PRESENTAZIONE

 

 

Le storie dell’Estetica soffrono spesso della confusione statutaria o, comunque, della carenza di precisi ambiti teoretici circa la sua costituzione disciplinare. La stessa parte storica dell’Estetica crociana, pur usufruendo di una sua indubbia ossatura culturale e filosofica, risentiva, specialmente sul piano critico e delle scelte, della rigidità di una sua particolare ottica teoretica, quella che l’aveva portata a fondare l’Estetica su una certa esclusiva definizione di ciò che è Arte, parziale nell’accettare e nel rifiutare, nell’accogliere e nell’escludere, come avviene per ogni definizione ontologica di campi di esperienza. Allo stesso modo, storie dell’estetica come quella, per venire ad anni recenti, di W. Tatarkiewicz, pur nella straordinaria ricchezza dei materiali di riflessione sull’arte accumulati nelle varie epoche ed ai diversi livelli, rivelano ad ogni passo una concezione ancora empirica e non teoreticamente adeguata degli ambiti di una Estetica come teoria o scienza filosofica, per cui ci si trova davanti ad una impressionante e oscura confusione dei più disparati documenti, che vanno dalle notazioni occasionali od epistolari di artisti o poeti, a rapsodiche teorizzazioni di critica letteraria o artistica oppure di più o meno personali o regionali (fissate alla parzialità di un concetto) poetiche, infine alle stesse più alte e più vaste teorizzazioni filosofiche; acca tastando tutto sotto il nome di Estetica in un rimescolamento teoreticamente piuttosto ingenuo dei diversi livelli e piani di riflessione, o puro-teoretici, o pragmatici, o semplicemente empirici, senza una necessaria delimitazione e quindi tendenziale autonomia di una scienza Estetica come tale separata dalla Critica e dalle Poetiche, nonché dalle stesse riflessioni parziali che nascono e si delimitano dentro le singole arti o dentro le notazioni occasionali più o meno empiriche di singoli artisti o di singoli «conoscitori». Ben consapevoli, tuttavia, che la ricchezza di spunti e di materiali che la prassi artistica in atto o in opera e la riflessione primaria che al suo interno si genera costituiscono il nutrimento più prezioso per il crescere e il costituirsi – da tutto questo staccandosi – della pura riflessione teoretica generale in cui l’Estetica in campo proprio si forma e si riconosce tra le scienze umane.

Non c’è atteggiamento storicistico, dunque, che non si regga su di una preliminare purificazione ed adeguazione teoretica del campo in esame.

Per questo allora, una storia dell’Estetica, si propone oggi come un compito tanto più difficile quanto più confusa è l’idea o la situazione teoretica in cui l’estetica viene assunta.

Bisogna dire che la filosofia italiana è tra quelle che più hanno operato alla chiarificazione in senso rigorosamente filosofico di un piano autonomo e ben delimitato della riflessione sull’arte; assumendola a quel livello di pura teoreticità generale al quale l’Estetica debitamente si pone, e propriamente va posta, dopo la sua uscita in età moderna.

Il volume, che qui compare, opera di un giovane studioso – Elio Franzini – tra i più validi e promettenti di quelle recenti leve di filosofi dei quali l’Estetica avverte sempre più l’urgente bisogno, nel suo svolgersi e delinearsi dimostra di conoscere perfettamente tutto questo, di saperne tesaurizzare gli avvertimenti e di conoscere quindi le necessarie distinzioni interne al campo, necessarie a chi fa teoria ma anche, e forse ancora più, a chi fa storia.

Ne esce così un’opera che non ha più niente di ingenuo o di teoreticamente inadeguato, un’opera di salda maturità non soltanto per il dominio che dimostra dei documenti presi in esame e degli orizzonti culturali in cui tali materiali si generano e si muovono, ma per il modo di organizzazione di questi stessi complessi e disparati materiali, e per la loro prudente assunzione critica dentro a una ben intelaiata e sicura sintesi.

Questa ricostruzione teoretica dell’Estetica francese del Novecento si pone così come la prima e più completa esposizione ragionata oggi esistente dell’intero corso dell’importantissimo pensiero estetico francese compreso tra la fine dell’Ottocento e oggi.

Precedenti in questo senso se ne sono avuti pochi, in verità, ed anche quei pochi generalmente parziali e lacunosi non solo bibliograficamente. Lo studioso di filosofia dell’arte, lo studente della disciplina estetica, come pure il critico dell’arte o letterario o l’artista riflessivo, possono anzitutto ritrovare qui una precisa ed aggiornata bibliografia che abbraccia l’intero panorama di un secolo di riflessione teorica francese sui più complessi problemi e fenomeni che l’esperienza artistica (o più generalmente estetica) presenta.

