Le parole della filosofia, III, 2000

Seminario di filosofia dell'immagine


Annibale Carracci e la Galleria Farnese:

la cornice vivente

- Lia Brambilla -

 A. Carracci, La galleria Farnese, Giove e Giunone

Victor Stoichita definisce il '600 un secolo ossessionato dalla cornice come frontiera estetica tra reale e significante. Osservando le decorazioni ad affresco e stucchi dei soffitti di chiese e palazzi romani eseguite tra l'ultimo scorcio del '500 e la seconda metà del '600 ci si può rendere conto di come avvenga, nel giro di pochi decenni, una frattura formale e figurativa del concetto di cornice come frontiera della rappresentazione allo scopo di ottenere un totale coinvolgimento emotivo e sensoriale del fruitore. Si tratta di decorazioni a "sfondato", in cui il soggetto dipinto appare in uno spazio fittizio ricavato pittoricamente sulla superficie architettonica e più o meno racchiuso da una cornice, dipinta o a stucco.

Eseguiti su commissione delle potenti famiglie del patriziato romano per abbellire i loro palazzi o per le chiese dei nuovi ordini religiosi, i Gesuiti e gli Oratoriani, questi affreschi sono di soggetti sia sacri che profani: storici, mitologici o religiosi. Qualunque sia il soggetto dipinto, il percorso di ripensamento dei limiti fisici della cornice è evidente allo stesso modo; si tratta di un mutamento di forma della cornice, che ora tende ad intersecarsi fisicamente con l'immagine ma mantiene la funzione peculiare di dare risalto all'immagine che circonda.

"Senza cornice non vi è un centro", ci dice Panofsky. Guardando dal basso, da spettatore, queste grandi "macchine" barocche si è portati a dimenticare la bidimensionalità della superficie pittorica fino a sentirsi completamente risucchiati in un vortice di figure percepite come tridimensionali ed esistenti in uno spazio che si apre oltre l'architettura, attraverso la cornice. Dal punto di vista formale questa sensazione è dovuta all'uso della costruzione prospettica, prevalentemente a punto di fuga centrale, spesso accompagnata da figure costruite con un disegno fortemente scorciato.

Dal punto di vista iconografico, questo tipo di decorazione sviluppa l'idea dell'oculo aperto su soffitto della Camera degli Sposi di Mantegna, tema evolutosi attraverso le sperimentazioni spaziali di artisti formatisi culturalmente nella zona tra Veneto ed Emilia.

Importante è il rapporto di queste decorazioni con la loro cornice, sia intesa in senso di delimitazione fisica dell'immagine dipinta attraverso stucchi o cornici anch'esse dipinte, sia in senso più ampio come contesto architettonico. Per arrivare alla fusione tra superficie dipinta e contesto architettonico, vale a dire al massimo coinvolgimento dei sensi dello spettatore, il pittore rompe o meglio corrompe la cornice - limite per farla diventare rappresentazione essa stessa: gli stucchi (dove sono presenti) diventano figure che penetrano nell'area affrescata e la superficie dipinta non ha più limiti geometrici, invade lo spazio architettonico.

Annibale Carracci, Galleria Farnese

La decorazione a fresco della volta della Galleria di Palazzo Farnese a Roma viene intrapresa da Annibale Carracci, bolognese, tra il 1597 e il 1600, su commissione del Cardinale Odoardo Farnese. Nonostante la committenza ecclesiastica, vennero scelte come soggetto le favole d'amore della mitologia antica; se questa scelta avesse una motivazione moraleggiante o si trattasse di una scelta puramente estetica è argomento molto dibattuto dai critici.

I contemporanei, tra i quali l'illustre storico e critico Bellori ammirarono la fantasiosa invenzione e l'armoniosa fusione tra scultura, pittura ed architettura di questa galleria, i critici moderni vi hanno visto nascere il cosiddetto barocco.

