2 - La conoscenza estetica

 

 

Si è già avuto modo di notare in precedenza che il pensiero di Souriau si caratterizza, in primo luogo, nella ferma opposizione teorica all'intuizionismo di Bergson e al soggettivismo «simpatico» di Basch, che rinunciano a una conoscenza razionale del dato a favore del coglimento del divenire delle sue qualità, vietando così la possibilità di «fissare» la datità formale dell'oggetto, che rimane per loro un 'incognita non ben definita, una realtà ineffabile che ricorda tradizioni mistiche e neoplatoniche. Lo scopo dell'estetica in quanto studio dell'instaurazione delle forme artistiche, non è quindi la ricerca dell'essenza assoluta di un Bello ideale né l'intuizione del flusso concreto del tempo come già di per sé estetico, senza ulteriori determinazioni ontiche dei gradi di esistenza in esso supposti: l'estetica deve invece essere una comunicazione reale con una realtà esterna che, a sua volta, comunica il suo essere.

La conoscenza delle opere d'arte è infatti, prima di Merleau Ponty e Dufrenne, già nell'Avenir de l'esthétique del 1929, una «conoscenza», la nascita simultanea dell'oggetto cosmicamente appreso e del soggetto che riflette sulla sua propria esperienza, ovvero dell'opera che viene costruita e del movimento dell'artista verso di essa:

«in questa prospettiva la conoscenza equivale a catturare l'essere con una forma (qui ancora una forma: contenuto metafisico, essenza d'essere, giunta all'essere da una dimensione intellegibile della realtà)»[11].

La forma dovrà così venire instaurata nell'opera non solo dal pensiero puro ma dalle altre forme che qui prende il pensiero, attraverso la mano, l'occhio, l'orecchio, la totalità dei sensi. Come per gran parte dell'estetica francese anche per Souriau l'arte è fare e il fare è atto, quell'atto integrale che è la natura, la natura nei materiali e la natura nell'uomo creatore. Ogni forma d'arte e quindi un processo e insieme il risultato di un processo che ha il suo inizio nel movimento percettivo. L'obiettività della forma è concepita sotto un modo di esistenza virtuale, dell'opera «da fare», che richiede d'essere portata al compimento della presenza: «perché l'opera si possa dire compiuta, basta una specie di analogia sufficiente dei due modi di presenza dell'essere da instaurare»[12].

Il sostegno teorico di questo processo instaurativo sarà, per Souriau, una «scienza estetica» capace di studiare la dialettica anaforica dei processi e delle categorie fondamentali del mondo dell'Arte: la creazione artistica è una promozione di esistenza, un instaurarsi della forma verso il grado di esistenza più «pieno». L'arte è instaurazione, è potenza instauratrice: il valore dell'opera, il sistema assiologico che la qualifica segue dunque e non accompagna l'instaurazione come fondamento. Dire infatti che l'arte è «l'attività instauratrice» significa che in essa sono presenti sia le operazioni pratiche che sboccano nella presenza di una cosa sia lo spirito che anima queste operazioni, una vera e propria «saggezza instauratrice».

L'artista è così all'origine di un «sapere», all'origine del rapporto inscindibile che lega l'arte alla conoscenza: «noi crediamo che il suo atteggiamento davanti alle forme del mondo non sia di gioirne ma al contrario di scrutarle avidamente e attivamente per prenderne conoscenza»[13]. La forma si offre dunque alla conoscenza e la reclama nell'arte, che né è l'organo, anche «nella sfera di quel prolungamento dell'arte che è in qualche modo l'estetica»[14]: l'estetica è conoscenza scientifica di quelle forme, esse stesse conoscitive, che fanno l'arte e che l'arte medesima promuove. Di conseguenza né le forme artistiche né l'estetica quale loro studio scientifico, rigorosa rivelazione della «saggezza instauratrice» all'interno della promozione anaforica, possono avere come correlato la nozione di Bello poiché la bellezza - se deve apparire - è il risultato di una «poieticità artistica, del suo instaurare uno stile e una forma nell'indubitabilità della loro presenza percettiva.

L'unica definizione possibile per l'arte è dunque connessa all'idea di cosa e al lavoro instaurativo che ne consegue: l'arte è l'Essere dove Materia e Forma operano dialetticamente in virtù della mediazione dello Spirito, è l'attività che mira a creare delle cose in quanto forme conoscibili radicate in un Essere, portatrici di una specifica conoscenza cosmologica.

