4 - L'avvenire dell'estetica e le arti

 

 

La maggiore parte della produzione saggistica di Souriau risulta dedicata all'estetica e al problema dell'arte, che comunque è presente in tutte le sue opere, dall'Abstraction sentimentale del 1925 alla Couronne d'herbes del 1975, cinquant'anni di ricerche appartate, «inattuali» che, pur portandolo a una grande fama nell'ambiente degli «estetologi», non gli sono valse quel successo «mondano» che in Francia ha arriso, dagli anni trenta sino a oggi, a pensieri spesse volte dubbiosamente vicini ai vari standards delle «industrie culturali». In una ricerca prodigiosamente ricca, e sempre vicina al mondo concreto di tutte le arti, tradizionali o meno, risultano particolarmente importanti per l'estetica due opere separate fra loro da quasi un ventennio, l'Avenir de l'esthétique del 1929 e La correspondance des arts del 1947, opere che peraltro riescono a completarsi in modo vicendevole.

L'avenir de l'esthétique, che ha come sottotitolo «saggio sull'oggetto di una scienza nascente», mostra sin dalle prime pagine che Souriau intende qui parlare di quell'estetica non «assoluta» che vive nella concreta instaurazione delle opere d'arte. Di conseguenza «non lasciare che la filosofia (non più che la storia dell'arte) comprometta l'Estetica è una delle idee dominanti di questo libro: l'avvenire dell'estetica è fra le scienze»[47]. L'estetica potrà così definirsi come «scienza delle forme», in Opposizione anche allo stesso formalismo infatti, per Souriau, le forme dell'opera d'arte «non hanno il significato che rivestono in Focillon, in Wölfflin o anche in Riegl e Dvorak. E gli le vede piuttosto come le 'presenze separate di un'unità, che raggiungono all'improvviso al di là della diversità fenomenica»[48].

Il problema dell'estetica, come già si è notato, è quello del significato cosmologico della creazione. «Creare - scrive Dufrenne commentando Souriau - è per l'artista rispondere all'appello dell'opera, è dunque accrescere la densità ontologica del cosmo»[49]. In questo senso - e in tale contesto filosofico generale - Souriau deduce le prime conseguenze della sua iniziale asserzione specificando che: «1) Di tutte le speculazioni proprie alla filosofia dell'arte, pur interessando molti elementi, i soli che hanno valore scientifico sono quelle che riguardano lo stretto studio positivo della forma. 2) In qualsiasi ordine di problemi scientifici, ogni speculazione relativa alla forma è di natura estetica»[50]. L'estetica sta così all'arte come una scienza teoretica sta alla scienza applicata corrispondente.

Bisogna tuttavia notare che la separazione tra «scienza estetica» e «scienza dell'arte» non giunge mai in Souriau su un effettivo piano teorico, come invece accadeva nella contemporanea Kunstwissenschaft tedesca. Siamo infatti di fronte soltanto a una separazione pragmatica tra le attività dell'artista (il cui compito è costruire delle cose) e dello scienziato «estetologo» che deve invece «conoscere» le forme. Di conseguenza, «l'estetica non canonizza le regole tecniche, non risolve in regole gli stati psichici dell'artista, non cerca le condizioni dello spettatore o del creatore ma cerca il suo posto tra le scienze col ritagliarsi nell'universo il suo dominio diretto»[51]. Tali operazioni, che sono invece tipiche, per esempio, nell'estetica di H. Delacroix, vengono sacrificate alla ricerca delle specifiche conoscenze immanenti dell'attività artistica, delle «forme» nella loro portata cosmologica, nella loro «vita» che rivela l'«architettura» cosmica. L'estetica come scienza non potrà così essere, nel senso di Dessoir, una ricerca di analisi metodologica e normativa sui vari livelli soggettivi e oggettivi della realtà estetica e artistica; e ciò anche se si afferma come un tentativo di cogliere in modo unitario, nel metodo e nella sua finalità gnoseologica, un mondo di «ricerche laboriose» che implicano la necessità «delle nozioni tecniche, di un linguaggio ben fatto, di esperienze esatte, di investigazioni che adattano pazientemente la ricerca al metodo, il metodo alla ricerca»[52].

