3 - Segond e il sentimento estetico

 

 

La simpatia fra Soggetto e oggetto è ciò che, come si è notato, sta alla base delle «estetiche» di Bergson e Basch conducendo, in Bergson, a un annullamento della teoria dell'arte nel monismo onnicomprensivo del tempo-durata e, in Basch, a una ricca spiegazione genetica ma sostanzialmente aspecifica, dei vari sentimenti soggettivi in rapporto di simpatia simbolica con la natura o le opere dell'arte. Il legame simpatetico, che privilegia sempre il lato «soggettivo» e contemplativo, vieta così a Bergson e Basch un effettivo approfondimento dei lati «oggettivi», costruttivi, formali o meglio «strutturali» dell'opera d'arte.

Un bergsonismo «corretto», attraverso gli ultimi scritti di Basch, inserito in modo esplicito nella metafisica spiritualista di Ravaisson e completato da un richiamo al trascendente da un lato e da un «leonardesco» interesse per la corporeità e la tecnica artistica dall'altro è forse l'unica via per costruire, non rinunciando alle basi filosofiche di Bergson e Basch, un'«estetica del sentimento» che non sia contraddittoria o limitativa. Tale è infatti la strada che percorreranno i seguaci del «soggettivismo» ponendosi, nella Francia del Novecento, come contraltare alle formulazioni laiche e oggettivistiche di Delacroix, Alain e Lalo o al formalismo realista e «oggettivo» di Bayer e Souriau. Questa corrente è rappresentata da Joseph Segond, filosofo, come si esprime Huisman, «mistico ed empiricissimo» [54] e dalla cosiddetta «scuola di Aix-en-Provence» che raccoglie pensatori di estrazione cattolica operanti in genere in Università del Sud della Francia, in primo luogo l'abate Henri Brémond e il musicologo Lionel Landry[55].

Le «fonti» della scuola, oltre che in Bergson, vanno ricercate nelle meditazioni su Leonardo o sulla Bellezza di F. Ravaisson ma anche negli aspetti vitalistici di Guyau e nelle indagini sull'interiorità creatrice di Séailles e F. Paulhan. Se infatti il carattere di «estetica della mobilità» avvicina la «scuola» al bergsonismo, il lato mistico e cristiano costituisce un punto di assoluta novità poiché né l'estetica di Basch né la filosofia di Bergson implicano, a differenza del pensiero di Segond o Brémond, un dualismo di carnale e spirituale, ponendosi anzi su un piano di assoluta immanenza. Inoltre Segond, pur mantenendo ferma quest'ispirazione «giansenista» di fondo, raccoglie in sé, a volte con acume e organicità, anche altre correnti dell'estetica di fine Ottocento e dei primi del Novecento, dai già citati Guyau, Séailles e Paulhan sino ad Alain, Delacroix e Breton.

La sua estetica, partendo dalla «antiche» basi fisiologiche, è essenzialmente, come scrive E. Souriau, «una storia della sensibilità» dove l'arte è l'avventura di questa sensibilità, avventura che è il punto di partenza della cinestesia, in cui è racchiuso il segreto dell'ispirazione dei creatori:

«e il mondo del sentimento legato originalmente alla cinestesia si traspone nella creazione artistica e vi si trasfigura stilizzandosi; così diviene rêverie ed impegna un mondo della fantasia; ma reciprocamente questo mondo si ritraspone in una serie di emozioni soggettive, ed è il lirismo»[56].

L'arte risulta dunque costituita dal ritmo, dalla «grazia» interiore dei sentimenti stilizzati, dalle immagini di una rêverie che si svolgono nel tempo interno secondo un gioco musicale di ritmi.