La nozione di forma - che è il centro dell'esame scientifico dell'estetica - nasce dunque in relazione alla «cosa», cosa in cui bisogna riconoscere l'elemento propriamente «formale», ovvero l'insieme delle determinazioni del percepito in quanto tale, l'essenza sensibile che si attualizza nella percezione, e l'elemento «materiale», cioè l'insieme delle necessità che regolano l'attualizzazione del percepito. Se dunque lo scienziato mira a cogliere la «strumentalità» delle forme, l'artista compie, nell'instaurazione, l'esperienza della forma percependo il mondo sensibile nella pienezza della sua attualità, del suo «atto» che costruisce il quid della forma.

Il «lavoro» dell'arte è dunque «suscitato, controllato, finalizzato dalla visione sia immaginativa sia percettiva della cosa determinata che deve uscire da questo lavoro» [15], «cosa in quanto cosa», presenza che unifica in sé il formale e il materiale, punto d'incontro dell'intelletto e della sensibilità. Si compie così quella «riduzione» all'esistenza della cosa che per Souriau, nel volume Les différents modes d'existence, del 1943, è l'opposto radicale della riduzione fenomenologica dove, a suo parere, si perde la specificità esistenziale dell'oggetto. Quando invece l'arte, con la sua «logica», la sua saggezza instaurativa, compresa ed esplicata dall'estetica, deve giustificare l'esistenza di una cosa singolare esteriore che, dal fenomeno-cosa alla cosa-forma mostra la necessità intrinseca alle azioni instaurative del pensiero. L'esistenza «piena», «trionfante» e «ardente» di tale essere singolare è il fine dell'arte in quanto fabbricatrice, fine che non viene raggiunto creando un contesto in cui domina l'una o l'altra fra le categorie estetiche: il sapere dell'arte «è come il fiore o il frutto di una riuscita o di un compimento» e bisogna dunque ben guardarsi dal confondere con una causa ciò che, come la qualità o il bello, è solo un effetto dell'instaurazione artistica, un a posteriori che, malgrado abbia la sua importanza, fa parte di un «ritorno riflessivo» verso l'opera che non è in grado di definirla come forma instaurata.

Non c'e quindi, scrive Souriau, «alcuna necessità razionale di far uscire la realizzazione dell'opera singolare da una concezione prestabilita generale e astratta, da una designazione puramente qualitativa»:

«La generazione effettiva dell'opera d'arte non è mai un processo attraverso il quale un ideale si concretizza poco a poco, regolarmente, logicamente in una concezione sempre più dettagliata, sempre più positiva e infine capace di imprimersi nella materia, plastica e sonora»[16].

Ogni opera d'arte porta in sé, nella sua propria quiddità individuale, il suo valore, anche puramente affettivo: e ciò costituisce l'«oggetto-tema» con i vari sentimenti che suscita - oggetto che va differenziato dall'«oggetto-cosa», cui si dirige in primo luogo l'instaurazione della forma e, di conseguenza, la sua logica strutturale, logica complessa che rivela una serie di possibilità instaurative e una natura articolata e stratificata dell'oggetto nel suo relativo «autogenerarsi», nel suo statuto paradossale e rivelatore dell'essere.

L'opera d'arte è un'esistenza «virtuale», forse «inconcepibile» per l'uomo, condizionata comunque dalla cosmicità rivelata dalla sua forma, dall'espressività della forma che si appella sempre di nuovo all'artista e all'osservatore. Vi è una saggezza propria al pensiero costruttivo, «una specie di reciprocità felice fra il pensiero creatore e la virtualità della cosa da instaurare»[17]. La risposta dell'artista alla potenza domandante, che è l'opera da realizzare, a partire dall'abbozzo iniziale sino al momento finale, dà luogo a una serie di «giudizi esistenziali», ovvero a una serie di atti che, nel loro compiersi, rispondono al richiamo dell'opera e, giudicando se stessi, giudicano della forma che stanno instaurando. La prima preoccupazione dell'artista è dunque «nel delimitare, esistenzializzare l'Altro, la cosa da realizzare, pur rispettando l'indipendenza ontica delle sue intrinseche determinazioni d'essere singolare»[18]. La «verità» dell'arte è così il risultato «pieno» di un procedimento instaurativo che si compie nell'indubitabile presenza cosale e percettiva dell'esistenza singolare di un'opera d'arte, opera che richiede tale verità e la pienezza della propria esistenza attraverso la poieticità del fare che attualizza il giudizio dell'artista: «il 'fare dell'artista è un giudizio: la cosa sarà nella sua verità d'essere perché è questa stessa verità d'essere che la chiama per edificarla, per attualizzarla in esistenza singolare»[19]. Tale movimento anaforico si compie nell'opera d'arte realizzata, nella sua evidenza che è insieme definente e definita in rapporto alla copula del giudizio, giudizio che trova la verità dell'opera nel predicato e non nel soggetto ed è quindi, in conformità con i principi generali della sua filosofia, un giudizio ontologico che coglie nell'attività instauratrice la finalità ontica della forma dell'opera d'arte.

