5 - Gli a priori affettivi

 

Il sentimento si è rivelato, per Dufrenne, una facoltà percettiva che permette all'uomo di cogliere le qualità materiali che, come a priori, costituiscono la struttura affettiva ed espressiva dell'oggetto estetico e della soggettività, creatrice e ricettiva: a priori materiali, e non formali come quelli kantiani, che ineriscono al sentimento e all'espressività dell'oggetto e che esprimono «dall'interno» il mondo affettivo del soggetto e dell'oggetto radicandosi in essi come loro strutture costitutive. La possibilità dell'esperienza non risiede cosi nell'apparato logico di un a priori puramente formale ma in un a priori «materiale» (nel senso di Husserl e Scheler) che è insieme nel soggetto e nell'oggetto e che, in virtù di questa duplicità, permette l'apertura dell'uomo al mondo e del mondo all'uomo come catena infinita di possibilità; l'a priori materiale cosi «da una parte è nello oggetto un senso che l'abita e lo struttura, che lo costituisce; d'altra parte e nel soggetto un sapere virtuale di questo senso» [120bis]. Così come il valore di Scheler si incarna in una cosa e la costituisce in essa incarnandosi, «parallelamente il mondo dell'oggetto estetico è ordinato a una qualità affettiva che è per lui un a priori»[121]. Questi a priori affettivi sono chiamati da Dufrenne, a seconda che appartengano al soggetto o all'oggetto, «a priori esistenziale» e «a priori cosmologico».

L'a priori esistenziale è singolare, appartenente a una soggettività in quanto, attraverso il mondo espresso dall'opera, è un autore che si rivela, un autore che è persona storica e concreta. Questo a priori affettivo «costituisce un mondo consistente e coerente perché risiede in ciò che c'è di più profondo in un soggetto, come è ciò che c'e di più profondo nell'oggetto estetico»[122]. Non è tuttavia possibile parlare di a priori esistenziale senza collegarlo all'a priori cosmologico, senza pensare che questi a priori sono solo aspetti dell'unica a priorità affettiva dell'oggetto estetico. L'a priori cosmologico sarà dunque la struttura affettiva stessa dell'opera d'arte, le sue caratteristiche «a priori» concretizzate nel mondo espresso. A priori esistenziale e a priori cosmologico, trovando nell'opera il piano della loro pariteticità, dell'uguaglianza fra soggetto e oggetto, rivelano che la qualità affettiva che fonda l'estetico e il sentimento è anteriore alle singole specificazioni, che si radicano in un fondo «comune» fonte generatrice di ogni senso. Un'anteriorità che non va intesa in senso logico o cronologico ma che vuole sottolineare l'assoluta, indifferenziata a priorità della qualità affettiva, considerandola al di là di ciò che costituisce: «l'a priori è una proprietà dell'essere anteriore insieme al soggetto e all'oggetto, e che rende possibile l'affinità di soggetto e oggetto»[123].

In questa prospettiva che, dal punto di vista della fenomenologia, comincia a farsi, come scrive D. Formaggio, «imbarazzante»[124], le qualità affettive espresse dagli a priori materiali affettivi si presentano come le «categorie» di quegli oggetti chiamati «belli», che sono cioè «riusciti», ovvero capaci di esprimere una certa categoria affettiva o il loro insieme nella particolarità di un singolo oggetto (senza che ciò conduca Dufrenne a tentativi di sistematizzazione simili a quelli di E. Souriau). L'a priori può così essere «riconosciuto» solo sull'a posteriori, sul dato percepito, sull'esperienza che compiamo dell'oggetto estetico, sulle singole categorie dall'arte (il comico, il tragico, il meraviglioso, ecc.); esperienza che tuttavia sembra escludere una ricerca sulla genesi della storicità del soggetto e dell'oggetto[125], limitandosi a porre la concretezza dell'a priori come una «ovvietà» che inerisce all'artistico, senza quindi costituirla nei vari livelli della sua dimensione estetica, come vorrebbe un'indagine che fosse impostata, in senso husserliano, verso il riconoscimento della struttura affettiva dell'oggetto a partire da significati che solo l'intersoggettività, nelle sue molteplici dimensioni, in prima istanza storiche e sociali, può determinare.