Segond riconduce quindi l'estetica a una «psicologia dell'arte», dove psicologia va intesa non come «scienza della natura» ma in quanto studio della generazione dei valori spirituali articolati attraverso un finalismo biologico e indirizzati a un idealismo dei valori che trova nell'estetica il suo significato più profondo. Rigettando così qualsiasi «scienza del bello» costruita sul modello positivista, Segond ritiene che compito dell'estetologo sia «rendersi conto di ciò che noi proviamo di fronte alle opere d'arte, cercare da un punto di vista puramente psicologico in che consistono le espressioni di ciò che si chiama la bellezza»[57]. La ricerca psicologica norrsi identifica quindi né con lo psicologismo romantico e aprioristico di Cousin o Jouffroy né con quello «scientifico» di Delacroix e Lalo, ma sarà un'esperienza psicologica, vicina a Basch, «di quel sentimento ineffabile e concreto che ci coglie quando entriamo in comunione con l'opera d'arte e, suo tramite, con l'artista»[58].

È dunque evidente che «l'estetica del sentimento» di Segond, in virtù del soggettivismo che l'ispira, porrà in primo piano il gusto e l'intuizione attraverso le quali l'arte si rivela come un modo d'inventare una prospettiva sulle cose conforme alla nostra sensibilità, «cerchio magico» in cui l'arte scopre il proprio intimo valore. Psicologia e cosi «l'esperienza solida» che conduce il giudizio a riconoscere nell'opera d'arte l'espressione della vita interiore dell'artista, creazione soggettiva che abbraccia l'intero universo. Il «sentimentalismo» non è qui tuttavia, a differenza che in Basch, un'indistinta fusione ma procede da una serie di «stilizzazioni» degli interni movimenti dell'affettività che delimitano i contorni estetici in cui un essere si figura.

La «stilizzazione» riesce a rivelare la «musicalità interiore» che costituisce l'essenza di un'opera d'arte, musicalità che trae la sua forza espressiva dalla bergsoniana «melodia interiore», fondo stesso dell'espressione e della genialità, disposizione profonda «che ci dà il veritiero valore estetico delle creazioni espresse dall'arte e dalla vita tutt'intera»[59]. Alla base dell'opera si pone quindi un'intuizione soggettiva di carattere affettivo radicata nella «cinestesia», campo «che è impossibile limitare» in quanto «ingloba la nostra intera esperienza ed anche le creazioni proprie alla vita più raffinata, la vita spirituale integrale»[60]. La cinestesia gioca il ruolo di un tema musicale intorno al quale si dispongono molteplici variazioni contrastanti, è la base di quell'«arte personale» in cui si traspone e si stilizza la nostra visione del mondo, è il punto d'incontro delle «corrisp ondenz e siwboliche» delle varie qualità sensibili. Seguendo quanto Bergson aveva affermato in Matière et Mémoire, Segond sembra sostenere che l'esperienza mistica della musicalità interiore può nascere solo su una base corporea, su un corpo in movimento che entra in rapporto con gli altri e con se stesso. Ma, contrariamente a Bergson, la percezione non è sempre «utilitaria» e possiede anzi una sua propria «estetica», una capacità di cogliere le qualità e i valori delle cose e di organizzarli in un «puro spettacolo»[61].

Il movimento cinestetico verso se stessi è uno «sguardo interiore, un raccoglimento» che si effettua a partire dal corpo stesso che esamina i suoi atti e i suoi stati psicologici. Esempio emblematico ditale procedimento psicologico generale - e particolarmente utile per la sublimazione estetica - e il processo, già analizzato da F. Paulhan, P. Souriau e H. Delacroix, della rêverie che, per costruire un «altro» mondo, contrapposto a quello reale e sociale, traspone in un'opera i suoi elementi costitutivi, ovvero le emozioni, i desideri e tutti quanti gli aspetti legati all'affettività. L'artista è per Segond colui che possiede questa «personalità sognatrice», è, per usare una terminologia freudiana, un «narcisista» e un «introverso». I fenomeni che conducono alla creazione non sono quindi, di per sé, misteriosi e incomparabili ma vanno ricondotti alla sfera complessa della cinestesia, sfera sentimentale ed affettiva che instaura una «estetica del sentimento», che è una «ricreazione mistica» del nostro essere interiorizzato, una mistica che, per il suo essere razionalmente intellegibile, è il punto d avvio di una «psicologia del sentimento stilizzato». Il mondo interiore è dunque una specie di «arte prima dell arte, una creazione interna e spontanea di cui l'opera d'arte propriamente detta non sarà che la trasposizione stilizzata»[62].

