3 - L'estetica sociologica di Guyau

 

 

L'estetica di Guyau, sia per le varie influenze di cui è il risultato, sia, soprattutto, per i fondamentali problemi che apre è senza dubbio il punto culminale dell'estetica francese di fine Ottocento. Guyau, infatti, non solo affronta il problema del vitalismo, connesso con le filosofie di Cousin e Jouffroy da un lato e con le estetiche fisiologiche dall'altro, ma apre nuove prospettive a quel metodo sociologico nello studio dell'arte che già avevano abbozzato Saint-Simon, Proudhon e Taine precorrendo cosi, nell'unità di un pensiero profondamente organico che suscitò anche l'interesse di Nietzsche, sia Bergson e i vari «filosofi della vita» contemporanei sia la sociologia dell'arte di Francastel e Duvignaud.

L'idea dominante e generatrice di tutto il suo pensiero - la vita come intensità e espressione naturale di fecondità e generosità - riconcilia in sé il punto di vista individuale e quello sociale e, in quest'ottica, l'arte, la morale e la religione: «trasportare nell'arte, nella morale e nella religione questa concezione della vita come fusione intima dell'esistenza individuale e dell'esistenza collettiva, tale era lo scopo che si proponeva Guyau»[68].

Le dottrine sociologiche dell'arte, che tendono, come nota Bayer, a metterne in luce la «multivocità»[69], trovano i loro primi spunti, che non sono tuttavia compiute teorie, in Proudhon, che muore nel 1838, ma di cui l'opera dedicata all'arte - Du principe de l'art et de sa destination sociale - pubblicata postuma nel 1865, ha aperto la «via sociologica» a un'estetica precedentemente accademica e scolastica. Al di là infatti dell'ovvia definizione dell'estetica come ciò che scorge e riconosce il bello e il brutto e del conseguente concepire l'opera d'arte come «ideale», «oggetto che riunisce al grado più alto tutte le perfezioni»[70], Proudhon sottolinea, come faranno in seguito tutti i maggiori studiosi di fine secolo da Véron a Souriau, da Guyau a Séailles, che l'arte ha uno scopo sociale e morale, è «una rappresentazione idealista della natura e di noi stessi in vista del perfezionamento fisico e morale della nostra specie» [71]. L'arte è dunque al servizio della società e, contemporaneamente, e un prodotto della collettività, è, come dirà Guyau, «potenza di sociabilità».

Riprendendo tali esigenze, Guyau vuole soprattutto opporsi al pericolo di quelle «teorie del gioco» che, riducendo l'arte a pura contemplazione, favoriscono «una sorta di dilettantismo presso gli uni, di culto esclusivo per la forma presso gli altri» e comunque rischiano «di misconoscere il lato serio e per così dire vitale della grande arte»[72]. Il grande artista non è dunque il solitario e geniale contemplatore ma colui che stabilisce una comunione d'affettiva solidarietà con gli altri uomini comunicando loro il suo proprio amore. Infatti le cellule individuali che formano la società organica dei viventi «hanno bisogno di vibrare simpateticamente e solidarmente per produrre la coscienza generale, la cinestesia» [73], che non è più, come nelle prime estetiche fisiologiche, l'espressione di un edonismo individualistico ma la concretizzazione stessa della socialità umana in un progetto di pensiero che, nelle sue grandi e generali linee, anche senza avvicinarsi alla costituzione intersoggettiva e intercorporea della fenomenologia, si richiama ai passi conclusivi della Critica del giudizio precorrendone le interpretazioni «romantico-simpatetiche» che ne darà Basch. Il bello è dunque sempre legato all'azione così come, nell'arte, vedere e fare tendono a confondersi nell'unitarietà dell'impulso del loro stesso principio vitale.

L'estetica di Guyau possiede tuttavia molti elementi caratteristici delle estetiche di fine Ottocento, siano esse di ispirazione positivista o spiritualista: nelle due «parti» correlate che la compongono quella «vitalista» racchiusa in Les problèmes de l'esthétique contemporaine del 1884 e quella «sociologica» espressa in L'art au point de vue sociologique del 1889 - riesce, pur nella polemica con lame e Spencer, a porre problemi di fisiologia, psicologia e sociologia oltre che, come Véron, di morale. Bello e buono non devono più essere considerati come vertici ideali di un sistema ontologico e metafisico poiché anch'essi fanno parte della costituzione stratificata della «vitalità», umana. Riprendendo le opinioni della scuola evoluzionistica britannica Guyau, come già Véron, sostiene che la percezione della bellezza è il sentimento d'intensità della vita, criticando Grant Allen e Spencer là dove questi sostengono che una sensazione utilitaria non può avere valore estetico: «contrariamente all'opinione non solo della scuola evoluzionistica britannica ma anche di Kant, Cousin, Jouffroy e Maine de Biran, egli cerca di mostrare che tutti i nostri sensi sono capaci di fornirci emozioni estetiche»[74]. Alle estetiche metafisiche o criticiste - che dominavano il panorama universitario dell'epoca - Guyau oppone un pensiero che è sì di poeta, come scrive Mustoxidi, ma soprattutto, per usare le parole di Bayer, di «biologo e di moralista»[75].

Nella nozione di vita si confondono dunque il piacevole, l'utile, l'attività, il desiderio, il bisogno, la simpatia morale e la vita sociale, la bellezza e l'arte: «il principio della dottrina - scrive Lalo - consiste nel mostrare, nell'apparente distinzione, la fusione reale di tutti gli elementi che l'analisi crede di discernere nell'attività mentale»[76].

