1 - P. Guastalla: uno sguardo sulle origini

 

 

I vari punti di vista che impegnano gli «anni formativi» dell'estetica francese si ritrovano spesso intorno a vari minimi denominatori che avvicinano sinteticamente aspetti del pensiero di autori a volte senza dubbio diversi fra loro, non solo permettendo una quasi «naturale» visione unitaria dell'intero «movimento» ma anche indicando prospettive che potrebbero essere sviluppate in più maturi contesti teoretici.

Figura emblematica di questo accavallarsi di temi è, insieme a Focillon, Pierre Guastalla, un altro estetologo non filosofo né «professionista» della cultura, anche se per breve periodo direttore della «Revue d'Esthétique» e, comunque, apprezzato autore di due volumi - Esthétique del 1925 e L'Esthétique et l'art del 1928 - che, malgrado l'esile struttura teorica, presentano problemi che troveranno ulteriori sviluppi in Bayer, Souriau e Dufrenne stesso.

Il punto di partenza dell'estetica è, a parere di Guastalla, molto «basso» e preciso nella sua positiva ovvietà: l'ammirazione degli uomini nei confronti di uno spettacolo comunemente ritenuto «bello», considerando la bellezza come un quid concreto che tratteniamo dell'opera, essenza empirica che pone in uno stato in cui si deve descrivere l'oggetto per raggiungere la certezza relativa al suo riconoscimento. L'estetica è quindi «una scienza che si occupa principalmente del bello e il bello è una qualità che sosteniamo di incontrare di tempo in tempo e in certe condizioni, in uno spettacolo o sentimento»[1]. Bisogna tuttavia separare, come in Germania già avevano affermato Fiedler e Dessoir, la definizione di bellezza e quella di arte, poiché quest'ultima si definisce attraverso la costruzione, senza che in essa venga necessariamente implicata la qualità della bellezza. L'arte si basa invece sull'espressione, sul presupposto che «l'artista si propone qualcosa, cerca di rendere, di esprimere qualcosa, un ordine qualunque»[2], mentre la bellezza, non necessariamente collegata al «fare» artistico, è «un'impressione umana molto complessa» - una «funzione estetica», direbbe Mukarovský - che

«risulta dalla sovrapposizione di più o meno grandi piaceri fisici o del gioco di sentimenti diversi (in particolare, con una nota molto specifica, del sentimento della natura) e di quelle soddisfazioni speciali del funzionamento»[3].

Seguendo Diderot, che è uno dei principali maestri, anche se non appariscente, dell'estetica francese, Guastalla afferma che dove si parla di bellezza entra in gioco anche il problema dell'armonia e dello «stato estetico» a questa connessa: e con tali affermazioni, pur non approfondite, Guastalla si rivela fra i pochi, in Francia, a saper distinguere il «fatto estetico» dall'opera d'arte, derivando da tale distinzione un metodo descrittivo che nega la possibilità di cogliere una legge comune nella grande moltitudine delle arti e preferisce invece analizzare i loro particolari singoli caratteri strutturali.

L'estetica ha quindi, come affermava anche Lalo, un fondamento «positivo» e «concreto», è disciplina complessa che, seguendo la tradizione di Guyau e Delacroix, si radica nell'extraestetico, nei campi del piacere fisico, dei sentimenti o delle emozioni trasmesse e, infine, della gioia intellettuale. L'impressione di bellezza propriamente estetica si ha tuttavia soltanto nel momento in cui

«in uno di questi campi o insieme in numerosi fra loro, prendiamo coscienza delle parti organizzate in vista di un tutto (...), dei rapporti concorrenti che sono alla base di ogni impressione di bellezza, impressione alla quale contribuiscono anche i piaceri intellettuali»[4].

Il valore non può essere determinato (come sosteneva Taine e come, in altro contesto, riprenderà Dufrenne) in base al «consenso» di un pubblico educato e colto, né può venire limitato al dogmatismo di una solipsistica scala di valore. Allora, con uno slancio fenomenologico da non sottovalutare (pur avvertendo che ha le sue probabili radici in Diderot), Guastalla afferma che per affermare il valore - la bellezza - di un'opera, è necessario che «essa dia luogo a rapporti concorrenti più complessi possibile, in numero maggiore possibile» colti da un'intelligenza che ne constata l'esistenza: si tratta quindi

«di riunire degli elementi che abbiano azioni molto diverse fra loro e ottenere che questo risultato generale, raccolta di piaceri, sensazioni, sentimenti, emozioni, evocazioni, associazioni, rapporti concorrenti di ogni specie, dia al massimo grado quella speciale soddisfazione, quell'armonia constatata che chiamiamo bellezza»[5].

