7 - La psicosociologia di C. Lalo

 

 

In una delle sue prime opere - Les sentiments esthétiques del 1910 - C. Lalo, cattedratico di Estetica alla Sorbona, scopre nei «sentimenti estetici» le basi per la costituzione di un sistema di estetica sociologica fondato su nozioni «oggettive»: così come J. Segond voleva, seguendo gli insegnamenti di Ravaisson, costituire un'estetica come rivelazione metafisica della Bellezza, egli, partendo dall'estetica «dal basso» di Fechner, depurata delle sue ingenuità e dei vari residui romantici, vuole fondare un'estetica integralmente scientifica opposta ai «sogni» dei metafisici. La mancanza di analisi specifiche costruite sul modello delle scienze dell'uomo è infatti ciò che, a parere di Lalo, ha impedito al sentimentalismo e al misticismo - da Guyau a Bergson, dai teorici dell'Einfühlung a Basch - di comprendere il ruolo multiplo del sentimento nella vita estetica; ruolo che, peraltro, non coglierà neppure il puro e semplice intellettualismo «a la Taine» che elimina qualsiasi influenza delle forme affettive dai processi costruttivi dell'opera d'arte.

Con Lalo, dunque, il discorso «oggettivo» sulla creazione artistica proprio a Delacroix e Alain si completa orientandosi non solo sulla «psicologia», dell'autore nel suo rapporto con i processi costruttivi ma anche verso l'analisi della psicologia del pubblico, della sua composizione sociale e dei suoi sistemi di valore. Tre sono infatti le specie di sentimenti all'interno della coscienza estetica: i sentimenti del piacere estetico, i sentimenti «anestetici» che accompagnano tale piacere e infine i sentimenti estetici propriamente detti, i «sentimenti tecnici».

I sentimenti del piacere estetico vanno a loro volta ricondotti alle forme della «ammirazione», della «simpatia» e della «vitalità», ovvero a giudizi di valore, alla comunione affettiva con l'autore o con il pubblico di cui facciamo parte e, infine, ricordando Guyau, all'accrescimento psico-fisico della nostra energia vitale. Questi tre aspetti, che riassumono molti complessi fattori, non sono tuttavia specifici dell'attività estetica: il piacere non può essere criterio del valore estetico e avrà quindi un senso in tale contesto solo se inserito in un più vasto atteggiamento estetico.

Se i sentimenti del piacere devono essere considerati solo effetti dell'attività estetica non necessariamente appartenenti alla sua essenza, i sentimenti della seconda specie sono dichiaratamente accessori, «anestetici»: «in altri termini essi sono dei sentimenti comuni, senza qualificazione estetica di per sé, e tali che possiamo incontrarli ad ogni istante nella vita corrente»[189]. Nell'ambito dell'attività estetica, sia «creativa» sia «contemplativa», intervengono infatti molteplici atteggiamenti soggettivi, quali il temperamento, l'abitudine, le associazioni di idee e i contenuti della memoria: essi danno, «un ritmo, un'colore» al sentimento estetico ma, in senso proprio, non appartengono alla sua struttura essenziale. A lato di questi sentimenti «personali» e «soggettivi» si pongono, ugualmente «anestetici», quei «sentimenti oggettivi» che attribuiamo alle cose rappresentate nelle opere d'arte attraverso una specie di «contagio affettivo» che espande il loro significato. Essi possono essere più o meno presenti e non vanno quindi considerati, come fanno misticismo e vitalismo, il fondo costitutivo dell'intera esperienza estetica.

Sentimenti propriamente estetici sono infatti quelli che Lalo chiama «sentimenti tecnici», «perché essi suppongono tutti l'intuizione immediata di quell'insieme di mezzi d'azione, accettati da una collettività, che si evolvono nel tempo e nello spazio»[190]. Più che sentimenti saranno allora delle modalità di pensiero dominate dall'esperienza intuitivo-sensibile e da fattori intellettuali. I sentimenti estetici nati dal rapporto fra l'opera e lo spirito che la contempla verranno detti del «gioco estetico», gioco che non è mera liberazione di un eccesso di energie psicofisiche ma la disciplina di una regola volta alla oduzione di un' «illusione» attraverso mezzi tecnici che mettono rapporto il soggetto e l'oggetto. Sentimenti estetici sono pure i sentimenti della «superiorità tecnica», che consistono nel riconoscimento da parte del pubblico della vera compiutezza di un opera d'arte come prodotto di un'azione fabbricatrice che sempre di nuovo interpreta ed elabora, attraverso la tecnica, gli elementi offerti dalla natura. I sentimenti tecnici hanno quindi il loro vertice in un sentimento di «armonia» che risiede nell'uso razionale dei vari elementi - matematici, fisiologici, psicologici e storici - che, attraverso la trasformazione della tecnica, collaborano alla costruzione di un'opera d'arte.

Questo atteggiamento di «relativismo critico», che ha parentele questo con l'empirismo e il positivismo, è, a parere di Lalo, la più sicura reazione la difesa dello spirito umano contro il misticismo e il verbalismo scolastico e metafisico. Succedendo infatti a Basch sulla Cattedra di Estetica della Sorbona, egli si opporrà integralmente al pensiero del suo predecessore, considerando l'estetica, insieme alla morale e alla scienza, una forma primaria della cultura del nostro io, da indagare attraverso strumenti sperimentali e scientificamente analizzabili. Compito dell'estetica come scienza deve essere infatti, nell'analisi di tutti gli elementi che concorrono all'esperienza estetica, e in primo luogo dei sentimenti tecnici, mostrare che l'opera d'arte si instaura un tessuto socio-psicologico che è sempre in strettissimo contatto i campi della scienza e della morale, così come avevano confusamente teorizzato già Véron, Henry e P. Souriau (oltre che Proudhon e Taine).