La verità che l'opera d'arte raggiunge non è quindi la verità propria alle scienze filosofiche e naturalistiche - una verità che si riferisce al rapporto soggetto/oggetto - ma una verità più profonda, più diretta, una verità che costituisce il cuore stesso dell'Essere e non è quindi mediata o relativa: verità che è resa luminosa dall'idea dell'arte e che la dialettica artistica rende di per sé soddisfacente senza alcun bisogno di richiami o appoggi esterni. L'arte è vera attraverso il lavoro dell'arte, la «cosa» artistica «è vera di una verità intrinseca fatta secondo l'arte, secondo la dialettica provata dell'azione instaurativa»[20], dialettica che permette di porre la cosa esterna nella sua trascendenza come funzione di un fare che è rivelativo dell'essere, dell'oggettività essenziale dell'essere. L'arte de finisce l'oggetto e l'instaura come presenza reale di fronte al pensiero: «l'arte cattura nella sua dialettica instaurativa ciò che sfugge all'architettura kantiana: la sostanzialità del fenomeno, la sua identità essenziale con il noumeno come principio formale»[21].

La creazione artistica ha così compiuto la verità dell'oggetto che instaura, una verità che non è «per» l'uomo ma una verità dell'essere e per l'essere: la «messa in opera» dell'essere, per usare il linguaggio di Heidegger, passando dal virtuale al reale esistente attraverso un processo che è quello del pensiero costruttivo. Ma l'accento non è posto, come accade invece in Heidegger, sul problema generale dell'essere ma su quello particolare della verità singolare dell'opera d'arte, sul suo «essere fatta» come forma concreta. È quindi giusto notare, come suggerisce L. Vitry-Manbrey nel suo volume dedicato a Souriau, che l'estetica è il fondamento dell'epistemologia di Souriau che si forma «nel contesto di questa visione di una conoscenza estetica, come fondamento della conoscenza che partecipa all'essere»[22]. L'estetica, malgrado la sua specificità rispetto alla filosofia, riveste un ruolo importante nell'ambito generale della conoscenza ontologica; e infatti Lalo considerò il risultato più importante dell'opera di Souriau avere realizzato l'alleanza dell'estetica con la filosofia dal momento che «l'ispirazione instauratrice dell'artista è il tipo della rivelazione metafisica delle realtà assolute» e apre quindi alla filosofia «la realtà più profonda dell'ontologia»[23].

L'arte è realizzazione non di un essere indistinto ma dell'essere che diviene ed è opera tecnicamente costruita e concreta: è l'instaurazione nel suo farsi, nel suo divenire forma. Di tale forma l'aspetto più importante, anche se non esaustivo, è l'esistenza «virtuale», rapporto reale fra l'ordine dell'essere e quello della conoscenza. Le forme così compiute realizzano per Souriau uno sforzo cosmologico di architettura «costruendo lo spirituale nel cosmo, invece di lasciare che il cosmo svanisca nel suo intrattenersi con uno spirituale informulabile»[24]. È così evidente, ancora una volta, la polemica antibergsoniana: malgrado la comunanza di uno slancio ontologico produttore, la prospettiva di Souriau mira alla costruzione di un'esistenza formale cosmicamente realizzata mentre Bergson teorizza il suo impressionistico frantumarsi nel tempo durata. È piuttosto Merleau-Ponty, e in seguito Dufrenne, ad avvicinarsi, forse inconsapevolmente, al pensiero di Souriau quando afferma, nei suoi ultimi scritti, che l'Essere è ciò che esige da noi la creazione poiché noi stessi se ne possa avere esperienza. Allo stesso modo «tutto il pensiero di Souriau esprime una volontà di fondarsi empiricamente e, se si sforza di integrare al cosmo la spiritualità latente che ci porta l'evidenza del patefit, questa integrazione deve sempre compiersi attraverso esperienze positive e concrete»[25].