In queste parole, in cui oggi potrebbe riconoscersi la «poietica» di René Passeron, è evidente che la rigorosità del metodo è imposta dalla materia stessa, ovvero dall'arte che è una forza instaurativa in cui operano forze stratificate ché vanno metodicamente disvelate da una scienza specifica, dall'estetica. Essa avrà quindi come oggetto le arti e i loro materiali e come scopo teoretico il loro studio in «forme concrete» «al di là di ogni preoccupazione di apprezzamento qualitativo e di valore»[53]. Dunque per Souriau le speculazioni scientifiche inerenti al fatto artistico che si occupano in particolare delle connessioni con la psicologia e la sociologia, così come accade in Lalo, hanno validità scientifica solo se conducono «allo stretto studio positivo della forma»[54]. La forma è dunque un quid ontologico che «lontana dall'essere l'attività trascendentale del pensiero» è una «qualità inerente alla cosa», «una particolare quiddità per cui una cosa è quella cosa e non potrebbe essere un'altra»[55].

Lo studio scientifico delle forme, che costituiscono il «sapere» immanente all'arte, è diviso da Souriau in quattro parti - estetica pitagorica, estetica dinamica, estetica skeuologica e psicoestetica - che corrispondono a quattro classi di fatti ben specificabili, che Souriau esamina ed elenca nelle loro modalità «positive» con un'attenzione al loro aspetto fattuale che può ricordare Lalo o Bayer. È tuttavia da queste analisi, secondo la «classica» interpretazione di Feldman, che l'estetica francese acquista la vera consapevolezza della propria autonomia epistemologica riconoscendo nella «forma» una realtà complessa, in connessione a dati percettivo-materiali ma completamente autosufficiente, «cosmo» che si instaura indipendente da ogni giudizio assertorio o valutativo: la «cosalità» dell'arte diviene qui, per la prima volta, «scienza» delle forme che agiscono all'interno dei processi instaurativi. L'efficacia dell'azione dell'artista, scrive infatti Feldman, «non suppone sempre la coscienza della dottrina di cui è verifica e fondamento» anche se «la dottrina si elabora per via di riflessione sull'azione»[56].

Si può così notare che, se anche l'estetica è analisi e descrizione dei processi instaurativi, la sua scientificità si rivela nella ricerca del quid ontologico che ne costituisce la cosalità data e offerta alla percezione, unione di un elemento «formale»

«o, se si preferisce, quidditativo. che è l'insieme delle determinazioni di ciò che è percepito in quanto tale - il to ti en einai - l'essenza sensibile così come si attualizza nella percezione - e di un elemento 'materiale' che consiste nell'insieme delle necessità che regolano il fatto dell'attualizzarsi del percepito»[57].

Al primo posto delle scienza delle forme si pone l'estetica «pitagorica», che tratta delle forme ideali, in un certo senso «matematiche» o «geometriche», operanti nei processi di instaurazione artistica, riferiti in particolare alle loro armonie spaziali. L'estetica «dinamica» studia invece le forme nei loro processi di dispiegamento spazio-temporale, quindi le forme «successive» che si presentano in movimento e, come nella musica, in «lunghezza di tempo». Nel campo delle scienze a queste forme corrispondono i procedimenti della chimica e della fisica. A fianco invece dell'astronomia, della geografia e delle classificazioni naturali si pongono le forme esami nate dall'estetica «skeuologica» che «tratta della forma delle cose, vale a dire di tutto ciò che una forma è in grado di definire nell'universo concreto»[58]. La «psico-estetica», che per Lalo e Delacroix aveva sostanzialmente completato ed esaurito il campo dell'estetica, costituisce qui solo quell'ambito che studia le forme psichiche nella loro varietà tipologica.

Tutte le forme hanno la caratteristica di essere «obiettive», nella misura in cui l'obiettività è un permanere, limite indeformabile che costituisce nel divenire un punto fermo sempre ritrovabile. Ma l'obiettività di queste forme, la cui analisi rigorosa potrebbe a prima vista ricordare la «scienza degli aspetti» di Bayer o addirittura un abbozzo di riduzione eidetica della complessa varietà delle forme artistiche, è essenzialmente nella sua stessa radicalità empirica; la testimonianza dell'unità cosmologica, dell'unità metafisica dell'Essere dove Materia e Forma trovano la loro necessaria mediazione.