Questo relativismo ha tuttavia sul suo sfondo, come afferma G. Morpurgo-Tagliabue, un «principio dogmatico» che riprende un tema più volte presentatosi all'interno dell'estetica europea dell'Ottocento l'identificazione fra l'arte e il gioco. Un gioco che è in Lalo il risultato armonico di un processo tecnico che, nelle sue opere, tende via via a delinearsi in modo sempre più complesso, stratificato e polidimensionale: «esso diviene un sistema di relazioni che tocca tutta la vita dell'arte e al quale poco manca perché si possa definirlo come l'oggetto di un programma fenomenologico»[191]. Una fenomenologia che non riesce in Lalo ad uscire da un precostituito contesto categoriale di matrice psicologica, matrice che egli mantiene anche nella sua concezione sull'importanza della tecnica nel momento costruttivo dell'arte, e che gli impedisce di portare a maturo compimento le importanti intuizioni - per molti versi vicine a quelle della germanica «scienza dell'arte» - sullo statuto sociale dell'opera e sul suo rapporto con la sfera della soggettività.

Lalo, allievo di Durkheim e quindi partecipe dei più maturi risultati del positivismo sociologico francese, di quella corrente attenta soprattutto alle indicazioni metodologiche date dal maestro, che amplia l'orizzonte culturale di Comte ed è il vero e proprio fondatore della moderna sociologia, giunge a delineare il proprio pensiero psicosociologico connesso alla teoria del gioco attraverso una duplice ed originalmente correlata critica alla estetica psicofisica di Fechner da un lato ed ai teorici dell'Einfühlung e del bergsonismo dall'altra. Essi sono accomunati dall'accusa di una sostanziale non scientificità del discorso che li conduce ad un misticismo di fondo, più velato in Fechner ma decisamente imponentesi in Lipps e Volkelt come in Guyau e Bergson. Inoltre, questi pensatori, pur riconoscendo come elementi primari dell'esperienza estetica la sfera del psicofisico o del sentimentale, le hanno volute metafisicamente assolutizzare riducendo ad esse, in modo ingiustificato, l'intero campo dell'estetica. La psicofisica o la «simpatia simbolica» sono invece, di per se, elementi «extraestetici» o, come scrive Lalo, «anestetici» che, pur avendo la loro importanza nella creazione dell'opera o nel giudizio soggettivo su di essa formulato, non possono porsi come i soli privilegiati momenti esplicanti: «né intellettualismo, né sensualismo, né sentimentalismo mistico: tale dovrebbe essere la parola d'ordine dell'estetica scientifica e positiva»[192].

Ancor prima che in un'ottica psicologica l'estetica si presenta «programmaticamente» come vuole il titolo di un noto scritto del 1914, come estetica sociologica, che sola possiede la triplice qualità caratteristica dell'estetica stessa come «scienza normativa dell'arte»: un oggetto tematico di carattere artistico (e non naturale), una scientificità e una normatività delle sue regole. Se infatti la bellezza naturale è anestetica, solo quella artistica è propriamente estetica e, in quanto tale, non può ridursi a semplice descrizione o spiegazione dei fatti artistici ma deve considerare i suoi oggetti come valori. Infine, rifiutando l'individualismo che conduce alla rêverie o alla metafisica, dopo queste premesse metodologiche, l'estetica dovrà determinarsi come sociologia e, se non «scienza»,

«almeno uno studio di carattere scientifico che ha come punti di partenza i fatti e i valori stabiliti dalla storia dell'arte e dalla critica d'arte, cioè i dati dell'esperienza o della coscienza estetica in tutti gli uomini e negli ambienti più diversi e, infine, un dogmatismo essenzialmente relativista»[193].

Non per questo l'estetica sociologica nega le condizioni individuali dell'arte - matematiche, fisiche, fisiologiche o psicologiche; semplicemente non le ritiene sufficienti per una determinazione scientifica, incomplete per una qualificazione estetica fintanto che le più complesse condizioni della vita sociale non le determinano imponendo loro una forma storica precisa, «tipicizzandole», come dirà anni più tardi lo stesso Lalo. Un fatto è così sociale se e solo se è una sintesi di fatti individuali: l'arte è sociale non solo in proporzione del numero di individui che coinvolge ma soprattutto in riferimento alla solidarietà, all'organizzazione e alle discipline che rappresenta. Il suo carattere sociale consiste nella collettività e nella organizzazione, realizzandosi in condizioni che, come si è visto per i sentimenti, sono «estetiche» o «anestetiche», con un importante riconoscimento, da non sottovalutare, all'extraestetico nella formazione dell'opera d'arte come oggetto socialmente riconosciuto.

Lalo offre inoltre importanti suggerimenti per distinguere la sociologia dell'arte e l'estetica sociologica: la prima infatti si occupa esclusivamente dello studio dei fattori per così dire «anestetici», mentre la seconda guarda ai valori propriamente estetici e alle loro specifiche condizioni sociali, condizioni che, con un richiamo alla terminologia di Comte, possono essere statiche o dinamiche, avere cioè come oggetto le istituzioni e le sensazioni estetiche da un lato o l'evoluzione collettiva interna dell'arte dall'altro. L'estetica sociologica giunge così a occuparsi delle istituzioni sociali estetiche (le tecniche, le scuole, gli stili, i generi, le maniere, le sfere della critica) e delle «sanzioni» cui esse vanno incontro nella società, quali il successo, la gloria, l'ammirazione o i loro opposti negativi: e tali sanzioni collettive, tali specifiche «funzioni» estetiche, corrispondono, con un originale parallelismo fra le funzioni sociologiche e quelle psicologiche, «ai sentimenti estetici propriamente detti, o sentimenti tecnici, di cui manifestano obiettivamente l'esistenza in ciascuna coscienza individuale»[194].

