6 - La psicologia dell'arte di H. Delacroix

 

 

Le opere di estetica e teoria dell'arte fra Ottocento e Novecento, pur non creando una «scolastica» d'impostazione positivista, osteggiata, oltre che dal tradizionale spiritualismo della filosofia francese, anche dallo svilupparsi della complessa e profonda filosofia bergsoniana, possono venire ricondotte a matrici fisiologiche, psicologiche e sociologiche che a sé sottomettono la specificità del fatto estetico. A questo terreno tuttavia - che ricalca analoghe esperienze che si andavano compiendo in Germania con i Vischer, Lotze, Hartmann, Fechner e anche Zimmermann, Wundt o Zihen - va ricondotto il tentativo, parallelo a quello di Dessoir, di fondare una «scienza estetica» che utilizzi fisiologia, psicologia e sociologia in un quadro unitario tendente a delineare la specificità del «fatto estetico» considerato sia nella sua struttura di base propriamente estetica sia nel suo divenire opera d'arte nel contatto con la comunità storica e intersoggettiva di un «pubblico».

Delacroix, Lalo e lo stesso V. Basch utillizza dunque gli insegnamenti delle varie scienze particolari - fra cui vi è la nozione originariamente «psico-fisica» di Einfühlung - adattandone il senso a nuove impostazioni culturali e ideologiche, spesso persino orientate, grazie all'influsso bergsoniano, a conclusioni di carattere metafisico.

Così come era accaduto a Dilthey, la psicologio descrittiva e analitica diviene una «scienza dello spirito», scienza del vissuto e della comprensione di quei processi energetici creativi che si oggettivano nelle opere d'arte.

In Francia tale tendenza è senza dubbio rappresentata dal «positivismo intellettualista» - la definizione è di V. Feldman - di H. Delacroix, professore universitario di psicologia, disciplina cui, in senso stretto, ha dedicato la quasi totalità della sua produzione scientifica. Egli è autore di una Psychologie de l'art, pubblicata nel 1927, dove, in un contesto di assoluta originalità, sviluppa una teoria della crea «classico» di Ribot quantozione attenta al pensiero del positivismo era di Delacroix è a sua a Bergson e altri «poeti» Guyau e Seailles. L'opera di Delacriox è a sua volta origine di numerose teorie estetiche della Francia contemporanea, in primo luogo di quelle che analizzano su basi psicosociali l '«oggettività» dei processi tecnici della creazione artistica, non più ridotti alla vaghezza di formule onnicomprensive quali l'ispirazione o la stessa «simpatia simbolica». A Delacroix si accostano quindi le estetiche di Alain e Lalo ma anche le sparse meditazioni di Apollinaire e Valéry, alcuni spunti della filosofia di Bachelard e della «psicologia dell'arte» di A. Malraux. Inoltre vedra chiarissima la sua influenza nelle critiche che Bachelard e Bayer rivolgeranno a Bergson e, soprattutto, nell'estetica musicale di G. Brelet, che riconoscerà esplicitamente il suo debito.

Le fonti disparate dell'estetica di Delacroix contribuiranno a delinearne i limiti stessi: essa non darà luogo a una teoria dell'oggetto estetico nella sua struttura eidetica e genetica, nè determinerà l'opera d'arte come centro di uno specifico campo, né, infine, saprà delineare con chiarezza scientifica il passaggio, auspicato da Paschal, da una psicologia della creazione a un estetica come teoria generale della sensibilità corporea che si organizza in intuizioni percettive, memorative e immaginative divenendo base per la costruzione di un'opera d'arte.

Rendere scientifica la psicologia dell'arte significa, in primo luogo, chiarificare i suoi rapporti con la fisiologia, che lo stesso Basch reputava la prima scienza ausiliaria dell'estetica scientifica[167], e con la nozione di «gioco» che, dopo Spencer, si era ad essa legata. Ed è proprio da quest'ultima controversa nozione che, in un esame dei vari aspetti «soggettivi» della creazione artistica, prende le mosse l'analisi psicologica di Delacroix. Dalla critica, per certi aspetti vicina a quella di Guyau, all'arte come gioco, si comprenderà, scrive D. Formaggio, che con Delacroix siamo veramente di fronte a un taglio netto con il recente passato: ora l'arte

