Paolo Spinicci


Il mondo della vita e il problema della certezza
Lezioni su Husserl e Wittgenstein

 

 

 

 

 

 

 

 Lezione nona

 

 

 

 

 

 

 

 

 

2. La funzione trascendentale del mondo della vita

 

 

 

 

 

Le considerazioni che abbiamo appena proposto ci hanno mostrato da un lato la possibilità di un'indagine che abbia per oggetto la Lebenswelt, dall'altro la dualità insita in questa nozione. Proprio questa dualità, tuttavia, si è posta come indice di un cammino che deve essere percorso e che in realtà costituisce, per Husserl, la ragione per la quale il ritorno al mondo della vita non è soltanto possibile, ma necessario. E ciò che rende necessario il ritorno al mondo della vita è la funzione trascendentale che gli compete, il suo porsi come fondamento su cui la scienza e i suoi concetti poggiano:

dev'essere definitivamente chiarito, e ciò significa: dev'essere ricondotto ad una un'evidenza ultima, il modo in cui ogni evidenza di quelle operazioni logico-obiettive su cui si fondano, sia per la forma sia per il contenuto, le teorie obiettive (quelle matematiche quanto quelle scientifico-naturali) abbia infine le sue nascoste sorgenti di fondazione nella vita ultima operante in cui la datità evidente del mondo della vita ha attinto e sempre di nuovo attinge il suo senso d'essere prescientifico. Dall'evidenza logico-obiettiva (dall'evidenza della "comprensione intuitiva" ["Einsicht"] della matematica, delle scienze naturali, da quella "comprensione intuitiva" positivo-scientifica che il matematico, lo scienziato ecc., hanno nell'atto di perseguire e di fondare i loro risultati) la strada ci riconduce qui all'evidenza originaria in cui il mondo della vita è costantemente già dato (ivi, p. 157).

Qual è il senso di questa impegnativa tesi husserliana che ci invita a considerare le teorie scientifiche come il frutto di una prassi che si radica infine nel mondo della vita?

Un primo punto dev'essere fin da principio sottolineato: il problema di una fondazione delle scienze non implica affatto una critica di principio alla validità delle scienze stesse - che così stiano le cose, per Husserl, lo sappiamo fin dalle prime battute del corso. Ora possiamo tuttavia aggiungere un'osservazione che tende a corroborare questa tesi: per Husserl un'evidenza logico-obiettiva c'è, e vi sono quindi buone ragioni per considerare soddisfacente l'impianto teorico delle singole scienze - o almeno: delle scienze fisico-matematiche. Possiamo, anche in questo caso, richiamarci all'esemplarità della geometria: qui abbiamo assiomi e definizioni, e gli assiomi e le definizioni sono innanzitutto proposizioni - forme linguistiche, dunque - che circoscrivono il proprio oggetto e determinano le regole che per esso valgono. E ciò significa: quale sia la natura degli oggetti geometrici e quali le relazioni che tra loro sussistono non abbiamo bisogno di scoprirlo rivolgendo lo sguardo dagli asserti teorici allo spazio che intuitivamente c'è già da sempre dato, poiché tutto è già racchiuso negli assiomi e nelle definizioni della teoria che, per così dire, non smarrirebbero il loro interno significato teoretico se non avessimo un'esperienza sensibile dello spazio. Possiamo anzi spingerci un passo in avanti ed osservare che nell'opera di costituzione del proprio oggetto la geometria è libera - talmente libera da poter rinunciare alle definizioni e alle costruzioni che Euclide ci chiede ancora di fare, per divenire un sistema teorico dove la dimensione sintattica ha interamente messo da parte l'aspetto semantico. Alle definizioni esplicite che descrivono gli oggetti geometrici possono sostituirsi così le cosiddette definizioni implicite - e cioè la rinuncia al piano semantico a favore dell'universo delle relazioni sintattiche cui ora è demandato il compito di determinare le condizioni cui ogni eventuale interpretazione semantica della teoria deve ottemperare.

Di tutto questo Husserl era consapevole, ed anzi la sua filosofia della logica e della geometria non si discostano sono per certi aspetti simili a quelle di Hilbert. E ciò nonostante riflettere sulla geometria non può significare, per Husserl, rivolgere esclusivamente lo sguardo ad uno schema di assiomi e alle forme proposizionali che ne derivano: è necessario anche rendere conto del rapporto che la geometria lega con la sua originaria dimensione spaziale. Dedurre non equivale a spiegare - scrive Husserl (ivi, p. 215), e il senso di questa affermazione deve suonare come un rifiuto nei confronti di ogni filosofia che non cerchi di mostrare la genesi preteoretica dei concetti, - che non cerchi cioè di ancorare l'evidenza teoretica all'evidenza preteoretica..