L'instaurazione è così un passaggio dal virtuale al concreto, da un'opera «da fare» a un'opera «fatta»: è un «tragitto» dove l'artista non è il demiurgo dominatore e ispirato ma un «lavoratore» che, nel corso del lavoro stesso, risponde alle domande dell'opera nel suo farsi, viene da essa «sfruttato» e ne cerca lo statuto ontologico, sempre fondato nell'esperienza dell'esistenza virtuale. L'atto ontologico e così dipendente dall'attualizzazione formale dell'esperienza anaforica - esperienza estetica che giustifica l'opera nella sua verità organica.

Si può quindi concludere che «l'intellegibilità determinata dal soggetto conoscente non è la ricostruzione ideale soggettiva di un'esistenza ideale obiettiva, ma la costituzione dell'idealità nella percezione»: ogni nostra percezione sarà sempre un'apprensione modale dell'essere «cioè un'apprensione regionale e limitata della realtà ontica»[26]. Vi è dunque un'esperienza originaria e indifferenziata - il patefit - che deve essere in qualche modo esplicata attraverso un lungo lavoro instaurativo, che ha il suo modello nell'instaurazione artistica, processo genetico che porta alla conoscenza dell'essere, che, producendo un'opera, manifesta l'essere e lo rende ontologica-mente presente e anche concretamente percepibile. La percezione infatti rivela la «forma», significato reale e concreto (e non quindi platonicamente «ideale» o fenomenologicamente essenzializzato) che esprime gli aspetti sia spirituali sia materiali dell'oggetto. La conoscenza non è per Souriau il tentativo di stabilire un perfetto ordine ideativo, eventualmente fondato sulla sensibilità, ma è un processo che rende via via esplicita la percezione, superficie dell'essere in cui si incontrano l'attività riflessiva della coscienza e l'esperienza cosmica. Così, scrive Vitry-Manbrey, «il mondo della conoscenza e il mondo espresso nel suo aspetto percettivo, un mondo percepito modalmente, cioè in un'esistenza formale reale, ma riferita all'essere»[27].

La percezione estetica costituisce il modello di una genesi che pone un'esistenza cosmicamente realizzata come «predicativa» di una realtà che esiste su un piano che trascende quello della conoscenza. È dunque il predicato e non il soggetto che l'opera d'arte cerca di esprimere, opera che è così, nel suo stesso porsi, un giudizio. In questa rete di rapporti, non estranei alla fenomenologia, fra esperienza e giudizio, l'arte si rivela sempre più come un insieme di atti che tendono a condurre l'essere dal nulla o dal caos iniziale sino all'unicità concreta della sua vera esistenza: atti che, pur riguardando anche l'aspetto esecutivo, traggono la loro natura soprattutto dallo spirito che li anima, «cioè esattamente dalle ragioni di tutti gli atti attraverso i quali si opera tale anafora», «sollevamento progressivo di un essere dal nulla all'esistenza piena»[28]. Ciò differenzia l'arte, fabbricatrice di cose, di esseri particolari che hanno l'esistenza per loro fine, da tutte le altre attività dell'uomo: e tale specificità inizia proprio sul piano del percepito.

La rilevanza centrale attribuita da Souriau alla percezione nella conoscenza delle cose può senz'altro avvicinarlo al contesto del pensiero fenomenologico, favorendo un incontro che, come scrive Dufrenne, «senza dubbio non è stato fortuito»[29]. Rispetto quindi ai possibili agganci ritrovabili in Bayer, legati alla descrizione delle strutture costitutive dell'oggetto, Souriau coglie in misura maggiore alcune esigenze generali della fenomenologia. Il suo pensiero, incentrato intorno alla nozione di essere, non vuole coglierne l'essenza metafisica ma i volti in cui si manifesta, le forme con cui si radica nel reale e nel pensiero empirico, i giudizi cui la sua presenza materiale da luogo. In questo senso la filosofia di Souriau si pone sulla «via mediana» - che è poi quella ricercata da tutta l'estetica francese - fra le tendenze «irrazionalistiche» e «ultrarazionali» della filosofia contemporanea; è un «nuovo organo» che «tenta di preservare il pensiero formale postkantiano da un imprigionamento all'interno di un mondo chiuso, conferendogli la missione di esistere attraverso rapporti reali e positivi con l'ordine dell'ontico - e di esprimere un'apertura sull'essere»[30].