Il punto di partenza dell'estetica di Guyau si richiama a molti aspetti delle cosiddette «estetiche fisiologiche»: è infatti la vita come irradiazione e debordamento della forza con un'intensità che tende all'infinita espansione a inglobare i diversi ambiti del vitale annullandone le differenze e comportando «una confusione di cause efficienti e di cause finali»[77]. La distinzione kantiana fra il piacevole, il bello, l'utile e il buono, come era già accaduto in Véron e come, con differenti sfumature, si verificherà in P. Souriau, è da Guyau superata nella nozione di vita, dominata da quattro grandi bisogni «che corrispondono alle funzioni essenziali dell'essere» e che «rivestono un carattere estetico»: respirare, muoversi, nutrirsi e riprodursi[78].Le basi generali dell'estetica sono fisiologiche e sensitive: ciò che è piacevole per i sensi non può non essere identificato con il bello. Niente di più inesatto, quindi, «della completa opposizione stabilita da Kant e dalla scuola inglese così come da Cousin e Jouffroy fra il sentimento del bello e il desiderio: ciò che è bello è desiderabile sotto lo stesso rapporto» [79]. Le sensazioni sono al centro di un processo corporeo estetico attraverso il quale polarizzano un gran numero di associazioni ideative. L'arte non va, dome fanno Kant e gli evoluzionisti, «intellettualizzata» negando le sue basi «estetico-sensualiste» poiché l'emozione estetica «consiste in gran parte in un insieme di desideri tendenti a realizzarsi e l'azione scaturisce naturalmente dall'arte e dalla contemplazione del bello»[80].

Si capirà allora che l'analogia con Nietzsche posta da Fouillée è giustificata proprio da tali concezioni vitaliste, anche se, come nota Formaggio, «pur ricorrendo l'uno e l'altro (...) al principio della vita intensa e potente, Nietzsche poteva senz'altro, come fece, annotare ammirato le opere del giovane poeta-filosofo, ma Guyau si sarebbe ritratto decisamente dal Wille zur Macht, premuroso com'era di risolvere il principio vitale in atto di amore e di solidarietà sociale»[81]. È tuttavia interessante notare, se non altro per capire il comune clima ideologico e culturale della «crisi» della borghesia europea (quella stessa crisi descritta, quasi anatomizzata, da Proust), che, nei Frammenti 1887-1889, quelli, appunto, della volontà di potenza, Nietzsche, accentua i motivi antikantiani e l'esaltazione incontrollata della potenza vitale. In Guyau come in Nietzsche l'arte e la creazione del bello sono «l'effetto del voler-vivere, del volere e del vivere», in un dispiegamento di potenza che esalta sia l'utilitarismo del bello sia la sua connessione con il piacevole. L'emozione estetica dunque è sempre rivolta verso l'azione perché solo la vita, e non la finzione o l'imitazione, è il fine dell'arte e l'arte come manifestazione vitale si rivela nei movimenti, nelle sensazioni o nei sentimenti irriducibili a un'attività meramente contemplativa.

Il movimento, elemento fondamentale delle estetiche legate alla fisiologia, è composto innanzitutto dalla forza, implicita nel lavoro diretto a uno scopo e finalizzato:

«la forza, questa prima bellezza - scrive Guyau - si rapporta dunque ad un semplice stato di coscienza, esso stesso legato a sentimenti di ogni specie, per esempio la fiducia in sé, la sicurezza e il coraggio»[82].

La seconda qualità del movimento è il ritmo, sua armonia e ordine interno, seguito dalla grazia, espressione visibile della volontà soddisfatta e della volontà portata a soddisfare gli altri. Ordinando dunque il campo generale della cinestesia, Guyau porta a compimento il processo già iniziato da Henry e Véron, ovvero l'estetizzazione del movimento corporeo, che è bello in sé, indipendentemente dai risultati possibili. Ed è bello perché esprime l'equilibrio della vita divenendo, attraverso l'associazione dei sentimenti, «l'espressione della più alta e più piena vita morale, di conseguenza della più grande bellezza»[83].

La base dell'arte, cioè del bello che si sovrappone al bene, è quindi un sentimento estetico che, quasi precorrendo Marcuse, è legato alla sensibilità e agli stessi istinti sessuali: «su questo punto Guyau si accosta a Grant Allen ed alla teoria darwiniana del corteggiamento tratteggiata nell'Origine della specie ed ampliata in The descent of man sull'importanza dell'esibizione e dell'ornamento piuttosto che all'asessuale teoria kantiana della bellezza»[84]. Ogni emozione, ogni movimento è una preparazione all'atto in cui si dispiega la gioia estetica, presupposto per l'arte che nasce in un bisogno o in un desiderio soggettivo. Tutte le manifestazioni della vita esteriore hanno infatti un loro significato per la vita interiore, che è in primo luogo vita morale fondata, come in Véron, sulla bellezza immediata dell'espansione vitale del corpo. Ancora opponendosi alla scuola inglese e a Kant, Guyau scrive che «invece di separare fra loro nel campo dei sentimenti come altrove, il bello e il bene, il bello e il serio, noi crediamo che vi si confondino»[85]; un essere infatti è tanto più morale quanto più è capace di trattenere nella profondità di se stesso un'emozione estetica.