In attesa che altri autori (che già stan lavorando su altre culture, ma in una medesima direzione di metodo) possano in seguito ampliare la ricerca ad altri settori storici e quindi avviare il completamento di un’analisi storica e teorica dell’Estetica contemporanea (che è nei propositi di questa Collana, in cui il presente volume compare), Elio Franzini ci offre dunque i risultati di un lungo e paziente lavoro di verifica e di controllo, svolto non «a orecchio»(come purtroppo se anche visto altre volte fare) ma direttamente sul campo, nelle biblioteche francesi ed a contatto non solo dei testi, ma delle persone, delle riviste e dei circoli culturali dove il pensiero estetico si agita e si dialettizza. Come è giusto fare, del resto; ma che qui si valorizza ancor meglio per il modo di procedere all’organizzazione di così vasta materia; il modo, che non è solo quello di un’analisi attenta a non lasciarsi nulla sfuggire e di farsi pronti e sensibili ad ogni svolta, ad ogni slancio o ad ogni arresto di tutto il cammino per più direzioni avanzante degli itinerari estetici del pensiero francese, ma che è anche quello, nello sforzo critico, comprensivo e organizzativo, di una onesta e distaccata ottica storica, capace di procedere nella ricerca limite di un obbiettivo giudizio, senza gabbie ideologiche o pregiudiziali partiti presi.

Ma poiché ogni assunzione metodologica implica sempre delle decisioni e delle scelte interne, così Elio Franzini ha, molto utilmente a mio avviso, messo in atto il criterio storiografico non già sulla base di, una pura e semplice successione cronologica dei teorici e delle teorie, ma su quella, più chiaramente indicativa dei sensi e degli orizzonti teoretici, del rilievo problematico che alcune delle grandi questioni che l’Estetica pone hanno via via assunto nel corso del pensiero estetico francese nel Novecento. Questo modo di organizzazione della materia non solo rende più perspicua l’individuazione teoretica delle tematiche, ma permette di cogliere anche con maggior chiarezza gli orizzonti culturali e i limiti dell’imponente insieme di ricerche, di vario e multiverso indirizzo ma tutte immerse e nuotanti in un medesimo e ben riconoscibile clima e corso culturale, che la Francia dei grandi movimenti artistici e delle più vivaci e avanzate posizioni di pensiero ha prospettato in questo secolo. È così possibile cogliere, nel succedersi dei capitoli di questo volume, il sorgere e lo svilupparsi, anzitutto, delle tendenze epistemologiche, volte ad interrogare le possibilità «scientifiche»(in diversi sensi) – quelle che l’Estetica poteva sperimentare al proprio interno anche in relazione alla delimitazione di confini e di compiti nel più vasto ambito delle scienze dell’uomo – che caratterizzano una linea (sempre più debolmente rinascente) della riflessione estetica francese, specialmente nei primi decenni del secolo. Ma, accanto a queste istanze epistemologiche (ed anche al suo interno), ecco che si prospettano i problemi del sentimento estetico, della simpatia simbolica, della vita delle forme, dei rapporti tra arte e conoscenza, tra arte e filosofia, infine dell’emergere e provarsi di una Estetica fenomenologica e del suo intrecciarsi a volte dialettico con le filosofie esistenzialistiche e con le più avanzate ricerche ontologiche e semiologiche.

In una tale assunzione metodologica di esposizione, che si potrebbe in senso molto lato dire «fenomenologica»(per l’intenzione di fondo di far emergere – disoccultate dall’obbiettivismo e dal naturalismo in cui ancora spesso la riflessione francese si muove – una idea essenziale dell’esteticità e dell’artisticità nel suo autoevidenziarsi dentro all’esperienza e nel suo intenzionale disegnarsi e svolgersi), in una impostazione storico-metodica di questo genere, certo è possibile riconoscere, come suo diretto e sia pur limitato precedente il tentativo analogo (ma non sicuramente fenomenologico) compiuto nel 1936 da Valentin Feldman con il suo libretto di rapido sguardo «L’Esthétique française contemporaine». E già nel 1945, in un saggio che facevo precedere alla traduzione italiana di quell’opera, avevo avuto modo di notare che, se per certo ancora troppo positivistico rimaneva il tentativo di far partecipare l’Estetica come «scienza nascente»ad una «epistemologia non cartesiana", solo un’assunzione propriamente «fenomenologica»poteva legare in un valido quadro teoretico d’assieme l’intero movimento unitariamente culturale e pluri-intenzionato dell’Estetica francese contemporanea. Ora, la ripresa e la ritraduzione metodologica, oltre al notevole ampliamento ed al necessario aggiornamento, del tentativo già allora importante del Feldman (autore troppo presto scomparso nella lotta contro il nazismo), sta qui davanti a noi come un compito che era da assolvere (tra i non pochi che le lacune dell’Estetica e della sua storia ancora oggi presentano) e come un valido contributo agli studi estetici, perché altri possano trarne profitto e proseguirne gli sviluppi; in un tempo, come il nostro, in cui sempre più, a quanto pare, la frantumazione, la diaspora casuale o soggettivistica e la dispersione eccentrica delle ricerche (e delle personali esibizioni), riflette e segue da vicino quella inarrestabile e progressiva frantumazione dell’uomo che già il buon Schiller (tra amare constatazioni sulla divisione del lavoro e sulla società tecnologica ed eroici utopismi estetico-idealistici) aveva ai suoi giorni avvertito.