«è al di là del vitalismo del Guyau e dei diversi tipi di Einfühlung, poiché a spiegare l'arte non bastano né la simpatia universale, né la simpatia simbolica, sia che col Volkelt la si intenda come un pieno attivo sprofondarsi nel segreto delle cose, sia che col Lipps la si pieghi piuttosto a significare un semplice passivo abbandono alla vita dell'oggetto con intervento di caratteri formali» [168]

Solo un equivoco - un equivoco comune a Spencer e al «romantico» Schiller - può per Delacroix ricondurre l'arte al gioco, energia psichica che nell'arte viene incanalata alla costruzione oggettiva di opere compiute. Di per sé, infatti, il gioco è quel rêve, negativamente inteso da Bergson e in seguito da Bachelard (ma non dall'«idealismo» surrealista): è un'immagine «vuota» che non costruisce nulla, un «ricordo-immagine» mancato. Tuttavia, come aveva intuito, sia su un piano solo formale, P. Souriau e come svilupperà Bachelard, Delacroix coglie che «la poesia porta a un grado di coscienza più distinto questo continuo rêve interiore al pensiero», trasforma il rêve in rêverie che «completa la vita» ed «apre al rêveur un 'altro mondo in cui egli si sente a miglior agio»[169]. Un «altro mondo», quello della rêverie, che non è sempre e di necessità artistico: se abbandonata a se stessa diviene vuota e ripetitiva fantasticheria, dà origine a fenomeni psicotici, a forme incontrollate di follia. Come affermerà anche Alain, l'immaginazione, di per sé, è cartesianamente la «pazza di casa», percezione sregolata e difficilmente controllabile a cui, secondo Delacroix, solo l'arte impone sempre una forma un orientamento. L'arte, con parole di cui solo in seguito si comprenderà tutta l'importanza, «impone una forma», non e un mero «gioco» ma un modo e un'energia in cui si rivela e si impegna l'attività totale dell'uomo. Essa, a differenza del gioco, non è indifferente alla sua materia ma è a questa inscindibilmente legata. Tutto il lavoro dell'artista mira alla «fabbricazione» di quell'insieme coordinato ed armonico di elementi che costituiscono l'opera d'arte e che rinchiodono in una forma un aspetto della vita umana: «l'arte è gioia di creare, come il gioco; ma crea una realtà armoniosa; costruisce un mondo che si impone agli spiriti attraverso il suo ordine e le sue leggi. Non è più creazione momentanea e fuggitiva che evapora nelle sue effimere emanazioni e che dimora trascendente e immanente alla struttura e all'apparenza esteriore delle sue realizzazioni»[170].

In queste parole è anche evidente un altro dei motivi portanti dell'estetica di Delacroix, ovvero la polemica antibergsoniana che contrappone il lavoro costruttivo dell'arte all'indistinto fluire della pura durata. In questo antibergsonismo di fondo, che in seguito meglio delineeremo, vivono tuttavia, sia pure sempre mediati con lucida intelligenza analitica, elementi bergsoniani o forse residui del vitalismo di Guyau che senz'altro in Bergson era trapassato, in primo luogo l'immagine della «animazione dell'universo» attraverso l'arte che sostituisce la percezione «visionaria» della vita delle cose all «percezione utilitaria»:

«l'arte è il mondo come realizzazione concreta, integrale dello spirito nella sua pura potenza di percepire e agire. La percezione utilitaria non è che una deviazione di questa corrente che svolta verso l'utilità biologica o sociale»[171].

 

Non è tuttavia sufficiente un vitalismo indistinto per definire, parere di Delacroix, il concreto, costruito, «lavorato» fenomeno artistico nella complessità dei suoi livelli vitali; non basta una «animazione estetica», che è solo una parte di un processo spirituale pi ampio e profondo. L'arte infatti - scrive Delacroix - è un «pensiero» e non solo fecondità, zampillo di vita, invenzione senza leggi; l'Einfühlung stessa di per sé non è affatto una nozione estetica ma sol una modalità di contatto con il mondo che non chiarisce né la strutura del soggetto nè quella dell'oggetto, ne, tantomeno, il loro rapporto. Non la bergsoniana «intuizione simpatetica» è quindi all'origine dell'arte ma l'intelligenza, «architetto del reale» e «perpetu invenzione», che è essa stessa un ritorno a «una fonte di energia presso i più estinta», la «restaurazione di uno slancio dinamico arrestato nel mezzo della specie»[172].