La percezione non è quindi una facoltà contemplativa e passiva: noi vi siamo attori quanto spettatori, «le forme sentite non sono in definitiva che dei movimenti sentiti, e i movimenti sentiti non sono che dei movimenti eseguiti»[86]. Il soggetto pensante si identifica con l'oggetto che lo pensa: «per gustare un paesaggio - scrive Guyau - bisogna con esso armonizzarsi; (...) per comprendere un paesaggio dobbiamo armonizzarlo con noi stessi, cioè umanizzarlo»[87]. Tale identificazione attiva soggetto-oggetto avvicina Guyau, se non altro nella terminologia, ai partigiani della Einfühlung e, di conseguenza, comporta in lui il rifiuto di analizzare secondo il pensiero riflessivo i singoli elementi che costituiscono l'unità monistica della conoscenza. A ciò segue, inoltre, una critica al kantismo incapace di cogliere che anche Kant stesso, con la distinzione fra «bellezza libera» e «bellezza aderente», aveva considerato il problema delle influenze extraestetiche sull'estetica, pur senza concludere in una confusa identificazione psicofisiologica fra piacevole, bello, bene e utile.

Le critiche a Kant, in verità, sono dirette particolarmente contro la sua teoria del gioco come punto d'avvio per il pensiero di Schiller prima e di Spencer e Grant Allen poi. Per Schiller, in particolare, la bellezza non può essere pura vita o pura forma: «essa è l'oggetto comune di entrambi gli istinti, cioè l'istinto del gioco». L'uomo, con la bellezza, «deve unicamen-te giocare e deve giocare unicamente con la bellezza» [88]. Spencer, riprendendo questa teoria, coglie, ragionevolmente a parere di Guyau, che il gioco è una forma vitale che presso gli animali serve a liberare un'energia psicofisica sovrabbondante; ma sbaglia quando limita l'arte a questa forma elementare di piacere. Infatti, anche se il gioco, in quanto manifestazione vitale, contiene elementi estetici, esso non può da solo coprire l'intero campo della estetica, cioè del vitale stesso. Inoltre, l'utile e il serio, espressioni della socialità dell'uomo, non sono separabili dalla vita e dall'arte.

Il gioco deve allora essere considerato solo come un'essenza vitale «che straripa in tutte le sue forze profonde per i canali tutti dell'organismo, in un'espansione felice in cui consiste l'accrescimento stesso della vita»; accrescimento che è però un processo che mostra la «serietà» della vita e, nell'arte, diviene «tecnica del potenziamento costruttivo per l'uomo e la società»[89]. Così come lo intendono Schiller, Spencer e Grant Allen, il gioco, nella sua parzialità che interessa un solo organo e una sola facoltà, non può rendere ragione della seria complessità estetica della vita, di quelle emozioni estetiche «che ci possiedono interamente» e che «sono in generale molto vicine sia alle sensazioni più forti e fondamentali della vita fisica, sia ai sentimenti più elevati della coscienza morale»[90].

L'arte, che è qui identificata implicitamente con la vita e l'estetico intero, interessa invece tutte le nostre emozioni inferiori e superiori: l'emozione estetica consiste infatti «in un allargamento, in una sorta di risonanza della sensazione attraverso tutto il nostro essere, soprattutto la nostra intelligenza e la nostra volontà», è «un accordo, un'armonia fra la sensazione, i pensieri e i sentimenti»[91]. Il bello vive dunque non nel gioco disinteressato ma nel piacevole che, riconducendoci alla coscienza non ostacolata della vita, mostra la sua «fecondità interiore» e, nel contempo, la complessità emotiva, riflessiva, morale e sociale dell'arte mai riducibile a una vuota forma fine a se stessa o a teorie negative come «l'art pour l'art» di Gautier. L'arte si compie invece solo costruendo e creando, rendendo l'idea «sensibile e concreta» e la sensazione «feconda», base stessa del pensiero.

Il primo risultato di queste iniziali analisi già mostra, dunque, che, al di là delle notevoli differenze individuali, vi è un comune «filo rosso» fra i pensieri dei maggiori estetologi francesi della seconda metà dell'Ottocento, partano essi da basi fisiologiche, romantico-vitaliste o razionaliste-cartesiane: tutti considerano l'unica vera e propria bellezza, che rivela il mondo dell'estetico e dell'arte, una bellezza che è, per usare un termine kantiano, «aderente», non fine a se stessa ma sempre collegata o sovrapponentesi ai campi extraestetici della scienza, della morale e della società, con tutte le stratificazioni categoriali e culturali che tali campi presuppongono. Per usare il linguaggio di Mukařovskı, essi comprendono che la «funzione estetica» è un o dei fattori rilevanti del comportamento umano e può accompagnare qualsiasi azione dell'uomo. Il valore specifico dell'estetico appartiene senza dubbio all'arte ma è caratterizzato dalla capacità di entrare in strettissimo rapporto con tutto l'insieme di valori extraestetici contenuti nell'opera d'arte stessa. Mukařovský, richiamandosi proprio a Guyau, afferma dunque che

«l'estetico, la sfera cioè della funzione, della norma e del valore estetico, è ampiamente distribuito in tutte le sfere del comportamento umano, è un fattore rilevante e molteplice della prassi; non colgono la sua portata ed il suo significato quelle teorie estetiche che lo limitano ad uno solo dei suoi numerosi aspetti, considerando scopo dell'intenzione estetica solo il piacere o l'eccitazione sentimentale o l'espressione o la conoscenza»[92].

È seguendo il pensiero di Guyau (e di Dessoir) che Mukařovskı puň affermare che «qualsiasi fenomeno, qualsiasi fatto e qualsiasi prodotto dell'attività dell'uomo possono diventare per il singolo o per l'intera società segno estetico»[93].

