CONCLUSIONE

 

 

L'estetica in Francia, scrive M. Dufrenne, pur essendo in primo luogo una disciplina universitaria, deborda ampiamente 1 istituzione e si manifesta in un più vasto contesto culturale dove, se anche a volte è rifiutato il termine estetica come residuo di una tradizione superata, sempre si partecipa in modo attivo «alla vita tumultuosa delle arti e della letteratura». La molteplicità delle strade che si aprono porta dunque alla conclusione - che riteniamo del tutto valida oggi - che «non c'è, e nell'università non c e più, una dottrina estetica regnante. Gli approcci sono tanto diversi quanto le grandi correnti filosofiche e politiche. Se ci si attiene a specificazioni a volte troppo semplici, si può parlare di un'estetica fenomenologica, di una (o più?) estetiche marxiste, di un'estetica strutturalista, di un'estetica positivista, di un'estetica psicanalitica, fra cui i dibattiti sono appassionati quanto numerose le interferenze»[1].

Questo frammentarsi di ricerche denota come l'attuale estetica francese si ispiri più ai campi letterari o artistici, esaminati nei loro oggetti costituiti o nella pragmaticità delle loro attività costruttive, che ad analisi filosofiche su quelle tematiche «scientifiche» che avevano variamente occupato predecessori e maestri. Di questo atteggiamento sono testimonianza le più recenti ipotesi di ricerca, dove estetica sta ormai assumendo il significato di una qualsiasi meditazione riferita all'arte o all'artista, alle arti nei loro specifici problemi costitutivi così come alle loro connessioni con la storia, la società, l'ideologia, la psicanalisi o la filosofia. L'estetica ha dunque i confini stessi dell'arte contemporanea, ovvero non vuole più darsi confini né dominare un campo eclatée: sua unica funzione sembra quella di sovrapporsi ad esso, seguendolo nel suo divenire. L'oggetto dell'estetica, l'oggetto primario, è l'arte, l'arte ancora prima dell'esteticità come sua idea ordinativa o regolativa: l'arte delle opere, degli oggetti, delle performances, l'arte frammentata e non più sistematizzabile. Peraltro, in Francia, come scrive U. Eco,

«l'esthéticien non è tanto il filosofo che riflette sul fenomeno Arte in termini generali, quanto l'analista delle strutture concrete; e tuttavia non ancora il critico, che le giudica, ma il catalogatore, spesso lo scienziato, comunque il tecnico che le osserva e interpreta alla luce delle discipline complementari, la psicologia, la sociologia, la storia degli stili, ecc. L'esthéticien starebbe insomma al filosofo che parla del Bello come al filosofo che parla del Bene sta il moralista che si fa analizzatore del costume (e non dice tanto se qualcuno abbia fatto bene ad agire in un certo modo, ma quali caratteristiche, quali costanti, quali influssi abbia rivelato il suo modo d'agire)»[2].

Così, oggi più che mai, «ricerca applicata al campo disperso delle arti» è l'unica formula «estetica» che, nella sua indubbia vaghezza, può unificare i singoli discorsi critici, le poetiche riferite agli autori o alle arti con le indagini strutturaliste sui testi letterari o le analisi poietiche sulla genesi delle opere. Anche se tali discorsi possono ritrovare il loro radicamento nell'Arte come instaurazione di Souriau, è d'altra parte chiaro che si è ormai abbandonato il contesto filosofico della sua proposta per volgersi invece ad affermazioni aspecifiche sulle singole «estetiche» - delle arti plastiche, del cinema, della pittura, del teatro o della letteratura - senza spiegare, nella considerazione ingenua di singoli e specifici elementi teorici operanti nelle arti e nelle opere, i processi di carattere soggettivo e intersoggettivo che permettono una valorizzazione in senso estetico e artistico di certe regioni oggettuali del nostro mondo circostante, regioni che si strutturano in leggi radicate nella organizzazione stessa intrinseca al materiale sensibile.

