Paolo Spinicci


Il mondo della vita e il problema della certezza
Lezioni su Husserl e Wittgenstein

 

 

 

 

 

 

 

 Lezione diciottesima

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2. Und schreib getrost / "Im Anfang war die Tat"

 

 

 

 

 

In un'osservazione di Della certezza sull'impossibilità di spingere al di là di un certo limite il controllo e la giustificazione dei nostri giochi linguistici si legge così:

Come se una volta o l'altra la fondazione non giungesse a un termine. Ma il termine non è il presupposto infondato, ma il modo di agire infondato (Della certezza, op. cit., § 110).

Si tratta di un'osservazione importante che, in primo luogo, richiama la nostra attenzione sul significato che la prospettiva fondazionale assume in Wittgenstein.

Che questa prospettiva vi sia e che debba essere riconosciuta in tutta la sua significatività filosofica è difficilmente negabile, anche per chi non si accontenti di cogliere uno sviluppo di pensiero relativamente ben definito, ma vada in cerca del vocabolario classico del problema: nelle riflessioni di Della certezza ci imbattiamo infatti di continuo in termini come Boden, Grundlegung, Grundlage, unwankende Grundlage, Fundament, Substrat, Grund, Prinzipien, Grundprinzipien, ecc., - e cioè nei termini e nelle immagini che la tradizione ha consacrato al problema della fondazione.

Non si tratta di immagini o di parole usate a casaccio: Wittgenstein intende propriamente sostenere che il sapere si fonda su un insieme di certezze, che ci riconducono al terreno immediato della prassi. Quanto più ci immergiamo nella lettura delle riflessioni wittgensteiniane, tanto più ci convinciamo che il fondamento delle nostre credenze non possa avere natura proposizionale: proprio come scrive Faust, all'origine non vi è il logos, ma l'azione.

In quest'affermazione è racchiuso un invito a riflettere. Normalmente, alludere ad un terreno di fondazione significa proporre un movimento a ritroso che si dipana tuttavia in un identico medium: così, i postulati della geometria sono proposizioni geometriche elementari, proprio come il cogito cartesiano è una verità sul cui fondamento si pretende di far poggiare ogni altra verità che possa essere da noi conosciuta. Ora, per quanto si discosti dal modello tradizionale, anche il tentativo di Moore di fondare la conoscenza a partire dalle tesi del senso comune è caratterizzato da questa sostanziale omogeneità tra il livello delle proposizioni fondanti e il piano della fondazione - delle proposizioni elementari di cui è lecito dire che le so proprio come chiunque altro.

Come sappiamo, la posizione di Wittgenstein è più complessa. Wittgenstein non intende affermare che vi siano proposizioni del senso comune, ma vuole innanzitutto mostrare come ogni sistema di proposizioni poggi su un insieme di presupposti che ne determinano le coordinate grammaticali. Ma se ogni sistema di credenze poggia infine su certezze, non vi è invece un identico modo di rapportarsi delle credenze fondate alle credenze prive di fondamento.

Su questo punto ci siamo già soffermati: per Wittgenstein occorre distinguere da un lato il processo in cui determinate proposizioni vere vengono modificate nella loro funzione originarie e trasformate in regole del gioco, dall'altro il terreno di quelle certezze che si manifestano nella prassi e che sono presupposte dai giochi linguistici elementari. Che cosa caratterizzi le certezze che hanno, in senso stretto, forma proposizionale è presto detto: si tratta di proposizioni empiriche che "forse una volta venivano messe in questione" (ivi, § 211), ma che ora "ci sembrano saldamente acquisite, e hanno cessato di far parte del traffico" (ivi, § 210). Queste proposizioni ci sono state di fatto insegnate: che la Terra sia rotonda è una proposizione empirica che abbiamo un tempo appreso e della cui verità ci siamo convinti, ma che ora funge da regola che determina il modo in cui pensiamo i fatti. La certezza ha origine così da un insegnamento, cui abbiamo attribuito una funzione paradigmatica. Ed in quest'origine è per così dire racchiusa la radice duplice della sua plausibilità: da un lato infatti di quella tesi ci siamo un tempo convinti, dall'altra essa dà buona prova di sé come regola, come modo di pensare ai fenomeni. Per esprimersi nello stile paradossale di Wittgenstein: il muro maestro delle certezze è sorretto dalla casa che su di esso poggia (ivi, § 248).