Del resto, la curva dell’Estetica francese del Novecento, che in questo suo lavoro Elio Franzini traccia, segue, nel suo andamento dalle sue origini sul volgere del secolo scorso fino ad oggi, in modo preciso e rivelatore questa stessa linea; la quale porta una iniziale compattezza delle ricerche, incentrate sulle istanze epistemologiche e sopra alcuni problemi di fondo di una Estetica come scienza in via di autonomizzazione, ad un riflusso di confusione dei piani e dei confini che quelle istanze autonomistiche e scientificamente unitarie frantumano e disperdono, fino al rischio – a volte assunto come direzione metodica – della dissoluzione dell’Estetica nelle più disparate ed empiriche riflessioni pragmatiche e nelle disperse frantumazioni delle più improvvisate e parzialissime folgorazioni programmatiche su questa o quell’arte, su questo o quel segno o simbolo, su la molteplicità incontrollata ed incontrollabile di molteplici centri eccentrizzati e di polarità centrifughe tutte scollate e slegate tra di loro. Dove il campo, se da un lato appare estremamente vivacizzato dai salti acrobatici che dovunque cercano (spesso invano) un qualsiasi ed ancora possibile contatto con un reale (anche estetico) che sembra sfuggire da ogni parte, dall’altro, con la perdita delle idee di scienze rigorose unificate, segna la perdita delle costellazioni di guida che tendevano a chiarire ed a tener distinti gli ambiti scientificamente ideali sui quali soltanto una scienza, come l’Estetica, in via ai fondazione e di continua rifondazione può basarsi.

Molto ci sarebbe da dire su questa curva critica, forse più involutiva che evolutiva, della riflessione estetica che oggi abbandona la sua spinta a coerenti e scientifiche unità teoretiche e filosofiche per disperdersi, al di là delle teorizzazioni generali e delle sintesi totalizzanti, in molteplici e sparsi luoghi «di legittimazione dei discorsi e delle pratiche corrispondenti»– come opportunamente, nelle sue Conclusioni, cita lo stesso Franzini.

Eppure, proprio nella sua estrema vivacità problematica, l’Estetica francese contemporanea ci offre mille spunti e ci presenta molteplici indicazioni sparzializzanti e sdogmatizzanti per un continuo rinnovamento della ricerca estetica, quasi ad offrire, contro le astrazioni eccessivamente indurite e metafisicheggianti, le tentazioni viventi e materiali per un auspicabile ritorno alle «cose stesse», al farsi ed ai fatti esperienziali e fenomenici dei mondi sensibili e dell’arte. Anche se, bisogna dire, precise distinzioni di campo, come quelle tra l’estetico e l’artistico nel costituirsi regionale delle esperienze (genericamente dette «estetiche»), od ancora nelle ontologie regionali culturali che tracciano precisi confini tra la riflessione estetica puramente filosofica e i piani pragmatici delle poetiche e delle critiche letterarie od artistiche, od ancora quelle tra segni linguistici informativi e organizzazioni segnico-simboliche artistico comunicative e altre simili, mancano in gran parte o addirittura del tutto in questa ricchissima rete di itinerari che costituiscono l’Estetica francese contemporanea. E bisogna anche dire che, in tanto sospetto della teoreticità filosofica, che spesso attraversa questo importante capitolo della contemporanea riflessione estetica (a volte anche a livello filosofico), non sembra che le più recenti manifestazioni del pensiero francese (alle soglie delle quali doverosamente questo studio del Franzini, proprio perché «storico», si arresta), se si eccettuano rare figure (come quella notevole di Dufrenne, che proprio in controtendenza al diffuso «anti-umanesimo»nel 1968 scriveva «Pour l’homme»), vadano esenti da funambolici esercizi di astrazione e da quegli acrobatici volteggi di rarefatte figure, indubbiamente più volte a mostrare l’agilità e la sottigliezza barocca del concettualismo che non qualche solida e potente presa sul «fluente vivente" dei reali corpi sensibili nonché delle concrete forze storiche agenti nei tessuti sociali e culturali delle relazioni intercorporee oggettive.

 

Dino Formaggio

Università di Milano, Aprile 1984