L'arte è dunque il risultato di un'energia vitale guidata e direzionata da un'attività tecnico-razionale: il puro vitalismo di un Guyai o la simpatia simbolica di Basch non possono comprendere, come affermeranno in seguito anche i «razionalisti» Bayer e E. Sauriau, l'atto intellettuale che costituisce il mondo dell'arte, mondo del pensiero «sovrapposto e sostituito all'eccitazione dell'azione diretta»[173].

La natura offre un campo oggettuale che l'artista non imita ma riflette in se stesso, elaborato, ricostruito e trasfigurato nel nuovo contesto dell'artisticità. Pura natura, dati immediati, coscienza pro fonda o mondo delle Idee - concetti caratteristici del bergsonism o di quelle estetiche che Dewey chiamerà «esoteriche» - sono de miti se supposti già costruiti e viventi nella natura o nell'arte. E l'arte, infatti, che crea e, nella creazione, «si riallaccia a tutta la vita mentale dell'uomo, al linguaggio, alla scienza, alla religione», al vasto campo del «possibile» in cui si incontrano, in sintesi vivente, il soggetto e l'oggetto, la forma e il contenuto, la materia e lo spirito: «non c è poesia che attraverso l'interazione e la sintesi dell'idea, del sentimento, delle immagini, della musica verbale e delle incurvature della forma poetica»[174]. L'arte, da elementi eterogenei e disparati, costruisce una «forma» in cui trovano posto sia il lato «stilistico-formale» sia quello «espressivo-contenutisti in un equilibrio che è un gioco armonioso di facoltà».

Nel determinare gli aspetti psicologici dell'equilibrio armonico di questo «stato estetico», Delacroix riprende, in primo luogo, gli argomenti dell'estetiche fisiologiche dell'Ottocento per cui il piacere è nell'attività sensorio-motrice, nel ritmo dei movimenti fisiologici. Ma il ritmo acquista ora un significato più ampio ponendosi, come affermeranno in seguito anche Bachelard, Bayer e la Brelet, all'origine dell'arte poiché traduce in modo appropriato il valore della nostra sensibilità conducendola verso la sua stessa pienezza spirituale. Il ritmo è infatti il tempo in cui si inserisce l'uomo che crea nella compiutezza del suo essere e delle sue stesse opere. Il tempo in cui vive l'opera d'arte non può quindi venire ridotto a un 'unica dimensione o a un indistinta «pura durata»: il tempo della contemplazione estetica così come il tempo dell'opera «è il tempo costruito, stilizzato, il tempo ritmato, il tempo docile, il tempo dello spirito»[175]. L'arte ha inizio solo quando ci liberiamo dall'angoscia e dalla noia di un tempo indistinto che è sempre eccesso e non forma ritmata, che si compie nella trasfigurazione spirituale dei nostri movimenti corporei, nella complessità delle molteplici «qualità del sentimento» che ineriscono originalmente a ciascuna singola arte impedendo la costruzione di un loro ordine sistematico.

Su queste basi di un tempo che è «sentimento» del corpo, l'arte si caratterizza attraverso le «funzioni corporee» del lavoro e della creazione, che istituiscono un rapporto comunicativo fra l'artista e l'opera. Già Guyau e Séailles avevano compreso l'importanza dell'attività «geniale» - nel senso ampio, peraltro derivato da Dubos, che davano al termine - nella produzione artistica ma la nozione stessa di «genio» rischiava effettivamente di ricondurli a mistificazioni di carattere romantico. Delacroix precisa allora che «la parola genio non porta qui nessuna chiarezza»: genio è semplicemente potenza di costruire e d'inventare, su cui soltanto dovrà incentrarsi l'interesse dello studioso di estetica. Sul piano dell'arte, infatti, l'esperienza e la vita stessa sono possibili solo attraverso la creazione: «l'artista costruisce l'idea a partire dalla cosa, che è la realtà, e va in seguito dall'idea alla cosa attraverso l'opera che è una realtà». Con un richiamo esplicito ad Alain, che elaborava il suo pensiero in questi stessi anni, «l'opera è fabbricazione e lavoro; non si inventa che lavorando, perché l'immagine che è il punto di partenza dell'opera appare all'artista solo attraverso l'opera stessa»[176]. E Alain aggiunge: «non si inventa se non lavorando. Artigiano prima di tutto»; il lavoro dell'artista «consiste nel riconoscere l'idea in embrione, nel liberarla con precauzione, avendo molta cura che la ragione non turbi questo misterioso lavoro, questa risposta del corpo umano in comunicazione con tutte le cose»[177]. È solo nel lavoro, come ricorda anche Lalo in affinità con i suoi due contemporanei, il momento che permette di collegare l'arte alla vita, l'artista alla vivente realtà della materia.