Il nome di «bellezza» deriva dunque da un insieme di fattori di per sé extraestetici relativi ai piaceri fisici, ai sentimenti, ai piaceri intellettuali di armonia e costruzione, a partire dai quali si instaurano ulteriori piani di corrispondenze, che l'estetica, per il loro livello soggettivo, non può analiticamente indagare. Di conseguenza la bellezza non appartiene esclusivamente all'arte poiché la natura ha il suo proprio valore estetico, un intrinseco sentimento che fa attribuire agli spettacoli naturali una bellezza che non ha nulla di artistico. Le «leggi estetiche» stesse non riguardano la sola arte ma il più ampio campo della bellezza, che non è sempre di ordine artistico così come l'arte non è sempre bella. L'unitarietà della bellezza potrà anzi venire colta dal sentimento della natura che indica come «un'estetica non potrebbe trattare soltanto la bellezza artistica, correndo il rischio di essere una critica d'arte, una storia dell'arte, un sistema delle belle arti, una riflessione filosofica sull'arte, non un'estetica»[6]. E'questa un'affermazione che possiamo considerare programmatica per l'intero «movimento» dell'estetica francese, l'esplicitazione di un obiettivo scientifico che sarà anche quello di Bayer e Souriau e che dovrebbe forse essere più frequentemente ricordato.

Al di là delle poetiche e delle critiche d'arte, al di là della catalogazioni positiviste (non estranee, ovviamente, a Lalo) dei valori artistici come «fatti», estetica significa comprendere in dettaglio i contenuti espressivi e comunicativi degli elementi soggettivi e oggettivi che si dispiegano sia nel coglimento della bellezza sia nella sua produzione attraverso la tecnica artistica. La base di ogni arte è infatti, anche per Guastalla, la tecnica, considerata, più che un principio teorico generale per l'estetica (come appare in H. Delacroix), una ricerca, guidata dall'intelligenza e dall'abitudine, nelle particolarità materiali delle singole arti[7]. Le arti entrano così nell'estetica teorica - siano esse le tradizionali arti «belle» del sistema o la nuova arte del cinematografo come terreni di ricerca relativi alle basi comuni dell'espressività. La conclusione generale, non lontana da quella di Focillon, è quindi che «il punto essenziale che domina il problema dell'opera d'arte, di tutte le opere d'arte, è la lotta fra lo stile e il sentimento» [8]. Infatti

«l'arte non può essere l'espressione diretta solo del sentimento senza provocare una reazione verso la ricerca della bellezza attraverso lo stile; e l'arte non può essere soltanto la ricerca di una tecnica di uno stile senza provocare una reazione verso la ricerca della bellezza attraverso l'emozione, il sentimento, la vita»[9].

Il problema principale di un'estetica applicata al vasto campo delle arti risiede dunque - quasi a sintesi di influssi psicologici e formalisti, entrambi costitutivi della moderna estetica francese - «da una parte nella ricerca dell'equilibrio fra lo stile, gli elementi raggruppati sotto questo nome e, dall'altra, la personalità, l'emozione propria del creatore»[10].

 

 

Note

[1] P. Guastalla, Esthétique, Paris, Vrin, 1925, p. 5.

[2] Ibid., p. 61.

[3] Ibid., p. 89.

[4] P. Guastalla, L'esthétique et l'art, Paris, Vrin, 1928, p. 8. In molti lati di Guastalla si vendono chiaramente le sue origini «positiviste»: una ricerca, quasi pedante, di tutti gli elementi che concorrono alla formazione dell'opera e che riguardano il soggetto che la afferra.

[5] Ibid., p. 22.

[6] Ibid., p. 39. L'estetica si occuperà delle arti solo per comprendere i modi attraverso cui ciascuna di loro può spiegare la bellezza.

[7] Tuttavia Guastalla, a differenza di Delacroix, parla soprattutto delle tecniche intrinseche a ciascuna espressione artistica senza comprendere il significato teorico generale della tecnica artistica.

[8] Ibid., p. 201.

[9] Ibid., pp. 202-3.

[ l0]Ibid., p. 203.