Comprendere la geometria significa allora - per Husserl - ricostruire razionalmente la sua genesi, riscoprire il posto peculiare che la geometria euclidea in tale genesi occupa e infine mostrare il percorso che lega tra loro giochi linguistici molto diversi - il gioco linguistico delle configurazioni spaziali che appartengono al mondo della vita, il gioco linguistico della geometria euclidea con il suo caratteristico intreccio di sintassi e semantica, il gioco linguistico della geometria - per esprimerci ancora una volta con Husserl - come molteplicità puramente matematica. Questi diversi piani del discorso debbono essere distinti - Husserl non pretende certo di far valere sul terreno geometrico il concetto intuitivo di retta e viceversa - ma si deve tuttavia poter indicare il cammino che ci conduce dall'uno all'altro e che si radica infine nel terreno del mondo della vita, poiché è da qui che debbono pure aver preso le mosse le nostre concettualizzazioni. Di qui la peculiarità del discorso husserliano: il cammino che ci riconduce dalle costruzioni ideali al mondo della vita non è soltanto volto a discernere i livelli su cui si danno giochi linguistici che debbono essere colti nella relativa separatezza, ma è animato anche dalla convinzione che sia possibile tracciare una genesi il cui significato fondazionale è racchiuso nella possibilità di introdurre esemplarmente ciò che ci viene chiesto di assumere dalle proposizioni della teoria. Per Euclide la linea dobbiamo pensarla così:

La linea è lunghezza senza larghezza

E noi potremmo reagire di fronte a questa richiesta così perentoria come forse reagirebbe un bambino: potremmo cioè obiettare che se dalla linea che traccio alla lavagna rimuovo interamente la larghezza, il tratto scompare e con esso anche la strana pretesa di una lunghezza libera da altre dimensioni. Ma sarebbe ovviamente una reazione sbagliata: la linea euclidea è un oggetto del pensiero, e come tale non può scomparire alla vista - per la buona ragione che alla vista le linee euclidee non sono mai apparse. Che cosa sia una linea devi capirlo - non vederlo: questo è quanto è racchiuso nel progetto euclideo di dare alle relazioni spaziali una veste proposizionale.

Ma è proprio qui che il problema sorge: che cosa sia una linea posso capirlo muovendo dai teoremi euclidei, anche se a partire di qui non posso ancora comprendere perché la linea euclidea abbia lo stesso nome delle linee che traccio sul foglio e debbo necessariamente stupirmi del fatto che l'interesse per le forme dello spazio intuitivo e per le loro intuitive relazioni ci abbia costretto ad escogitare altre forme - le forme geometriche e le loro relazioni di natura linguistica. Tutto questo posso invece comprenderlo se ad una comprensione tutta interna alla teoria affianco le considerazioni genetiche dell'indagine fenomenologica - se, in altri termini, mostro come la linea euclidea possa essere intesa come il risultato di un processo di idealizzazione che ha origine da un insieme di operazioni concrete che appartengono al terreno della Lebenswelt. Così, alla domanda che verte sulla natura della linea euclidea posso rispondere proponendo una definizione il cui significato si dispiega nell'insieme delle conseguenze che se ne possono trarre; ma posso rispondere anche diversamente: posso indicare il cammino che verso quella definizione ci ha condotto - posso cioè mostrare come, iterando una certa operazione, si possano costruire linee sempre più sottili e si possa quindi fissare idealmente il limite verso cui quel processo tende. Il processo che dalle linee visibili conduce alle linee pensabili avviene così sul terreno di un insieme di operazioni intuitive liberamente ripetibili che si fissano in una regola che può essere seguita ed appresa. Spetterà poi alla riflessione geometrica in senso stretto trasformare il concetto preteoretico di linea in un concetto geometrico - in una definizione formulata linguisticamente e disposta in un sistema assiomatico. E che in questa prospettiva le formulazioni linguistiche della teoria - gli assiomi e le definizioni - non ci appaiano più alla luce della retorica del convenzionalismo è un fatto su cui si sofferma Giovanni Piana nel suo libro Numero e figura. Idee per un'epistemologia della ripetizione, CUEM, Milano 1999.