Una visione affine del mondo interiore del sentimento è offerta dalle due opere - La poésie pure e Prière et poésie - che l'abate Brémond scrisse nel 1926 (un anno prima dell'Esthétique du sentiment di Segond, composta tuttavia in modo indipendente) involontariamente incarnando quei modelli negativi delle opere contemporanee di estetica che J. Benda aveva descritto sin dal 1914. La «tesi di fondo» di Brémond è infatti, nella sua semplicità, estremamente radicale: l'arte è mistica e la mistica è il sostegno dell'arte. Affrontando un esame della poesia e delle poetiche simboliste, e in primo luogo di Valéry, Brémond cerca un loro superamento attraverso un invocato ritorno alla poesia romantica come potenza di rivelazione: la priorità non è, come volevano Delacroix o Alain, del lavoro ma dell'ispirazione come avvicinamento all'assoluto, senza che ciò, peraltro, significhi di necessità sottrarre l'opera poetica all'esame della ragione, ad un'indagine psicologica che permetta di assimilare razionalmente lo stato mistico all'esperienza poetica.

Non per questo il dibattito che suscitarono le tesi di Brémond fu marginale o soltanto «nostalgico»: le sue teorie sulla «poesia pura» diedero anzi lo spunto per un ampio discorso critico che coinvolse letterati e studiosi di primo piano[63], dal momento che essenzialmente polemico era il suo scopo quando affermava che ridurre la poesia ai compiti della conoscenza razionale significava andar contro alla natura stessa: la poesia è sovrarazionale e coglie la vera essenza, il senso inesprimibile delle cose. La poesia è una realtà insieme misteriosa e unificante il cui specifico carattere poetico è dato dalla presenza e dall'azione di quella realtà superiore che chiamiamo aprunto «poesia pura»: «bisogna dunque ammettere in o-gui opera veramente poetica la presenza del mistero, dell'ineffabile, del non so che, tutte cose vaghe, imprecise, ma esistenti, prime, fondamentali»[64]. Questa via oscura verso il misticismo deve, per Brémond, rigettare l'impuro, ovvero tutto ciò che «occupa o può occupare immediatamente la nostra attività di superficie, ragione, immaginazione, sensibilità, tutto ciò che il poeta ci sembra abbia voluto esprimere e ha, in effetti, espresso»[65]; va quindi rifiutato anche il simbolo nella sua prosaica impurità, nel suo mischiarsi a una sorta Ji musicalismo poetico e, con esso, tutto quanto riconduce alla conoscenza razionale, al significato, ai sentimenti, al linguaggio informativo. Afferma dunque Brémond:

«Per isolare una preparazione di poesia allo stato puro, bisogna dissociare e liberare gli elementi che sono anche quelli della prosa: narrazione, dramma, didattismo, eloquenza, immagini, ragionamento, ecc.; l'essenza della poesia, la poesia pura, sarà quanto resterà dopo questa operazione»[66].

Leggere filosoficamente i poeti è tuttavia, per Brémond, leggerli in modo mistico e ispirato poiché solo l'ispirazione è «produttrice di luce» e solo la «psicologia dei mistici» «ci dà il mezzo di farci una certa idea o piuttosto di provare una certa descrizione dell'attività misteriosa che si sviluppa nel corso dell'esperienza poetica»[67]. Vedremo allora, riprendendo anche un'idea di P. Claudel, che animus ed anima stabiliscono, ciascuno con i propri caratteri psicologici, una collaborazione necessaria nel poeta finalizzata a provocare in noi un esperienza simile a quella creatrice, elevandoci ad uno stato poetico e, da qui, all'esperienza mistica, che è «il più alto grado, il supremo sviluppo di ogni conoscenza reale»[68].

Vi è tuttavia una distinzione fondamentale fra mistico e poeta: il primo si chiude in se stesso e non prova il bisogno di comunicarsi mentre il secondo «più e poeta, più lo tormenta il bisogno di comunicare la sua esperienza», «più si impone la trasmutazione magica della parola»[69].

