1 - Estetica e filosofia

 

 

A fine Ottocento la filosofia francese presenta un quadro apparentemente contradditorio: al sostanziale superamento delle dottrine comtiane, e in modo specifico di quelle relative alla gerarchia evolutiva delle scienze, fa riscontro una generale viva attenzione per alcuni principi metodologici generali del positivismo stesso quali il rifiuto della metafisica e la ricerca di relazioni costanti fra i fenomeni. Se quindi la fisica, la biologia, la sociologia e la psicologia hanno ormai preso direzioni molto diverse da quelle ipotizzate da Comte, nella loro nuova veste sono portatrici di un metodo «positivo» attento ai «fatti», alla descrizione degli eventi e alla loro comparazione più che alle grandi «instaurazioni» ideali e metafisiche. Questa corrente, che ama richiamarsi alla tradizione illuminista e che si esprime attraverso Taine, Renan, Durkheim (ma anche Brunétiere e Hennequin) si scontra tuttavia con un'altra variegata tradizione, non meno forte sul suolo francese, quella dello spiritualismo, spesso integrato da interpretazioni «cartesiane» o «kantiane», che da Maine de Biran si era via via espresso in Cousin, Renouvier, Brunschvicg, Ravaisson o Fouillée. E, in questo fiorire di idee che non è possibile schematizzare pensatori di chiara impostazione «spiritualista» non esitano ad assumere una terminologia «positiva»: valgano gli esempi del Bergson di Matière et mémoire e di Boutroux nel Contingence des lois de la nature.

Così, al di sotto delle correnti manifeste, si può notare un profondo mutamento metodologico, che segna i destini della filosofia del nuovo secolo: Boutroux, ma soprattutto Bergson e Durkheim, al di là delle grandi differenze di pensiero che li separano, scrive Brehier, «invece di dissolvere la natura umana nel meccanismo universale Come i deterministi, invece di fare delle sue esigenze le condizioni della realtà come i kantiani, cercano di svelare i rapporti d'interiorità che collegano l'uomo all'universo, e porlo di nuovo nel circuito di realtà, da cui le teorie precedenti l'isolavano»[1]. In questa nuova ricerca relativa alla «natura» umana non cessano tuttavia di presentarsi antichi frammenti «positivi», altre varie frammentarie tendenze del passato filosofico e accademico francese; ma, per lo più, «le filosofie dell'inizio del ventesimo secolo si oppongono tutte insieme alle filosofie che affermano un'evoluzione o un progresso necessario o quelle che, come in Taine, lo pongono, senza più alcun determinismo rigoroso»[2]. E ancor prima, nelle filosofie di fine secolo, all'interno di una dissoluzione del positivismo che non assume ancora gli aspetti di una netta, cosciente opposizione, la realtà generale ordinata dell'universo e la libertà umana appaiono come aspetti complementari che vanno indagati nei diversi piani delle loro correlazioni.

L'intera cultura francese, come dimostrano i grandi dibattiti che accompagnano più scandaloso «affaire Dreyfus», è dunque percorsa da una serie di esigenze che, al di là dei poteri universitari o delle filosofie accademiche, non potevano che frammentarsi in varie scienze, di cui la filosofia costituisce il costante punto di riferimento e Confronto. La filosofia francese, nella varietà dei suoi scenari, sta così diventando, come sarà poi in modo esplicito con Brunschvicg, una «filosofia della cultura» dove «ogni attività spirituale autentica è un aspetto di quella stessa intelligenza che ha creato le scienze: la morale vera, l'arte vera, la religione vera, ovvero la morale, la religione, l'arte liberate dalle formule, dalle tradizioni, dai sentimenti soggettivi, non hanno una radice diversa da quella del vero sapere»[3].