Nell'artista, infatti, la forma estetica è una necessità vitale, un necessario processo spirituale - ovvero energetico - dove sono fabbricati, insieme al contenuto dell'opera, i processi simbolici che guidano la sua espressività. A tale capacità di «simbolizzazione», che è in primo luogo «intelligenza tecnica», possono venire ricondotti genio e ispirazione. È così evidente che per Delacroix - che qui si richiama anche alla Filosofia della composizione di Poe - il delirio, il sogno, l'incoerenza creatrice «non hanno potenza propria». Anche se la parte iniziale della creazione si compie nella «oscurità» della regione che potremmo chiamare «subconscio» (e forse anche «inconscio»)in cui la personalità «stratifica» e costituisce i suoi mezzi di espressione rinchiusa in un profondo e nascosto stato di rêve, il processo ha termine solo nel lavoro riflessivo e cosciente, in un momento analitico che - in polemica con Bergson - e necessariamente astraente e «formalizzante».

L'ispirazione - momento di choc, di rottura temporale nel ritmo vitale dell'artista - si compie solo nella creazione dove si incontrano originalità, spontaneità e produttività, come afferma Valéry, mediata dallo sviluppo rettilineo del lavoro riflessivo e dal progresso lento e regolare della normale maturazione. Si può così affermare che l'ispirazione è un processo stratificato che si costituisce attraverso quattro differenti e correlate forme di produzione: «l'attualizzazione brusca, improvvisa, l'ispirazione; la forma più lenta, meno drammatica, della ruminazione subcosciente (...). La forma dell'abitudine e dell'automatismo»[178]. L'artista dunque, il soggetto creatore, «non è un corpo unitario di cui si possano predicare le qualità specifiche e fissarle una volta per sempre»: «ogni soggetto è una complessità sempre nuova, e dunque se si vuole approfondirne la posizione, bisogna andar oltre esaminando la realtà in cui si trova immerso»[179]. L'artista è un «complesso» non riducibile al «fatto» positivista e all'unicità vaticinante dell'ispirato, un complesso di sentimenti, riflessioni, idee e azioni che si svolge solo nel lavoro dove l'ispirazione si rivela come il prodotto del sentimento e della tecnica «costantemente associati nell'elaborazione di un essere duttile, in primo luogo spettro e fantasma, poi incarnazione e vita»[180]. In straordinaria comunione di pensiero con Alain e Valéry, Delacroix sostiene dunque che l'ispirazione non è un miracolo psicologico ma un legame complesso fra materia, tecnica e vita interiore del soggetto che «mette in gioco la potenza creatrice dello spirito sia sotto la forma della sintesi brusca ed istantanea sia sotto quella della lenta maturazione»[181]. L'ispirazione, come già aveva notato Séailles, è così uno stato «normale» dello spirito che sempre di nuovo rinnova la sintesi vivente fra la creazione spontanea e il lavoro volontario. L'opera suppone infatti il «mestiere», l'acquisto e il possesso della tecnica mediante la quale si impone una forma all'azione.