Si tratta di un lungo e stretto ambiente a pianta longitudinale, dal soffitto voltato a botte, destinato ad accogliere la collezione di sculture antiche della famiglia. Lungo le pareti, infatti, sono disposte nicchie contenenti le statue, intervallate da paraste culminanti in capitelli dorati che sorreggono un cornicione aggettante in stucco. Sopra le nicchie vediamo bassorilievi in stucco bianco e dorato e piccoli dipinti. Una delle due pareti guarda verso l'esterno attraverso finestre che si alternano alle nicchie; l'ingresso al locale è possibile sia da porte poste sui lati corti che da una porta centrale nella parete interna. La composizione, assolutamente originale, è divisa dal Bellori in quadri riportati e quadri coloriti al naturale: i primi sono costituiti da nove dipinti entro cornici dorate anch'esse dipinte, innalzati fino al soffitto voltato e qui illusivamente sospesi tra le strutture architettoniche, parzialmente visibili, di una volta a trompe l'oeil aperta sul cielo. Alla base della volta scorre un fregio dipinto, i quadri dipinti al naturale, composto di medaglioni bronzei e telamoni in finto stucco sul quale siedono figure ignude che reggono ghirlande vegetali, intervallati da altre scene mitologiche entro riquadri. Il fatto che Bellori sentisse la necessità di dividere concettualmente in questo modo la descrizione della volta dipinta testimonia la sua comprensione del mirabile artificio creato dal pittore bolognese. Il teorico distingueva una decorazione a trompe l'oeil "naturale", eseguita secondo l'idea di dipingere in una prospettiva illusionistica ciò che poteva invece venire eseguito a stucco da una decorazione "artificiosa", cioè la finzione dei quadri sospesi al soffitto.

Annibale Carracci utilizza la prospettiva con punto di fuga centrale per costruire la decorazione architettonica strutturale che asseconda la forma voltata del soffitto. I quadri riportati, invece, accentuano la loro caratteristica di artificio attraverso una mancanza di profondità che li fa percepire come raffigurazioni, finzioni consapevoli. Le scene mitologiche dipinte entro i quadri riportati, infatti, vengono percepite separatamente rispetto al contesto grazie ad una costruzione prospettica autonoma, a figure collocate in primo piano e ad una sommaria ambientazione spaziale.

Annibale Carracci, Galleria Farnese, particolare degli ignudi con medaglione bronzeo

Lo spettatore è chiamato a percepire diversi piani di realtà attraverso una sequenza di cornici che si comportano come una sequenza di porte aperte. Ad un primo livello di osservazione si concentra lo sguardo sui quadri riportati, che sono rappresentazione di se stessi, si offrono cioè come scene mitologiche raccontate entro una cornice. E' stato notato che il disegno di Annibale fissa queste scene in una fredda immobilità, perlomeno se le si confronta con il resto della raffigurazione. Subito dopo lo sguardo è catturato dalla struttura sottostante, ombreggiata a causa della presenza dei quadri riportati. I telamoni in finto stucco rappresentano figure mitologiche, sono abbigliati ed atteggiati in guisa di Ercole, Atlante, ecc., ciascuno in una posa diversa. In un paio di casi queste statue dipinte ed animate dialogano attraverso lo sguardo con gli ignudi seduti sul cornicione, altre volte guardano davanti a sé con occhi veri, non di statua. Benché siano dipinti per simulare una struttura portante, appaiono come personaggi agenti, come una patetica e quasi naturale metamorfosi di uomini e marmo. Nello spazio scandito dai telamoni vediamo medaglioni bronzei aggettanti in parte coperti dai quadri riportati, in parte dalla presenza di puttini in carne ed ossa che si appoggiano mollemente sui loro contorni curvi.

Solo a questo punto ci si accorge che non si tratta di un soffitto voltato chiuso, ma di una struttura aperta verso un cielo nuvoloso di tramonto attraverso una balaustra dipinta sui lati corti della volta. Una serie di figure ignude, di chiara derivazione michelangiolesca, appoggia sul cornicione aggettante, osserva la struttura, i quadri e lo spettatore. Si tratta di eredi del personaggio - quinta cinquecentesco, mediatori tra il mondo di uomini di carne e quello degli uomini dipinti.