Da un lato, quindi, le forme stilizzate rappresentano il pensiero puro della ragione, ma, dall'altro, la loro materialità ne caratterizza la specificità sostanziale, sottolineando che la logica delle forme non è affatto una logica formale, che le forme stesse non sono vuote categorie bensì materialità ordinata e strutturata. Le forme esistono nel mondo sensibile dove, aristotelicamente sempre si pongono in «atto» attraverso l'arte, «attività che mira a creare delle cose in considerazione della loro propria quiddità o forma»[59]: è attività instaurativa che «coglie, filtra, ritiene e pone da lato» gli atti essenziali che strutturano una meditazione indirizzata al contenuto cosmico delle cose. L'idea di attività artistica, a differenza di quanto accade in Bergson ma anche in Brémond e Segond, «non deve essere contaminata dalle idee di contemplazione estetica, di estasi spettacolari, di giudizi soggettivi di gusto, di priorità data al sentimento del bello su quello del vero e così via»[60].

La filosofia e l'arte, nella loro comune essenza di «attività tetica», mirano a porre esseri la cui esistenza si legittima da se stessa, nel loro stesso «essere posti» secondo l'oggettività instaurativa di una dialettica tetica. Siamo quindi tornati all'idea centrale di «instaurazione»: instaurazione di un cosmo significante che ha in sé tutto il movimento della realizzazione spirituale.

L'instaurazione filosofica costruisce infatti una cosmologia dove, accanto alla Saggezza e alla Ragione, opera anche una Sur-imagination che rappresenta «il bisogno di andare verso il concreto, verso l'ultimo dettaglio, verso un modo di presenza che attesti particolarmente la sapienza del reale e che in effetti raggiunga il reale»[61]. L'immaginazione, in un ruolo che le è caratteristico nell'ambito del pensiero francese, è la «grande realizzatrice» e una «potenza d'informazione diretta», plasmatrice del reale che sottomette il sogno, la ricchezza del rêve, alla necessità di concretizzarsi, di precisarsi, di rivaleggiare in lucidità con il reale, di diventare esso stesso reale: come in Alain, in Delacroix e, successivamente, in Bachelard, il sogno fantastico non è soltanto un vaneggiamento soggettivo ma un atto costruttivo legato all'oggettività della materia; è, kantiana-mente, un «libero gioco» dell'immaginazione ma un «gioco» che costruisce forme, ovvero le chiavi dell'esistenza, e che mostra la filosofia come «ragione poetica», Arte pura, saggezza instauratrice: nel, «gioco delle forme» l'elemento formale e quello materiale, incontrandosi, costituiscono l'essere nell'attività spirituale dell'Instaurazione, essere che si incarna necessariamente in una Materia, una «realtà esterna» che deve sempre essere formata e che è essenziale per l'attività artistica.

L'instaurazione, pur nel suo indubbio divenire poietico, non può tuttavia dirsi una compiuta teoria della creazione artistica poiché in essa manca un consapevole ripensamento teorico delle possibilità intrinseche all'operare tecnico. La sua concezione, scrive Formaggio, «appare limitata, oscillante tra la più generica riduzione della tecnica a precettistica, pratica di mestiere, o la prospettiva, naturalmente da respingere, di una scienza delle leggi fisiche applicative dell'operare artistico, a puro scopo didattico»[62]. Il «contemplativismo ontologico», il platonico «realismo delle idee» che percorrono il pensiero filosofico di Souriau sembrano quasi impedirgli - nel campo dell'estetica quale meditazione teorica sul compito dell'artista, «esistenziare le forme in una cosa» -, un'adeguata comprensione dei procedimenti tecnici in atto. Tuttavia, «prescindendo dagli sfondi platonizzanti che tendono ad immobilizzare in entità metafisiche le: forme (...), il sistema di Sauriau svela l'implicita coincidenza dell'operare tecnico con l'operare artistico e l'essenzialità della tecnica come unica via di mediazione tra l'infinito possibile ed il reale, determinatissimo presente». E ciò malgrado la ricerca di Souriau non sia stata in grado di passare «dalle forme formate ai processi formanti ed autoformativi» poiché il suo sapere estetico, spesso solo contemplativo nel rivolgersi verso le forme, «non dice assolutamente nulla del fare e del farsi dell'arte»[63].