Se infatti l'estetica francese sembra spesso sul punto di raggiungere l'evidente consapevolezza della distinzione necessaria fra gli ambiti generali dell'artistico e dell'estetico, dell'oggetto estetico e dell'opera d'arte, dei lati soggettivi produttivi e ricettivi e di quelli esclusivamente oggettivisti e formali, non riesce mai a teorizzarla con definita chiarezza mentre è proprio a partire da tali distinzioni metodologiche, che ritagliano specifiche «ontologie regionali», che l'estetica tedesca ha cominciato a presentarsi come scienza con Fiedler, Dessoir e Utitz. In Francia, invece, malgrado le iniziali intuizioni di Guyau e Paschal, non si è compreso sino in fondo che il problema della valutazione dell'opera in quanto artistica, ovvero del giudizio soggettivo riferito al suo valore, non fa parte in modo a prioristico e «ingenuo» della dimensione estetica, proprio perché tale dimensione è più vasta del campo dell'arte, di cui costituisce la base fondante, sia che, seguendo la tradizione leibniziana di Baumgarten, la si veda come principio gnoseologico elementare sia che, con la tradizione dell'empirismo inglese, la si consideri come una sfera extralogica della sensibilità connessa all'esistenza individuale. Da ciò deriva, come generica ed elementare conseguenza, che l'estetica, prima di affrontare la singolarità delle opere o degli autori (campo in cui si confonde con la distinta disciplina della critica), deve impegnarsi su una strada in grado di elaborare concettualmente le dimensioni culturali, il ruolo e le funzioni dei campi interconnessi dell'estetica e della scienza dell'arte - scienza che non può in ogni caso divenire «delle arti», frammenti di un universo valorizzati soltanto attraverso un giudizio soggettivo non sempre storicamente radicato e giustificato[3].

D'altra parte queste problematiche, se oggi, in una prospettiva dove l'estetica si volge alla critica e alle poetiche, sono messe da lato, non erano affatto assenti nel percorso storico dell'estetica francese sino a qui delineato, percorso che, nelle sue curvature aporetiche e densità culturali, è difficile riassumere in una conclusiva proposta unitaria: non vi è alcuna «risoluzione» dell'estetica francese, così come ben raramente si risolvono in se stesse le teorie dei singoli autori, in un gioco di rimandi il cui spessore deve essere accolto in quanto problematico, «aperto», come Bayer definiva l'intera esperienza estetica.

In tale indubbia differenza di posizioni è stato tuttavia possibile individuare, se non altro per analogia con quanto si svolgeva in Germania, un momento di fondazione unitaria dell'estetica in Francia che, da un lato, trovava nuovi contenuti nelle scienze dell'uomo, psicologia e sociologia, liberandole da alcuni schematismi del primo positivismo, e dall'altro si impegnava a conservare la tradizione stessa del positivismo contro le insorgenze soggettivistiche che, sulla spinta delle teorie dell'Einfühlung, trovavano radicamento nel bergsonismo e nella ricca tradizione spiritualista da cui esso sorgeva. Tuttavia anche questo movimento di fondazione scientifica presentava incertezze metodologiche ancora oggi operanti. Per esempio C. Lalo considerava, in definitiva, l'estetica come l'ossatura teorica della critica delle arti, che le offre l'esclusivo materiale attraverso valori e funzioni connessi alla vita della società e alle psicologie individuali. Questo relativismo, che non aveva timori a presentarsi come tale, e che vede nell'arte, e solo nell'arte, l'oggetto dell'estetica, viene tuttavia «corretto», per ovviare all'ingenuita dell'impostazione, da un «formalismo» realista che, alla metà del secolo, sostanzialmente indifferente alle problematiche filosofiche contemporanee, pone l'indagine sull'arte su un piano decisamente filosofico e teorico, seguendo in ciò V. Basch, che per primo aveva compreso la necessaria correlazione, in un'estetica come scienza, fra le sfere molteplici dell'oggetto e gli atteggiamenti soggettivi, sia del produttore sia del cosiddetto ricettore.

L'arte infatti, pur rimanendo il centro tematico fondamentale, e vista e analizzata non nella singolarità delle opere o dei risultati della creatività individuale ma come un campo percorso da numerose linee di forza in cui si incontrano il soggetto e l'oggetto, in un tentativo di instaurazione «fenomenologica» che troverà in Dufrenne il suo compimento. L'arte è dunque considerata, in particolare da R. Bayer, ma anche da E. Souriau, sia come struttura, ovvero in quanto cosmo autonomo, forma significante in se stessa, ordinata secondo specifici criteri, sia come espressione, ovvero comunicazione e linguaggio. Il rapporto fra questi due piani dell'oggetto e del soggetto, se non la loro sintesi, si verifica - secondo una tradizione del tutto particolare, e caratteristica della sola Francia in Europa, di adesione teorica ai procedimenti tecnico-costruttivi - attraverso l'instaurazione della forma, l'operativismo, l'incontro concreto, tecnico, poietico o naturante, fra soggetto e oggetto. «Arte» assume allora il senso più vasto sia di tecnicità produttiva di oggetti autosignificanti sia di processo che instaura i «contenuti di verità» dell'essere reale delle cose. Come scrive V. Jankélévitch,