 

Il pensiero di Souriau è valorizzazione della nostra esistenza attraverso Una realizzazione ontologica del cosmo, in particolare nell'instaurazione di opere d'arte. Tutto quanto esiste nel mondo esteriore -sia cosa o legge - troverà nel pensiero i suoi punti di appoggio:

«attraversando il mondo esteriore alla ricerca delle nature costanti che postulava il ragionamento deduttivo, ci troviamo necessariamente ricondotti al mondo del pensiero; è solo in esso, se ne troviamo, che troveremo dei stabili punti di appoggio»[31].

In questo mondo «formale» la nostra esistenza realizza altre esistenze che ci pongono nuovamente di fronte all'essere: e le realizza lavorando sulla materia, scoprendo in essa i dati cosmologici ché, con la forma percettiva, donano loro l'intimità del significato. Al centro del discorso di Souriau è quindi sempre il «pensato» ma in un senso «cosale», come un organismo semantico con una sua propria forma e struttura, con una realtà «personale» la cui organicità è paragonabile a quella dell'uomo[32].

 

Note

[11] L. de Vitry Manbrey, La pensée cosmologique d'Etienne Souriau, cit., p. 82.

[12] Ngô-Tieng-Hien, Sulla definizione dell'arte nell'estetica di E. Souriau, in «Rivista di estetica», maggio-agosto 1971, 231.

[13] E. Souriau, L'avenir de l'esthétique, cit., p. 25.

[14] S. Givone, A propos de quelques remarques de Souriau sur art et connaissance, in «Revue d'esthétique», n. 3-4, 1980, p. 132.

[15] E. Souriau. L'avenir de l'esthétique, cit., p. 156.

[16] Ibid., p. 112.

[17] E. Souriau, Art et verité, in «Revue philosophique», n. 1, 1933, p. 169.

[18] L. de Vitry Manbrey, La pensée cosmologique d'Etienne Souriau, cit., p. 98.

[19] Ibid., p. 99.

[20] E. Souriau, Art et verité, cit., p. 194.

[21] L. de Vitry Manbrey, op. cit., p. 104.

[22] Ibid., p. 106.

[23] C. Lalo, Avant-propos, a AA.VV., Mélanges offerts a E.Souriau, Paris, Nizet, 1952, p. 19.

[24] L. de Vitry Manbrey, op. cit., p. 193.

[25] Ibid., p. 194.

[26] Ibid. p. 198.

[27] Ibid., p.202.

[28] E. Souriau, La correspondance des arts, Paris, Flammarion, 1947, p. 27.

[29] M. Dufrenne, Fenomenologia dell'esperienza estetica, Milano, Lerici, 1969, p. 48 e p. 275. L'incontro «non fortuito» di cui parla Dufrenne non si effettua certo sul piano della metafisica ma su quello delle analisi fenomenologiche, sia pure di una fenomenologia «rivisitata» che non ha molti punti di contatto con quella di Husserl ma che può senz'altro entrare in confronto dialettico con l'interpretazione non del tutto «ortodossa» che della fenomenologia è stata in Francia da Sartre e, Merleau-Ponty.

[30] L. de Vitry-Manbrey, op. cit., p. 205.

[31] E. Souriau, Pensée vivante et perfection formelle, Paris, Alcan, 1925, p. XVII.

[32] Questo discorso corre in tutta l'opera di Souriau, che malgrado gli interni arricchimenti, rimarrà molto omogenea dalle prime opere agli anni settanta, cinquant'anni in cui Souriau si è via via affermato, anche dal punto di vista universitario, come il vero e proprio «dominatore» dell'estetica francese. Fra i numerosissimi suoi allievi esamineremo in seguito il pensiero della poietica di R. Passeron.