Dufrenne vuole in primo luogo giungere alla verità dell'opera, verità rivelata dalla sua espressione e dalla categoria affettiva che in essa coglie il sentimento estetico soggettivo: ma questa verità del reale non si fonda nell'atto stesso del suo farsi e rimanda quindi, nella sua indubitabile presenza, e nel senso che tale immanenza contiene, a un essere come radice originaria del senso di ogni reale, prospettiva che unifica l'eterna rinascente ambiguità del rapporto fra l'oggetto e il soggetto. L'estetica dunque non limita più il suo compito alla conoscenza percettiva degli oggetti estetici: dall'arte è possibile cogliere il sentimento immanente al reale, la verità stessa dell'essere.

Nella Phénoménologie de l'expérience esthétique (così come nella Notion d'apriori del 1959) l'ipotesi ontologica, ispirata da Heidegger ma ben decisa a mettere in luce il ruolo dell'uomo nell'essere, è ancora incerta e ipotetica, anche se già si ammette che «i due aspetti cosmologico ed esistenziale dell'a priori affettivo sono fondati nell'essere, vale a dire che l'essere è portatore di un senso che da una parte imprime nel reale e che dall'altra forza l'uomo a proferire»[126]. Essere che comunque, per differenziarsi dalle prospettive heideggeriane, è disvelato, nella sua concreta presenza, da un movimento percettivo che non vuole mai scordare la sua dimensione antropologica. Tuttavia Dufrenne specifica che il reale non deriva il suo senso dall'uomo, che ne è il necessario testimone ma non il creatore: e «rifiutare all'uomo il privilegio di fondare il vero per fondare l'uomo sul vero, è dare la parola all'essere», all'essere come a un a priori anteriore alle sue specificazioni esistenziale e cosmologica, e che sembra fondare insieme il soggetto e l'oggetto, l'uomo e il mondo. Vi è «essere del senso», «anteriore insieme all'oggetto in cui si manifesta e al soggetto al quale si manifesta, e che si richiama per compiersi a questa solidarietà dell'oggetto e del soggetto»: «il reale e l'uomo appartengono entrambi all'essere, e l'essere è precisamente questa identità del senso, tale che l'uomo possa leggerlo, tale che il senso possa inscriversi». L'arte, in questa dimensione ontologica, si porrà come «uno strumento della dialettica dell'essere, vale a dire dell'avvenire del senso che si aliena nella natura e si riflette nell'uomo»; di conseguenza l'artista «si sente chiamato dall'essere e responsabile di fronte a lui», pur collaborando, con la sua opera, ad instaurarlo come «divenire del senso»[127], che ha sempre bisogno dell'uomo. Più che una «ontologia fenomenologica», che apparirebbe come una contraddizione in termini, siamo qui di fronte alla conclusione ontologica di una fenomenologia, forse all'unica conclusione possibile di un percorso dove le stesse basi fondative non erano state adeguatamente ridotte, dove i presupposti non chiarivano la portata trascendentale del discorso.

In ogni caso, l'«essere» che è presentato a conclusione della Phénomenologie de l'expérience esthétique, nei suoi richiami, a volte confusi, a Spinoza, Heidegger o alla Lebenswelt di Husserl (il cui disvelamento andrebbe in realtà affrontato su ben diversi piani analitici e con maggiori attenzioni in riferimento al costituirsi materiale delle ontologie regionali), richiede, anche all'interno della prospettiva di Dufrenne, un lavoro di chiarificazione e di compimento. Richiede di «trasformarsi» in un principio che non mostri soltanto la sua capacità di risolvere antiche aporie ma che sia anche «creativo», generatore di senso in ogni sua apparizione sensibile. In questa nozione che via via prende forma come Natura naturante (la Natura di Spinoza letto da Alain), Dufrenne abbandona quei dubbi che ancora vivevano a conclusione della sua opera del 1953, quando scriveva che

«un 'esegesi antropologica dell'esperienza estetica è sempre possibile e non è necessario che la critica si volga all'ontologia. Forse il sapere assoluto è che non c'e assoluto del sapere ma una volontà di assoluto nell'uomo, di cui testimonia precisamente la preoccupazione dell'estetica, presente a suo modo sia nello spettatore sia nell'artista. Forse l'ultima parola è che non c'e un'ultima parola»[128].

