4 - La sensibilità estetica

 

 

Il «realismo», che più volte riaffiora in Bayer e che è spesso considerato il metodo di fondo che avvicina la sua estetica a quella di E. Souriau, trova nell'oggetto «bello» il terreno della propria ricerca. Se altre tradizioni culturali contemporanee, dal formalismo alla Kunstwissenschaft di Dessoir e Utitz, coglievano l'insufficienza della onnicomprensiva qualità della bellezza, non limitata all'arte né, peraltro, capace di circoscrivere il campo stesso dell'artisticità, gli studiosi francesi accettano questa nozione quasi come un ovvio «pregiudizio» indiscutibile, che non può venire messo seriamente in questione neppure da quei movimenti artistici, come per esempio il surrealismo e l'espressionismo, che lo rigettano senza ritegni. Allo stesso modo, gli estetologi francesi non affrontano le varie complesse distinzioni fra l'estetica generale e speciale, fra i campi stessi dell'estetico e dell'artistico che molti loro contemporanei, incalzati sia dalla concreta vita delle arti sia dal sempre più complesso strutturarsi scientifico delle scienze umane (e delle «nuove scienze» come la semiologia), sentivano ormai come un dovere imprescindibile per una «scienza estetica».

Queste ingenuità teoriche, questi «vuoti» incolmabili dell'estetica francese non significano tuttavia che essa vada considerata come radicalmente «altra» rispetto alle teorie dei contemporanei europei: semplicemente il desiderio di rimanere fedeli a una tradizione già instaurata porta ad affrontare le principali problematiche estetiche secondo modalità del tutto originali, completamente aliene da qualsiasi influsso «esterno», sia dalle «mode» filosofiche sia dalle ideologie sia, in modo quasi sorprendente, dagli avvenimenti storici, politici, sociali che intorno a essa si verificavano.

Lo stesso problema del bello è affrontato in modo tale da rimanere fedeli alla terminologia «classica» di Kant e dei suoi interpreti francesi, senza per questo non rendersi conto che il problema teorico centrale si era ormai spostato sull'oggetto e le sue strutture nel rapporto con il sentire» soggettivo e nelle relazioni con gli atteggiamenti ricettivi e creativi, influenzati dalla psicologia individuale e dall'organizzazione della società.

Un campo così multiforme, anche se descritto con una terminologia «antica», deve comunque essere ordinato da una disciplina che non si abbandoni a indimostrabili voli metafisici o ipotesi ontologiche né derivi la sua validità dalla vaghezza concettuale della teoria dell'Einfühlung o della simpatia simbolica: l'estetica e una scienza che trova nel giudizio di gusto un «contatto figurato» di pura scrittura fra il soggetto e l'opera. All'interno di tale «semantica personale», l'esperienza dell'estetologo si dirige verso l'opera costituita di qualità e aspetti, vedendo in essa il limite di tutti i nostri giudizi sull'oggetto: «il mio giudizio - scrive Bayer - non giudica l'opera ma mi giudica, raddrizzando così il fattore personale e apportando l'equivalente dell'obiettività delle scienze della natura»[37].

Già questa impostazione di partenza indica che il pensiero di Bayer non è certamente un «realismo ingenuo», costruito sul presupposto dell'indistinta «presenza» spazio-temporale dell'oggetto estetico o artistico: l'opera è invece, a suo parere, una realtà «aperta» ricca di significati che vanno pazientemente indagati nelle loro specificità strutturali. Il bello, come si vedrà in seguito anche in Dufrenne, non è quindi un'essenza ideale posta al di sopra dell'oggetto sensibile né il termine di un'ascensione mistico-simpatetica bensì il «primo stato» di un'esperienza in cui la percezione rappresentativa genera la percezione estetica «che comincia quando l'esplorazione epicritica gioca per se stessa fra quelle rassomiglianze che l'attività percettiva normale identifica»[38]. L'essenza dell'attività del bello - attività perché si inserisce nei processi della percezione - è la piena riuscita nell'ambito di un empirismo, la cui visione, che è la visione dell'artista, trascende la realtà rappresentata. L'esperienza del bello si rivela così un mondo di rapporti, una continua ricerca che è «messa in opera» e «in problema» di quello spettacolo che sempre si rinnova costituito dal divenire delle opere d'arte.