L'evidente estremismo di Brémond e del primo Segond, dove ètuttavia mitigato dall'importanza attribuita alla cinestesia, pur indicando alcune linee caratteristiche del pensiero francese che, per i comuni richiami a una terminologia junghiana, non saranno estranee neppure a Bachelard, trova, per così dire, una «sistematizzazione» nell'opera più matura dello stesso Segond, ovvero il Traité de esthétique del 1947, dove vengono esaminati i principali problemi fondativi per un'estetica che abbia il suo centro nel soggetto, sia esso creatore o ricettore.

L'arte è qui vista come un «bisogno», che potremmo chiamare «trascendente», indirizzato al soddisfacimento di un desiderio di armonia - simile alla «grazia» di Ravaisson - di cui l'estetica deve ricercare i caratteri e le condizioni. L'estetica può inizialmente venire assimilata a un «puro gioco», che non è quello ingenuo del positivismo ma un'attività che esiste nel fondo di noi stessi, «la nascita coincide con il -nostro affrancamento dai bisogni di una natura che costringe e che tende - più o meno seguendo la diversità dei nostri doni e della nostra singolare potenza - a trasporre le nostre impressioni e la nostra intera vita in spettcaolo che basti a se stesso e che abbia la virtù di risvegliare ed insieme colmare l'inesauribilità del nostro desiderio»[70].

Il gioco in quanto arte è immagine della vita e del mondo, della vita più interiore e spirituale: l'immaginazione, libera creatività del genio, è jfl kantiano accordo con i principi logici dell'intelletto, che ha una funzione ordinatrice e regolatrice per la moltitudine delle immagini, E l'accordo, anziché esterno o formale, avviene nella pienezza dello spirito che «conduce il gioco»: «tutta questa creazione, che è pura apparenza, e interamente sottomessa all'assoluto della sua' volontà creatrice»[71], è una socratica «ironia assoluta» che coinvolge ogni cosa, la natura, la vita e la bellezza. Il risultato di questo processo concreto che ha il suo senso ultimo nel trascendente èl'opera d'arte, che è libera rappresentazione solo se è in grado di trasporre le analogie in cui si risolvono tutte le cose reali o ideali in sue proprie «corrispondenze» interiori che daranno il «sentimento» dell'unità dell'oggetto all'interno della nostra coscienza rappresentativa.

Così determinando la natura particolare del «gioco artistico» che non capriccio di un'accidentale fantasia ma bergsonianamente «procede da un'origine vitale, significativa, che appartiene al temperamento individuale dell'artista, alle tendenze più profonde e costanti nella loro efficacia, radicate nella sua carne». Segond vuole appunto disvelare la forza di tale energia costruttiva, la «sorgente vitale» dell'arte. Essa ha origine in quella «immagine centrale», per usare un'espressione di Bergson, che è il corpo o, meglio, il «corpo-artista»: dunque, per esempio, l'opera poetica «il cui fascino mi tiene sospeso e come distratto, è situata proprio nel mio orecchio che la riceve o nei vari organi vocali che ne articolano le sonorità; ma è tutto il mio corpo che la scandisce e vitalizza, ed è nel segreto delle mie viscere che si elabora il suo fascino materiale»[72].

Il «corpo artista» è quindi il luogo - ed insieme il principio - dell'opera d'arte, il pensiero infuso nel corpo che, solo, potrà pienamente soddisfare le virtualità della creazione estetica. E così, anche nel suo Traité de psychologie, Segond parla del corpo come una «presenza all'anima della realtà organica» «che non spiega soltanto le affezioni particolari, bisogno, tristezza o desiderio di vendetta, ma spiega anche l'organizzazione del mondo percettivo e costituisce la base della personalità nella forma di 'sentimento fondamentale»[73].

