Il filosofo che piange e il filosofo che ride. Immagini per Eraclito e Democrito

- a cura di Paolo Spinicci -

In uno dei suoi Dialoghi, Luciano immagina che Giove e Mercurio si improvvisino venditori di filosofi e che uno scrupoloso acquirente interroghi ad uno ad uno i sapienti delle diverse scuole, per saggiare l'opportunità dell'acquisto. E così, dopo aver interrogato Pitagora e Diogene, questo strano compratore si trova di fronte ad uno spettacolo che lo colpisce: i due filosofi che Giove e Mercurio magnificano per la loro saggezza gli appaiono uniti da un singolare contrasto poiché l'uno continuamente ride, l'altro invece piange. Il filosofo che ride è Democrito: se tutto è davvero una danza di atomi nel vuoto allora ogni vicenda umana deve rinunciare alla sua pretesa di senso e risibili debbono apparire le preoccupazioni e le cure degli uomini che non sanno adeguare le proprie passioni a ciò che la ragione del mondo ci insegna. Al riso del filosofo cui la ragione insegna a prendere commiato dalle passioni del mondo fa da contrappunto il pianto di Eraclito, il filosofo del divenire che non può distogliere gli occhi dalla caducità degli eventi, e che nel tempo che travolge tutte le cose avverte la tragicità di un mondo in cui il senso trapassa nel non senso, il valore nel disvalore, ciò che è grande e suscita ammirazione e rispetto in ciò che è infimo e deprecabile. Così un'identica intuizione della necessità del divenire del mondo e della sua radicale indipendenza dall'agire dell'uomo ed un'analoga esperienza individuale - Democrito ed Eraclito sono i filosofi che si allontanano dalla polis, guadagnando così uno sguardo disincantato sulle passioni che la travolgono - dovevano sfociare in due atteggiamenti emblematicamente contrapposti: nel riso di Democrito, nel pianto di Eraclito.

Il racconto di Luciano riprende una tradizione più antica, sulla cui effettiva affidabilità è lecito tuttavia nutrire qualche dubbio.

Certo, nel gesto di Democrito qualcosa si può scorgere: nel riso che segna il distacco dalle passioni del mondo traspare una componente "proto-cinica" che potrebbe davvero far parte della sua filosofia.

Democrito e Diogene in una Nave dei folli del 1494

Democrito, il filosofo che sostiene l'infinità dei mondi e che con l'atomismo elabora una dottrina che affida il divenire ad un meccanismo cieco, poteva davvero vestire i panni del saggio che ci invita a rinunciare ad una concezione teleologica ed antropocentrica dell'universo e a ridere quindi della pretesa di chi crede di scorgere negli eventi che accadono su questa terra un significato assoluto. La totalità delle vicende umane e l'esistenza stessa degli uomini cui naturalmente diamo tanto peso debbono apparire agli occhi del filosofo come un evento che appartiene alla storia casuale del cosmo - come un accidente che si è realizzato per caso e che, per caso, può dissolversi. Al riso della donna tracia che - dalla terra - invitava Talete a non perdersi nella contemplazione delle vicende celesti, fa così da contrappunto il riso di Democrito che dall'alto della sua meditazione cosmica non può che sorridere delle vicende terrene. Una meditazione cosmica che, nell'iconografia dell'età moderna, doveva esprimersi nell'immagine di una Terra in miniatura - in quel mappamondo che così di frequente accompagna i ritratti di Democrito.

Nel pianto di Eraclito, invece, è difficile ravvisare qualcosa che ci parli della sua filosofia: dobbiamo accontentarci di leggerlo come espressione di una forzatura che ha le sue ragioni prevalentemente sul terreno narrativo.

E su questo terreno, del resto, l'immagine del filosofo che ride su ciò di cui una diversa filosofia invita a piangere doveva trovare una larga eco.

Per leggere questo dialogo di Luciano nella traduzione di Wieland fai "clic" sul libro che dà accesso al sito Gutenberg

Luciano di Samosata

Der Verkauf der philosophischen Sekten

 

 

In età rinascimentale il conflitto di passioni tra Democrito ed Eraclito doveva essere colto prevalentemente alla luce del dibattito sulle influenze degli astri e sulla loro arcana eco nella dottrina dei temperamenti e degli umori. È in questa luce che è stato più volte interpretato l'affresco del Bramante che ritrae i due filosofi (e vi sono ragioni per credere che nei panni di Democrito si possa scorgere un autoritratto del Bramante), ponendoli sotto un fregio che dispone il contrasto tra i temperamenti sotto l'egida dei carri allegorici di Saturno e Giove. Il mondo come teatro delle passioni umane ci appare così sullo sfondo delle influenze celesti - i caratteri allegri e malinconici divengono espressione dei temperamenti gioviali e saturnini - e la dialettica degli opposti in cielo e in terra parla in nome dell'esigenza di un accordo - quell'accordo che solo può garantire alla sfera del mondo il suo necessario equilibrio. E tuttavia, proprio la considerazione che ci invita a temperare gli umori reca con sé la vena amara della malinconia: la saggezza che ci invita a trovare un accordo tra il riso e il pianto è già espressione di un temperamento malinconico che sa guardare al mondo, senza rinunciare al distacco di chi se ne fa soltanto spettatore.