Queste problematiche non sono ovviamente delle «assolute novità» nella storia dell'estetica filosofica. Già Hegel, per esempio, aveva scritto che ogni artista «lavora su una materia sensibile ed è prerogativa del genio divenire perfettamente padrone di questa materia, cosicché l'abilità e la bravura nel campo tecnico e manuale costituisce un lato del genio stesso»[182]. Anche Schopenhauer aveva inoltre affrontato il problema, presente pure nei teorici della Einfühlung e soprattutto nei padri del formalismo Fiedlere Wolfflin. Ciò malgrado, le affermazioni di Delacroix mantengono una duplice particolarità. In primo luogo infatti, almeno all'interno dell'estetica francese e superando una tradizione filosofica orientata in senso spiritualistico, Delacroix attribuisce al lavoro e alla tecnica artistica una specifica dignità filosofica. In secondo luogo, egli non asservisce il problema tecnico-costruttivo ad alcuna teoria precostituita ontologica o formalista né, d'altra parte, lo riduce a una mera questione psicologica. L'analisi dell'ispirazione, e quindi della tecnica artistica, apre invece all'estetica un campo in cui soggetto e oggetto, pur nella necessaria correlazione, mantengono ciascuno la propria specifica singolarità. Il piano «empirico-descrittivo» sul quale Delacroix si pone - e ciò costituisce peraltro il maggior limite della sua opera - non gli impedisce di intuire che, nella creazione dell'arte, sono coinvolti elementi disparati che devono divenire oggetto di studio di numerose discipline o scienze, prime fra tutte la psicologia, la sociologia, la storia e la psicanalisi. L'arte non è più, come per Guyau, Séailles o Véron, il «simbolo» della moralità ma una costruzione formale che, ponendo in gioco un gran numero di scienze, è essa stessa all'origine di un campo epistemologico. Tali scienze infatti trovano nell'opera nell'opera che impone una forma all' «azione errante» - una composizione sintetica fondata sul processo della tecnica. Delacroix tuttavia, come scrive Formaggio, rimane «alla superficie del problema» perché «non vede il punto dove la strumentalità pura e semplice della tecnica si risolve in struttura organica e finalità stessa operante nell'arte»[183].

Per questi motivi, e a differenza di Fiedler, Delacroix non giunge a separare «estetico» e «artistico», separazione necessaria per chi voglia delineare scientificamente le «funzioni» della tecnica all'interno della prassi in generale e della progettualità artistica. Il problema, infatti, non può venir ridotto, come fa Delacroix, a una «conciliazione» fra materia e spirito, fra sensibilità ed espressione nell'ambito dell'invenzione artistica, ma deve invece affrontare la questione teoretica dello statuto categoriale - e ontologico in senso husserliano - dell'opera come prodotto di procedimenti tecnici che si aprono storicamente e progettualmente nel sensibile, possibilità che diviene nel rapporto col soggetto che la percepisce o costruisce.

Malgrado questi limiti - caratteristici peraltro di gran parte dell'estetica francese - Delacroix è il primo a porsi il problema dell'opera d'arte non in modo astratto ma come prodotto di un lavoro che possiede specifiche caratteristiche in ciascuna delle particolari arti, analizzate nella seconda parte della Psychologie de l'art.

Per quanto riguarda la musica, su cui le indagini di Delacroix risultano particolarmente importanti, opponendosi al bergsonismo e offrendo molti spunti al «formalismo» musicale francese di G. Brelet, compie un'analisi delle sue componenti affettive e strutturali giungendo alla conclusione che il ritmo - organizzazione del tempo che ha le sue basi nella fisiologia - si compie disegnando nei suoni non sentimenti soggettivi, come affermava Ribot opponendosi a Hanslick, ma uno «schema dinamico» dei sentimenti, dove schema ha un significato kantiano come principio di organizzazione intellettiva del materiale sonoro sensibile. Il musicista costruisce dunque delle «forme» poiché «modellare delle forme, creare delle forme, è proprio il cominciamento dell'arte musicale e la sua stessa struttura»[184].L'arte è così una trasfigurazione «schematico-simbolica» - e quindi razionale - di un sentimento oggettivato attraverso un'elaborazione costruttiva di un materiale sensibile. Nella musica in specifico, dunque, la durata è ordinata da un ritmo guidato dal nostro sentimento interiore e in seguito modellata come forma costruita da insiemi autosufficienti quali la melodia e l'armonia. La musica non deriva quindi da sentimenti soggettivi ma li costruisce creando razionalmente delle «forme simboliche» musicali che ne sono l'espressione astratta.

Non basta dunque, così come voleva Bergson, lo slancio vitale per costituire quelle forme superiori della vita che sono le opere d'arte. L'energia creatrice del divenire, come avevano insegnato anche Guyau e Séailles, è una condizione necessaria alla creazione ma non sufficiente poiché lo slancio deve organizzarsi in stabili forme concrete, la durata specificarsi adattandosi alle particolarità ritmiche del tempo. La complessità dell'opera d'arte, che è un mondo «in cui si svolge tutta la natura umana» e sintesi di tutti i saperi - sensoriali e «razionali» - implicati nei processi della creazione e non può quindi essere ridotta all'indistinto divenire di una temporalità che non si completa mai in una forma. Riprendendo un vocabolario non del tutto rimeditato, Delacroix afferma che l'arte «è lo spirito che si rifà natura, lo spirito che si svolge attraverso la natura, la natura che si ritrova come spirito». O ancora, con parole che lo avvicinano a Guyau: «l'arte è lo stesso spirito di vita che circola nella natura, ma che ne conquista la forma e se l'assimila»[185].