Lo studio «dinamico» delle condizioni sociali dell'arte è quello della sua evoluzione interna e specifica che esamina attraverso il metodo comparativo, presente in tutta la tradizione del positivismo, la totalità in divenire dell'arte, considerata come un essere vivente con le sue particolari fasi cicliche - preclassica, classica e post-classica. Queste condizioni e funzioni sociali statiche e dinamiche sono in relazione a un valore estetico, che si presenta come fatto sociale in una dimensione dove l'antica «universalità» diviene, in modo più modesto, una collettività del gusto, collettività che sola determina la «normalità» o l' «idealità» del valore, le sue condizioni d'esistenza. Ogni giudizio di valore all'interno dell'estetica sociologica è così un giudizio sul carattere normale, sia attuale sia futuro, dell'applicazione della tecnica che rappresenta quest'opera. La bellezza, afferma Lalo, «è un valore, fornisce una norma, se non universale e infallibile, almeno collettiva e organizzata, e le sue leggi specifiche relativamente autonome. E ciò accade perché l'estetica sociologica non è soltanto una semplice appendice relativamente accessoria dell'estetica psicofisiologica; essa è una parte costitutiva di ogni completo schema di estetica»[195].

Il punto di partenza di tutto il pensiero ai Lalo e quindi che l'estetica è una riflessione filosofica fondata sul materiale offerto dalla critica e dalla storia delle arti, esaminato attraverso i canoni offerti dalla sociologia. E con sociologico generale, aveva insegnato Durkheim quando sosteneva che il sociologo deve «scartare le nozioni precedenti che aveva dei fatti, per mettersi di fronte ai fatti stessi»[196].

D'altra parte, proprio utilizzando Durkheim, è possibile cogliere i limiti di Lalo. Il costante riferirsi, al di là di ogni distinzione fra esociologia come scienza che determina il valore estetico e artistico, alla soci convinzione che «dietro ad essi vi sono le forze reali degli oggetti partendo le forze collettive, che sono perciò forsono forze reali ed agentize naturali anche se di carattere morale, comparabili a quelle che nel resto dell'universo»[197], significa senza dubbio che sogiscono queste ricerche «obiettive» su campi già costituiti (la storia e la critica delle arti) possono determinare la scientificità dell'estetico nelle sue funzioni sociali. ovvio, scrive Durkheim, che «quando una scienza sta nascendo si è obbligati - per costituirla - a riferirsi ai soli modelli che già esistono - vale a dire alle scienze già formate»: in esse c'è un tesoro di esperienze già portate a termine che sarebbe «in esse c'è un tesoro dì esperienze profitto». Tuttavia, ricorda Durkheim, e la sua affermazione viene qui utilizzata come critica dell'estetica di Lalo e a tutte le estetiche del positivismo,

«si può considerare una scienza scienza definitivamente costituita solo quando è riuscita a farsi una personalità indipendente, poiché essa ha una ragione d'essere soltanta se il suo oggetto consiste in un ordine di fatti che le altre scienze non studiano»[198].

In questo senso si vedrà facilmente che il programma di Lalo, proprio in quanto fondantesi sulla sociologia, non ha, né può avere, «una personalità dipendente», anche se tale indipendenza, sarà per Lalo il fine che l'estetica deve raggiungere, sarà, propriamente, «l'estetica del futuro». L'estetica deve infatti comprendere il metodo sociologico, tutte le scuole, il realismo quanto l'idealismo, il classicismo quanti il romanticismo, i primitivi quanto i decadenti [199] ponendosi, con un affiato unitario che ricorda Comte, come il momento sintetic dei vari elementi soggettivi ed oggettivi che operano nell'arte. Pu ammettendo che gran parte del fascino dell'estetica si trova nel suo essere «luogo dei misteri», Lalo ricorda anche che il mistero non de ve essere «la soluzione precostituita di tutti i problemi». L'estetica mostra infatti la sua struttura «fluida e sottile, ricca del più complesso umanismo che vi sia al mondo» solo se si presenta come «i mistero in quanto problema da risolvere»[200].

Lalo non esaurisce quindi la meditazione estetica al disvelamento delle sue funzioni sociali ma mostra la molteplicità, il carattere polifonico di combinazioni eterogenee che vivono nell'arte come fatto sociale. Tale polifonicità non può invece venire compresa da misticismo estetico, che è «totalitario», né dalle varie posizioni «intuizioniste» (fra cui Lalo inserisce l'estetica fenomenologica di Geiger e Ingarden) mentre opera verso di essa il «razionalismo» di Souriau e Bayer, che sottolinea l'importanza della struttura nell'estetica. Infatti, per Lalo, l'estetica è «un gioco fra le strutture, una sovrastruttura» che offre «il valore estetico tutt'intero»[201]: se lo spirito umano tende a strutturare il dato, l'arte tenta di «sovrastrutturarlo», di porre cioè un valore sulla base di una struttura. L'estetica e quindi strutturale poiché pone come suo principio sperimentale che «ogni opera d'arte possa e debba essere considerata come un gioco di combinazioni di tipo polifonico fra i dati tecnici propri a ciascuna delle arti, dati che sono le 'voci' specifiche di questo contrappunto»[202].