«lo sboccio del riconoscimento si produce al termine di una maturazione, e a partire da una prima e frusta conoscenza. Riconoscere è apprendere - e di conseguenza comprendere - ciò che già si sapeva ma che si 'misconosceva'. (...) - È questo il segreto di ogni apprentissage»[4].

In tutta l'estetica francese quindi, e non nel solo Jankélévitch, l'arte, come scrive E. Lisciani-Petrini, «è la messa- in opera, la 'poiesis' per eccellenza di quel desiderio di Far-essere, cioe di quell'erotica effettività che articola e altera 'superficialmente quanto 'profondamente (= illimitatamente) l'intero reale. L'arte infatti, in quanto Far-essere 'poietico', ne è la più esplicita attestazione»[5].

Queste indagini, rivolte verso il lato della «creazione» (anche quando, per esempio con R. Bayer, non dimenticano la sensibilità soggettiva), vengono integrate dal punto di vista «ricettivo» essenzialmente con la fenomenologia, in particolare di M. Dufrenne, che apre, come già si è detto, la prospettiva dell'estetica francese a importanti tematiche della filosofia contemporanea e ad alcune correnti estetiche in esse radicate. L'intero arco di tale percorso, di cui si sono qui mostrate solo le tappe principali in vari «schizzi» storicoespositivi, si è quindi presentato, in primo luogo, come un tentativo di indagare alcune linee di tendenza, scarsamente esaminate in Italia, che vanno dal positivismo alla fenomenologia sino alla poietica e alla semiotica, attraverso l'esplicazione di contenuti teorici non sempre pienamente chiarificati e ordinati in precisi contesti tematici regolati da metodologie scientifiche. Vi è tuttavia da notare che, se non sempre possono soddisfare i risultati teorici dell'estetica in Francia, bisogna riconoscere la densità delle sue proposte culturali, che permettono di spaziare dalle scienze dell'uomo alla fisiologia, dalle funzioni soggettive dell'esperienza alle poietiche o allo strutturalismo in un incrociarsi di metodi e contenuti che, nell'intreccio di posizioni individuali irriducibile a schemi prefissati, sembra mantenere, forse per l'influsso di una potente comune tradizione culturale, un'unitaria finalità.

Questa conclusione, che ha una sua generica validità, non deve tuttavia ignorare, come scrive C. Pianciola in altro contesto interpretativo, che «da luogo delle sintesi più generali e delle totalizzazioni razionali, la filosofia sembra essere diventata, in gran parte del pensiero francese più recente, il luogo di legittimazione della frantumazione dei discorsi e delle pratiche corrispondenti. L'unità del logos è segno di dominio, e la teoria critica ha un compimento permanente di de-costruzione, insegna Jacques Derrida; occorre eliminare la prospettiva pedagogica, finalistica, unitaria, e assumere consapevolmente una molteplicità centrifuga di punti di vista programmaticamente minoritari, dice Jean-François Lyotard»[6].

Sarebbe dunque impossibile schematizzare oggi, come fece Feldman nel 1936, il movimento dell'estetica francese: i comuni luoghi tematici, le linee espositive caratteristiche dell'intera saggistica francese, là passione per minuziose descrizioni analitiche, la vivace attenzione per le tematiche operative e costruttive (psicologiche in Delacroix e Alain, ontologiche in Souriau e Dufrenne), mai disgiunte da un descrittivismo realista, sono senza dubbio temi di fondo unitari che permettono di individuare alcuni centri problematici dell'estetica francese ma non certamente di esaurirne i contenuti o le attuali linee di tendenza.