Nei vari piani di realtà che la decorazione presenta, si percepisce un'astrazione crescente. Annibale ha forse voluto porre lo spettatore nella condizione di fare un percorso attraverso la vista, guidandolo con queste presenze animate fino alla percezione dei quadri riportati, centro simbolico della decorazione, non tanto dal punto di vista iconografico (non esiste in effetti una narrazione unitaria, quindi non può esserci un culmine narrativo) quanto da quello percettivo: la grande e patetica animazione della cornice, della volta dipinta con tutti i suoi abitanti mira a mostrare l'invenzione del quadro sospeso al culmine della volta. Tuttavia nel guidare il percorso visivo verso i quadri riportati, immoti, la cornice mostra se stessa, costringe lo sguardo a deviare e soffermarsi sui suoi particolari animati e viventi. La volta dipinta è si cornice, ma si trova a sua volta nel contesto-cornice della galleria. Poiché l'ambiente è stato interamente concepito e decorato nello stesso momento e seguendo un progetto unitario, si può senz'altro parlare di una cornice - contesto, nata per e con la superficie dipinta. Tutte le pareti sono decorate in bianco e oro, scandite da paraste che anticipano e sottolineano la tensione verticale dei telamoni dipinti sulla volta, ma un pesante cornicione aggettante (questo si, reale) separa nettamente la parte inferiore della sala, quella tridimensionale, da quella superiore, dipinta. D'altro canto questo cornicione è anche la base su cui appoggiano le figure di ignudi, i mediatori tra il mondo dipinto ed in mondo tridimensionale, quindi se da un punto di vista è lecito considerarlo una cornice che separa, identifica e mostra, è inevitabile riconoscere anche la sua funzione di legame tra due momenti percettivi di uno stesso spazio.

Annibale Carracci, Galleria Farnese, particolare degli ignudi con medaglione bronzeo, raffigurante Apollo e Marsia

A livello dell'occhio umano sono percettibili statue vere, in marmo, poste dentro le loro nicchie; salendo con lo sguardo (e quindi raggiungendo nuovi livelli di percezione più che visiva, cioè integrata con la fantasia) si è accompagnati verso l'alto dalle paraste fino alla grande ed animata visione della volta dipinta. Ci si trova quindi ad affrontare la percezione di tre livelli di realtà, quello delle opere a tre dimensioni (le statue e la decorazione a stucco) che mostrano se stesse per come sono (possono anche venire toccate!) e che sono al contempo direttrici visive per la percezione della rappresentazione dipinta. Sollecitando l'ingannevole senso della vista, la volta della Galleria ci si offre come tridimensionale e bidimensionale allo stesso tempo, ovvero ci costringe all'ammissione che distinguiamo pittura-narrazione e pittura-cornice da quello che noi consideriamo spazio reale solo perché il pittore stesso ce lo consente e ci invita, ci sollecita a farlo.

La pittura barocca gioca spesso con la percezione dello spazio per ragioni infinite volte indagate e forse mai del tutto comprese, spesso utilizzando a tale fine la cornice.

In questo caso Annibale Carracci si è servito di un concetto di cornice non restrittivo, non ha cioè utilizzato la cornice per rinchiudere (cioè a guisa di contorno) la sua pittura ma per esaltarne la potenza illusionistica. Fondendo la rappresentazione alla cornice Annibale ne sottolinea la funzione di direttrice dello sguardo; animandola ne rafforza l'impatto percettivo sullo spettatore.

Lo spettatore rimane dunque un ricettacolo passivo di sensazioni ottiche procurate dalla cornice animata? Dal mio punto di vista la risposta è affermativa, proprio perché la macchina pittorica della Galleria Farnese mette in atto tutte le potenzialità della cornice, quella di dare risalto a ciò che contiene, quella di creare il centro dello spazio che occupa e quella di accompagnare lo sguardo di chi osserva verso questo centro.

Riferimenti bibliografici

Victor  Stoichita, L'invenzione del quadro, Saggiatore, 1998.

Pietro Bellori, Vite dei pittori, scultori ed architetti moderni, Roma, 1972.

Rudolf Wittkower, Arte e architettura in Italia,1600-1750, Einaudi 1993.

Ottobre 2000

 Lia Brambilla

 


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