Mancando tuttavia l'esame strutturalistico e fenomenologico della funzione e del valore estetici diventa facile - diremmo quasi «troppo» facile - criticare la prospettiva di Guyau. Già Mustoxidi si era reso perfettamente conto che il difetto principale dell'intera teoria stava proprio nel suo concetto portante, ovvero in quella nozione di vita così vasta e indeterminata che spiegare tutti gli enigmi in essa contenuti e «non spiegare nulla»[94]. Le difficoltà aumentano se dal vastissimo campo del vitale e dell'estetico vogliamo delineare con chiarezza le problematiche inerenti a una teoria dell'arte, che, come già in Véron, Henry e Souriau, resta sfera eteronoma rispetto al campo fondativo della esteticità. Se infatti in Véron l'arte e ridotta alla personalità dell'autore, in Guyau si perde nella generalità della vita, sociale e costruttiva in qualsiasi sua manifestazione.

Il fatto artistico, come aveva ben compreso Feldman, è senz'altro legato all'ambito di un'estetica generale così come a quelli più specifici e extra-estetici della fisiologia, della morale, della psicologia e della sociologia; tuttavia il «fatto estetico» come punto di partenza per fondare un'estetica «scientifica» si trova altrove[95], nell'ambito storico di queste scienze collaterali ma indipendente da esse, con una propria specifica struttura storica, tecnica e sociale. D'altra parte, come ricorda Mukařovskı, le distinzioni fra «estetico» e «artistico», prima ancora che in Fiedler e Dessoir, trovano in Guyau il loro punto di partenza storico e teorico.

Il problema del «fatto artistico» è delineato dallo stesso Guyau nella seconda parte dei Problémes, dedicata all'avvenire dell'arte e della poesia e composta di vari contributi pubblicati sulla «Revue des Deux Mondes». In questi lavori Guyau tende a caratterizzare storicamente la propria posizione filosofica distinguendola in particolare dal positivismo e indirizzandola già verso quell'impostazione sociologica che dominerà la sua opera successiva. La polemica è rivolta in particolare contro «quei sapienti che profetizzano che la poesia e le arti spariranno gradualmente» ancorandosi alle scoperte della fisiologia gli uni - Spencer - ed alla storia gli altri - Taine e Renan. La storia stessa ci mostra invece che «l'arte muta e le sue variazioni corrispondono a quelle dei costumi, dello stato sociale, delle lingue e anche delle forme politiche», variazioni che non implicano affatto «una decadenza attuale o futura»[96]. Taine e Renan, presunti «innovatori», sono in verità legati all'ideale classico della «bellezza» e non comprendono di conseguenza che le nuove scoperte scientifiche, anziché annullare l'arte, possono aumentarne la complessità e il valore aiutando, per esempio nella scultura, a esprimere con nuovi mezzi tecnici sentimenti sconosciuti ai Greci[97].

Il vero problema sta quindi nel vedere «se lo spirito scientifico che penetra a poco a poco l'umanità e plasma i cervelli di generazione in generazione, non distruggerà alla lunga queste tre facoltà essenziali dell'artista: immaginazione, istinto creatore e sentimento» [98]. Se affrontiamo la questione da un punto di vista psicologico vedremo facilmente che l'opposizione fra scienza e immaginazione poetica, che è quel «quid» che caratterizza la poesia, il suo «mistero metafisico», è più apparente che reale, pur ammettendo che tale mistero poetico, che conduce «non solo sulle leggi sconosciute, ma fors'anche sull'essenza inconoscibile della realtà»[99], non potrà mai essere intaccato o distrutto dalla scienza. Permane quindi in Guyau il noumenico inconoscibile postulato da Spencer, limite per la conoscenza scientifica che viene qui «trasferito» dalla religione all'immaginazione poetica.

L'arte non ha però solo bisogno che la scienza lasci all'immaginazione poetica il suo legittimo campo, ovvero quello dell'ideale, del mistero e del sogno, ma anche che riconosca la legittimità dell'istinto creatore, del genio che, come già si è notato e come si specificherà in Séailles, è per l'estetica del tardo Ottocento il presupposto essenziale per la creazione artistica. Il calcolo, la pazienza, il metodo e la buona volontà sono infatti, a parere di Guyau, insufficienti per creare una grande opera d'arte: l'artista è invece sempre sottomesso a un istinto produttivo che non è mai completamente libero e cosciente né sostituibile con la facoltà del ragionamento. L'invenzione è dunque il momento fondamentale dell'arte che permette di distinguerla dalla scienza perché essa «ha bisogno di scoprire, il suo stesso oggetto, il bello, invece di doverlo semplicemente analizzare, decomporre attraverso il ragionamento»[100]. Non per questo si deve creare un'antitesi radicale fra scienza e genio, il cui istinto «non è niente di più che la ragione nel suo principio più profondo e si ritrova all'origine della scienza stessa»[101]. Il genio dunque, con elementi tratti sia da Spencer sia da echi romantici, è un principio irriducibile alla ragione che tuttavia, in quanto vitale e naturale, vive nel suo stesso svilupparsi. Taine sbaglia quando crede di ridurre a fattori precisi e predeterminati la creazione artistica e la personalità geniale: il genio è evocatore della vita in tutte le sue forme, suscita «oggetti d'affezione e soggetti viventi con i quali possiamo entrare in società»[102].

La produttività dell'immaginazione e dell'istinto del genio devono poi venire «eccitati» e «fecondati» dal «sentimento», che Guyau assimila a una facoltà tendenzialmente conscia e riflessiva vicina allo sviluppo scientifico. Infatti i tre maggiori sentimenti legati alla personalità dell'uomo - quelli che lo pongono in contatto simpatetico con la natura, la divinità e la comunità umana - mutano, nell'arte contemporanea, seguendo gli sviluppi dell'astronomia e delle scienze naturali, senza per questo perdere i caratteri intrinseci della loro poeticità.