L'estetica, come le altre scienze di derivazione filosofica, partecipa dunque al vero sapere di questa filosofia della cultura ma non riduce ad essa i suoi principi fondanti: come sosteneva Feldman una «storia» della filosofia francese fra i due secoli non potrebbe dire molto, e ancora meno gettare luce, sui faticosi, lenti processi che hanno portata in Francia alla consapevolezza di una «scienza estetica», là dove prima c'erano stati solo ricerche su un bello ideale o riduzioni meccanicistiche dei fatti artistici. Parlare infatti di «crisi del positivismo» [4] può aiutare a comprendere il generico «clima» culturale dell'epoca ma non certo a inquadrare in modo compiuto figure come Guyau, Séailles, Delacroix o Lalo. E Brunétiere stesso, recensendo L'essai sur le génie dans l'art di Séailles, e definendo l'autore un «poeta» di «derivazione idealista», non comprende che questi autori, che pure compaiono solo marginalmente nei più illustri tableaux della filosofia francese, hanno come scopo primario introdurre l'estetica come «scienza» fra le altre scienze «umane», in primo luogo psicologia e sociologia, fondandola anche «attraverso» tali scienze, utilizzando i loro principi e le loro metodologie, spesso modellate su scienze fisico-biologiche come la fisiologia: la ricerca delle leggi dell'estetica (dell'estetica, beninteso, e non dell'arte) è ricerca dei ruoli e delle funzioni degli oggetti estetici e delle «facoltà» soggettive loro collegate nella coscienza, nella società e nella storia.

L'estetica contemporanea nasce dunque in Francia, così come in Germania, da una serie di ricerche che possiede una relativa autonomia nei confronti della meditazione filosofica e che deve piuttosto essere ricondotta a radici fisiologiche, psicologiche e sociologiche, discipline che, pur avendo avuto nell'ambito del positivismo un ruolo importante, non sono necessariamente interpretate secondo deterministici canoni prefissati: vi sono ancora territori di «confine», difficili da dominare, da comprendere, da ridurre in precisi e rigorosi termini concettuali. Infatti E. Brehier non esita a chiamare l'estetica disciplina «semifilosofica», rivolta in primo luogo alla comprensione dell'atto creativo nei suoi molteplici elementi: «il compito dell'estetica è allora cogliere il gesto operativo e la tecnica stessa dell'artista, lasciando alle arti tutta la loro diversità, tutta la loro indipendenza, tutta la loro libertà»[5].

In questo primo momento dell'estetica francese sarà dunque difficile trovare una coerenza del discorso, un progetto ordinato e compiuto nel fine comune di offrire una fondazione scientifica a un campo percorso da linee di tendenza e di ricerca ancora troppo eterogenee fra loro, anche se, nel 1888, in riferimento all'ambito della critica, non mancano posizioni già ben orientate, come quella di Hennequin, che nel suo Critique scientifique, tendeva verso una critica come «studio oggettivo costituito scientificamente di analisi e di sintesi delle informazioni e dei dati contenuti nell'opera, per arrivare a definire non il valore (estetico, morale, ecc.) quanto il contenuto emozionale»[6]. Il fattore soggettivo dell'emozione e del sentimento é peraltro uno dei punti di fondamentale analisi per la psicologia orientata verso l'estetica. Hennequin stesso parlerà di «estopsicologia» per indicare i vari livelli della critica[7], Guyau si indi rizzerà a una determinazione vitalistica dei sentimenti, Delacroix li «oggettiverà» nelle facoltà creative dell'artista e Lalo li porrà su base scientifica ricercandone le leggi e le occasioni. La psicologia stessa, dopo Taine, si sviluppa secondo varie tendenze sia più specificamente scientifiche o cliniche (con Ribot, Tarde, Janet o Binet) sia orientandosi, proseguendo la tradizione di Maine de Biran, in senso filosofico (ed è il caso di Basch, Bergson e Segond): correnti che, tuttavia, hanno terminologie spesso comuni e simili richiami culturali ai contemporanei tedeschi e inglesi e che, in ogni caso, portano il discorso sull'«anima», favorendo, come nota Wahl, un notevole influsso kantiano, se non altro come antidoto critico e fenomenistico ai determinismi dei rigidi seguaci di Comte[8].

