3 - Arte e filosofia

 

 

Sarà ormai chiaro che la filosofia di Souriau non è nata come «estetica» ma in essa si è trasformata grazie alla nozione di «instaurazione». Con ciò egli si è liberato, come Bayer, da qualsiasi «estetica mentale» affermando con chiarezza che l'uomo deve rigettare il soggettivismo contemplativistico per incentrare il proprio interesse sul, l'arte, sulla produzione artistica, sulla poetica nel senso greco del termine[33]. In tutto l'arco della sua opera l'«avvenire dell'estetica» è nella comprensione dei procedimenti costruttivi dell'arte e non, quindi, nella descrizione delle forme e degli aspetti dell'opera. In questo senso l'arte è filosofia e la filosofia arte: entrambe, infatti,

«mirano a portare gli esseri, di cui l'esistenza si legittima da sé, attraverso una specie di dimostrazione evidente di un diritto all'esistenza, che si afferma e conferma per l'estrema realtà dell'essere instaurato secondo una certa dialettica tetica»[34].

La filosofia non può essere divisa in theorein, poiein e prattein, dal momento che c'è azione nella scienza e nell'arte così come ci sono scienza e arte nell'azione, oltre a numerosi rapporti «concreti» fra l'arte e la filosofia: la «simbiosi d'epoca», il valore paradigmatico, il rapporto «speculativo», la considerazione del filosofema come opera d'arte e la stessa vita specifica della filosofia dell'arte. Quest'ultimo punto conferma che «la filosofia non è isolabile, che deve sforzarsi di mobilitare, riunire, esprimere teticamente tutta una situazione del pensiero in un momento in cui sono valide tutte le testimonianze umane»[35]. Dalla filosofia Souriau pretende quindi non solo la ricerca dell'unità interna fra le sue parti ma anche una funzione formatrice e attiva che ne dimostri l'autenticità e il potere di costruire una prospettiva per il futuro dell'uomo: lo slancio instaurativo avvolge la totalità dell'azione umana, quasi come fosse una trama unitaria delle espressioni, sia artistiche sia filosofiche, dell'anafora umana. Come l'arte, e con l'arte, ogni filosofia deve essere instaurativa:

«inizialmente è presa di coscienza del momento presente nella sua totalità umana, con tutte le sue ricchezze, tutte le sue deficienze, le sue aporie, le sue espressioni anche contraddittorie. Ma oltre a ciò essa deve cercare non soltanto l'impatto nuovo, inventivo, che oltre passerà tali aporie: a questo scopo potrebbe bastare l'arte; essa assume una responsabilità che l'arte non ha, quella di una promozione totale realmente anaforica che coordina il momento presente e il momento futuro secondo una gerarchia»[36].

L'arte progredisce in virtù di un continuo arricchimento alla totalità delle opere d'arte che, con linguaggio gnostico, Souriau chiama il Pleroma delle opere; ma la filosofia non può progredire solo aggiungendo nuovi filosofemi al Pleroma. Se così fosse la filosofia non si distinguerebbe in nulla dalle arti mentre essa «esige dalla nuova instaurazione una promozione, un avanzamento dalla totalità del Pleroma secondo un ordine che non è affatto temporale ma al quale il tempo deve poter sottostare perché il progresso sia anche un progresso dell'uomo nella sua esistenza reale»[37]. La funzione anaforica del filosofare tende così alla costruzione di una «grande opera»:

«l'ambizione di fare della filosofia l'arte suprema è la chiave della vera efficacia filosofica, perché tutto ciò che può rendere autentico il successo di questa ambizione, non soltanto constata, ma compie il compimento della Grande Opera, al grado di esistenza del Pleroma»[38].

È evidente che tale nozione di arte - di arte «filosofica» - sorpassa il campo delle tradizionali «belle arti»; tuttavia tale ambito; «stretto ed esemplare», è per Souriau una parte non solo importante ma fondamentale di ogni filosofia riflessiva: è infatti l'emblema della promozione anaforica, dell'instaurazione dell'essere. «L'arte - scrive D. Formaggio - diventa dunque l'unica prova sperimentale di quella tecnica o architettura universale che dipende dal principio instaurativo o Arte pura»[39].