La conclusione di Guyau è che «l'arte tende oggi a ispirarsi alla scienza, alle leggi della natura che essa scopre, alle grandi dottrine morali, sociali, metafisiche che hanno rinnovato il fondo delle idee del nostro secolo»[103]. Tuttavia la scienza, per ispirare l'arte, «deve passare dal campo del pensiero astratto a quello dell'immaginazione e del sentimento»[104], deve, in qualche modo, venire meno alla propria «scientificità».

La produttività concreta di queste tre facoltà eminentemente «artistiche» - non «estetiche», che estetiche sono per Guyau tutte quante le funzioni vitali- è mostrata analiticamente nelle indagini sulla formazione del verso e della poesia. La ricerca di un principio generatore non si traduce tuttavia nella costruzione di regole manualistiche per un «corretto poetare»: il fondamento della poesia si trova invece nella sensibilità, «con la sua gioia e le sue pene» e «sembra anche essere il primo principio di ogni pensiero come di ogni linguaggio»[105].

Questa posizione trova conferma nella seconda parte cieli Art au point de vue sociologique, dove Guyau ritorna sul problema del substrato sensibile, filosofico e sociale della poesia e sulla questione - caratteristica di ciò che Banfi chiamava il suo «naturalismo romantico» - della «missione del poeta». Missione che, come in Véron, deve essere analizzata attraverso un esame complessivo della sua personalità nelle componenti politiche, sociali, morali e psicologiche. Il poeta infatti, come dimostra la vita e l'opera di V. Hugo, svolge una specifica «missione sociale» sia mostrando i legami di fraternità e amore fra gli uomini sia rivelando nell'ignoranza la radice del peccato e del vizio. È inoltre il linguaggio, nella sua funzione comunicativa, a possedere un valore sociale poiché la sua metaforicità moltiplica il modo di sentire e, di conseguenza, la sua potenza di sociabilità. Lo stile stesso di un'opera letteraria è «la società di un'epoca, è la nazione e il secolo visti attraverso un'individualità»[106].

La parte sociologica dell'estetica di Guyau, al di là delle specifiche applicazioni alla letteratura o a singole arti, si fonda pur sempre sulla teoria vitalista dove, quasi come momento di sintesi delle varie correnti dell'estetica ottocentesca, riconduce all'unità «l'estetica idealista» e «l'estetica realista»[107]. Infatti la coscienza e la sensibilità di cui tratta Les problèmes de l'esthétique contemporaine, sono già, in nuce, una società, un'armonia fra stati di coscienza elementari e irriducibili. Allo stesso modo sono sociali i fattori costitutivi. dell'arte, che è di per sé, come aveva intuito Saint-Simon, una rappresentazione della vita individuale e collettiva. Per il Guyau sociologico, dunque, l'arte è sociale per la sua origine e il suo scopo ma soprattutto per la sua stessa intima essenza:

«l'arte è un'estensione, attraverso il sentimento, della società a tutti gli esseri della natura, ed anche agli esseri concepiti come sorpassanti la natura, o infine agli esseri fittizi creati dall'immaginazione umana»[108].

Con Guyau la sociologia, che è peraltro la scienza «positiva» per eccellenza secondo Comte, entra nel campo dell'estetica non come confuso umanitarismo di stampo saint-simoniano ma attraverso concrete analisi sul ruolo dell'arte nella società, analisi che si occupano anche dei problemi connessi allo statuto possibile dell'arte popolare e alle relazioni fra arte, democrazia scienza e industria.

Le basi della sociologia dell'arte di Guyau sono ancora, tuttavia, come già si è detto, nel sensualismo fisiologico che è il punto di partenza della teoria vitalista e che viene qui allargato sino a comprendere l'intero ambito della società. L'emozione estetica causata dalla bellezza «si riconduce in noi a uno stimolo generale e, per così dire, collettivo della vita in tutte le sue forme». L'arte è infatti «un insieme metodico e armonico per produrre questo stimolo generale e armonioso della vita cosciente che costituisce il sentimento del bello»[109]. La legge interna dell'arte ciò che ne regola concretamente la struttura vitale psico-fisiologica, è dunque produrre un'emozione estetica di carattere sociale. La sensazione piacevole che Guyau aveva identificato con l'utile e con il bello, abbraccia ora l'intera società così come «vibra in unisono» con l'individuo e diviene un «armonia di fenomeni».

In tal senso Guyau sembra correggere il rigoroso anti-criticismo dei Problèmes avvicinandosi quindi al concetto kantiano di «bellezza aderente», che ovviamente annulla in lui la possibilità stessa di una «pulchritudo vaga». Nell'assolutezza immanente ed attiva della vita non può neppure venir postulata una preferenza per la bellezza naturale o quella artistica: il sentimento estetico, sia esso indirizzato verso la natura o l'opera umana, è sempre un sentimento sociale, potenziato nel caso del «bello artistico» poiché qui il suo raggio intenzionale si dirige già verso un'oggettivazione storico-sociale dei procedimenti tecnico-costruttivi dell'artista. L'io, attraverso un sentimento di simpatia che influenzerà Basch e Bergson, abbraccia comunque non solo i processi psico-fisiologici del soggetto ma la totalità vivente dell'universo. Si può dunque affermare che la solidarietà e la simpatia delle differenti parti dell'io ci sembrano «costituire il primo grado dell'emozione estetica; la solidarietà sociale e la simpatia universale ci appariranno come il principio della emozione estetica più complessa ed elevata»[110]. Non può esistere di conseguenza emozione estetica senza emozione simpatica e

«non c'è emozione simpatica senza un oggetto con il quale si entra in società in un modo o in un altro, che si personifica, che si riveste di una certa unità e di una certa vita»: «non c'è dunque emozione estetica al di fuori di un atto dell'intelligenza attraverso il quale si antropomorfizzano più o meno le cose facendone degli esseri animati e concependo gli esseri animati sul tipo umano»[111].