L'attenzione indubbia al problema soggettivo, che caratterizza l'estetica del primo Novecento francese, è rivolta in particolare al lato del creatore, strettamente connesso al problema del genio, occupandosi del quale per la prima volta verranno alla luce i rapporti di un'estetica nascente con la psicologia, la sociologia e la fisiologia. Temi questi che erano effettivamente di grande attualità se Brunétiere nel 1884 affermava «che si potrebbe riempire una pagina soltanto con i titoli in cui venti altri» (oltre a Sully Prudhomme e Séailles) «hanno anch'essi cercato il segreto del genio»[9]. In queste ricerche, già tradizionalmente vive in Francia sin dal Settecento con Dubos, e rinnovate dai nuovi studi su Kant e Hegel, si innesta comunque, ancora una volta, l'influenza mai del tutto sopita del primo positivismo, e soprattutto quella di Hyppolite Taine con la sua concezione dell'opera d'arte come «fatto scientifico» costituito attraverso i tre fattori interagenti del momento storico (moment), dell'ambiente (milieu) e della razza (race).

Nella Philosophie de 1'art Taine afferma che l'estetica deve considerare e spiegare l'opera d'arte come fa il botanico con le diverse piante: «essa stessa è una specie di botanica applicata, non alle piante ma alle opere umane» [9bis]. Se quindi l'opera d'arte è determinata da un insieme di regole culturali ed ambientali precedentemente esistenti, il genio, l'ispirazione o l'invenzione divengono fatti inerenti a un processo psicologico di creazione e vanno inquadrati in un contesto storico-sociale schematicamente inteso, cui ogni opera spirituale può e deve venire ricondotta. L'estetica, per lame, deve giungere a definire la natura e le condizioni d'esistenza di ogni arte non come nel passato, cercando una regola per il bello, ma costruendo una scienza storica che non impone dei precetti bensì ricerca delle leggi e le cause della produzione del «fatto» opera di arte: «intesa in tal modo, la scienza non condanna né perdona, ma constata e spiega»[10]. Questo schematismo riduzionistico in effetti costringerà Taine, come gli rimprovererà già Sainte-Beuve, a non occuparsi mai della specifica personalità dell'artista e del genio creatore, campi di ricerca che saranno invece caratteristici di Sainte Beuve, il quale «tenterà di mostrare che il determinismo di Taine non è sufficiente, perché non si conoscono mai tutte le cause ed in più ci sfugge la forza individuale e creatrice»[11].

È tuttavia all'interno di queste problematiche che la psicologia della creazione si è svincolata da motivazioni di carattere metafisico liberandosi polemicamente dal romanticismo e dalla sua mistica della creazione. Demitizzando l'estetica del genio dello Sturm und Drang o di Novalis, gli autori che tratteremo si spingeranno verso un'effettiva rivalutazione del lato tecnico-produttivo della prassi creatrice[12], che non rigetta le nozioni di genio o ispirazione ma le rimedita conducendole verso un'analisi genetica degli elementi prassistici loro costitutivi[13]. Il genio non è più, come affermava Novalis, una facoltà privilegiata che permette l'unificazione fra il soggetto e la cosa ma un processo che deve venire minuziosamente esaminato in tutti i suoi molteplici aspetti. Gli autori dell'estetica francese di fine Ottocento si avvicinano a questi problemi non come gli artisti romantici né come filosofi di professione. Le loro teorie infatti influenzeranno solo marginalmente la vita delle arti né potranno essere inserite con precisione all'interno della storia della filosofia francese, dove i pensatori di cui ci occuperemo, essendo per lo più psicologi o sociologi, rivestono un ruolo di secondaria importanza.

La base positivistica della teoria della creazione dell'estetica francese fra i due secoli non si pone quindi di necessità sul piano epistemologico del positivismo, che viene invece superato da questi studiosi specialisti nella rigida normatività delle sue premesse. D'altra parte questi autori permettono di ampliare i confini teorici del positivismo stesso, che non appare qui soltanto come una dogmatica fattualista ma come un ampio dibattito di idee e contenuti fra vari ambiti scientifici, mai riconducibili a una singola schematica linea di tendenza. Tali percorsi appaiono con chiarezza attraverso un volume scritto già a Novecento inoltrato - Le probléme du gènie di J. Segond del 1930 - dove si esaminano in sintesi storica i principali problemi di psicologia della creazione variamente affrontati dall'estetica francese, costituendo così un utile punto di partenza per un'analisi specifica delle posizioni dei singoli autori[14].