Le questioni fondamentali dell'estetica, che si è ormai delineata come una scienza complessa, punto d'incontro di tutte le scienze umane o della natura, vanno dunque ripensate partendo dal presupposto che essa è insieme e indissolubilmente soggettiva e oggettiva: le «leggi della bellezza», invece di risiedere negli oggetti o nel soggetto che li pensa, si ritrovano in certi rapporti fra loro, rapporti che li pongono su di un piano di pariteticità e di fenomenologica interdipendenza. Di conseguenza, l'altro problema «classico» - se oggetto dell'estetica debba essere il «bello di natura» o il «bello artistico» - è risolto, in modo esattamente antitetico alla tradizione kantiana, affermando che la natura ha valore estetico solo quando è vista attraverso un'arte, tradotta nel linguaggio delle opere «familiare a uno spirito formato da una tecnica». La natura non è più, come per Guyau e Séailles, «estetica» nel suo ininterrotto slancio vitale ma un oggetto che, per animarsi, deve venire intenzionato artisticamente da un correlato soggettivo.

Pur avvicinandosi, nell'ambito di tali problemi generali, alle posizioni di pensiero di Dessoir e Utitz, per i quali la problematica estetica nell'arte è solo un capitolo all'interno di una più ampia «scienza dell'arte», Lalo, in polemica con la scuola germanica, sostiene che l'estetica - e la nozione di «bellezza» ad essa connessa - e rimane il centro della meditazione sull'arte quale indagine psicosociologica di «ciò che piace» a una «coscienza artistica». Il vero oggetto dell'estetica, il campo della sua «ontologia regionale», sono quindi i «valori» dell'arte, ovvero la bellezza o la bruttezza tecniche, la «trasformazione dei materiali naturali attraverso l'uomo»[203]. Partendo da queste basi tecnico-concrete l'estetica si svilupperà per Lalo in una riflessione filosofica sull'arte o, meglio, sulla teoria e la critica delle arti stesse: sarà, seguendo la tradizione francese che abbiamo sino a ora visto svolgersi, sia una «estetica sociologica» sia una «psicologia del bello» capace di rivelare tutti i molteplici e diversi caratteri attribuiti al pensiero tecnico, «un'attività di suggestione o d'illusione, di lusso, di disciplina; il rispetto d'una superiorità; la percezione d'una armonia insieme numerica e fisica, fisiologica e psicologica, infine il senso di un consenso collettivo, dotato di sanzioni e di un'evoluzione storica o sociologica»[204]. Dunque, anche se, come già aveva affermato Ribot, tutte le forme dell'immaginazione creatrice implicano elementi e disposizioni affettive ed il sentimento è di conseguenza presente in qualsiasi attività umana, esso è, proprio a causa di tale aspecifica generalità, incapace a caratterizzare la totalità dell'esperienza estetica.

Il pensiero estetico è invece una combinazione molto complessa di elementi eterogenei, la cui sintesi è un'intuizione non bergsonianamente assoluta e immediata ma «concreta», sempre legata all'analisi e alla critica. Ogni opera d'arte, scrive Lalo in sorprendente analogia con un autore a lui contemporaneo che ben difficilmente poteva conoscere, M. Bachtin,

«è un gioco di combinazioni di tipo polifonico, o un contrappunto di strutture mentali e tecniche, da cui risulta la struttura della struttura, o sovrastruttura, che è il tutto dell'opera, sia essa musicale, plastica o letteraria»[205].

La realtà stratificata dell'arte non rifiuta così in modo a prioristico i vari metodi che ne hanno tentato una specifica comprensione. Oltre al metodo «mistico» ed a quello sperimentale, di cui già si e detto, Lalo ricorda, per la parziale correttezza di impostazione, il metodo descrittivo di Sainte-Beuve e Taine e il metodo critico-dogmatico dei bergsoniani: «del metodo descrittivo ed esplicativo bisogna conservare il relativismo metodico e organizzativo e negare la sua negazione dei valori» mentre, del dogmatismo, «bisogna conservare l'idea dei valori e rigettare l'illusione o la superstizione dell'assoluto, poiché ogni valore, per definizione, esiste solo in comparazione con un altro». Il risultato dell'esame metodologico dell'estetica è la delineazione di un metodo normativo ma relativista, per il quale l'opera d'arte ha un valore «normale» - ovvero e bella -quando «si adatta alle sue funzioni psichiche e sociali di realizzare, cercare, perdere l'armonia, di raddoppiare, purgare o idealizzare la vita individuale e collettiva, infine di continuare una fase di evoluzione storica finché questa ancora vive o reagire contro di essa quando sopravvive»[206]. Il relativismo sarà così la sintesi scientifica di un dogmatismo troppo assoluto e di un impressionismo troppo scettico.

Un'estetica scientifica integrale dovrebbe quindi studiare le «buone forme» nella loro totalità, siano esse matematiche, meccaniche, fisiologiche, psicologiche o sociologiche. Le parti superiori di questa gerarchia, che per alcuni aspetti ricorda la «classificazione delle scienze» di Comte, sono formate dall'estetica sociologica e dal - l'estetica psicologica, discipline che contengono in sé tutte le altre (come il pensiero di fine Ottocento aveva cercato di dimostrare) e che costituiscono il vero oggetto del pensiero di Lalo[207].