Non vi è dubbio che sia questa la via che Husserl ci invita a seguire. All'evidenza interna alle discipline scientifiche - all'evidenza logico-obiettiva - deve affiancarsi l'evidenza originaria, che sorge quando additiamo le operazioni concrete in cui si istituisce la regola di un certo gioco linguistico: fondare i concetti delle singole scienze significa allora muovere dal piano della teoria al terreno preteoretico, per mostrare poi quali siano le operazioni concretamente intuitive che ci permettono di risalire alla dimensione teoretica. È in questa luce, del resto, che debbono essere intese le osservazioni sul carattere peculiare del linguaggio entro cui si deve muovere l'indagine della Lebenswelt: quando Husserl osserva che non è possibile su questo terreno avvalersi dei concetti e del linguaggio obiettivo non intende sostenere che il mondo della vita è una realtà sfuggente e, in ultima istanza, ineffabile, ma intende invece sottolineare che se la Lebenswelt deve esercitare una funzione fondazionale, allora non può essere descritta in un linguaggio che presupponga le forme che deve aiutarci a comprendere. Se il mondo della vita deve consentirci una fondazione operativa dei concetti teorici - se, in altri termini, deve permetterci di chiarire che cosa intendiamo con nomi come linea, piano, numero, relazione, ecc., allora è fin da principio evidente che dal vocabolario della Lebenswelt proprio questi concetti nella loro formulazione teorica dovranno essere espunti. Di qui la necessità di distinguere il linguaggio della teoria dal linguaggio della Lebenswelt, i nessi e le relazioni teoriche tra i concetti (l'apriori obiettivo) dai nessi e dalle relazioni intuitive (l'apriori del mondo della vita):

Nella dimensione prescientifica, il mondo è già un mondo spazio-temporale; naturalmente, a proposito di questa spazio-temporalità, non si può certo parlare di punti matematici, di "pure" rette e di "puri" piani, di continuità matematiche infinitesimali in generale, e nemmeno della "esattezza" che appartiene al senso dell'apriori geometrico. I corpi che ci sono familiari nella dimensione del mondo della vita sono realmente corpi, ma non corpi nel senso della fisica. Lo stesso va detto della causalità e dell'infinità spazio-temporale. La struttura categoriale del mondo della vita ha gli stessi nomi, ma per così dire non bada affatto alle idealizzazioni teoretiche e alle costruzioni ipotetiche della geometria e della fisica (ivi, p. 167).

Alla differenza concernente la natura dell'apriori fa tuttavia da riscontro la tesi, così chiaramente espressa, del parallelismo che li accomuna e che permette di ricostruire metodicamente i fondamenti dell'uno muovendo dall'altro. Di qui il progetto generale di una ricostruzione preteoretica dei concetti teorici:

a realizzare quella configurazione di senso e quella validità d'essere che appartengono ad un livello più alto e che sono caratteristiche dell'apriori matematico così come di ogni altro apriori è una specifica operazione idealizzante, che si fonda sull'apriori del mondo della vita. Si dovrebbe quindi fare di quest'ultimo, nella sua peculiarità e nella sua purezza, un tema di indagine scientifica, per mostrare poi in un'indagine sistematica come su questa base, e attraverso quali modalità di nuove costituzioni di senso, sorga l'apriori obiettivo come frutto di un'operazione teoretica mediata. Occorrerebbe dunque una distinzione sistematica delle strutture universali dell'apriori universale del mondo della vita e dell'apriori universale obiettivo; successivamente occorrerebbe definire la problematica universale del modo in cui l'apriori obiettivo si fonda sull'apriori soggettivo-relativo del mondo della vita o di come l'evidenza matematica, per esempio, abbia la propria fonte di senso e di legittimità nell'evidenza del mondo della vita (ivi, p. 168).