Alla radice del senso estetico si ritrova dunque la «sensibilità - sensazione», da cui ha origine l'esperienza estetica e la comprensione stessa della virtù euristica del bello: esperienza sensoriale che si distingue dal piacere sensibile e che possiede una sua propria struttura, un'organizzazione di atti in cui si costituisce, in primo luogo, un'«estetica dell'estetica trascendentale», ovvero un'esperienza del bello nell'organizzazione dello spazio e del tempo nelle rispettive modalità del «modulo» e del «ritmo», che si adattano perfettamente alla libertà caratteristica all'esperienza «aperta» della bellezza. La costanza delle figure e dei ritmi è così il «sensibile comune» che si ritrova nel fondo di tutte le arti dominando il loro universo chiuso, permettendo l'inserimento stesso di una mera «cosa» nel mondo del bello e dell'arte.

Il creatore è quindi, in primo luogo, un'«inventore di ritmi»: ha una sensibilità motrice particolare che proietta un mondo interiore su ciò che Valéry aveva chiamato l'estesica, ritrovando negli oggetti, grazie alla «consustanzialità ritmica», l'intimo movimento della propria interiorità. Fra la «cosa estetica» e l'io si instaura infatti «una critica generale e un va e vieni dell'identico e dell'eterogeneo, dell'altro e dello stesso»[39], una vera e propria dialettica ritmica che apre la strada alla via simbolica d'interpretazione del mondo, al simbolo che è l'esperienza aperta dell'immaginazione al lavoro.

Già Basch aveva parlato dell'attività simbolizzatrice come essenza dell'operare artistico, come il meccanismo specifico delle arti. Riprendendo questa visione generale, Bayer sostiene che il simbolo ha la proprietà di inserire la cosa identica a se stessa nell'altro, ponendosi all'origine dell'attività sintetica dello spirito. L'arte è così una «provincia del pensiero simbolico», dove il simbolo è un'«immagine aperta» che, da un lato, rimanda a molteplici valori definiti e, dall'altro, è chiusa in se stessa nella concretezza di possibili interpretazioni. L'esperienza del bello tende dunque a presentarsi come un'esperienza «aperta» radicata nel sensibile e nei suoi ritmi, esperienza che si compie nei processi di significazione simbolica.

Rimane tuttavia, al cuore di quest'esperienza, l'inesauribilità del «senso del bello», quella sua «indefinibilità» che, come nota giustamente U. Eco[40], già appariva nel gioco dialettico dei vari irrisolti tentativi definitori dell'Esthétique de la grâce. Il «piacere del bello», la «delectatio», il lato soggettivo del discorso, ha infatti una sua propria complessa fenomenologia critica all'interno della quale si pone in relazione con il giudizio estetico nella varietà dei suoi modi. Ancora una volta vedremo dunque, come nell'Esthétique de la grâce, la triplicità del piacere, che è appunto sensibile (intuitivo o, meglio, edonistico), rappresentativo (o tecnico) e infine estetico, piacere che assorbe le prime due specie senza tuttavia fondersi con esse. In quest'ultimo «stadio relazionale», «trasfigurazione percettiva che vive di analogie»[41], il Bello appare nella sua pienezza come oggettività del percepito, radicato nel sensibile, nella sua ritmicità, nella sua dialettica simbolica rivelatrice di significati. Allo stesso modo, dalla parte del soggetto artista, la sensibilità è creatrice di valori in un processo che non si limita alla «rappresentazione» di un mondo ma che tende a esprimerlo attraverso la «sensibilità-sentimento», che diviene immediatamente un elemento caratteristico dell'estetica come contemplazione e intuizione dell'apparenza de gli oggetti.

I sentimenti suscitati dalle rappresentazioni sono in primo luogo autonomi «sentimenti di apparenza» che, grazie all'attività simbolizzatrice dello spirito umano, evocano e «presentano» una nuova realtà. Il sentimento è dunque una «sensibilità specializzata», «un'attività che è insieme apparenza e realtà» [42]e che si realizza nella creazione dei valori, nell'intelligenza come sensibilità tecnica e nell'azione come necessità di costruire un mondo: l'arte non è una «cosa mentale» perché, come già aveva scritto Focillon, è una «mano» che crea, la mano dell'artista che incontra nel suo lavoro, nel fare, solo ciò di cui ha conoscenza immediata e intuitiva.