L'estetica psicologica deve per Lalo comprendere, senza barriere o fratture dogmatiche, l'esame della psicologia dell'autore e del contemplatore, del genio produttivo e, contemporaneamente, del giudizio di gusto: i due aspetti sono correlati e inscindibili nel necessario momento analitico. I tipi «psico-estetici» degli artisti, che Lalo descrive nella trilogia L'art et la vie, esprimono dunque le funzioni stesse dell'arte attraverso le quali essa si identifica con la molteplicità delle forme vitali, con l'essenza stessa della vita, con i nostri atteggiamenti ricettivi e valutativi. La prima funzione dell'arte è, come già si è notato, il gioco, seguita da una «aristotelica» purificazione dalle passioni ed infine, ad un maggior livello d'importanza, dalla funzione della tecnica, dall'idealizzazione compiuta dall'arte e dal «raddoppiamento» che essa opera, come rinforzo, della vita reale. Il naturalismo di Taine, il vitalismo di Guyau, il realismo di Zola e l'esistenzialismo di Sartre hanno infatti mostrato che ogni arte «ha per fine di riprodurre e intensificare la realtà e non modificarla nel suo fondo»[208].

A ciascuna di queste funzioni, che vivono nell'arte in stratificata fusione, corrisponde un «tipo» d'artista, una «famiglia» d'artisti che ha, per alcuni aspetti, «la stessa condotta artistica», i «medesimi complessi o comportamenti dell'egotismo, della confessione, dell'immunizzazione, e ancora della tecnica, della fuga, dell'economia, senza contare i lati cadetti e le alleanze»[209]. Si tratta dunque di mostrare che il rapporto arte/vita non è, come volevano Guyau e Séailles, unidirezionale e sempre avvolto nelle spire della positività, ma ha in sé una ricchezza multipla di tipi che posseggono funzioni vitali e creative notevolmente differenziate fra loro. L'espressione della vita nell'arte - che è anche il titolo di un'opera di Lalo del 1933 - è così relativizzata alla particolarità di un'elencazione di tipi psico-estetici che, rispetto alle classificazioni rigidamente positiviste, attente più alla biografia degli autori che alla concreta tipologia così come essa scaturisce dalle vite delle opere d'arte, vuole affermare una sua validità non assoluta, non ancora trascendentale ma per lo meno «meta-empirica».

I tipi degli artisti mostrano infatti l'affettiva complessità dei rapporti arte/vita sottolineando che nella contemplazione e nella creazione non interviene la sola sensibilità ma tutte quante le funzioni della nostra personalità, sia pure ordinate a diversi molteplici livelli. Il vitalismo estetico di un Guyau (e di un Nietzsche), affermando che il principio dell'arte è nella vita, si avvicina alla verità in modo solo lirico, senza fornire alcuna giustificazione scientifica. Questo misticismo ha, al suo estremo opposto, l'estetismo, mediato da una sorta di espressionismo: e proprio tale varietà dei modi di considerare il rapporto arte/vita suggerisce che esistono numerosi tipi di creazione e di contemplazione artistica - tipi o complessi psico-estetici, come li chiama Lalo, che vanno studiati in modo sottilmente analitico cercando di trarre, dal numeroso materiale empirico che le arti offrono, alcune «costanti» generali, «tipi» o i «complessi» estetici che, nella sua maturità, Lalo, anche per depurarli da qualsiasi fraintendimento biografico-individualistico, avvicinerà alle «forme» di Focillon, attribuendo loro le capacità e le funzionalità soggettivo-produttive attraverso le quali l'arte, collegandosi alla vita, può venire alla luce.

I primi di questi complessi sono quelli della tecnica, ovvero i complessi dell'arte per l'arte e dell'arte per mestiere che «procurano all'artista o ai suoi pubblici un'altra vita, sia attraverso un' attività specifica e spontanea, sia attraverso un meccanismo morto»[210]. I complessi della fuga coltivano l'arte per il gioco e per l'evasione, creando opere che procurano sia il lusso di una vita agognata sia il rifugio contro una vita ostile. I complessi dell'economia tentano invece di trovare dei medicamenti per le passioni. Se questi primi tre tipi allontanano l'attività dell'artista o la contemplazione estetica dalla vita, i complessi dell'omeopatia mentale e dell'egotismo ad essa li avvicinano: i primi, per così dire, «assolvono» la vita mentre i secondi rendono conforme l'opera alla vita, rinforzano i suoi desideri e la «raddoppiano». Si potrebbe infine notare, scrive Lalo, che «i diversi tipi psicologici distinti corrispondono ciascuno alle più celebri teorie della storia dell'estetica: dottrine formaliste o evoluzioniste del gioco, idealismo platonico, teoria vitalista del naturalismo, liberazione aristotelica o catarsi degli psicanalisti». Ciò non toglie che le analisi psicologiche e tipologiche sugli artisti, che occupano gran parte dell'estetica di Lalo, siano in realtà, come egli stesso ammette, «molto secondariamente degli studi di teorie estetiche. Esse devono piuttosto essere considerate come liberi contributi alla caratteriologia o alla biotipologia contemporanee, applicate al campo molto speciale della vita artistica»[211]. E questa indagine, come comprende Lalo stesso e come fa notare Bayer, dà origine soltanto a una «paraestetica» dove «una psicologia dell'artista si sovrappone alla sociologia dell'arte di cui l'autore si è da lungo tempo assicurato una così rara padronanza». La psico-estetica, che in Lalo segue temporalmente l'estetica sociologica, non si sovrappone così ad essa ma la corona e la compie: «è senza dubbio inevitabile che la determinazione dei fattori collettivi dell'arte, discendendo in definitiva all'individuo, arrivi, per circoscrizioni collettive, a scrutare l'unico» [212].