Di questo ampio programma nella Crisi non vi è che il progetto. Vi sono tuttavia altre opere husserliane in cui la tematica dell'esperienza preteoretica diviene tema di un interesse analitico, ed a questo proposito è opportuno rammentare soprattutto Esperienza e giudizio. In quest'opera ci si interroga sui fondamenti preteoretici della logica e ciò significa che si cerca di determinare sul terreno dell'esperienza la natura dei concetti logici fondamentali - di nozioni come soggetto, predicato, relazione, della congiunzione, della disgiunzione, delle forme della modalizzazione del giudizio e così via. E il cammino che Husserl segue per far fronte a questo compito ci è ormai noto: Husserl non si dispone sul piano metalinguistico per definire al suo interno le regole e i concetti del linguaggio oggetto, ma cerca invece di insegnarci il loro uso, facendo riferimento a situazioni esemplari, a contesti intuitivi e ad operazioni concrete che debbono essere date per presupposte poiché appartengono al mondo della vita nella sua immediatezza. Così, in Esperienza e giudizio Husserl, per indicarci la via per apprendere le distinzioni logiche fondamentali, ci invita a riflettere sulla forma dei decorsi percettivi e sulle molteplici possibilità di una loro interna articolazione. Husserl ragiona così: prima pone sotto i nostri occhi una situazione percettiva schematicamente descritta, e poi ci invita ad eseguire una serie di compiti percettivi. Ci invita così ad osservare innanzitutto un oggetto, per chiederci poi di osservarne il colore o la forma. Quindi ci invita a distinguere due diversi giochi linguistici che corrispondono a due diverse richieste: possiamo interessarci al colore o alla forma di per se stesse o per confrontarle con altre forme e altri colori, ma possiamo anche coglierle senza per questo perdere l'interesse per l'oggetto da cui avevamo preso le mosse - ed è in questo secondo caso che il decorso percettivo assume la forma di un processo di esplicitazione che articola il tema dell'interesse percettivo in un tema e nelle sue possibili caratterizzazioni. Di qui, da questa distinzione tracciata sul terreno intuitivo, si deve muovere per imparare a giocare il gioco linguistico del sostrato e delle sue determinazioni e per fare di questo gioco l'anticipazione preteoretica di un più complesso gioco logico.

Dobbiamo accontentarci di questi brevi cenni. L'obiettivo cui tendono è del resto relativamente chiaro: intendevamo mostrare in che senso la Lebenswelt assumesse per Husserl una funzione fondazionale, e questo interrogativo trova evidentemente risposta proprio nel progetto generale che abbiamo per sommi capi delineato - il progetto di una chiarificazione dei concetti elementari delle singole teorie a partire da un insieme di operazioni concrete giocate sul terreno dell'esperienza intuitiva.

Basta tuttavia dare uno sguardo alle pagine husserliane della Crisi per rendersi conto che il problema è più complesso e che vi è un altro ordine di considerazioni che deve essere chiamato in causa non appena si riflette sulle ragioni che rendono la Lebenswelt un terreno che deve essere necessariamente presupposto. Il mondo della vita è, per Husserl, l'universo tacito delle nostre credenze - quelle credenze che determinano la sensatezza di ogni nostro agire e di ogni possibile prassi. Ora, la scienza è una prassi teorica tra le altre, ed ogni prassi teorica si stabilisce nel dialogo e nella critica; il dialogo e la critica, tuttavia, sono possibili soltanto sul fondamento di un accordo intersoggettivo che deve essere comunque presupposto. L'accordo - il terreno di un accordo possibile - è dunque una condizione trascendentale della prassi scientifica, ed è questo cui Husserl allude nella seconda sezione del § 34. Ora, il terreno di un accordo possibile implica a sua volta la condivisione di una forma di vita, e cioè di un insieme di certezze (e non di opinioni) che circoscrivono ciò che per noi può essere vero ed il senso di ciò che esperiamo. Così, la possibilità di un accordo presuppone banalmente che abbia un senso il dialogo - che all'io si possa affiancare il tu, e che questa parola possa essere rivolta a qualcuno da cui ci si attende un comportamento peculiare: posso "dare del tu" solo ad una persona, ed una persona è tale solo se il suo comportamento non soltanto si accorda, ma segue una regola. Per dirla con Kant: ciò che contraddistingue una persona dalle cose e che una persona non si limita ad operare secondo leggi, ma secondo la rappresentazione di una legge. E ciò che è vero per la distinzione tra cose e persone vale per infinite altre distinzioni fenomenologiche: perché vi sia un accordo dobbiamo muoverci in un mondo comune, che ci appaia all'interno di un sistema comune di categorizzazione. Ma ciò è quanto dire che il mondo della vita nella sua struttura invariante è una condizione di possibilità di ogni prassi sensata, poiché costituisce il terreno comune che fa da condizione trascendentale di un accordo intersoggettivo. L'indagine volta a far luce sulle strutture invarianti della Lebenswelt e sulle forme precategoriali dell'esperienza e della prassi si traduce così in una riflessione sul mondo della vita come presupposto trascendentale della prassi culturale, sia essa rivolta all'obiettivazione scientifico-conoscitiva o alla valorizzazione mitico-immaginativa.

 

 

 

 

 

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