Dal corpo, dalla corporeità in movimento dell'artista procedono così tutte le «fonti vitali» dell'arte e in primo luogo, come già si ènotato, il «mondo del sogno» che, nella sua ampiezza indeterminata, è il trionfo assoluto del pensiero simbolico, un sentimento di «gioco assoluto» che è liberazione totale di tutti gli ostacoli del reale e della ragione. È un sentimento che, rifiutando per principio l'esteriorità cristallizzata, oltre a F. Paulhan e H. Bergson, ricorda anche il rêve dei surrealisti che, pur attacando più volte l'«accademico» Bergson, sono in definitiva il risultato di un simile clima culturale, di una «forma mentis» che, opponendosi alla staticità del concetto, finisce per influenzare l'intera cultura francese intorno agli anni dieci e venti del Novecento[74]. Il fondo «idealistico-spiritualista» del Surrealismo era già stato peraltro compreso da G. Bataille, che proprio su tali basi motiverà il suo distacco dal movimento. La "filosofia del Surrealismo, infatti, come nota F. Alquié, si pone su uno sfondo metafisico «alla ricerca di una via di conoscenza capace di sollevare l'uomo al di sopra di se stesso od almeno sembri portarlo al di là di se stesso»[75]. La «derealizzazione» surrealista - tesa rendere il sogno realtà - ha dunque notevoli affinità con la polemica bergsoniana contro l'analisi e la visione utilitaristica della realtà «il surrealismo è condotto ad elevarsi contro il logos razionale, contro la struttura immanente alle cose, a passare dal rifiuto del di scorso degli uomini al rifiuto di quel discorso che costituisce il MonJo della percezione e della scienza»[76].

L'influenza del surrealismo su Segond cade peraltro su un terreno già di per sé fertile. Infatti nel 1922 egli pubblica il saggio L'imagination dove l'immaginazione assume un potere creativo assoluto: e «un intuizione creatrice dell'universo figurato», un' azione immanente al mondo delle varie immagini. Ciascuna nostra opera è infatti il prodotto di un immaginazione specifica che trova corrispondenze ed interne analogie con altri tipi di immaginazioni all'interno della ricchezza simbolica della nostra vita interiore. In particolare, «l'arte vivente e la musica vivente procedono, nell'unità analogica del titmo vivente che noi siamo, dal nostro simbolismo emozionale e dalla nostra intuizione sentimentale»[77]. La «vita immaginativa» è dunque, nelle sue corrispondenze simboliche, un unitario potere di sintesi creatrice: ogni immaginazione reale e individuale è lo sviluppo singolare di una complessa vita immaginativa fondata sulle analogie e le corrispondenze simboliche - dove volontario è il richiaa Baudelaire - fra le varie immaginazioni individuali e su un fonconcreto di un'immediata e generale sensibilità percipiente.

L'immaginazione pura è dunque una potenza di orientamento, unità del sentimento e della vita interiore, della sensibilità corporea è della percezione diretta: «e unità dell'interiore e dell'esteriore, dunque sovra-interiore ed esteriore, costitutiva in loro, nella sua semplicità prima, delle due esperienze e dei due mondi»[78]. È una concreta «sintesi a priori» che «differisce da quella di Kant nella misura esatta in cui rassomiglia a quella di Bergson», e una «bergsoniana» potenza generatrice, una «creazione assoluta e radicale» che si rivela liberamente nel concreto produrre della natura e che è completamente immanente al mondo che informa:

«l'esistenza dell'immagine, che sembrava empirica, è un episodio integrante dell'opera organizzatrice, insieme unificata e distintiva, attraverso cui si sviluppa l'intuizione originale ed inesauribile dell'immaginazione pura»[79].

Nella «vita estetica» l'immaginazione deriva dalla natura stessa o, meglio, dalla rete dei rapporti simbolici ed analogici che «stilizzano» la natura in una simmetria interna alla nostra coscienza. In questo modo l'arte si mostra affine alla natura: entrambe procedono dal «gioco universale delle analogie», da una «creazione analogica» che sorpassa in profondità l'intera produzione della scienza: come in Brémond l'arte - e in particolare la poesia - è vicina alla mistica perché «simbolo» della creazione, una creazione i cui processi non potranno venire esplicati da un'analisi intellettuale. Il giudizio estetico stesso ha valore solo come traduzione concettuale del sentimento estetico intuitivo: «l'estetica astratta dell'intelletto una trascrizione, in formule regressive, dell'estetica concreta della sensibilità». Per cui comprendere veramente la creazione estetica dell'universo, la sua interna «grazia» è fondere in un unico principio - in una Bellezza - la natura, l'arte, l'impressione e lo stile[80].