L'arte - forma superiore del gioco - vive soltanto in una concezione polifonica che determina le strutture eterogenee e complesse caratteristiche di ciascuna tecnica. Pur nel relativismo, l'originalità del metodo di Lalo consiste dunque «nel considerare l'opera degli artisti, l'arte delle nazioni e delle epoche in parallelo con la vita delle epoche, delle nazioni, degli artisti» [213] introducendo, per la prima volta in Francia, la possibilità di una «estetica critica», capace di andare oltre le indicazioni delle singole poetiche o, meglio, osservandole in un quadro sistematico fondato su basi tecnico concrete e sugli insegnamenti sperimentali di psicologia e sociologia. In questo contesto, come già avevano intuito Séailles, Delacroix, Valéry e Alain e come afferma gran parte del pensiero contemporaneo da Dessoir ai vari «formalismi», l'ispirazione è soltanto «una fecondità eccezionale della funzione generale di strutturazione, specializzata in una certa tecnica»[214]. Fin dalle sue prime opere Lalo infatti sostiene che i fatti estetici sono «obbiettività tecniche, concrete realtà della pratica osservate nel loro agile movimento, nella loro viva ed ondeggiante evoluzione attraverso la storia». Il grande merito di Lalo, dunque, può essere individuato nell'a-ver posto una chiara configurazione metodologica per il problema della tecnica artistica che è, scrive Lalo,

«il mestiere vivente, reso agile, in evoluzione perpetua, è la piena coscienza di tutte le relatività di ogni valore artistico, comprese quelle più sottili che il mestiere non può insegnare perché variano di fronte a ciascuna situazione ed a ciascuna personalità artistica, ma che una sensibilità intelligente può intuire ed una vera scienza spiegare»[215].

La tecnica è, inoltre, l'attività riflessiva per eccellenza e quindi, attraverso i sensi «intellettuali» della vista e dell'udito, ricerca l'ambito categoriale in cui inquadrare le principali leggi del pensiero estetico, i suoi specifici «valori». La determinazione di tale quadro «sistematico» avviene in Lalo partendo dal presupposto aprioristico - ma profondamente radicato nella tradizione dell'estetica fra i due secoli - che l'arte è un'armonia intellettuale attiva ed affettiva che, a seconda se viene «posseduta», «cercata» o «perduta», determina le categorie estetiche del bello, del sublime e dello spirituale (armonia intellettuale), del grandioso, del tragico e del comico (armonia attiva), del grandioso, del drammatico, dell'umoristico (armonia affettiva).

Al di là di tale tentativo sistematico, carente per l'incertezza fra il piano formale di determinazione trascendentale e quello empirico di sintesi fattuale, Lalo raggiunge qui la consapevolezza che la tecnica artistica è il centro motore dei processi costruttivi delle opere d'arte e di tutto il loro sistema categoriale e concettuale. Sempre la tecnica artistica permette infatti di completare l'estetica psicologica con un'estetica «sociologica», dove si configura «come un lavoro espressivo mentale e materiale, in funzione di un pubblico, di un'epoca, di un paese»[216]. Se i romantici o i partigiani de «l'art pour l'art» credevano che l'artista, per creare, dovesse isolarsi dalla società, già lame e, soprattutto, Guyau avevano compreso che l'arte è un fenomeno di «sociabilità» e l'artista una sua potenza, pur riconducendo erroneamente la sociologia alla psicofisiologia fondata sul principio individualista del piacere personale. Èquindi soprattutto la corrente sociologica che va da Durkheim a Levy-Bruhl a mostrare il carattere scientificamente specifico delle realtà sociali, che si pongono al di sopra delle realtà individuali da cui peraltro sono sempre di nuovo generate. L'estetica sociologica dovrà allora studiare le condizioni sociali estetiche ed anestetiche, propriamente tecnico-formali le prime, materiali, storiche, geografiche, ecc. le seconde e, su tali basi, mostrame la sintesi nell'opera d'arte intesa come realtà sociale autonoma che instaura molteplici rapporti con la sfera della vita collettiva.

Ciò non significa che le influenze collettive che operano nell'estetica siano tutte anestetiche ed al di fuori dell'arte. Esistono infatti anche istituzioni estetiche socialmente organizzate che si riferiscono a una coscienza estetica paragonabile alla coscienza morale. Tali sono, per esempio, il successo, la gloria, l'immortalità e i loro contrari, in ogni caso istituzioni sociali estetiche amministrate dai diversi gruppi del pubblico e dalla sua particolare «psicologia collettiva».

Al primo posto fra le condizioni «estetiche» Lalo, con Delacroix e Alain, pone, come già si è notato, la tecnica, che non è il semplice «mestiere» come pratica materiale ripetitiva e banale dell'arte ma il suo «mestiere vivente», la sua segreta «sensibilità intelligente», la sua inventiva «sapienza intuitiva». La tecnica come vitalità di un'invenzione vagliata dall'intelletto prende le forme sociali più svariate e si presenta come «scuola», «genere» o «stile»: essa ha in sé tutte le condizioni prevalentemente «estetiche» dell'arte e può sintetizzare nell'atto e nella forma compiuta la totalità delle condizioni «anestetiche».