Del resto, un'interpretazione del riso di Democrito in cui la filosofia si intreccia con la medicina e la saggezza del mondo con la saggezza filosofica aveva un precedente illustre: lo scritto dello Pseudo Ippocrate sul riso e sulla follia.

 

 

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Bramante, Eraclito e Democrito, 1487

Di questo luogo letterario doveva tuttavia impossessarsi soprattutto la pittura seicentesca. E non a caso. Per la cultura pittorica del Seicento, così attenta alla dinamica delle passioni e così sensibile al fascino dei contrasti, quanto ai soggetti che promettono una qualche divagazione speculativa, il compito di rendere insieme il riso e il pianto e di coglierli sul volto di due antichi filosofi della grecità doveva porsi come una prova cui era difficile sottrarsi.

Gli esempi non sono difficili da trovare. Così Rubens dipinge il riso di Democrito:

Peter Paul Rubens, Democrito, 1603

Ora che è tenuto stretto tra le mani, il mappamondo diviene espressione di quale sia la vera grandezza del nostro pianeta per chi lo contempla alla luce di una ragione disincantata. Della pretesa serietà delle vicende umane il filosofo può sorridere e la mano che indica il mondo in miniatura vale evidentemente come un invito che ci viene rivolto e che ci chiede di assumere rispetto alla vita un atteggiamento di ironico distacco.

 

Si foret in terris, rideret Democritus

(Orazio, Epistole, II, 194)

 

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Peter Paul Rubens, Eraclito, 1603

Al riso di Democrito Rubens affianca il pianto di Eraclito, che in questo suo disegno sembra davvero trarre le conseguenze emotive di una filosofia pessimistica.

Il filosofo del divenire ci appare così come il filosofo che piange per la caducità delle cose, per l'inconsistenza di tutto ciò che è.

Vuoi nel tramonto

bagnarti lieto? Già si è spento, e la terra è fredda,

e frulla l'uccello della notte

sinistro innanzi ai tuoi occhi

(F. Hölderlin, Brevità)

 

Velázquez ritorna su questo tema proponendoci un'immagine di Democrito che non è molto dissimile da quella di Rubens:

Ve

Particolare

Particolare

Anche qui Democrito ride, e ride di un mondo troppo piccolo per essere preso sul serio.

Il filosofo può apparirci così ancora una volta nei panni del saggio che ci invita a guardare con disincanto le vicende umane: la dottrina dell'infinità dei mondi può apparirci così come una metafora della contingenza e dell'accidentalità di ciò che nel nostro accade.

"Chi fosse in grado di fissare tale riflessione diverrebbe, da uomo ridicolo, uno che ride, un Democrito ridente" (Arthur Schopenhauer)

Lo "strano contrasto" che non poteva non stupire il compratore del dialogo di Luciano, ricompare del resto nei quadri di van Haarlem e di Luca Giordano. E tuttavia chi osservi queste coppie di quadri non può non notare che qui qualcosa è mutato - il riso del padre dell'atomismo sembra avere smarrito infatti la sua piega tragica, per assumere un significato nuovo. Nel ritratto di ter Brugghen la svolta è compiuta: il riso carico di risonanze filosofiche di Democrito si è trasformato in una risata che sembra esprimere una adesione beffarda alla vita. Il mondo, indicato come un oggetto lontano, ci appare ora come una sfera variopinta, ornata di animali fantastici, come un mondo abitato da stringere a sé.

Cornelis van Haarlem, Eraclito e Democrito

Luca Giordano, Democrito

 

 

 

perpetuo risu pulmonem agitare solebat Democritus

(Giovenale, Satira decima, vv 33-34)

 

Luca Giordano, Eraclito

ter Brugghen, Eraclito e Democrito, 1627-28

 

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Proprio come nei versi del Marino, che pure muove da una esibita professione di pessimismo che sembra ricondurci verso l'interpretazione tradizionale di questo luogo letterario, anche qui il contrasto tra il filosofo che piange ed il filosofo che ride perde almeno in parte il suo valore metafisico e diviene cifra della mutevolezza delle passioni e degli atteggiamenti umani.

E conchiudete pur che ben conviene

Che 'n un mar la cui fede è tanto infida,

fra tante or liete, or dolorose Scene

l'un Filosofo pianga, e l'altro rida.

(Giovan Battista Marino)

 

 

Per leggere i versi del Marino su Eraclito e Democrito fai clic sul libro

Giovan Battista Marino,

Heraclito e Democrito, in La galleria del cavalier Marino divisa in pitture e sculture, Venezia 1620.

a cura di Paolo Spinicci

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