Al di là ditali espressioni, che richiamano una tradizione idealista schellinghiana e hegeliana da cui in verità Delacroix è molto distante per le matrici psicologico-soggettive delle sue analisi, il merito maggiore del pensiero estetico di Delacroix si pone nell'aver delineato, riprendendo la tradizione razionalista di P. Souriau, la nozione di forma come centrale per una fondazione scientifica dell'estetica. A tale nozione - e inserendola proprio in un contesto anti-bergsoniano - si rifaranno tutti i maggiori studiosi francesi del nostro secolo. Inoltre, in analogia con i contemporanei tedeschi, che tuttavia mai cita, comprende che l'arte non si esaurisce affatto all'interno della dimensione estetica, considerata sia come teoria generale della sensibilità sia come sfera dei giudizi di gusto e dell'affettività del sentimento. Al centro del fenomeno artistico si pone infatti la nozione di «tema l'arte non è mai guidata dal soggetto ma dal tema - un soggetto non è niente in se stesso. Quel che importa è il modo in cui il soggetto si realizza, diviene tema estetico: insomma tutto lo sviluppo concreto nel quale il soggetto si inserisce»[186].

Il processo della creazione rimanda all'esperienza soggettiva, che non è chiusa nel soggetto solipsistico ma interagisce con tutta la realtà, realtà che è, in primo luogo, sociale e da cui si solleva il «tema», «cioè in fondo ancora il ritmo nel suo ripercuotersi fisiologico dentro al soggetto e con tutta la sua capacità di abbozzare mediante la sua forza pulsante grandi inquadrature di forme, tirando, per così dire, le grandi ortogonali della concezione nel suo atto»[187]. Con scarsa novità terminologica e concettuale, l'arte si presenta dunque, a conclusione della Psychologie de l'art, come «una realizzazione concreta, integrale dello spirito umano, in tutta la sua potenza d'agire e di percepire, a condizione che questa potenza trovi la sua legge»[188].

«Realizzazione integrale dello spirito» significa che il fenomeno artistico non è né sensazione - mero oggetto estetico -, né forma - idealità separata dalla vita individuale e collettiva -, né copia della realtà - imitazione riduttiva della natura -, ne manifestazione delle essenze - eidos sovrastorico rivelatore dell'essere. L'arte è tutti questi elementi insieme attraverso la di un'attività sintetica e creatrice. In questo senso l'opera è inseparabile dall'azione dell'artista, dalla sua particolare «psicologia», che sola è propria dell'arte: l'artista è l'opera stessa e l'opera è sempre abbondanza, pienezza, eccesso, debordamento. Insieme sono la pienezza dello spirito che si realizza nella creazione dando forma alla propria armonia e unità.

Charles Lalo, riprendendo questo legame del lavoro dell'artista con la realtà dell'opera, costruirà un'estetica psico-sociologica fondata sulla tipologia della personalità creatrice. Ugualmente Valéry e Alain, sviluppando i temi del lavoro e della tecnica artistica, daranno origine a una «fenomenologia» della creazione artistica come fatto culturale intersoggettivo. Il pensiero di Delacroix è infatti separabile solo «idealmente da quello di questi suoi contemporanei, personalità tutte non facilmente riconducibili a univoche correnti di pensiero. È infatti chiaro che nelle loro opere - e in particolare in quelle maggiormente sistematiche di Delacroix e Lalo - le scienze dell'uomo tratte dal positivismo hanno un senso e un valore diverso da quello che possedevano per i pensatori di fine Ottocento e costituiscono ora la via scientifica privilegiata per giungere, attraverso l'analisi dei processi costruttivi, a una nuova nozione, quella di forma, che da tali processi concreti è assolutamente inseparabile. È quindi ugualmente chiaro che Guyau e Séailles, con il loro vitalismo energetico, non guardavano, nel monismo della vita, alle specificità metodologiche di ciascuna scienza che interveniva con i suoi metodi e nozioni all'interno della creazione artistica. In tal senso hanno influenzato, ben più che Delacroix o Lalo, la concezione bergsoniana della Durata e si sono quindi posti al di fuori di quella tradizione positivista che, almeno per quanto riguarda la rigorosità del metodo, Delacroix e Lalo vogliono riprendere e sviluppare nel campo dell'estetica. Tuttavia il richiamarsi di Guyau e Séailles alla sociologia e alla psicologia può far supporre che esse costituiscano la base comune dell'estetica francese del Novecento, radice che dà vita a correnti che divergono decisamente e che si riunificheranno solo attraverso la mediazione di un metodo che, in qualche modo, inglobi le loro finalità epistemologiche: la costruzione di una forma concreta da un lato e il tentativo di scorgere l'essenza profonda del rapporto soggetto-oggetto - esigenza dei «positivisti» e dei «razionalisti» la prima e di Bergson e Basch la seconda - saranno anche i caposaldi dell'estetica fenomenologica di M. Dufrenne.