Il «filo rosso» che lega fra loro le varie prospettive è infatti ondeggiante in un contesto dove le differenze non sono casuali o contingenti ma investono il problema stesso del rapporto fra l'estetica e la filosofia del Novecento e, di conseguenza, il ruolo e la funzione che la teoria dell'arte può esercitare sul pensiero filosofico. Se i contemporanei, in particolare gli strutturalisti o gli «sperimentali», vietano oggi una visione armonica e finalista di tale questione, tuttavia, nel più vasto contesto storico dell'estetica francese è forse possibile ritrovare una comune risposta, secondo la quale la meditazione filosofica sull'arte ha lo scopo principale di indirizzare le ricerche filosofiche verso il rapporto di correlazione soggetto/oggetto nei riempimenti di senso e contenuto propri alle opere d'arte e alla dimensionalità etica dell'uomo. L'estetica può allora presentarsi come un'indagine su oggetti costituiti in quanto significativi, espressivi, appartenenti al nostro stesso orizzonte d'essere, addirittura, come afferma Dufrenne, «quasi soggetti»: l'incontro fra il soggetto, creatore o spettatore, e quell'oggetto specifico che viene detto estetico (e in Francia, senza distinzioni di rilievo, «opera d'arte») apre un campo che rivela sino in fondo il nostro rapporto con il mondo, il campo stesso del possibile come progetto che sempre si rinnova, il radicamento in un fondo che è la Stiftung di cui, riprendendo Husserì, parlava Merleau-Ponty, la fondazione che, in quanto donazione di senso all'io e al mondo, è punto di partenza per un'estetica che non è ingenuamente realistica o formalista né dottrina esclusiva delle opere d'arte bensì punto teorico ben saldo per una teoria filosofica dell'arte come prodotto storico e sociale in grado di esprimere e comunicare in un contesto intersoggettivo.

Senza dubbio - ma questa non è e non vuole essere una conclusione definitoria, che tradirebbe il carattere problematico di tutta l'indagine - l'estetica francese, da sola, fors'anche per la sua indifferenza a più ampi contesti culturali, storici e sociali[7], non può dirci cosa sia stata o cosa sia oggi l'estetica, compito che, peraltro, sarebbe difficilmente assolvibile e che comunque, a differenza dei primi cinquant'anni del secolo, trascende ormai specifici ambiti nazionali; essa può comunque offrire, oltre che i problemi «aperti» che ancora oggi interrogano l'estetica, una serie di vedute specifiche, ciascuna delle quali ha tuttavia la capacità, come nella monadologia leibniziana, di esprimere significati e finalità che senza dubbio ineriscono all'intero movimento «in fieri» dell'estetica presentando, per usare termini kantiani, un'esposizione «metafisica» sui campi dell'estetico e dell'artistico (anche nelle loro «estensioni» po litiche), ovvero, fra presenze platoniche e aristoteliche, una rappresentazione di ciò che appartiene a un concetto come dato a priori. Non sempre riesce tuttavia a presentare, con l'eccezione di qualche pagina di Dufrenne, una loro «esposizione trascendentale», dove non ci si limita al fatto che abbiamo rappresentazioni a priori ma «bisogna ancora spiegare perchè e come queste rappresentazioni (...) si applicano necessariamente all'esperienza»[8], mostrando quindi un concetto «come principio dal quale si possa scorgere la possibilità di altre conoscenze sintetiche a priori»[9]. Ridefinendo, dunque, con Husserl, il trascendentale come «il motivo del ritorno alle fonti ultime di tutte le formazioni conoscitive, della riflessione, da parte del soggetto conoscitivo su se stesso e sulla vita conoscitiva, in cui si definiscono conformemente ad uno scopo tutte le formazioni scientifiche che valgono per lui, in cui si attuano come risultati, in cui sono disponibili e costantemente lo divengono»[10], «estetica» potrebbe chiamarsi non solo la meditazione disparata sulle arti, le poetiche o i segni, nel loro soggettivismo di fondo, nella loro stessa parzialità pragmatica o «imperialista», ma anche il tentativo di delineare una nuova estetica trascendentale, ovvero, in altri termini, le basi stesse dell'esteticità e dell'artisticità.

Procedimento che, se viene oggi riproposto in nuovi contesti di pensiero, fra i quali si presenta fondamentale l'ipotesi di Deleuze[11], ha avuto la sua origine nell'interpretazione di Husserl da parte di Merleau-Ponty, Sartre e Dufrenne, dove trova la sua verità la sintesi dell'in-sé e del per-sé come «la definizione stessa dell'esistenza» che in ogni momento si effettua sotto i nostri occhi nel fenomeno di presenza: semplicemente, essa è subito da ricominciare e non sopprime la nostra finitezza»: «io sono tutto ciò che vedo, sono un campo intersoggettivo, non malgrado il mio corpo e la mia situazione storica, ma viceversa essendo questo corpo, questa situazione e tutto il resto attraverso essi». L'estetica deve dunque mostrare che «il solo modo, per una cosa, di agire su uno spirito è offrirgli un senso, costituirsi di fronte a lui nelle sue articolazioni intellegibili»[12].