La vita interiore delle immagini è una potenza creatrice soggettiva che si determina attraverso la presenza di sé a se stessi nel sentimento immediato del corpo nel suo atto. Segond vuole quindi «correggere» Bergson là dove questi non riusciva a concretizzare nella stabilità di creazioni oggettive - «belle» - l'infinita vita della durata e, a tale scopo, non esita ad utilizzare, accanto allo spiritualismo di Ravaisson, gli strumenti psicanalitici, capaci di rivelare il «regno carnale» dello spirito radicato in un originario «gioco degli istinti». La creazione estetica procede dunque nell'artista dal fondo stesso della natura, ha il suo preludio in quel gioco di immagini in cui si esprime spontaneamente l'insieme dei suoi appetiti e la presenza carnale del suo essere. Tuttavia, se è dal corpo dell'artista che ha origine il processo costruttivo della bellezza, manca, a questo livello, il momento nodale e simbolico della «stilizzazione» il sentimento intimo del «lirismo personale» che è la realtà più vera dell'artista, quella «intenzione sentimentale» che rinchiude in un'unica melodia interiore le varie immagini sonore o plastiche.

Il significato dell'opera d'arte non risiede dunque né nel puro sentimento informe, così come voleva il primo Basch, né nella pura forma espressiva, come sostenevano le varie correnti del formalismo europeo: esso vive nella corrispondenza «fra il mondo formale delle immagini e l'affettività intenzionale, ciò che si è potuto chiamare la musica interiore»[81]. Ciò significa che l'opera d'arte deve, come avevano intuito Séailles e H. Delacroix, «stilizzare» il mondo interiore dell'affettività e delle sue immagini attraverso il lavoro sulla materia sensibile «perché non c'e arte che là dove c'e conoscenza del mestiere; ed il mestiere si apprende attraverso l'esercizio»[82], vero punto di contatto, come sosteneva anche Alain, fra l'artista e la natura.

La «fenomenologia della tecnica artistica», per usare un'espressione di D. Formaggio, si rivela dunque come il vero e proprio «filo rosso» che lega fra loro, nell'ambito dell'estetica francese contemporanea, posizioni differenti per lo svolgimento e le basi culturali. Anche in Segond infatti la creazione, ovvero la fusione di mestiere e stilizzazione, implica una serie di processi che non possono venire ridotti né alla pura e semplice «ispirazione» ne alla razionalità priva d'entusiasmo del Leonardo trasfigurato da Valéry, ma che sintetizzano in sé aspetti di entrambe tali posizioni. La costituzione del «lirismo personale», ovvero dell'essere stesso dell'artista, non èun avvenimento assoluto che precede il lavoro espressivo ma un avvenimento di natura spirituale che si modifica e completa nell'evolversi dell'opera: «la stilizzazione è funzione dell'ispirazione, che essa stessa sviluppa e affina»[83]. Una stilizzazione che, come già notato, si realizza attraverso il gioco di ritmi del nostro corpo che disegna in movimenti l'interiorità creatrice della nostra vita affettiva. Infatti il ritmo vitale, principio e misura di tutti gli altri ritmi che caratterizzano le singole arti, è il gioco fondamentale in cui si afferma la natura dello spirito. Un «gioco» - quasi a segnalare che la serietà della vita si trova altrove - che è condizione per lo stabilirsi del «sentimento di reciprocità»fra la cosa bella (la «cosa di grazia» di Ravaisson) e l'anima che ne accoglie il messaggio.

Se quindi, da un lato, è all'esistenza sensibile dell'opera d'arte che dobbiamo rivolgerci per comprendere il sentimento creatore, dall'altro l'arte ha un significato metafisico come «gioco supremo» che è unione inscindibile e armonica della bellezza sensibile e di quella intelligibile, una bellezza «perfetta» che, nella «grazia», sembra trascendere l'arte nella sua concretezza storico-materiale (o genetico-formale), nell'unità armonica di un principio trascendente.