L'emozione estetica non va però identificata con l'emozione artistica, né, quindi, l'estetica con la teoria dell'arte. L'arte è infatti, per Guyau, il metodico uso dell'intero ambito di significati richiesto per produrre quello stimolo armonico della vita conscia della sensibilità, dell'intelletto e della volontà che costituisce la bellezza. Se dunque, nei Problèmes, Guyau tendeva a identificare l'emozione estetica originata dalla sensibilità con l'emozione artistica, si rende ora conto che «le sensazioni in se stesse sono soltanto un mezzo usato dalle arti degne di questo nome per rappresentare la vita, e specialmente la vita collettiva»[112]. L'emozione artistica, pur fondandosi sull'emozione estetica, tende a specificarsi in senso storico sociale poiché l'arte «e un'estensione, attraverso il sentimento, della società, della società a tutti gli essere della natura, o infine agli esseri fittizi creati dall'immaginazione umana». Se l'emozione estetica è il risultato fisiologico della realtà della vita in noi, l'emozione artistica è «essenzialmente sociale» e ha per risultato «di ingrandire la vita individuale facendola confondersi con una vita più ampia e universale»: «lo scopo più alto dell'arte è produrre un'emozione estetica di carattere sociale»[113], che è, appunto, l'emozione artistica.

Il piacere causato da tale emozione ha per Guyau tre specifiche modalità. La prima è quella del «piacere intellettuale», rapporto simpatetico fra il soggetto e l'opera d'arte che, a differenza della «simpatia simbolica» di V. Basch, non è unidirezionale, da noi all'oggetto, ma implica un rapporto fenomenologicamente paritetico fra soggetto e oggetto, così come verrà ripreso ai giorni nostri da M. Dufrenne nella Phénoménologie de l'expérience esthétique; il piacere intellettuale è infatti generato dal riconoscimento degli oggetti attraverso la memoria e, mediante tale processo, da un successivo riconoscimento - quasi proustiano - di noi stessi negli oggetti. Il secondo tipo di piacere deriva, con implicita analogia con il pensiero di Véron, dal rapporto «simpatico» con l'autore, ovvero dall'esame apprezzativo o critico delle sue capacità costruttive, del suo essere homo faber; il terzo tipo è invece conseguenza della «simpatia» per gli esseri o gli oggetti rappresentati dall'autore.

L'arte, e l'emozione artistica ad essa correlata, genera dunque un triplice piacere «sociale» che è insieme intellettuale e sensibile, rivolto sia alla personalità dell'artista creatore sia alla realtà rappresentata dall'opera, alla sua interna struttura «vivente» che suscita in noi simpatia e amore. Il piacere artistico è così un'emozione «sociale» che rende capaci di provare un piacere più profondo e complesso di quello «originario» estetico causato dalle sensazioni della vista e dell'udito.

La «simpatia» di Guyau, quindi, pur derivando dalla cultura francese di Jouffroy e Sully-Prudhomme da un lato e dagli esperimenti scientifici di Faraday dall'altro, ha carattere d'indubbia originalità grazie alla sua multilaterale caratterizzazione «sociologica». L'arte stessa è un mezzo privilegiato per condensare le emozioni individuali e per trasmetterle agli altri rendendole sociali. Così come la religione mette il fedele in relazione simpatetica con un mondo sovrasensibile, società ideale dove dominano carità, amore e giustizia, l'arte, quasi rappresentando «l'irreligione dell'avvenire»[114], e un estensione della società che dovrebbe fondarsi su una simile armonia intersoggettiva.

Pur perseguendo tali finalità, la sociologia dell'arte di Guyau non ignora i piani di ricerca caratteristici della sua epoca, e in primo luogo l'esame specifico della personalità dell'artista, del genio, che è una «potenza di sociabilità», una «forma straordinariamente intensa della simpatia e della sociabilità», «una potenza d'amore che, come ogni vero amore, tende energicamente alla fecondità e alla creazione della vita»[115]. Il genio, oltre a possedere le qualità specifiche dell'artista esaminate nei Problémes - immaginazione, istinto creatore e sentimento -, è anche vivente capacità di comunicare, edificatore di vita sociale, di una complessa rete di rapporti intersoggettivi e di un milieu sociale. Non quest'ultimo, quindi, come accade in Taine, è origine dell'opera d'arte ma la stessa personalità geniale dell'artista, che prefigura nelle sue opere una possibile società ideale del futuro, una comunità sociale intersoggettiva che implica il riscatto morale dell'umanità e l'identificazione stessa dell'arte con la morale.

Il principio generatore di qualsiasi movimento di creazione o prefigurazione utopica è tuttavia sempre la vita, che rimane lo scopo, la ragione e il vero oggetto dell'arte nella sua feconda e inesauribile espansione naturale. L'arte dunque, nella sua stessa intima socialità, esprime la vita e la sua «esteticità», l'accordo fra le nostre rappresentazioni soggettive e le condizioni oggettive in cui la vita stessa è resa possibile. La vera arte è dunque «quella che ci dà il sentimento immediato della vita più intensa e insieme più espansiva, la più individuale e la più sociale»[116].