È dunque ormai evidente - e in molti suoi aspetti l'estetica francese lo rivela - che «nel mondo di ricerche confluite in ciò che chiamiamo estetica, molte cose erano dunque in gioco oltre il bello e le arti»[13]. E se questo problema generale è chiaro alla totalità dell'estetica francese, esso non porta comunque i singoli autori a considerare la questione da un punto di vista teorico, quasi non credessero sino in fondo a quanto sosteneva il tedesco Dessoir quando affermava che «il nostro tempo comincia a dubitare che davvero il bello, l'estetica e l'arte stiano tra loro in un rapporto che possa dirsi di unità d'essenza»[14]. L'estetica supera quindi l'arte per quanto riguarda lo scopo e tuttavia non esaurisce in sé il contenuto dell'arte stessa come attività creativa dell'uomo[15]. Basch e Lalo, che pure affermano per primi l'esigenza di scientificità dell'estetica, non giungono così a comprendere che campi vasti e complessi come quelli dell'estetico e dell'artistico, oggetti di per sé di numerose scienze possibili, dalla fisiologia alla «critica scientifica», devono essere ordinati, perché scienza si abbia, da un metodo capace di indicare la strada, la direzione della ricerca. Ed è proprio questo lato metodologico del discorso che, malgrado gli sforzi di Bayer, ha presentato in Francia momenti lacunosi, assenze, appunto, di analisi sui processi specifici che permettono di distinguere discipline psicologiche - pragmatiche o ingenuamente metafisiche da una scienza che conduca a una comprensione generale - e non quindi frammentaria o assolutizzante - di quei tradizionali «dualismi» che elenca Tatarkiewicz, ovvero del bello e dell'arte, degli oggetti estetici e della posizione del soggetto, delle analisi descrittive e di una precettistica più o meno esplicita, della psicologia e della sociologia dell'arte, della teoria e della prassi dell'arte, della descrizione e della spiegazione dei fatti artistici, della letteratura e delle arti figurative in genere[16].

In mancanza quindi di un preciso apparato metodologico ordinativo, l'estetica, nel suo stesso affrontare tali problemi, sempre si confonde in Francia con la scienza dell'arte, anche se manca, in linea generale, una chiara visione di cosa si debba intendere con «scienza» È dunque prescindendo da questi problemi generali ordinativi che, nel recupero di una dimensione originaria dell'esteticità, i vari oggetti di studio dell'estetica francese tendono ad unificarsi soltanto in un quadro dove ad ogni momento, dalla fine dell'Ottocento sino all'attuale estetica «sans entrave», l'intrinseca dialetticità che inerisce alle eterogenee correnti dell'estetica si «ordina» in una spinta «umanistica» che, da Guyau a Sartre e Souriau, vede nell'attività dell'uomo, nel fare emblematicamente presentato dall'arte, che oggi assume anche coloriture politiche, un'affermazione di «maggiore età» dell'uomo (come era stato nell'Encyclopédie con la voce Art di Diderot), della sua capacità prassistica, della sua azione sul mondo per cogliere negli oggetti, attraverso la prassi e la percezione corporea, tutto il significato di cui è carico il reale stesso.

Di conseguenza, per l'estetica, l'uomo non è, come vuole Foucault, «un'invenzione di cui l'archeologia del nostro pensiero mostra agevolmente la data recente. E forse la fine prossima»[17], bensì una persona che, come scrive Sartre, si definisce in base al suo progetto: «questo essere materiale supera di continuo la condizione che trova già fatta; svela e determina la propria situazione trascendentale per oggettivarsi con il lavoro, l'azione o il gesto»[18]. Non è quindi possibile, per Sartre come per tutta la tradizione dell'estetica francese, «ridurre la praxis, la creazione e l'invenzione a riprodurre il dato elementare della nostra vita» o a spiegare l'opera, l'atto o l'atteggiamento con i fattori che li condizionano. Infatti «ridurre il significato di un oggetto alla pura materialità inerte dell'oggetto stesso è altrettanto assurdo che volere dedurre il diritto dal fatto»: «il senso di un comportamento e il suo valore non possono cogliersi se non in prospettiva, in virtù del processo che realizza i possibili rivelando il dato»[19].