La sensibilità estetica, che Bayer chiama «generalizzatrice», deve dunque differenziarsi dalla «sensibilità comune» : è una sensibilià immaginativa che va verso l'imaginazione e da essa proviene, acquisendo in sé i suoi specifici schemi. La sensibilità sembra così esercitare la funzione del giudizio, anche se, come scrive Dufrenne, non certo del giudizio tradizionale: «esso non si esercita sull'oggetto stesso, è piuttosto la confessione di un'attesa colmata, di un'esperienza felice»[43]. Tutto ciò, continua Dufrenne, può ricordare la nozione husserliana di «riempimento»:

«se ogni atto è ricerca e attesa, se in modo generale l'evidenza il riempimento di ciò che è mirato attraverso la presenza dell'oggetto intenzionato, all'origine del sensibile il riempimento può essere, se si osa dirlo, quantitativo o qualitativo: la presenza del sensibile attesta la realtà dell'oggetto, la pienezza del sensibile attesta la sua bellezza»[44].

La sensibilità-sentimento, anche se è al di là dell'intelletto, permette un'intelligenza con l'opera, la cui verità si definisce nella sua stessa presenza, nell'essere dell'essente; permette quasi una comprensione «antepredicativa», originaria, dell'oggetto estetico, quel suo quid che rimane ignoto alla percezione ordinaria e che è invece ben presente nella «esperienza affettiva» dell'artista.

La produttività della sensibilità generalizzatrice è infatti collegata alla facoltà produttiva per eccellenza, all'immaginazione che, con i suoi schemi, offre le basi sulle quali si edificano i concetti sensibili. Le principali modalità strutturali di questa immaginativa «sensibilità schematica» sono gli stili, i luoghi comuni, i canoni e il tipo, ovvero fenomeni di carattere espressivo che di nuovo sottolineano i due poli fra i quali ondeggia l'estetica di Bayer. Da una parte vi è infatti un'accurata analisi dei momenti che costituiscono la realtà esperienziale del soggetto nel suo incontro sensibile con l'oggetto estetico e, dall'altra, una fenomenologia «empirico-descrittiva» (e quindi ingenua, nel senso husserliano) dei «fatti», non sempre debitamente «ridotti», attraverso cui, in vari campi, si offre la realtà sensibile dell'opera. Quel che è tuttavia importante, secondo Dufrenne, è che tali schemi organizzativi vengano scoperti nella spontaneità antepredicativa del sensibile, origine prima dei fenomeni espressivi.

L'immaginazione è dunque, dal lato dell'oggetto, l'organizzazione dei suoi schemi, mentre, dalla parte del soggetto, si rivela come il potere di unificare il sensibile attraverso un sentimento di «presenza» del mondo che a noi appare, sentimento che dilata l'oggetto alla dimensione di un mondo: «non aggiunge l'immaginario al reale ma ingrandisce il reale sino all'immaginario, un immaginario che è ancora il reale e che cerca di unificarlo invece che disperderlo»[45]. Questi due lati dell'immaginazione, soggettivo e oggettivo, sono inseparabili poiché, in ultima analisi, l'uno si rivela e completa solo nell'altro: ed entrambi sono presenti nell'oggetto estetico ben organizzato nella sua struttura sensibile.

Gli schemi dell'immaginazione, una volta oggettivati, rivelano le strutture fondative su cui si edificano le opere d'arte. Lo stile infatti, come aveva ricordato Wölfflin, è un a generalizzazione affettiva dell'artista nell'opera, sottomessa sia al gusto nella sua mutevolezza storica sia alla storicità dell'esperienza dell'artista stesso. I luoghi comuni si riferiscono invece agli aspetti individuali della specie umana, mentre i canoni, in quanto misure e figure, sono «una generalizzazione sensibile imposta alle forme, come un senso astratto delle strutture»[46]. Il tipo, infine, «e la figura, l'espressione della struttura essenziale, è l'indagine aperta sui valori, sul genere, cioè sul pensiero attraverso schematizzazione, così come il simbolo è l'indagine aperta sul concetto, ovvero il pensiero attraverso simbolizzazione»[47].