«Vita» non è soltanto, come in Henry, il movimento fisico che genera piacere o dispiacere, ma, pur inglobando le conclusioni delle estetiche fisiologiche, contiene anche i principi generatori dei processi psichici e delle azioni morali: l'esame dei suoi molteplici contenuti costituitivi porta al futuro dell'estetica francese, a Basch, Bergson, Delacroix sino a Francastel o Dufrenne.

La complessità tematica dell'estetica di Guyau è peraltro dimostrata anche nelle numerose indicazioni «marginali» di cui è ricca la sua opera, per esempio quelle sulla «poesia del ricordo», sull'«effetto estetico» della memoria nel suo legame con l'immaginazione. Memoria che, anticipando Bergson, è una «memoria profonda» che vive in noi e che è sempre pronta a tornare alla luce e a risorgere in ricchezza d'immagini. Nel principio monistico della vita, il tempo ha quindi il ruolo fondamentale: come Guyau dimostra nell'opera postuma La genèse de 1'idée du temps - pubblicata da Fouillée nel 1890 - la temporalità è il sentimento stesso della vita nella sua evoluzione e nel suo interno prodursi. In questo «flusso profondo» gli oggetti rimemorati perdono i caratteri utilitaristici posseduti nella quotidianità e divengono, come per i romantici, Bergson o Proust, l'oggetto privilegiato della poesia. Tali concezioni, pur avendo ancora la loro radice in Spencer, trascendono in modo evidente le convinzioni del positivismo francese di Taine e Zola, legati a un sistema meccanico che non può addentrarsi nella complessa profondità della vita, e si orientano verso un «naturalismo romantico» ancora integrato da una visione positiva e progressiva del divenire della società[117].

L'ampio substrato culturale di Guyau e la sua stessa asistematicità di pensiero, gli vietano tuttavia un'incondizionata adesione a critico-filosofiche siano posizioni, esse positiviste, neoromantiche o storiciste. Egli concordava infatti con Ruskin nel sostenere che i poeti di prim'ordine - e i «poeti-filosofi» - sono in grado di combinare la forma del sentimento con il potere del pensiero e l'osservazione penetrante. L'arte quindi, nel suo esprimere l'intensità e sociabilità della vita, è, per Guyau come per Ruskin, l'espressione della serietà della vita stessa, della sua connessione con la ricchezza morale dell'uomo[118]. Ma anche andando oltre questi motivi di carattere ideologico, è in Guyau che va visto nascere l'impulso teorico di un'estetica che - partendo da Proudhon, lame e Spencer giunge non solo a Séailles ma soprattutto a Bergson e allo stesso Mukařovskı.

L'influsso più immediato ed evidente del pensiero di Guyau è riscontrabile in Séailles, che tuttavia, considerando la bellezza puramente spirituale, reputa un errore attribuire un valore estetico alle sensazioni. L'influenza della «simpatia» di Jouffroy e Sully-Proudhomme è quindi, come vedremo, molto più evidente in Séailles che in Guyau. Entrambi, tuttavia, ponendosi all'origine di una confusa e monistica «psicologia metafisica», conducono verso un «vitalismo estetico» che, per l'assoluta mancanza di chiari postulati ordinativi, di fondative basi trascendentali e di accurate analisi descrittive diviene (o rischia di divenire) un misticismo estetico, esatto contrario di una rigorosa scienza dell'arte. A Guyau manca dunque il riconoscimento di quella nozione di «forma artistica», che sarà la nozione portante dell'estetica francese del Novecento e che, come comprenderà Dewey, filosofo per molti aspetti vicino al naturalismo monistico e vitalistico di Guyau, è «l'arte di portare alla luce ciò che è implicito nella organizzazione dello spazio e del tempo prefigurati in ogni corso di esperienza vitale che si sviluppa»[119].

 

 

Note

[68] A. Fouillée, La Morale, l'Art et la Religion d'apres Guyau, Paris, Alcan, 1889. Molti manuali di storia della filosofia francese scorgono un legame, forse più evidente in superficie che nell'analisi approfondita delle dottrine, fra il vitalismo di Guyau e la teoria delle «idee forza» di Fouillée. Si veda di quest'ultimo la Psychologie des idées-forces, Paris, Alcan, 1893, 2 voi.

[69] R. Bayer, Histoire de l'esthétique, Paris, Colin, 1960, p. 229.

[70] G. Proudhon, Du principe de l'art et de sa destination sociale, Paris, 1865, p. 35.

[71] Ibid., p. 43.

[72] A. Fouillée, op. cit., p. 24.

[73] Ibid., p. 26.

[74] F.J.W. Harding, J.M. Guyau. Aesthetician and Sociologist, Genève, Droz, 1973, p. 17.

[75] R. Bayer, op. cit., p. 236.

[76] C. Lalo, Les sentiments esthétiques, Paris, Alcan, 1910, p. 102.

[77]R. Bayer, op. cit., p. 236.

[78] J.M. Guyau, Les problèmes de l'esthétique contemporaine, Paris, Alcan, 1884, p. 20.

[79] Ibid., p. 27.

[80] Ibid., p. 29.