È così evidente che la nostra vita interiore, pur radicata nella naturalità dei movimenti corporei e nell'ambiente della società, interesserà lo psicologo solo per quel che riguarda la genesi dei valori spirituali che, seguendo sempre il pensiero di Ravaisson, hanno il loro compimento in un estetica metafisica, nel principio «trascendente» della Bellezza. In tale contesto, per Basch come per Segond, il bello appare essenzialmente metafisico, quasi, riprendendo una tradizione che ha origini platoniche e neo-platoniche, l'incarnazione sensibile di un elemento ideale, la stilizzazione di una vita psicologica che è essa stessa, nella sua interiore creatività, un'Arte spontanea, una teleologia d'ordine estetico. La coscienza non è quindi solo attività ma anche spettacolo, «gioco scenico» e «ironico» in cui l'arte si risolve: la psicologia è ora considerata come «una genesi dei valori spirituali che si riassumono nella Bellezza, oggetto di una specie di arte interiore, spontanea e immediata»[84].

La vita spirituale, radicata nella cinestesia, è la vita del sentimento e del pensiero nella loro «verità integrale». L'estetica è collegata così alla psicologia, «scienza dell'uomo» che tende a disvelare

«non solo quelle profondità infracoscienti ed infra-spirituali, quelle profondità 'dal basso' che scrutano le tecniche della Tiefen psychologie e che, a parere di certi psicanalisti, sarebbero le sole profondità che dovremmo scrutare; ma anche la profondità spirituale sopracoin cui si avanza lo sforzo laborioso della riflessione e in cui la riflessione può introdurre lentamente, mcoativamente, 'poco a poco', come diceva Descartes, la coscienza stessa»[85].

La riflessione di carattere psicologico è peraltro un costante momento di riconoscimento per quei pensatori che gravitano, pur senza dogmatiche adesioni, nell'ambito della sfera teorica bergsoniana. Infatti anche V. Jankélévitch, «moralista» che si è occupato di estetica ca solo marginalmente[86], esamina i processi della creazione attraverso un metodo di analisi psicologica che si adatta alle più disparate situazioni spirituali. In una meditazione dove la musica occupa il posto centrale, egli comprende, così come Segond, e come già Bergson aveva indicato con il «lavoro dell'intuizione», che «l'artista perviene ad una comprensione ontologica della realtà passando attraverso una sofferta maturazione» [87] perché «la creazione non è un processo, un passaggio graduato e continuo dal meno ai più attraverso i gradi successivi di un comparativo scalare ma mutazione da niente a qualcosa o (il che dice di nuovo la stessacosa dal niente al tutto»[88].

Creare, di conseguenza, per lui e per tutti i bergsoniani, ed è questo l'elemento di Bergson che ben vive in tutta la tradizione dell'estetica francese, non è soltanto «porre l'effettività empirica di un questo-o-quello reperibile secondo data e luogo, è piuttosto porre l'esistenza di qualcosa in generale porrei fatto che in generale qualcosa esista: un mondo, un universo di mondi cun universo di universi all'infinito»[89].

L'opera è un «quasi-niente» che richiede tuttavia un duro apprentisage, un'evanescenza che possiede una grazia e un incanto che possono appartenere solo a un oggetto che abbia una permanenza temporale, un fascino che si racchiude nel suo farsi, nella sua monadologica apparenza sensibile, nella sua «cinestesia», come avrebbe detto Segond. Dunque l'opera, nella sua profondità ontologica, è un complesso inestricabile» e un «mistero insondabile», uno charme, come affermava Valéry, che è al tempo stesso «profondo e superficiale»:

«profondo perchè l'interprete non ha mai finito di svolgerne le inesauribili ricchezze, e superficiale perchè esso consiste interamente nella invisibile fenomenalità della sua maniera sensibile»[90].

Dunque, in questo continuo esprimere l'inesprimibile all'infinito, cogliere l'ineffabile nel sensibile artisticamente intenzionato, Jankélévitch, con tutta l'«estetica»bergsoniana, mostra come, in questa particolare ontologia,

«abbia potuto ravvisare nella caratteristica ambiguità dell'arte in generale e della musica in specie - ambiguità per cui essa è sempre costituita da una fenomenalità apparente ed effettiva, ed insieme penetra da una fluenza impalpabile e inesauribile quanto irreversibile - e la-messa-in-opera più esplicita del movimento stesso del reale»[91].