 

Note

[120bis] M. Dufrenne, Inventaire des a priori, cit., p. 9. I valori, «a priori materiali»dell'etica, opposti al formalismo kantiano, dati non nel giudizio ma nell'intuizione e correlati a specifici atteggiamenti emozionali che «aprono» il soggetto alla scala gerarchica dei valori, sono l'oggetto della grande opera Il formalismo nell'etica e l'etica materiale dei valori che M. Scheler scrisse fra il 1913 e il 1916 (tr.it. parziale, Milano, Bocca, 1944). L'etica risulta così ordinata e costituita «dall'interno» da valori concreti e materiali.

[121] M. Dufrenne, Phénoménologie de l'expérience esthétique, cit., p. 550. Il valore non è qui un giudizio ma una vera e propria qualità affettiva. Dufrenne comincerà a parlare in modo esplicito di «valori estetici», intendendo con ciò le categorie estetiche radicate nell'affettività dell'opera, nel saggio Valeurs esthétiques (in Esthétique et philosophie, t.I., cit.).

[122] Ibid., p. 550..

[123] Ibid., p. 561. Nell'Inventaire des a priori, ma anche in quest'opera, Dufrenne metterà in rilievo come gli a priori materiali vivano anche nella presenza e nella rappresentazione come specifica proprietà degli oggetti sensibili o rappresentati. E con ciò è chiaro che Dufrenne vuole offrire un avallo alla sua teoria del radicamento ontologico dell'apriori, che tutto quindi ordina e struttura. Non per nulla l'inventano degli a priori ha come sottotitolo «ricerca dell'originario»: esaminando il trascendentale materiale in tutti i suoi aspetti nel soggetto e nell'oggetto si troverà necessariamente l'essere in cui si fonda.

[124] D. Formaggio, L'idea di artisticità, cit., p. 272.

[125] L'a priori, nella sua virtualità, deve attualizzarsi nella storia di un individuo o di una società. Tuttavia, secondo Dufrenne, il suo essere sfugge alla storicità «dal momento che è al principio di questa storia che non ha senso che attraverso di lui». È tuttavia ovvio che senza un incontro contingente con le opere d'arte, senza una storia dell'arte non ci potrebbe essere una storia delle categorie affettive, che rimarrebbero in noi lettera morta, non assenti ma implicite, non impiegate. La storicità degli a priori non è quindi del tutto assente in Dufrenne: viene tuttavia sacrificata alla «verità» degli a priori stessi, che solo nell'essere può realizzarsi. Ed è significativo che vengano così separati «storicità» e «verità».

[126] M. Dufrenne, Phénoménologie de l'expérience esthétique, cit., p. 657. Ciò non significa, come Dufrenne chiarisce nella Notion d'a priori del 1959 (Paris, P.U.F.), che l'a priori cessi di appartenere al soggetto, all'oggetto e alle modalità percettive del loro incontro ma solo che può esistere un'unità superiore dove cosmologico ed esistenziale riconoscono la loro consustanzialità. Questa solidarietà strutturale di psichico e cosmico ricorda molto da vicino quanto scrive lo psichiatra d'ispirazione fenomenologica e bergsoniana Eugen Minkowski in Vers une cosmologie, Paris, Aubier, 1936 (p. 97 e 169).

[127] M. Dufrenne, Phénoménologie de l'expérience esthétique, cit., p. 674.

[128] Ibid., p. 677.