Viene così in luce anche la profonda differenza fra le estetiche di Bayer e Souriau, che Feldman accostava sotto la denominazione di «realismo razionalista»: là dove il primo tenta di fondare l'estetica come una scienza in grado di definire gli aspetti dell'oggetto estetico in strutture e valori, Souriau tende invece a considerare come un «ostacolo» la nozione di valore, per il suo carattere soggettivo, considerando l'estetica come una «poetica» che conduce la sua instaurazione reale e formale delle opere d'arte sul modello di un'Arte pura filosofica. L'arte è instaurazione di cose, di oggetti, di opere che vivono nella realtà del nostro mondo ma questa attenzione per la sfera della «cosalità», pur sottolineando una comune ispirazione di fondo con l'opera di Bayer, non permette un'identificazione perché è considerata in primo luogo il risultato di un procedimento anaforico. La cosalità della cosa instaurata è garanzia della materialità concreta all'interno della forma strutturata: ma il mediatore di questo rapporto non è uno schema sensibile bensì lo Spirito che informa la materia, il principio generatore dell'Arte pura, del Pleroma. Il lato «aristotelico» di Souriau viene così ben presto assorbito da quello «platonico» o, meglio, neoplatonizzante, per cui il possesso delle forme è «un assoluto e perfetto diletto dell'anima, con la sicurezza di attingere e possedere un Essere»[40].

L'estetica di Souriau è quindi, se la si applica al campo delle belle arti., una «poetica» ispirata e sostenuta dalla instaurazione filosofica; se invece si considera la filosofia come esplicazione dell'Arte pura, è allora tutta quanta questa filosofia a presentarsi come Estetica, in senso metafisico, come definizione dei principi ontologici del movimento instaurativo. Partendo così da Posizioni Opposte e conducendo il suo discorso con differente metodologia (ovvio è infatti il rifiuto dell'intuizionismo bergsoniano), Souriau è in definitiva giunto a conclusioni non in tutto dissimili da quelle di Bergson, fors'anche per il fondo che accomuna tutte le ontologie e per il simile amore nei confronti di alcuni aspetti del platonismo: come Bergson afferma implicitamente nella Perception du changement, è l'intera filosofia a diventare estetica perché il compito del filosofare - che ha sempre un alone etico - è la rivelazione della verità profonda del reale.

In questo contesto, come ben comprese R. Bayer[41], le leggi e le categorie estetiche rischiano di porsi al di fuori dell'arte nella singola specificità delle sue manifestazioni assorbite dalla totalità del principio ontologico. A «salvare» tuttavia Souriau dal misticismo del Pleroma o dal monismo aspecifico di Bergson è proprio la nozione di «forma», che pure rappresenta il «quid» ontologico che anima le opere. Infatti la forma deve essere «instaurata» e ciò può accadere soltanto attraverso un processo di concretizzazione che esige lavoro e strumenti tecnici. Sul Souriau metafisico si innesta dunque il «fenomenologo» delle forme con accenti di descrittivismo Positivista. Sarebbe così un errore dimenticare il contesto in qualche modo «spiritualista» della sua filosofia: ma errore ben più grave sarebbe porre in secondo piano, ridurre alla sola ontologia filosofica, le sue ricerche sull'arte, che si inseriscono invece in modo quasi «naturale» nella tradizione del tardo Positivismo francese, proseguita da Lalo e Bayer.