[81] D. Formaggio, Fenomenologia della tecnica artistica, cit., p. 77. A suscitare l'ammirazione di Nietzsche nei confronti di Guyau, ci informa Fouillée nell'opera dedicata al figliastro (p. IX), furono anche i suoi due libri di morale Esquisse d'une morale sans obligation ni sanction, Paris, Alcan 1885 e L'irreligion de l'a penir, Paris, Alcan, 1887. Guyau non conosceva invece le opere di Nietzsche. Si potrebbero trovare analogie, anche se a un diverso livello teorico, con l'opera del giovane Simmei, per esempio i saggi Uber soziale Differenzierung (1890) e Einleitung in die Moralwissenschaft (1892-93) o con il saggio Gemeinschaft und Gesellschaft di F. Tönnies (tr. it., Milano, Edizioni di comunità, 1979). E' tuttavia indubbio che Simmei, che pure studierà Bergson, non ha in questi anni specifici contatti con la cultura francese. D'altra parte il pensiero di Simmel verrà conosciuto in Francia solo nella generazione successiva a Guyau con il volume di A. Mamelet Le relativisme philosophique chez Simmel (1914) e con lo studio di V. Jankélévitch, Simmel philosophe de la vie, in «Revue de Métaphysique et de Morale», XXXII, 1925, pp. 213-57 e 373-86.

[82] J.M. Guyau, Les problèmes de l'esthètique contemporaine, cit., p. 45.

[83] Ibid., p. 48.

[84] F.J.W. Harding, op. cit., p. 21.

[85] J.M. Guyau, op. cit., p. 54.

[86] Ibid., p. 59.

[87] J.M. Guyau, L'art au point de vue sociologique, Paris, Alcan, 1889, pp. 14-5 (d'ora in avanti abbreviato con L'art).

[88] F. Schiller, Lettere sull'educazione estetica, a cura di Antimo Negri, Roma, Armando, 1977, pp. 171-2, lettera XV.

[89] D. Formaggio, op. cit., p. 80.

[90] J.M.Guyau, Problèmes, cit., p. 81.

[91] Ibidem.

[92] J.Mukařovsky, Il significato dell'estetica, Torino, Einaudi, 1973³, p. 80.

[93] Ibid., p. 85.

[94] T.M. Mustoxidi, op. cit., p. 215.

[95] V. Feldman, L'estetica francese contemporanea, cit., p. 134.

[96] J.M. Guyau,Problemes, cit., p. 113.

[97] In tal senso va inteso anche il rapporto arte/industria, che Ruskin e Sully-Prudhomme vedevano in modo conflittuale. Guyau, riprendendo temi spenceriani di cui, come ci informa Harding (op. cit., p. 35), non era inizialmente molto convinto, afferma che l'esteticità della macchina si trova nella sua rassomiglianza con le creature viventi e la loro economia della forza.

[98] J.M. Guyau, Les problémes, cit., p. 123.

[99] Ibid., p. 129.

[ l00]Ibid., p. 140.

[ l0l ]Ibid., p. 142.

[102] J.M. Guyau, L'art, cit., p. 66.

[103] J.M.Guyau, Les problèmes, cit., p. 157.

[104] Ibid.,p. 164.

[105] Scopo di questa sezione dell'opera è infatti proporre un esame del ritmo e della rima dal punto di vista fisiologico e psicologico per accertare la loro stessa origine, esame che verrà variamente ripreso dall'estetica francese con Servien, Bayer, Landry e Segond. Il ritmo e la rima sono per Guyau l'origine non solo del «verso moderno» ma anche di tutta la «scienza del verso».

[106] J.M. Guyau, L'art, cit., p. 292. Su questo argomento si vedano le accurate analisi di Harding (op. cit., pp. 44 sg.).

[107] H.A. Needham, op. cit., p. 244.

[108] J.M. Guyau, L'art, cit., p. 21. L'interesse sociale dei pensatori francesi di fine Ottocento e dei primi del Novecento va considerata, oltre che una reazione ai vivaci, se non violenti, «casi» politici che si sviluppavano in quel periodo (si veda l'«affaire» Dreyfus), un accoglimento di certe tesi dei socialisti detti «utopisti» che sempre avevano trovato in Francia fertile terreno. Ciò per ricordare che le opere di Marx erano ancora, poco lette e poco conosciute.

[109] Ibid., p.16. Si noti come queste concezioni siano ancora, tutto sommato, all'interno delle problematiche psicofisilogiche caratteristiche di tutta l'estetica europea contemporanea a Guyau.

[ l10]Ibid., p. 13.

[111] Ibidem.

[112] F.J.W. Harding, op. cit., p. 61.

[113] J.M. Guyau, L'art, cit., p. 21.

[114] L'irreligion de l'avenir è il titolo di un'opera di Guyau pubblicata a Parigi nel 1887.

[115] F.J.W. Harding, op. cit., p. 65-6. In queste pagine Harding si occupa anche dele critiche di Guyau a Hennnequin e allo psicologo G. Tarde.

[116] J. M. Guyau, L'arte, cit., p. 75.

[117] Nell'Art au point de vue sociologique Guyau si occupa anche di critica letteraria ricercando le origini del «romanzo sociologico». Interessanti sono i suoi giudizi su Balzac, Flaubert, Hugo e Zola. Sul «naturalismo romantico» di Guyau si veda A. Banfi in «Logos» VII, 1924, n. 3.

[118] Si veda Harding, op. cit., pp. 105 sg. Il socialismo umanitario già presente in Véron si ripresenta in Guyau: da loro trapasserà in Tolstoi che, nel suo Che cos'è l'arte, mostra di conoscere Guyau, se non altro attraverso The Philosophy of Beautiful di W.A. Knight.

[119] J. Dewey, Arte come esperienza, Firenze, La Nuova Italia, 1966², p.31.