Ma appunto le cose non stanno sempre così, non sempre le certezze si radicano in proposizioni empiriche cui in seguito si attribuisce una funzione paradigmatica, e la riflessione wittgensteiniana che abbiamo dianzi citato e che ci invita a prendere atto del fatto che là dove le giustificazioni hanno un termine non ci si imbatte in presupposizioni infondate ma in un agire infondato che addita un differente cammino. Percorrerlo vuol dire innanzitutto disporsi sul terreno dei giochi linguistici più elementari e del loro apprendimento nell'infanzia:

Il bambino impara a credere a un sacco di cose. Cioè impara, per esempio, ad agire secondo questa credenza (ivi, § 144).

Il bambino non impara che esistono libri, che esistono sedie, ecc. ecc., ma impara ad andare a prendere libri, a sedersi su sedie, ecc. (ivi, § 476).

Il bambino crede che esista il latte? O sa che il latte esiste? Il gatto sa che esiste un topo? (ivi, § 478).

Quale sia il senso di queste osservazioni è presto detto. Qui Wittgenstein ci invita innanzitutto a riflettere sul fatto che ogni gioco linguistico è innanzitutto un agire e che, come tale, presuppone il contesto dell'azione che fa da sfondo alla prassi, rendendola possibile. Il bambino impara a prendere libri ben prima che qualcuno gli insegni la regola del giudizio esistenziale; questo, tuttavia, non significa che il bambino dubiti che i libri esistano: il loro esserci è un'ovvietà di cui quella prassi è intrisa.

Di qui si deve muovere per comprendere l'incipit dell'osservazione 144: il bambino impara a credere a un sacco di cose [eine Menge Dinge], e quest'espressione così a buon mercato è in realtà ben scelta, poiché allude ad una modalità dell'apprendere che non è né ordinata né premeditata. Imparare un gioco linguistico vuol dire certamente imparare il significato (la regola d'uso) di un termine - per esempio della parola "lastra!". Ma vuol dire anche imparare un sacco di cose: l'insieme non formulato proposizionalmente dei presupposti di quel gioco linguistico che si danno insieme all'agire in cui esso si esplica. E tra questi presupposti ve ne sono molti che è persino difficile formulare, poiché -scrive Wittgenstein - si tratta di convinzioni che sono radicate nella prassi e che sono implicate da tutte le nostre domande e da ogni nostra risposta, così che diviene arduo toccarle con mano (ivi, § 103). Nel grido "Lastra!" sono racchiuse molte cose: è implicito, per esempio, che una lastra vi sia, che abbia senso tentare di afferrarla e di trasportarla, e che si possa andare a prenderla e cercarla, poiché il suo esse non è riducibile al percipi. Queste e molte altre cose sono presupposte dalla prassi di chi si appresta ad inscenare quel gioco linguistico.

Di qui la prima conclusione che dobbiamo trarre. Vi sono molte cose di cui siamo certi e di cui diventiamo certi proprio perché impariamo un gioco linguistico:

Immagina un gioco linguistico: "Quando ti chiamo entra per la porta". In tutti i casi ordinari sarà impossibile dubitare che vi sia davvero una porta (ivi, § 391).

Che vi sia una porta e che sia un buon esempio di ciò che potremmo chiamare "oggetto fisico" nessuno ce lo insegna, ma lo apprendiamo egualmente inghiottendo insieme al gioco linguistico lo sfondo su cui poggia (ivi, §§ 95, 143). Così, se le certezze che hanno, in senso stretto forma, proposizionale ci sono state di fatto insegnate, il tessuto di certezze che sorregge l'agire in cui si esplicano i nostri giochi linguistici non è a rigore qualcosa che si possa imparare, poiché il bambino se ne appropria come di uno sfondo che è dato insieme al gioco, come qualcosa che si è riversato nelle sue regole (ivi, § 558): il sistema delle nostre certezze fondamentali

l'uomo lo acquisisce attraverso l'osservazione e l'addestramento. Intenzionalmente non dico: "impara" (ivi, § 279).