Le arti, in questa sintesi tecnica di condizioni estetiche ed anestetiche, hanno, loro tramite, come già aveva compreso Brunétiere[217], un'evoluzione sociale e collettiva. L'evoluzione delle arti, partendo dalla forma «inferiore» del rozzo mimetismo del mestiere, si sviluppa verso uno studio superiore che, attraverso una «transvalutazione delle tecniche», instaura delle «forme nuove», compiute ed autosufficienti. Questo passaggio, che avrà straordinaria importanza nell'estetica di Souriau, è in Lalo solo l'introduzione ad una legge, dove evidente è la presenza comtiana, dei «tre stadi estetici» che si svolge attraverso tre fasi, «preclassica», «classica e post-classica». Se le fasi estreme sono caratterizzate da varie impurità, l'età classica si definisce attraverso «la purezza dei gusti, la probità delle tecniche, la separazione dei generi ed il carattere chiaro e razionale delle componenti»[218]. Questa evoluzione si svolge vichianamente in cicli di corsi e ricorsi; così, per esempio, l'arte francese contemporanea a Lalo, con il dadaismo e il futurismo, sembra dare origine ad una nuova «fase primitiva» che si accompagna ad un complicarsi e a un rinnovarsi della realtà sociale in genere. Solo in tal «senso sociale» è infatti possibile per Lalo parlare di «vita» ed «arte», che divengono nozioni scientifiche e non le confuse generalità presenti nel pensiero di Guyau e Bergson.

Vi è piuttosto da domandarsi, a questo punto del discorso, se il relativismo psico-sociologico di Lalo possa effettivamente dare origine a un'estetica scientifica con una sua propria «griglia» concettuale. Se infatti Lalo ha costruito senza dubbio le premesse per un'estetica normativa, ha posto, a suo fondamento, un'assoluta relatività delle norme, utile più ad attutire l'equazione classica «artebello», che costituisce solo un momento dell'evoluzione sociale delle arti, che a rendere conto in modo scientifico dell'essenza dell'arte come trasformazione dei materiali naturali per mezzo dell'uomo. In questo senso ampio e generico l'arte comprende ogni processo traformativo dove entra in gioco l'elemento tecnico: comprende, della relatività dei suoi assunti di partenza, tutti i metodi, le forme o le soprastrutture culturali, senza in definitiva saperne discernere l'effettiva specifica importanza. L'arte infatti, come scrive D. Formaggio, è per Lalo solo «un'operazione combinatoria di ordine ludico che si compie per integrazione, coordinamento, compimento di campi, forme o strutture della natura - mentale e materiale»[219]. L'arte è quindi sintesi polifonica socialmente organizzata di elementi estetici ed anestetici dove l'anestetico è sempre ricondotto nella sfera dell'estetico e considerato fattore costitutivo del-l'artisticità. Tale concezione impronta la linea teorica della «Revue d'esthétique», fondata da Lalo (con Bayer e Souriau) nel 1948: l'arte non e dominio dei critici o degli studiosi poiché le sue componenti sono le stesse della nostra vita nella totalità polifonica delle sue espressioni.

La matrice culturale di Lalo, decisamente positivista al di là dei vari possibili riscontri testuali, è quindi in grado di condurre, all'interno di un contesto metodologico unitario, la meditazione sull'arte verso la realtà viva della società e della multiforme vita psicologica così come già insegnava la tradizione dell'estetica francese nell'Ottocento. I limiti relativisti di tale metodo - per il quale l'arte è in definitiva ricondotta a una tipologia psicosociologica delle personalità creatrici o degli atteggiamenti ricettivi - pur impedendo a Lalo un'analisi differenziata dell'oggetto estetico e dell'opera d'arte, nulla tolgono al suo pensiero come punto di maggiore sintesi di tutti i metodi che l'hanno preceduto, dalle estetiche fisiologiche di Fechner, Henry e Véron, a quelle vitaliste di Guyau e Séailles sino alle varie psicologie di Lipps, Volkelt, Ribot e Delacroix. Ciascuna di queste metodologie è criticata là dove vuole porsi come «il» metodo per l'estetica ed apprezzata con misura critica solo in quanto contributo parziale e «relativo» alla costituzione scientifica di un campo polifonico dove «giocano» - correlati e distinti - molteplici fattori riconducibili all'intera vita dell'uomo ed alla totalità dei vari campi epistemologici.

Oltre che per questa funzione di sintesi «scientifica» delle varie estetiche collegate alle scienze dell'uomo, l'opera di Lalo acquista anche un'importanza sua propria perché, nella polemica con le estetiche «mistiche» di Guyau e Bergson, delinea, sintetizzando in parte il pensiero di Delacroix ed Alain, il programma di un'estetica come scienza inserendo la tradizione francese all'interno delle ricerche dei contemporanei europei, da Dessoir a Utitz e Fiedler. Psicologia e sociologia sono così strumenti scientifici per «demetafisicizzare» l'estetica rendendola aderente al divenire delle forme artistiche: al di là dell'intuizionismo bergsoniano o della mistica dell'interiorità di Basch e Segond si afferma in Lalo, sia pure ancora sottomesso alla sua genesi psicologica e sociologica, la nozione di «forma», risultato concreto di una serie di processi tecnico-intellettuali vagliati da un pensiero razionale. Possiamo allora vedere in Lalo alcune analogie con quanto nei primi anni del Novecento affermava K. Fiedler sostenendo che

«se ha da essere possibile il realizzare l'esistenza di una oggettività visibile in prodotti di un'attività cosciente, ciò non potrà verificarsi se non appunto attraverso un'attività che si configuri immediatamente come una continuazione di quel processo sensibile cui si deve l'esistenza stessa della visibilità»[220].