Affermando che il tipo è il risultato espressivo di uno stile - risultato che costituisce una struttura della sensibilità immaginativa come appare nell'opera d'arte - Bayer rinnova radicalmente le indagini tipologiche sugli artisti e, di conseguenza, dà nuovo significato alla realtà dei valori dell'opera cui il tipo stesso ci apre. L'estetica è infatti una scienza di aspetti, costruita da qualità e non da quantità, e quindi il tipo si presenta quasi come un' essenza qualitativa cui l'oggetto deve corrispondere per apparire bello.

Tale conclusione, tuttavia, è necessaria ma non sufficiente: l'astrazione qualitativa, che si svolge nella sfera della sensibilità, ha afferrato soltanto i sistemi di necessità che l'artista ha provato e seguito nella sua creazione. La differenza fra il creatore e lo spettatore e solo che «il primo pensa in termini di regole e di operazioni, in modo tale che la necessità è in primo luogo una necessità tecnica, e il secondo pensa in termini di effetti, in modo che la necessità è subito quella di un senso»[48]. Lo schema sarà dunque, nell'artista, anche il gesto attraverso cui il creatore è interamente presente alla sua opera, è ritmicamente in sintonia con essa nei giochi della sua stessa immaginazione motrice, nel contatto concreto con la materia. Indagando quindi lo schematismo, sia pure solo con abbozzi non sempre compiuti, Bayer cerca comunque «di uscire da una considerazione delle forme, da un'instaurazione esclusivamente formale, e di giungere alla considerazione dei contenuti artistici o valori»[49].

L'astrazione qualitativa, che determina gli schemi immaginativi dell'oggetto estetico (o dell'opera d'arte, ancora indistinti), deve venire quindi integrata da contenuti che siano elementi di carattere «poietico». Il problema dell'oggetto estetico non può essere posto in termini astratti o metafisici ma secondo un realismo estetico per il quale la nostra esperienza del bello, pur rimanendo libera, è orientata dall'oggetto stesso nel suo percorso dinamico e attivo. L'oggetto estetico è tuttavia anche «altro» dall'oggetto: è un «pretesto spirituale» , «un oggetto in cui tutte le relazioni si compiono attraverso lo spirito»[50], in cui il segno è sempre simbolo dove il sensibile serve da materia allo spirituale che lo trascende. L'estetica è così una «sensazione trasfigurata» e l'esperienza estetica un'attività della sensazione trasfigurata dove è in opera una dialettica fra lo spirito da una parte e l'oggetto dall'altra «ma all'interno di un oggetto nuovo e creato che opera il loro collegamento»[51], all'interno di una nuova realtà, del nuovo valore «opera d'arte».

 

 

Note

[37] R. Bayer, Traité d'esthétique, Paris, Colin, 1956, p. 8.

[38] Ibid., p. 14. Si noterà in seguito l'affinità con queste espressioni di quelle di Dufrenne.

[39] Ibid., p. 42.

[40] U. Eco, L'estetica di Bayer: la cosa e il linguaggio, in U. Eco, La definizione dell'arte, Milano, Garzanti, 1978, p. 89.

[41] R. Bayer, Traité d'esthétique, cit., p. 54.

[42] Ibid., p. 66.

[43] M. Dufrenne, La sensibilité generalisatrice, in «Revue d'esthétique», n. 2 (aprile-giugno), 1960, p. 216 (Il saggio è ora pubblicato in M. Dufrenne, Esthétique et philosophie t.I, Paris, Klincksieck, 1967)..

[44] Ibid., p. 216.

[45] Ibid., p. 221.

[46] R. Bayer, Traité d'esthétique, cit., p. 78.

[47] Ibid., p. 78.

[48] M. Dufrenne, art. cit., p. 223.

[49] G. Morpurgo-Tagliabue, L'esthétique contemporaine, Milano, Marzorati, 1960, p. 415.

[50] R. Bayer, Traité d'esthétique, cit., p. 87.

[51] R. Huyghe, R. Bayer, in «Revue d'esthetique», n. 2, p. 1960, p. 189.