Ma è falso dire: "Il bambino che padroneggia un gioco linguistico deve sapere certe cose"? se invece di dir questo dicessi: "deve poter fare certe cose" sarebbe un pleonasmo, e tuttavia è proprio quello che vorrei contrapporre alla prima proposizione (ivi, § 534).

Il bambino impara a reagire così e così; e reagendo in questo modo non sa ancora nulla. Il sapere inizia solo a un livello successivo (ivi, § 538).

In tutte queste osservazioni un tema si fa avanti con chiarezza: per Wittgenstein vi sono certezze che si manifestano nel modo in cui agiamo e ci comportiamo e che sono implicate dal contesto dei giochi linguistici più elementari. Ma ciò è quanto dire che disporsi sul terreno della fondazione vuol dire insieme mostrare come il venir meno della giustificazione ci riconduca sul terreno intuitivo della prassi, sul piano delle esemplificazioni intuitive e delle certezze del vivere.

Di qui anche la necessità di differenziare il modo in cui le forme linguistiche si radicano nel contesto della nostra esperienza. Ai giochi linguistici che trovano un legame con il mondo in virtù della duplice funzione di determinate proposizioni che ora hanno valenza empirica ora di regola della rappresentazione si debbono contrapporre quei giochi linguistici che guadagnano il come della loro applicazione insieme ai presupposti che sono implicati dalla prassi della loro attuazione. Il radicamento dei giochi linguistici elementari passa così attraverso l'esibizione paradigmatica del contesto intuitivo cui appartengono. Disporsi sul terreno del fondamento non significherà allora attingere ad un terreno di evidenze che parlino direttamente al nostro lumen naturale; vorrà dire invece chiamare in causa direttamente il nostro modo di agire, la forma che caratterizza la nostra prassi:

Ma la fondazione e la giustificazione delle evidenze arrivano a un termine. - Il termine, però, non consiste nel fatto che certe proposizioni ci saltano immediatamente agli occhi come vere, e dunque in una specie di vedere da parte nostra: il termine è il nostro agire che sta a fondamento del gioco linguistico (ivi, § 204).

Possiamo forse esprimerci così: se il fondamento ultimo si sottrae alla critica non è in virtù di una decisione della soggettività, ma a causa del suo carattere non teorico che lo rende sordo a ciò che accade sul terreno del sapere e quindi del dubbio.

Ma vi è una seconda tesi che sembra possibile ricavare da quanto abbiamo detto. Se riflettiamo su questa forma originaria della certezza, sul suo porsi non come un insieme di proposizioni che si sono irrigidite in un'immagine del mondo, ma come lo sfondo delle presupposizioni che sono implicate dalla prassi, allora l'ipotesi secondo la quale sarebbe legittimo individuare un insieme di certezze cui sembra impossibile rinunciare poiché su di esse si fondano i giochi linguistici più elementari e la possibilità di quell'accordo su cui riposa ogni altro gioco linguistico assume una maggiore plausibilità. Il "modo di comportarsi comune agli uomini" che si porrebbe come "il sistema di riferimento mediante il quale interpretiamo le lingue che ci sono sconosciute" sarebbe così il sistema di quelle certezze che non abbiamo imparato, ma che sono date con la vita stessa poiché sono implicate dalle forme più semplici del suo manifestarsi. Prima dell'universo delle proposizioni che so e che sono, proprio per questo, rivedibili e confutabili vi sarebbe un insieme di certezze che si manifesta nell'agire e che funge da presupposto ineliminabile delle nostre credenze. E se ora osserviamo che

la mia vita consiste in questo: che sono appagato di alcune cose (ivi, § 344)

allora è forse lecito rammentarsi del concetto di Lebenswelt, poiché anche la Lebenswelt ci si era manifestata come un insieme di certezze cui è possibile da un lato ricondurre le forme più elaborate della prassi conoscitiva e che dall'altro trae da questa funzione fondazionale la ragione che la mette al riparo dalle istanze di revisione che la riflessione scientifica avanza. E tuttavia, perché questo ricordo possa assumere una fisionomia più definita è ancora opportuno indugiare un poco nelle nostre considerazioni espositive.

 

 

 

 

 

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