 

Note

[165] Ibid., p. 10.

[166] D. Huisman, op. cit., p. 1103.

[167] Tutto ciò non deve far pensare che l'estetica procedesse di pari passo in Francia e in Germania. Anche se è indubbia la presenza di tematiche comuni, non si possono scordare i differenti e più maturi livelli cui giunge in Germania il dibattito sulla psicologia. Si pensi, per esempio al dibattito, fra il 1894 e il 1896, fra Dilthey, Yorck, Ebbinghaus e Wundt (a questo proposito si veda: A. Marini, Materiali per Dilthey, Milano, Unicopli, 1979). Ma anche dal punto di vista specificamente estetico ben diverso e maturo era il livello del dibattito, in cui intervenivano Wolfflin, Fiedler, Dessoir, Utitz, Geiger e Conrad per quanto riguarda il formalismo, la Kunstwissenschaft e la fenomenologia, e i Vischer, Lipps, Volkelt per la psicologia dell'Einfühlung. E' quindi in questo contesto di ricerca - e non in Francia, malgrado alcune geniali intuizioni, - che nasce la ridefinizione del ruolo e delle funzioni della psicologia nell'estetica e soprattutto la fondamentale distinzione teorica fra estetico e artistico, distinzione che àncor oggi non è stata assimilata dalla cultura estetica francese e che intuirà, sia pure nei suoi schematismi tardopositivisti, il solo c. Lalo. Solo V. Basch, come si vedrà in seguito, rappresenta forse il primo vero e proprio momento d'unione fra le estetiche tedesche e francesi: egli infatti unisce tematiche tradizionalmente «francesi» con il metodo e il linguaggio delle scuole tedesche, che conosceva in modo eccellente. Vi e comunque da notare che la psicologia tedesca era ben conosciuta in Francia grazie al volume di Th. Ribot, La Psychologie allemande contemporaine, pubblicato a Parigi nel 1879.

 

 

Note

[189] C. Lalo, Les sentiments esthétiques, Paris, Alcan, 1910, p. 161.

[190] Ibid., p. 185. Si noti che qui Lalo ribadisce che la simpatia non è di necessità «estetica»: e anzi un Sentimento che, di per sé, è ànestetico.

[191] G. Morpurgo-Tagliabue, op. cit., p. 384. Chiaramente non si può parlare, in senso stretto, di fenomenologia in senso busserliano per l'assoluta mancanza in Lalo di una visione «ridotta» della realtà circostante. La sua tipologia psicofisiologica rimane un esame empirico di alcune personalità creatrici e non è certo un'analisi rigorosa dei processi gene tici di instaurazione delle opere d'arte.

[192] C. Lalo, Les sentirnents esthétiques, cit., p. 273.

[193] C. Lalo, Programme d'une esthétique sociologique, in «Revue philosophique», LXXVIII, luglio-dicembre 1914, p. 41.

[194] Ibid., p. 44.

[195] Ibid., p. 50.

[196] E. Durkheim, Le regole del metodo sociologico, Milano, Edizioi di Comunità, 1979, p. 131. L'opera di Durkheim, di Lalo e vero e proprio fondatore della sociologia scientifica in Francia, è del 1895.

[197] Ibid., 218.

[198] Ibid., p 132.

[199] C. Lalo, Notions d'esthétique, Paris, P.U.F., 1948, p. 1.

[200] C. Lalo, L'art et la vie, tome I: L'art pres de la vie, Paris, Vrin, 1946, p. 6.

[201] C. Lalo, Les étapes de l'esthétique structurale, in «Revue philosophique», CXXXIII, luglio-dicembre 1942-1943.

[202] C. Lalo, L'art et la vie, tome II: Les grandes évasions esthétiques, Paris, Vrin, 1947, p. 8 e p. 8.

[203] C. Lalo, Notions d'esthétique, cit. p. 9.

[204] C. Lalo, Les sentiments esthétiques, cit., p. 262.

[205] C. Lalo, Notions d'esthétique, cit., p. 17.

[206] Ibid., p. 21 e pp. 22-3.

[207] In verità, come ricorda R. Bayer, il primo interesse di Lalo fu l'estetica sociologica. Tuttavia, sin dai primi scritti, l'aspetto sociologico e quello psicologico sono strettamente collegati.

[208] Ibid., p. 33.

[209] C. Lalo, L'art et la vie, t. I, cit., p. 10.

[210] C. Lalo, L'art loin de la vie, Paris, Vrin, 1939, p. 9.

[211] Ibid., pp. 10-11.

[212] C. Lalo, Les étapes de l'esthétique structurale, cit., p. 280.

[213] R. Bayer, L'esthétique française d'aujourd'hui, cit., p. 286.

[214] C. Lalo, Notions d'esthétique, cit., p. 54.

[215] C. Lalo, Esthétique, Paris, Alcan, 1927, p. 84.

[216] D. Formaggio, op. cit., p. 124.

[217] Di Brunétiere si veda L'evoluzione dei generi nella storia della letteratura, cit., volume apparso nel 1890. La critica letteraria nasce in stretta connessione con l'estetica filosofica connessa a psicologia e sociologia. Comune, infatti, è il richiamarsi alla ricca tradione positivista.

[218] C. Lalo, Notions d'esthétique, cit., p. 99.

[219] D. Formaggio, op. cit., p. 177.

[220] K. Fiedler, Aforismi sull'arte, Milano, Minunziano, 1945, p. 87. L'opera di Fiedler è del 1914.