Il lato «realista» di Souriau non è elemento secondario bensì costitutivo della sua estetica, che non è quindi solo «scienza dell'Arte totale» ma scienza che studia l'instaurazione delle forme artistiche concrete, i loro procedimenti poietici. In questo senso, come scrive G. Morpurgo-Tagliabue Souriau si ispira alla Gestalpsychologie e alle contemporanee filosofie dell'oggetto, a Ehrenfels, Meinong Benussi, Koffka e Koehler: «le leggi dell'instaurazione adottate da Souriau sono dello stesso ordine delle qualità formali di Koffka e delle forme fisiche di Koehler: vi si ritrova la stessa tendenza al rapporto tutto/parte, all'omogeneo, al necessario»[42]. E le forme diventano quindi, grazie anche agli influssi del formalismo francese ed europeo, le opere d'arte nella loro storia, nel loro divenire.

La nozione di opera è, secondo Souriau, al centro della problematica dell'arte sin da quando Aristotele ne affronta il problema nella Metafisica; l'opera non nella sua staticità data ma in quanto collegata, come volevano Alain, Delacroix e Focillon, alla dinamicità dell'azione artistica. Certe «potenze» e strutture risultano così inerenti all'opera: opera che è, in primo luogo, all'inizio della creazione, una potenza che interroga l'uomo, che richiede un compi mento nella sua problematicità che si rinnova anche quando, finalmente conclusa, libera messaggi che gli autori stessi non avevano neppure concepito. «Dal punto di vista della poietica - scrive Souriau - è un fatto molto grande e molto importante che si constata constatando che il potere innovatore e instauratore può essere esercitato dall'opera stessa quando e interamente distaccata dal suo autore e in un modo che, molto spesso, supera e sorpassa le forze proprie di quest'autore»[43]. L'opera possiede infatti una «potenza ontica» che è la sua capacità di esistere intensamente e di esistere come un'esistenza giustificata. L'arte si rivela nell'opera come un dialettica della «promozione anaforica» che deve «condurci verso un'impressione di trascendenza in rapporto a un mondo di esseri di cose che pone col solo mezzo di un gioco che ordina dei quali sensibili sostenuto da un corpo fisico disposto in modo tale da produrre degli effetti»[44].

L'artista può così instaurare un suo proprio «stile»: «il suo lavoro, in quanto lavoro dell'arte, è promozione di un sapere che è nel lo stesso tempo e indissolubilmente un poter fare, un potere tecnico: è una tecnica resa adeguata a ciò che l'opera dice»[45]. Discorso «tecnico», «empirico», «fenomenologico» e «positivo», come stato variamente definito, vicino comunque al mondo delle arti, delle forme e degli stili pur non annullando la metafisica intrinseca alla promozione anaforica nella sua tensione ontologica ma anzi affermando, in tale contesto, l'oggettività di un'opera che bisogna comprendere nella molteplicità dei suoi significati[46].

 

Note

[33] Come Bayer, Souriau criticherà Dufrenne per essersi interessato in modo prioritario all'estetica dello spettatore non volgendosi al problema della creazione artistica. Si veda

[34] E. Souriau, L'instauration philosophique, Paris, P.U.F., 1939, p. 67.

[35] E. Souriau, Art etphilosophie, cit., p. 16.

[36] Ibid., p. 20.

[37] Ibid., p. 21.

[38] Ibid., p. 21.

[39] D. Formaggio, Fenomenològia della tecnica artistica, Parma-Lucca, Pratiche editrice, 1978, p. 179.

[40] E. Souriau, L'avenir de lesthétique, cit.,p. 134.

[41] Si veda il contributo di Bayer ai citati Melanges offerti a Souriau.

[42] Si veda Morpurgo-Tagliabue, op. cit., p. 396 e D. Formaggio, op. cit., pp. 188 sgg.

[43] E. Souriau, La notion d'oeuvre, in Groupe de Recherche CNRS, Recherches poiétiques, tome I, Paris, Klincksieck, 1974, p. 222.

[44] E. Souriau, La correspondance des arts, cit., p. 96.

[45] Ngô Tieng-Hien, art. cit., p. 241.

[46] Sin troppo ardito ci appare, a questo punto, il parallelo che Ngô-Tieng-Hien stabilisce con Heidegger, parallelo che giustificato più che altro dal comune fondo ontologico.