Il campo del genio, in primo luogo, è considerato in una sua ampiezza cosmologica che trascende il piano particolare della creazione artistica in quanto «compie delle corrispondenze indefinite e senza fine intellegibili dei valori umani»[15]. Se vorremo dunque guardarlo nella relatività della sua azione nell'arte, dovremo anzitutto rivolgere l'attenzione alla fisiologia, scienza che, dopo gli insegnamenti di Fechner, ha dato origine in Francia a un gran numero di lavori dedicati al ruolo dei ritmi corporei all'interno dei processi di creazione o percezione di un'opera d'arte.

È infatti importante rilevare, come sottolinea Feldman, che autori d'impostazione filosofica differente (o spesso privi di una vera e propria preparazione filosofica) abbiano tutti visto nel ritmo fisiologico l'origine stessa dell'estetica, almeno nelle sue basi organico-vitali[16].C. Henry, per esempio, afferma che «la scienza dell'arte è una fisica psico-biologica» [17] e G. Fère, ai primi del secolo, esamina il rapporto fra il piacere estetico e il lavoro muscolare. A un livelle forme sentite dei movimenti sentiti e lo stesso C. Lalo nota che la ricezione di ogni fenomeno estetico è accompagnata da movimenti corporei. Tutto ciò, oltre a introdurre un tema che sarà caro anche alla filosofia francese d'impostazione fenomenologica, ed ancor prima a R. Bayer, sembra trascendere la psicofisica fechneriana ed assumere validità anche all'interno della romantica e idealistica «simpatia simbolica» di V. Basch, il quale scrive che «l'elemento nuovo ed essenziale che dà alla sensazione il suo valore estetico è precisamente l'istintiva simbolizzazione (...), il sentimento di simpatia che si stabilisce tra il nostro sistema nervoso e gli stimoli esterni»[18].

Il legame così istituito fra l'attività creativa e i movimenti corporei conduce alcuni autori a far derivare da esso le stesse «facoltà estetiche» della memoria e dell'immaginazione. È il caso, per esempio, di L. Arréat, influenzato dal tedesco G. Hirth di cui, nel 1892, traduce una «fisiologia dell'arte». Indagando il ruolo di memoria e immaginazione in pittori, musicisti, poeti e oratori, Arréat afferma che le distinzioni fra le facoltà nell'ambito funzionale di ciascuna disciplina artistica vanno ricercate esclusivamente nella psicologia e nella fisiologia dei loro protagonisti. La memoria «motrice»- che è una memoria «della mano» - sarà dunque diversa nel pittore o nel musicista così come accadrà per gli altri tipi della memoria (visiva, auditiva, emozionale e intellettuale) e dell'immaginazione ad essa sempre correlata. L'immaginazione ha infatti la memoria per fondamento, «o meglio ancora la collaborazione di più memorie parziali»: «essa ha per prima condizione il temperamento e l'eredità, insomma uno sconosciuto psicologico»[19]. Le immagini derivano dalle differenti modalità in cui si manifesta l'essere vivente in quanto esso «ha la sua origine nei rapporti stessi del soggetto e dell'oggetto, dell'organismo fisiologico e dell'ambiente»: «l'uomo e uno strumento accordato al diapason delle cose»[20].

Al di là di tali estremistiche riduzioni della creazione alla fisiologia, il corpo e la sua «cinestesia» occupano un ruolo fondamentale nella costituzione del genio: «non è forse questa base cinestetica - scrive J. Segond - che si scorge attraverso i ricordi di Marcel Proust, in quell'evocazione indefinita di una memoria integrale?»[21].

Non tutti i fattori del genio sono tuttavia riconducibili a disposizioni ereditarie o alla cinestesia dei creatori: in esso sempre permane un qualche cosa di «casuale», di non perfettamente esplicabile anche se non di necessità misterioso; ciò consiste in un'ostinazione cosciente a scavare tutti i meandri del possibile, in un intelletto riflessivo e pronto a provare tutte le combinazioni possibili, «in uno sforzo instancabile e sempre cosciente attraverso il quale si mostrerà il meccanismo stesso della combinazione che si apre, in breve in un cosciente persistere a voler comprendere indefinitamente il segreto della sua propria operazione»[22].