 

 

Note

[54] D. Huisman, L'estetica francese negli ultimi cent'anni, cit., p. 1099.

[55] In effetti è bene precisare che non si tratta di una vera e propria scuola bensi di motivi culturali comuni sviluppati per lo più in modo autonomo da una serie di pensatori che avevano rapporti con le università del Sud della Francia. Non esiste infatti né una struttura «scolastica» né un riconosciuto «caposcuola». Evidenti sono tuttavia l'impostazione cattolica del discorso e i richiami alla filosofia dello spiritualismo.

[56] E. Souriau, J. Segond, in «Revue d'esthétique», VII, n. 1, 1954, p. 111. È il necrologio in occasione della morte di Segond.

[57]J. Segond, L'esthétique du sentiment, Paris, Boivin, 1927, p. 3.

[58] J. Beuchet, Esthétique et psychologie chez Segond, in «Etudes philosophiques», 1955, p. 20.

[59] J. Segond, Esthétique du sentiment, cit., p. 57.

[60] Ibid, p. 114.

[61] Si veda di J. Segond, Esthétique de la perception, in «Etudes philosophiques», 1949.

[62] J.Beuchet, art. cit.,p. 23.

[63] Si veda in proposito C. Moisan, H. Bremond et la poésie pure, Paris, Lettres modernes, 1967, molto preciso nell'illustrare queste polemiche.

[64] Ibid., p. 100.

[65] H. Bremond, La poésie pure, Paris, Grasset, 1926, p. 22.

[66] Ibid., pp. 61-62.

[67] H. Bremond, Priére et poésie, Paris, Grasset, 1926, p. 141.

[68]Ibid., p. 207.

[69]Ibid., p. 209.

[70] J. Segond, Traité d'esthétique, Paris, Aubier, 1947, p. 13.

[71] Ibid., p 19.

[72] Ibid., p, 32 e p. 34.

[73] M. Wencelius, La conscience du corps dans la psychologie de Segond, in «Etudes philosophiques», 1955, p. 89.

[74] Elemento fondamentale di quest'asse Bergson/Breton di cui si fa implicitamente sostenitore Segond è l'importanza dell'immagine acquatica (su cui tornerà anche Bachelard) come fluidità dei sogno che derealizza il mondo, come un'interpretazione «libera» della percezione concreta di cui parla Bergson.

[75] F. Alquié, Philosophie du Surréalisme, Paris, Flammarion, 1977, p. 28. Batailie espresse le sue critiche nei confronti del Surrealismo nella nota opera L'expérience interieure.

[76] Ibid., p. 78-79.

[77] J. Segond, L'immagination, Paris, Flammarion, 1922, p. 46.

[78] lbid., p. 50.

[79] Ibid., p. 106. L'immaginazione pura come spontaneità organizzatrice da cui procedono ogni immagine vivente e ogni percezione pura ha il suo campo d'azione in tutti gli ambiti scientifici e culturali.

[80] Ibid., p.106.

[81]J. Segond, Traité d'esthétique, cit., p. 42.

[82] Ibid., p. 51-2.

[83] Ibid., p.62.

[84] H. Beuchet, art. cit., p. 26.

[85] J. Vialatoux, La leçon de psychologie du philosophe J. Segond, in «E tudes philosophiques», 1955, p. 87.

[86] In quale misura e con quali limiti viene messo in luce da E. Lisciani Petrini nel capitolo terzo del suo ammirevole libro Memoria e poesia, Bergson, Jankélévitch, Heidegger, Napoli, Esi, 1983, pp. 125-26.

[87] Ibid.,pp. 133-34.

[88] V. Jankélévitch, Philosophie première. Introduction à une philosophie du «Presque», Paris, PUF, 1954, p. 206. Per ulteriori indicazioni bibliografiche, oltre ai libro della Lisciani-Petrini, si veda l'appendice bibliografica.

[89] Ibid.,p. 225.

[90] V. Jankéiévitch, Le Je-ne-sais-quoi et le Presque-rien (1957), Paris, Seuil, 1980, vol. I, p. 53.

[91] E. Lisciani-Petrini, op. cit., p. 179.