parla è la soggettività trascendentale, e ciò a suo avviso significa: la sfera dell'esperienza nel suo complesso, di ogni esperienza e degli oggetti che in essa si annunciano - una sfera che posso indicare con il titolo di soggettività solo perché, per Husserl, si può dire che l'esperienza è appunto mia, che l'accesso che ciascuno ha alla propria esperienza è soggettivo.

Sulla natura di questa soggettività trascendentale e sulle molteplici forme in cui si articola il progetto di una costituzione fenomenologica della Lebenswelt avremo in seguito occasione di soffermarci, seppur brevemente. Ora dobbiamo chiederci invece quali siano le ragioni che spingono Husserl a relativizzare il carattere trascendentale della Lebenswelt e a porre di fatto quest'ultima solo come un punto di approdo, su cui è necessario indugiare prima di avventurarsi sul terreno di un'indagine descrittiva della soggettività trascendentale.

A questa domanda bisogna cercare di rispondere, e ciò significa che occorre tentare di far luce su un tema che nella Crisi è meno chiaro di quanto non si vorrebbe. Come abbiamo osservato, la nozione di mondo della vita viene dapprima introdotta in un contesto che tende a sottolinearne la funzione trascendentale: a questa funzione alludevano i molteplici passi in cui Husserl sottolinea che la Lebenswelt ha una funzione di "terreno" rispetto ad ogni prassi teorica. E tuttavia, riconoscere che la prassi teorica ed extra-teorica si fondano nel mondo della vita non significa ancora, per Husserl, sostenere che l'indagine filosofica possa fermarsi qui. Certo, le scienze obiettive muovono dalle certezze dell'esperienza quotidiana e i loro concetti presuppongono distinzioni ed operazioni che appartengono al contesto immediato del vivere, ma questa tesi che Husserl vorrebbe dare ormai per dimostrata non implica ancora - a suo parere - che non sia possibile spingere le indagini filosofiche un passo più avanti, poiché anche il mondo è un dato di cui si deve poter rendere conto.

In questa direzione Husserl si orienta senza alcuna esitazione, ed anche se non conoscessimo nulla della fenomenologia le riflessioni che abbiamo proposto sul terreno storico filosofico non dovrebbero lasciare adito a dubbi: se il vero problema della filosofia moderna è l'incapacità di coniugare l'indagine soggettiva con l'esigenza di una fondazione assoluta della conoscenza, allora è fin da principio chiaro che dall'orizzonte della Lebenswelt si dovrà prendere commiato, e per un duplice ordine di ragioni.

a) Dovremo infatti riconoscere, in primo luogo, che il compito che il passato della riflessione filosofica affida al presente della riflessione consiste nella necessità di riformulare la nozione di soggettività, per restituire il problema del fondamento al terreno soggettivo che gli compete. Se vuole venire a capo dello scetticismo dell'età moderna, la fenomenologia deve effettivamente rispondere al "problema di Hume" e ciò significa che deve saper dare alle sue analisi il compito di un'indagine della vita di esperienza. Ma ciò è quanto dire che l'epoché dalle scienze obiettive non è ancora sufficiente, poiché il terreno cui quest'operazione spalanca l'accesso non appartiene ancora alla dimensione della soggettività. Alla prima epoché occorre affiancare allora una seconda epoché che ci permetta di rivolgere lo sguardo alle forme e ai modi di manifestazione in cui si costituiscono per noi le certezze su cui si fonda la vita nella sua immediatezza.

b) Ma dovremo riconoscere anche, in secondo luogo, che il motivo che ci spinge ad abbandonare il mondo della vita alla volta della soggettività costituente è motivato anche dall'istanza di una fondazione assoluta del sapere. Il rimando alla soggettività si pone infatti, fin da principio, sotto l'egida cartesiana: ricondurre il mondo della vita alla descrizione delle esperienze che lo costituiscono significa accedere ad un terreno di evidenze apodittiche, di certezze di cui non è possibile dubitare non soltanto poiché da esse dipende il senso di ogni nostra prassi, ma anche perché sembrano disporsi su un terreno che è in linea di principio sottratto alla possibilità del dubbio. Di tutto posso dubitare, diceva Cartesio, ma non delle mie idee in quanto idee, e Husserl - come sappiamo - trae da questo spunto cartesiano la sua riformulazione dell'argomento del cogito.