Tali posizioni - che cominciano ad apparire già in Séailles e Guyau - saranno particolarmente evidenti nell'opera di Valéry, al quale va il merito indubbio di avere più volte riaffermato che la nozione di genio ispirato e ineffabile di per sé non dice nulla sui procedimenti reali della creazione artistica né riesce a spiegare l'intellegibilità e il senso di un'opera d'arte. L'opera d'arte può invece venire osservata come una produzione tecnica, storica e culturale, come un momento del «ciclo fenomenologico» della tecnica artistica [23] che viene via via determinandosi e specificandosi attraverso le opere, oltre che di Valéry, di Alain, Delacroix e Lalo dove l'invenzione reale «diventa combinazione ideale, pienamente intellegibile, o piuttosto scienza integrale del sistema meccanico di combinazioni indefinite»[24]. Questi autori hanno dunque messo in luce «il ruolo, nell'opera geniale, della coscienza contro l'abbandono all'incoscienza, della riflessione contro la bêtise, della coscienza di sé e del proprio atto contro la chimera di una 'comunicazione dal cielo'»[25].

Il genio come «potenza di creazione» può tuttavia prendere le forme anche di un bergsoniano «slancio vitale» introiettato nella materia quale manifestazione tecnico-concreta della spiritualità del creatore. È da simili premesse vitaliste che avrà origine l'opera di Séailles che influenzerà profondamente lo stesso Bergson.

La psicologia del genio rivela dunque in Francia una straordinaria ricchezza di posizioni: gioco multiplo delle occasioni esteriori e indifferenti, gioco impersonale e riflessivo delle combinazioni casuali, conseguenza della costituzione dell'organismo o forza elementare interiore; in ogni caso, priva com'è di qualsivoglia carattere trascendentale, la nozione di genio si presenta sempre come un'intenzione immanente all'atto creatore e sempre solidale alla presenza e all'azione del corpo. Ciò fa pensare che, all'interno della nozione nella sua generalità, convivano due suoi aspetti, un «genio-istinto» e un «genio ragione», la cui sintesi si effettua solo nell'opera d'arte, unico referente oggettivo per nozioni psicologiche mai perfettamente chiarificabili. Infatti esiste «nello spirito, nel corpo e nella materia» una direzionalità «che si sviluppa e si realizza, inesistente se la si vuole isolare e cogliere, reale soltanto nelle analogie interne di quelle immagini multiple, ugualmente autonome ed efficaci, legate fra loro da quell'intenzione unitaria che esse ugualmente realizzano»[26].

Il genio efficace, dunque, «quello che passa all'atto e non si contenta di una disposizione virtuale», si incarna nello sviluppo di un pensiero effettivo che è sforzo di realizzazione espresso nella realtà di un'opera tecnicamente costruita: «l'abilità del genio consiste nel possesso assicurato e nell'agile maneggio di questa tecnica necessaria»[27].

 

Note

[1] E. Brehier, Transformation de la philosophie française, Paris, Flammarion, 1950, p.17.

[2] Ibid., p.45

[3] Ibid., p. 56.

[4] Sulla complessità del substrato teorico del periodo positivista, al di là di usuali vedute restrittive, ci si può riferire, per un primo approccio a A. Manesco, La riflessione estetica nel positivismo in M. Dufrenne-D. Formaggio, Trattato di estetica, vol. I, Milano, Mondadori, 1981, pp. 259-283. Inoltre P. Bagni, Introduzione a F. Brunétiere, L'evoluzione dei generi nella storia della letteratura, Parma-Lucca, Pratiche, 1981; E. Scolari, Una ipotesi per Ippolito Taine, in AA.VV., Arte, critica, filosofia, Bologna, 1965. Si veda inoltre l'Appendice bibliografica.

[5] E. Brehier, op. cit., p. 226.

[6] G. Ghini, Introduzione a E. Hennequin, La critica scientifica, Firenze, Alinea, 1983, pp. 13-4.