 

 

Note

[1] M. Dufrenne nella voce dedicata alla Francia del numero monografico del 1972 della «Revue d'esthétique» dal titolo L'esthétique dans le monde, p. 129. Effettivamente numerose riviste si presentano oggi sul palcoscenico culturale francese.

[2] U. Eco, La definizione dell'arte, cit., p. 88.

[3] Sul problema della relatività dei giudizi soggettivi e del rapporto fra l'estetica e le arti si veda E. Migliorini, Introduzione all'estetica contemporanea, cit., pp. 122-37.

[4] V. Jankélévitch, Le Je-ne-sais-quoi et le Presque-rien, tome II, Paris, Seuil, 1980, p. 156.

[5] E. Lisciani-Petrini, Memoria e poesia, cit., p. 164.

[6] M. Pianciola, Filosofia e politica nel pensiero francese del dopoguerra, cit., p. 29. Per le integrazioni necessarie al testo e per doverosi approfondimenti, in particolare relativi ad autori che si pongono ai margini del «movimento» dell'estetica francese ma che rivestono un notevole interesse specifico, si vedano le indicazioni contenute nell'appendice bibliografica.

[7] Si è già più volte rilevato che è molto raro vedere gli esthéticiens partecipare direttamente ai dibattiti politici e culturali molto vivaci in Francia fra letterati e filosofi dagli anni trenta in avanti (da Malraux e Gide sino a Sartre e Merleau-Ponty, oltre ai «padri» Benda e Alain). Ciò maigrado gran parte di questi estetologi uscisse dalla Ecole Normale Supériore (a cominciare da E. Souriau) che era una vera e propria «palestra» di idee sin dagli anni della gioventu. Il presidente della Repubblica stesso del periodo del Fronte popolare, Leopold Blum, ex allievo dell'Ecole, è peraltro uno studioso di estetica, dal momento che nel 1901 pubblica un saggio dedicato alle conversazioni di Goethe con Eckermann non privo di personali idee estetiche. Per altre notizie sull'impegno di letterati e filosofi si veda ancora H. Lottman, La Rive gauche, cit.

[8] G. Deleuze, La filosofia critica di Kant, Bologna, Cappelli, 1979, p. 67.

[9] I. Kant, Critica della ragion pura, a cura di G. Gentile e G. Lombardo-Radice, riv. da V. Mathieu, Bari, Laterza, 1975, p. 70.

[10] E. Husserl, La crisi delle scienze europee e la fenomenologia trascendentale, cit., p. i25.

[11] Si veda a questo proposito l'ultimo paragrafo del capitolo del volume di M. Ferraris, Differenze, cit., dedicato appunto a Deleuze e intitolato «Verso una nuova estetica trascendentale» (che deriva tuttavia da una critica alla concezione husserliana).

[12] M. Merleau-Ponty, Fenomenologia della percezione, cit., p. 579-80 e p. 576; La structure du comportement, Paris, 1942 p. 215.

[13] G. Scaramuzza, Sapere estetico e arte, Padova, Clesp, 1981, p. 100. Si vedano anche i saggi raccolti nella terza parte di D. Formaggio, La «morte dell'arte» e l'estetica, cit.

[14] M. Dessoir, op. cit., p. 1.

[15] Quindi in Francia non si è compreso sino in fondo - e da qui probabilmente derivano numerose incertezze metodologiche registrate nelle varie prospettive - che «l'estetico e l'artistico si intrecciano ma ognuno costituisce un ambito per principio irriducibile a quello dell'altro e rispetto ad esso eccedente» (G. Scaramuzza, op. cit., p. 103).

[16] Si veda W. Tatarkiewicz, Storia dell'estetica, Torino, Einaudi, 1979, pp. 3-7.

[17] M. Foucault, Le parole e le cose, Milano, Rizzoli, 1978, p. 414.

[18] J.P. Sartre, Questioni di metodo in Critica della ragion dialettica, Milano, II Saggiatore, 1982, volume I, p. 111. Quest'opera di Sartre è del 1957. È ovvio che simili posizioni sartriane abbiano molto influenzato la svolta «politica» dell'estetica francese. Ma èugualmente chiaro che la dialettica interna alla sinistra francese (e i veri e propri feroci scontri) dal dopoguerra ad oggi è molto vasta e comporterebbe analisi approfondite.

[19] Ibid., p. 112.