Il contemplativismo stesso che rischi a di minare alle radici la prospettiva instaurativa è forse anche la causa prima della mancata differenziazione fra oggetto estetico (contemplato, intuito, percepito) e l'opera d'arte storicamente costruita all'inte-rno di un campo dove si intersecano numerosi «saperi» oltre che norme, valori e funzioni ad essi relativi. La forma instaurata appare invece spesso identificarsi nell'ambiguo statuto di un'opera d'arte contemplata come prodotto di un'instaurazione artistica che conduce un essere «dal nulla o dal caos iniziale sino all'esistenza completa, singolare, concreta che si attesta in indubitabile presenza»[64]. E questa presenza formale - il risultato e non il processo genetico - è forse, almeno a livello analitico, il principale interesse dell'estetica di Souriau. Egli infatti sottolinea la cosalità reale e significante dell'opera nella sua presenza hic et nunc ma non dice come l'arte compia, guidi e orienti l'opera stessa mettendo così da lato, sia pure solo implicitamente, il problema della creazione artistica per approfondire la ricchezza cosmologica della forma instaurata.

Il punto di partenza - nell'Avenir de l'esthétique come nella Correspondance des arts - è comunque la «saggezza instauratrice», ovvero «l'acquisizione intuitiva e il possesso, l'uso attivo e concreto di un sapere direttivo, che veda da lontano le conseguenze future e le armonie di un insieme, non escluda né la potenza né l'amore»[65], nei suoi processi di fabbricazione. Su queste basi Souriau vuole scoprire, per la comprensione generale dell'arte, «ciò che è comune a una sinfonia, a una cattedrale, a una statua e a un'anfora; quel che rende paragonabili la pittura o la poesia, l'architettura o la danza»[66]. Non il bello è quindi al centro della scienza estetica ma un principio essenziale, una Forma instaurata in una serie di processi concreti, in una catena di opere d'arte di cui sarà necessario, come già voleva Diderot, determinare differenze e analogie, «una specie di parentela». Estetica comparata sarà così quella disciplina «la base è confrontare fra loro le opere, così come le tecniche, delle differenti arti (come pittura, disegno, scultura, architettura, poesia, danza, musica, ecc.)»[67].

Al centro dell'estetica si pongono quindi gli oggetti, le opere d'arte: ciò che è il risultato concreto dell'instaurazione artistica, quel «dato cosmologico» che possiede un suo proprio universo e che è all'origine dell'universo «vero» dell'Essere. L'opera d'arte - ogni opera d'arte - è un «essere unico» che possiede multiformi modi di esistenza, una pluralità di piani esistenziali che vanno fenomenologicamente indagati per disvelarne il significato profondo e l'intrinseca finalità, diremmo quasi le sue «sintesi estetiche».

Souriau, che sin da giovane aveva conoscenza dei testi di Husserl, e che quindi non ignorava i principi fondamentali delle genesi costitutive della fenomenologia, tenta, pur in un differente contesto storico e teorico, un'analisi «esistenziale» dell'opera d'arte che a volte richiama analoghi tentativi di scuola fenomenologica[68]. Il primo livello sarà costituito dall'esistenza «fisica» dell'oggetto, nella cui corporeità materiale l'opera «comincia a esistere della sua esistenza positiva e veritiera»[69]: e tale fisicità è propriamente, una «regione», la base costitutiva materiale su cui si edifica ogni oggettualità nel suo essere «cosa corporea». È questo il «materiale dell'arte», ciò che le offre la presenza sensibile e un'oggettività «bruta» e indeterminata permeata soltanto da un «gioco» di qualità sensibili che si offrono al creatore o allo spettatore.

Un'opera non è tuttavia costituita solo da tale «gioco di apparenze sensibili» «la cui presenza ha titolo di pure apparenze, di pure qualità sensibili»: c'è, per tutte le opere d'arte, uno statuto esistenziale che è quello del fenomeno, e specialmente dell'apparenza ai sensi»[70]. A questo livello l'opera si specifica come costituita non dall'ordine soggettivo delle sensazioni bensì da una serie di qualità sensibili che ne caratterizzano l'esistenza fenomenica nei confronti di quella fisica su cui è fondata. I qualia sensibili si strutturano qui «in un sistema definito e organizzato» [71] o, meglio, è l'arte stessa a organizzare le qualità sensibili e le entità fenomeniche di cui si serve. Se quindi, in riferimento all'esistenza fisica, un colore di un dipinto veniva considerato solo nella sua quantità elementare, nella sua extensio indeterminata, esso diventa nell'esistenza fenomenica una «essenza sensibile», un «atomo qualitativo» che specifica la realtà particolare dell'oggetto. Questo primo livello di organizzazione in sistema delle qualità sensibili, per esempio l'accordo fra colori in un dipinto, non esaurisce tuttavia la realtà complessa dell'opera.