[7] Si veda il citato libro di Hennequin. Interessante notare che la «estopsicologia» comprende in sé analisi estetiche, psicologiche e sociologiche. Qui, inoltre, si mette in luce come in Guyau, l'importanza dell'emozionale per l'estetica.

[8] J.Wahl, Il pensiero moderno in Francia, Firenze, La Nuova Italia, 1965, p. 100.

[9] F. Brunétiere, L'Essai sur le génie par G. Séailles, in «Revue des deux mondes», 15.4.1884, p. 935.

[ 9 bis ]La Philosophie de l'art di H. Taine è del 1865 ma si sviluppa nel corso di numerosi anni sino a quando una raccolta di vari saggi venne pubblicata con questo stesso titolo nel 1881. Ci riferiamo alla tredicesima edizione edita nel 1909.

[ l0]Ibid., pp. 12-3.

[11] T.M. Mustoxidi, Histoire de l'esthétique française 1700-1900, Paris, champion, 1920, p. 185. Mustoxidi avvicina la concezione del genio di Sainte-Beuve anche a quella di Dubos, che aveva scritto che il genio è una pianta che germoglia solo in un terreno favorevole ma la cui crescita ha sempre in sé qualcosa di misterioso nelle sue Réflexions critique sur la poesie et la peinture del 1719.

[12] Si veda T.W. Adorno, Teoria estetica, Torino, Einaudi, 1977, p. 287.

[13] Scrive A. Manesco, op. cit., p. 261: «Il genio sia pure ispirazione, ma è sottoponibile a inchiesta, indagine, inquisizione (quando non sia riconducibile a inconscio, a pazzia o degenerazione); l'arte viva pure di nuovo spirito profetico, ma essa è funzionalizzata a fini laici, edonistici e morali (talvolta politici)». E ancora (ibid., p. 262): «Le principali teorie estetiche del Positivismo potrebbero ricondursi alle seguenti tesi: l'arte è un'attività' sentimentale (simpatetica, emotiva) ed è fattore e sintomo di civilizzazione e cultura; il suo oggetto è l'uomo, la natura, il progresso, considerati romanticamente inscindibili; il suo fine il sollievo (catarsi, inganno, consolazione, piacere, felicità) dell'individuo e della specie».

[14] Il libro di Segond, autore che in seguito meglio esamineremo, si occupa in verità del genio nelle sue varie accezioni: scienziati, tecnici e artisti possono, a vari livelli, esser detti geni. Qui ci occuperemo soltanto dell'aspetto «artistico» del problema.

[15] J. Segond, Le problème du génie, Paris, Flammarion, 1930, p. 46.

[16] Il fondamentale problema dei rapporti fra estetica e fisiologia è trattato da V. Feldman, L'estetica francese contemporanea, a cura di D. Formaggio, Milano, Minuziano, l945. Questa fondamentale breve lavoro venne pubblicato in Francia nel 1936.

[17] Ch. Henry, La lumiere, la couleur et la forme, in «Esprit Nouveau», 1922, p. 36.

[18] V. Basch, Essais d'esthétique, dephilosophie et de littérature, Paris, Alcan, 1934, p. 300.

[19] L. Arréat, Mémoire et imagination, Paris, Alcan, p. 163.

[20] Ibid.,p. 164.

[21] J. Segond, Le probléme du gènie, cit., p. 99.

[22] Ibid.,p. 144.

[23] L'espressione è di D. Formaggio, Fenomenologia della tecnica artistica, Parma - Lucca, Pratiche, 1978.

[24] J. Segond, op. cit., pp. 146-7.

[25] Ibid, p. 161.

[26] Ibid, p. 227.

[27] Ibid, p. 253. Qui Segond sembra dare implicitamente ragione alla concezione «matematica» che ha Valéry del genio, autore col quale ha invece lungamente polemizzato. In realtà ciò che Segond non approva nella posizione «intellettualista» (la definizione èsua) è di considerare autosufficiente ed autocostituentesi la potenza creatrice quando invece, a suo parere, è necessario un esterno intervento spirituale. Sin da questa polemica appare chiaramente la «doppia anima» della cultura francese, spiritualista e razionalista, non necessariamente poste in antitesi fra loro.