Vis centripeta e vis centrifuga

Goethe parla di vis centripeta e vis centrifuga nel brano Problemi, del 1823, dove scrisse:

L'idea della metamorfosi è un dono che viene dall'alto, molto solenne, ma al tempo stesso molto pericoloso. Essa conduce all'assenza di forma; distrugge il sapere, lo disgrega. È simile alla vis centrifuga e si perderebbe nell'infinito se non avesse un contrappeso: voglio dire l'istinto di specificazione, la tenace capacità di persistere di ciò che una volta è divenuto realtà. E' come una vis centripeta che nessuna esteriorità può danneggiare nel suo fondamento più profondo.

Francesco Moiso, nelle sue lezioni dedicate alla figura di Goethe come artista e scienziato, commenta così il brano precedente:

Ci sono di nuovo due forze contrapposte e solo dalla presenza di entrambe può nascere qualche cosa. Da un lato vi è la tendenza all'informe: lasciata a questa tendenza, la natura sarebbe una pura e semplice metamorfosi che scorrerebbe in un istante da una forma all'altra in un caleidoscopio di forme che costituiscono la natura senza potersi mai fermare da nessuna parte trasformandosi l'una nell'altra in maniera incontrollata come una specie di cavalcata delle maschere o dei fantasmi. Il continuo si perderebbe così definitivamente nel caotico. Dall'altro lato, il "contrappeso" a ciò, è quello che qui Goethe chiama "l'impulso alla specificazione", cioè qualcosa che potrebbe essere definito come un principio di cristallizzazione di questo fluido che va all'infinito; quando una cosa viene alla realtà - qui si parla di viventi, naturalmente - tende a resistere all'interno dei suoi confini anche se il processo che lo ha prodotto è un processo che tende a svellere e a sradicare questi confini in ogni momento. Abbiamo quindi una forza centrifuga che disperderebbe tutto e una forza centripeta che però Goethe dice essere molto più profonda di quanto non si possa cogliere dall'esteriorità; è talmente profonda che essa continua a mantenere la sua specificità anche nel mutare di certi aspetti esteriori.

È interessante notare, invece, come Haeckel interpreti il brano di Goethe dal punto di vista dell'evoluzionismo, servendosene per dimostrare l'azione reciproca dell'ereditarietà, ovvero la vis centripeta, il tipo comune interno che si conserva tenacemente, e dell'adattamento, vale a dire la vis centrifuga, l'influsso esterno dell'ambiente sul tipo primitivo, nella formazione dei viventi. Nella Storia della creazione naturale lo zoologo afferma:

L'"Urbild", figura primitiva o "tipo", che come "comunanza intima originaria" sta a base di tutte le forme organiche, è la forza formatrice interna che conserva il piano originario e lo propaga per eredità. Per contro "l'indefesso progressivo modificarsi" che nasce "dai necessari rapporti col mondo esterno" determina come forza formatrice esterna per adattamento alle condizioni ambientali di vita l'infinita "diversità delle forme". L'interna spinta dell'eredità, che conserva l'unità del tipo, è chiamata dal Goethe in un altro sito la forza centripeta dell'organismo, la sua tendenza specifica; in opposizione ad essa egli chiama la spinta esterna dell'adattamento, che produce la molteplicità delle forme organiche, forza centrifuga dell'organismo, la tendenza a variare.

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