Il pensiero di Delacroix e Lalo costituisce quindi, al di là dell'intrinseco e indubbio valore, la necessaria introduzione a quello che V. Feldman chiamerà il «realismo razionalista» di E. Souriau, R. Bayer e H. Focillon, il primo inquadramento, in senso psicologico e non ancora trascendentale, dell'opera d'arte come una forma e del processo creativo come l'instaurazione di una forma. Il loro «positivismo» è dunque solo un'impostazione metodologica e culturale che traduce la consapevolezza del valore scientifico, anche per l'estetica, del metodo di Comte e dei suoi seguaci. Esso non può venire ignorato anche per il valore di opposizione che assume nei confronti delle filosofie di Bergson, Basch e Segond, che sembrano rivolgersi nuovamente al misticismo teorizzando la morte dell'analisi, dell'intelletto e della razionalità nell'indistinto di un'assolutezza metafisica, di una realtà sovrasensibile che ripugna all'essenza concreta e «prassistica» dell'estetica.

 

Note

[168] D. Formaggio, Fenomenologia della tecnica artistica, cit., p. 100.

[169] H. Delacroix, Psychologie de l'art, Paris, Alcan, 1927, p. 23.

[171] Ibid., p. 48.

[172] H. Delacroix, L'invention et le génie, Paris, Alcan, 1939, p. 480.

[173] H. Delacroix, Psychologie de l'art, cit., p. 85.

[174] Ibid., p. 96.

[175] Molto importante l'influsso di Delacroix sull'estetica musicale francese. Molte delle sue affermazioni si ritroveranno, con la medesima riconosciuta diffidenza nei confronti del bergsonismo, in G. Brelet, Le temps musicai, Paris, P.U.F., 1949, 2 vo1. Sul problema del ritmo nei suo rapporto con la musica si veda il capitolo IV di E. Franzini, Il significato del tempo in Husserl e Bergson in E. Franzini-R. Ruschi, Il tempo e l'intuizione estetica, Milano, Unicopli, 1982. Sul problema del ritmo nelle estetiche tedesche fra i due secoli si veda: R. Bayer, Histoire de l'esthétique, cit., pp. 28 1-93.

[176] H. Delacroix, Psychologie de l'art, cit., p. 152, p. 155 e pp. 156-7.

[177] Alain (Emile Chartier), Sistema delle arti, Roma, 1953, p. 34. V. Feldman, op. cit., accosta Alain a Delacroix inserendoli nella comune corrente del «positivismo intellettualista». Effettivamente esistono fra il pensiero dei due numerose analogie. Si tornerà su Alain nel trattare la sua presenza come maestro della generazione dei fenomenologi francesi del secondo dopoguerra.

[178] H. Delacroix, Psychologie de l'art, cit., p. 186.

[179] D. Formaggio, Fenomenologia della tecnica artistica, cit., p.103.

[180] H. Delacroix, L'invention et le génie, cit., p. 521.

[181] H. Delacroix, Psychologie de l'art, cit., p. 198.

[182] G.F.W. Hegel, Estetica, a cura di N. Merker, Milano, Feltrinelli, 1978, p. 1019.

[183] D. Formaggio, op. cit., p. 108.

[184] H. Delacroix, Psychologie de l'art, cit., p. 281.

[185] Ibid., p. 456.

[186] Ibid., p. 466.

[187] D. Formaggio, op. cit., p. 113.

[188] H. Delacroix, Psychologie de l'art, cit., p. 476.