I qualia riescono a organizzarsi solo in un'esistenza «reica», dove l'oggetto è rappresentato con un suo preciso significato: «i fenomeni del colore, della luminosità, dei dispositivi formali - scrive Souriau - evocano una cosa assente, ma di cui mi obbligano a formare un'idea a metà strada fra l'immaginazione pura e la presenza concreta»[72]. Questa «finzione» e «illusione» collettiva è particolarmente evidente nelle arti dette «rappresentative» dove allo spettatore si offre un intero mondo, un mondo «nuovo» che allude a uno spettro di significati rinchiuso in ciò che appare. Per quanto riguarda peraltro le arti non rappresentative, per esempio la musica, anch'esse non possono venire considerate semplicemente un puro gioco di combinazioni qualitative: «noi la sottomettiamo a una serie di interpretazioni più o meno fabulantes, che mettono in gioco delle forme improntate al nostro sistema ordinario di percezione degli oggetti reali» [73] e die ci permettono di inerire sino in fondo al loro significato unitario.

È sul piano dell'esistenza cosale che è possibile, per Souriau, dividere le arti in due grandi gruppi,

«il gruppo delle arti dove l'universo dell'opera pone degli esseri ontologicamente distinti dall'opera stessa; e quello delle arti in cui l'interpretazione cosale dei dati interpreta l'opera senza supporvi un'altra cosa oltre a se stessa - in ogni caso questo piano è solidamente occupato da tutte le arti e fa ugualmente parte del loro svolgersi esistenziale»[74].

Ciò significa che, attraverso l'esistenza reica, si è condotti al coglimento del «sistema delle arti» nella sua completezza, fine cui tende, in ultima analisi, l'intera estetica di Souriau in quanto «scienza». Se infatti, nell'esistenza fenomenica, Souriau aveva cominciato a presentare quelle qualità sensibili che come linea, colore, volume, voce, movimento, luce e suono «giocano» in un oggetto, ora, nell'esistenza cosale, le organizza in una rappresentazione [75] che, kantianamente, diviene il principio di interna divisione del «cosmo» delle arti. Ma prima ancora del «sistema» - su cui si dovrà tornare - il livello cosale mostra anche, come riaffermerà Dufrenne, che la vita di un'opera d'arte non può esaurirsi né nella sua materialità cosale né nell'organizzazione dei suoi aspetti sensibili. Tuttavia non è sufficiente neppure la raggiunta consapevolezza della «semanticità» dell'opera, della sua indubbia «significanza»: vi è infatti un ulti che Souriau chiama «trascendente», che è l'orizzonte comunicativo ed espressivo in cui l'opera autonomamente si inserisce, trascendendo, appunto, la sua fisicità e i qualia sensibili che la costituiscono in quanto rappresentazione di un oggetto.

L'opera d'arte occupa, in tutta la sua profondità, la totalità dei quattro piani esistenziali formando un solo essere, un essere unico, reperito, per così dire, a livelli diversi, su dei piani di cui ciascuno ne offre solo un immagine parziale e insufficiente[76], piani che sono fra loro in molteplici, se non innumerevoli, corrispondenze e correlazioni. L'opera d'arte è quindi considerata come una «forma ontologica» dinamica sempre legata ai suoi compiti operativi e agli attivi rapporti con lo spettatore: l'arte si realizza

«nel condurci verso un'impressione di trascendenza in rapporto a un mondo di esseri e di cose che pone con il solo mezzo di un gioco concertato di qualia sensibili, sostenuto da un corpo fisico, prodotto per la produzione di tali effetti»[77].

La definizione dell'arte deriva quindi dall'analisi dello statuto esistenziale delle sue «forme», dalla reale determinazione della loro struttura e dalla loro funzione operativa all'interno della realtà generale dell'opera, essere unico che accanto alla cosalità materiale e «reale» si circonda a ogni momento di un cosmologico affiato metafisico. Ed è proprio questo «affiato metafisico» che non convince R.Bayer: «una tale ontologia della presenza -scrive infatti - ci presenta l'opera d'arte in modo troppo vago e ci dice troppo a suo proposito: non sapremo così, dell'oggetto artistico, niente di preciso, e soprattutto niente di specifico, attraverso questi quattro statuti»[78]. Se quindi per Bayer una definizione generale delle strutture dell'opera sarà necessariamente generica non riuscendo a coglierne gli aspetti costitutivi, i valori intrinseci e le determinazioni categoriali, o comunque rinchiudendoli, attraverso la comparazione, nel vago ambito psicologico delle «similitudini», per Souriau invece i quattro livelli esistenziali sono «i punti cardinali» dell'opera rivelati dall'esperienza artistica stessa, elementi sufficienti «per dare al cosmo dell'opera d'arte una ricchezza strutturale semplificata, stilizzata, organizzata»[79].

