Da: Giovan Battista Marino, La galleria del cavalier Marino divisa in pitture e sculture, Venezia 1620.

*************

Heraclito, e Democrito.

 

Levate il guardo al vostro albergo eterno,

Anime curve, e'n quest'Abisso immerse,

che nome ha Mondo, ed è più tosto Inferno.

0 cecità mortal, menti perverse,

s'a la luce del Ciel non vi volgete,

ben a gran torto il Sol gli occhi v'aperse!

Deh come, prigioniero entro una rete,

che tante morti in poca vita aduna,

può l'uom sempre in travaglio aver quiete?

Soggiace il poverel fin da la cuna,

agitato dal piè de la nutrice,

a l'agitazion de la Fortuna.

Nato in un punto istesso ed infelice

va lagrimando le miserie estreme,

che l'umana natura gli predice,

e ne' vagiti suoi sospira e geme

la lunga serie de' futuri affanni,

che con tal tronco han la radice insieme.

Che gravi incarchi ne' più debil'anni,

mentre vaneggia e pargoleggia infante,

a mille rischi esposto, a mille danni!

Tenero sovra il suolo e vacillante,

stampa dubbie vestigia, e non ben pote

senza le braccia altrui fermar le piante,

Le membra avinte e d'ogni forza ha vòte,

e de' vasi materni il cibo chiede

con lingua balba e mal distinte note.

Cresciuto il senno, e stabilito il piede,

in più perfetta età, di quanti mali

fatto gioco e bersaglio ognor si vede?

Ecco con duri e velenosi strali

incominciando a saettarlo Amore,

gli fa piaghe pestifere e mortali.

Vien rabbia, gelosia, speme e timore

con l'altre cure e passion' nemiche,

anzi Furie tiranniche del core.

Succedono i disagi e le fatiche,

degl'ingordi desir' l'avide brame,

che quanto acquistan più, più son mendiche,

de l'òr la sete, e de l'onor la fame,

de' sozzi morbi la perpetua guerra,

e del giogo servil l'aspro legame.

Chi può dir poi gl'incommodi che serra

de la pigra Vecchiezza il peso greve,

che già mira il sepolcro, e pende a terra?

De' dolci dì la Primavera è breve,

tornan freddi gli spinti, i corpi lassi,

dove spuntava il fior, fiocca la neve.

Tardi il tremulo piè distende i passi:

né merlo intorno ha più che ben sussista

la corona de' denti, e rara fassi.

Solca ruga senil la guancia trista,

infossan gli occhi, e fosca nebbia involve

d'importuna caligine la vista.

Alfin pur si distempra, e si dissolve,

questa fragil testura d'elementi,

e ritorna la carne in trita polve.

Fermate il passo, o Peregrin' dolenti,

voi che quaggiù cercate ombra di bene,

né trovate già mai se non tormenti.

E conchiudete pur, che ben conviene

che 'n un mar la cui fede è tanto infida,

fra tante or liete, or dolorose Scene,

l'un Filosofo pianga, e l'altro rida.

Torna a Il filosofo che piange e il filosofo che ride