Su quest'ultimo punto è bene riflettere, poiché si intrecciano qui due diverse nozioni di certezza che non debbono essere confuse, poiché ad esse si legano due differenti modi di intendere il progetto di una filosofia trascendentale. La prima forma di certezza ci riconduce all'indubitabilità che spetta a ciò che è presupposto da altri giochi linguistici. È questo il caso del mondo della vita: la Lebenswelt deve apparirci un terreno di certezze irrinunciabili innanzitutto perché è il fondamento presupposto da ogni nostra prassi. Mettere in questione i giochi linguistici elementari in cui si articola il mondo della vita vorrebbe dire scavarsi la terra sotto i piedi, e ciò è quanto dire che la peculiare certezza che spetta a ciò che funge da terreno della prassi è in linea di principio determinata dalla funzione strutturante che quegli stessi giochi linguistici assumono in relazione ad una diversa molteplicità di giochi linguistici più complessi cui non intendiamo per altri versi rinunciare. Potremmo forse avvalerci ancora una volta di un esempio e chiederci che evidenza abbiamo per sostenere che vi è davvero una differenza tra un uomo e un sasso. Perché non sostenere che anche i sassi sentono e soffrono come noi, perché non dire anzi che sono talmente sensibili ai mali del mondo da essere rimasti impietriti dal dolore? A questo strano interrogativo forse risponderemmo così: che un sasso non soffra è certo più di ogni altra cosa, poiché infiniti comportamenti si fondano su questa implicita convinzione. Negarla vorrebbe dire negare non un'opinione tra le molte possibili, ma la nostra vita.

A questa nozione di certezza è tuttavia possibile affiancarne un'altra che ci riconduce sul terreno dell'evidenza. Il mondo della vita è il titolo generale sotto cui raccogliere le molte certezze che sorreggono la nostra prassi, ma è anche il prodotto di un'attività costitutiva di cui posso analizzare le tappe. E su questo terreno non posso sbagliarmi, almeno per Husserl: venire in chiaro sulla natura del mondo della vita significa infatti muoversi sul terreno apodittico del cogito, sul piano indubitabile delle mie esperienze soggettive. Qui la possibilità del dubbio sembra esclusa a priori: che senso avrebbe, infatti, dubitare del mio esperire così come esperisco? Ora, rammentare l'apoditticità del cogito e dei cogitata qua cogitata significa additare la possibilità di una fondazione trascendentale che non si pone sotto l'egida della questione dei presupposti, ma procede costruttivamente da un terreno di evidenze apodittiche. La fondazione deve essere appunto una fondazione assoluta, e ciò significa - quante cose si imparano facendo filosofia! - una fondazione non relativa: una fondazione cioè che non tragga la sua legittimità da altro, dal suo essere investita di una certezza che le deriva dal suo porsi come presupposto di una molteplicità di giochi linguistici cui non ci sentiamo di rinunciare.

Non vi è dubbio che Husserl si orienti verso questo secondo criterio di fondazione. A spingere le sue analisi in questa direzione vi è senz'altro un'istanza cartesiana che attraversa tutta la sua riflessione filosofica e che diviene chiaramente visibile proprio in queste pagine della Crisi. Certo, come abbiamo più volte sottolineato, nella Crisi sembrano convivere due differenti prospettive, e del resto non vi è dubbio che l'una e l'altra nozione di certezza possano, per così dire, corroborarsi l'un l'altra: la certezza del mondo della vita, che trae la sua origine dalla funzione che quest'ultima esercita nei confronti di ogni prassi teoretica, può, per così dire, essere motivata da un'indagine fenomenologica che mostri la genesi delle nostre credenze originarie, così come il processo costitutivo può trovare una conferma nel mettere capo proprio a ciò che è presupposto da un insieme di giochi linguistici irrinunciabili. E tuttavia, anche se della possibilità di questo intreccio la Crisi è una testimonianza ed anche se il rimando alla genesi fenomenologica reca con sé gli strumenti per determinare meglio che cosa si debba intendere quando si parla della Lebenswelt nella sua dimensione intuitiva e nella sua struttura invariante, resta il fatto che una tesi toglie filosoficamente l'altra e che il progetto di una filosofia trascendentale ci riconduca infine nelle pagine husserliane proprio là dove Cartesio aveva compiuto il passo falso che la cultura filosofica dell'età moderna doveva poi con tanta fatica scontare. L'attenzione rivolta al mondo della vita si rivela così come una mossa che riveste un significato introduttivo, come un passo che è necessario compiere per ricondurre il mondo obiettivo al mondo esperito, ma che non può tuttavia essere l'ultimo, poiché il mondo esperito deve a sua volta dipanarsi nell'esperienza soggettiva del mondo. Il mondo della vita diviene così il termine medio che ci conduce alla vita che esperisce il mondo, al terreno fenomenologico della soggettività trascendentale. Ma ciò è quanto dire che, per Husserl, l'epoché che dischiude per noi il mondo della vita allude al cammino da compiere per muovere verso la dimensione filosofica cui tuttavia si accede solo quando si acconsente ad abbandonare anche questo terreno, per avventurarsi sul piano dell'indagine fenomenologico-costitutiva.

 

 

 

 

 

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