 

Note

[47] E. Souriau, L'avenirde l'esthétique, cit., p. 6.

[48] L. Brion Guerry, Le vocabulaire d'esthétique, in «Revue d'esthétique», n. 3-4, 1980, pp. 2 78-9.

[49] M. Dufrenne, L'estetica francese nel XX secolo, in M. Dufrenne-D. Formaggio, Trattato di estetica, voi. I, Milano, Mondadori, 1981, p. 408.

[50] E. Souriau, L'avenir de l'esthétique, cit., p. 36.

[51] D. Formaggio, op. cit., p. 183.

[52] E. Souriau, La correspondance des arts, cit., p. 19.

[53] E. Souriau, L'avenir de 1'esthétique, cit., p. 10.

[54] Ibid., p. 36.

[55] D. Formaggio, op. cit., p. 182.

[56] V. Feldman, L'estetica francese contemporanea, Milano, Minuziano, 1945, p.142.

[57] E. Souriau, L'avenir de l'esthétique, cit., p. 163.

[58] Ibid.,p. 207.

[59] Ibid., p. 180.

[60] E. Souriau, L'instauration philosophique, cit., p. 67. Si riafferma qui il carattere «poietico»dell'arte ma anche la sua guida da parte di un'idea razionale di perfezione formale, che in qualche modo E. Souriau ha tratto da suo padre Paul. Lo strumento necessario e sufficiente della conoscenza, scrive E. Souriau in Pensée vivante et Perfection formelle, cit., p. XI, è la ragione intesa come «la scelta e l'utilizzazione cosciente, fra i prodotti della nostra ideazione di quelli che sono caratterizzati da forme perpetue».

[61] E. Souriau, L'instauration philosophique, cit., p. 409.

[62] D. Formaggio, op. cit., p. 187.

[63] Ibid., p. 194.

[64] E. Souriau, La correspondance des arts, cit., p. 27.

[65] Ibid., p. 28.

[66] Ibid., p. 44.

[67] Ibid.,p. 11.

[68] Il termine «fenomenologia», lo ripetiamo, va qui inteso in senso «ampio» e non certo rigorosamente husserliano. È tuttavia una certa tradizione di estetica fenomenologica, da Ingarden a Conrad, da N. Hattmann a Dufrenne, a cogliere analiticamente i vari livelli costitutivi dell'oggetto estetico. Sia pure riferito soltanto alla cosa una stratificazione di significati è presente anche nelle analisi husserliane (nel libro II delle Idee per una fenomenologia pura e per una filosofia fenomenologica) oltre che nel Manoscritto A VI I sull'estetica.

[69] E. Souriau, La correspondance des arts, cit., p. 47.

[70] Ibid., p. 54.

[71] Ibid., p. 54.

[72] Ibid., p. 59.

[73] Ibid., p. 64. Si può quindi concludere che l'unica effettiva differenza fra le arti «rappresentative» e quelle «non rappresentative» stia nel fatto che le prime colgono solo una parte del «contenuto» dell'opera mentre le altre vi ineriscono totalmente.

[74] Ibid., p. 66.

[75] Si veda G. Morpurgo-Tagliabue, op. cit., pp. 398-99, dove si mettono in luce vari influssi culturali su questa posizione.

[76] E. Souriau, La correspondance de arts, cit., p. 71.

[77] Ibid., p. 71.

[78] R. Bayer, L'esthétique française d'aujourd'hui in Activité philosophique contemporaine en France et aux Etats-Unis, a cura di M. Farber, Paris, P.U.F., 1950, p. 291.

[79] E. Souriau, La correspondance des arts, cit., p. 72. Anche per Souriau può in ogni caso volere quel che U. Eco (op.. cit., p. 81) scrive per Focillon e per Bayer: «L'oggetto artistico richiede un ragionamento descrittivo e persino catalogatorio; la pura intuizione, la conoscenza connaturale che si risolve in una pura contemplazione non riguardano l'arte».