2. Focillon e la vita delle forme

 

 

Nell'opera di Focillon non bisogna senza dubbio cercare un «sistema estetico» in quanto le sue frammentarie indicazioni trovano i loro presupposti nella lettura dei «maestri» del formalismo europeo e, soprattutto, nel contatto diretto con il mondo concreto dell'arte orientale ed occidentale, sino all'esame minuzioso di alcune «arti minori», di particolari tecniche pittoriche inerenti al disegno o all'acquaforte.

«Tecnica» e «sentimento» - per riprendere il titolo di una sua raccolta di saggi del 1919 - sono i due parametri principali entro cui va inserito l'intero arco della sua opera di storico dell'arte e d'estetologo. «Tecnica» perché l'opera d'arte stessa è protagonista del divenire e costruirsi delle sue proprie «forme»; «sentimento» in quanto tali forme sono all'origine di personali ed irriducibili sfere affettive. Esse infatti non sono dei segni, non rinviano ad altre cose, «non producono emozioni psicologiche, non esprimono nulla: esprimono loro stesse»[11]. L'autonomia delle forme deriva dunque dal «possesso» della materia attraverso la tecnica artistica, da un loro stratificato e lento formarsi fra stati di coscienza ed idee generali, in una «cieca agitazione sepolta nell'intelligenza»[12]. Il sensibile in tutta la sua realtà «naturale» e così, come subito comprese A. Baratono, la realtà totale in cui si realizza la pienezza comunicativa dell'opera d'arte, la sua autonoma forma come una «cosalità» pervasa da una vita spaziale e temporale. Ma non un sensibile confuso o indistinto bensì una «metafora dell'Universo» che è origine di un processo conoscitivo dove le relazioni formali in un'opera o fra le opere costituiscono la perfezione di un ordine.

La Vie des formes - opera che deriva da una conferenza tenuta nel 1934 alla «Associazione per lo sviluppo dell'arte», progenitrice dell'attuale «Società francese d'Estetica», vuole mostrare che «l'opera d'arte è un tentativo verso l'unico, si afferma come un tutto, come un assoluto e, nello stesso tempo, appartiene a un sistema di relazioni complesse»[13]. Possiamo così spiegare Focillon applicando alla sua opera le parole che Banfi aveva usato per Fiedler:

«la contemplazione è obiettiva, ma l'oggetto non è qui un'immagine ideale o un'idea che si nasconde sotto la forma sensibile, ma la struttura stessa di questa sensibilità che nell'arte si libera dall'oscuro e confuso tumulto o dall'astratta riduzione dell'esperienza comune e appare come concreta, significativa realtà»[14].

Pur ricordando infatti che Fiedler raggiunse l'alta consapevolezza di una necessaria distinzione fra «artistico» ed «estetico», comune a entrambi è la consapevolezza che «l'arte non può ricevere dal di fuori, come per mezzo di un confronto, la propria imprescindibile legge: essa risulta dall'interiore armonico equilibrarsi degli elementi dei quali essa consiste»[15].

Ogni attività si definisce dunque, in Focillon, nella misura in cui prende forma inserendosi nello spazio e nel tempo, diviene una «forma artistica» che «esercita una specie di calamitazione sui diversi significati o piuttosto si presenta come una specie di stampo in cui l'uomo versa di volta in volta materie molto dissimili che si sottomettono alla curva che le preme, acquistando così un significato inatteso»[16]. Il disegno della forma è lo stesso dello spirito che crea e si crea, che costruisce, attraverso un lavoro tecnico che è la sua stessa vita, la vita della natura. Le forme, infatti, «obbediscono a regole loro proprie, insite in loro o, se si vuole, nelle regioni dello spirito che sono la loro sede e il loro centro»[17].

Le forme, pur caratterizzandosi come essenze in grado di conoscere la realtà circostante, non sono platoniche astrattezze sospese al di sopra della concreta mondanità bensì, anche a costo di perdersi in un'aspecificità fondazionale, si mescolano alla vita da cui derivano disegnando nello spazio determinati movimenti dello spirito.

Si raggiunge in tal modo, dopo l'identificazione compiuta da Guyau e Bergson. e la relativizzazione analitica di Lalo, una terza modalità di considerare il fondamentale rapporto arte/vita: una fusione nella realtà razionale della forma, nel suo vivere spaziale, in uno spazio dove l'opera d'arte non solo si colloca ma anche costruisce e definisce secondo sue proprie intrinseche esigenze. La vita delle forme, infatti, nel suo storico incessante rinnovarsi, «non si elabora secondo dati fissi, costantemente e universalmente intellegibili, ma genera diverse geometrie all'interno della geometria stessa, come si crea la materia di cui ha bisogno»[18].

La forma è quindi una realtà complessa con un interno movimento fenomenologico attraverso cui si determina e manifesta nella stratificazione costitutiva del suo essere: «ogni scienza dell'osservazione - scrive Focillon - specialmente quella che ha per oggetto i movimenti e le creazioni dello spirito umano, è essenzialmente una fenomenologia nel senso stretto della parola»[19]. La forma che vive nella materia non è un principio superiore che modella una massa passiva ma si identifica con la materia stessa o, meglio, la materia impone la sua propria forma alla forma in quanto le materie comportano un certo destino o, se si vuole, una certa «vocazione formale». La materia naturale, la materia «bruta», viene così trasfigurata nella materia dell'arte, che non è un dato fisso e acquisito ma una continua trasformazione e novità. La nozione di materia artistica si riallaccia quindi al problema generale della tecnica, tecnica che solo nel lavoro sulle materie dell'arte acquista la pienezza della propria capacità formativa. Nell'arte le tecniche si compenetrano e tale interferenza tende a sua volta verso la creazione di nuove materie: e questo principio è uno degli strumenti fondamentali per interpretare il divenire delle forme nell'arte poiché l'incontro fra le tecniche costituisce la profonda coscienza storico-costruttiva dell'arte stessa. Attraverso un «elogio della mano» che si prolunga nella materia, Focillon mette in luce «la potenzialità rivelante di un'estetica a tendenza fenomenologica, capace di riconquistare, in tutta la sua interna varietà e complessità di significanti e di modi, la dinamica del-dell'arte come realtà e come storia»[20].

La forma che si determina nello spazio e nella materia appartiene anche a uno spirito come «creazione interiore» di un mondo «complesso, coerente, concreto». Essa non è il «proposito» dell'azione ma l'azione stessa che, come in Delacroix o Alain, possiede una serie stratificata di momenti: come la materia ha una sua propria «vocazione formale», ogni forma ha una «vocazione materiale» già abbozzata nella vita interiore. La «mano» lavora anche nello spirito e solo in questa dimensione apparentemente astratta pone le premesse per una concreta costruzione. L'idea stessa dell'artista è forma, forma è anzi tutta la vita - psicologica o esteriore - in cui è inserito, tutte le facoltà che il «vivere» risveglia. Per tale motivo «i rapporti della vita delle forme con le altre attività dello spirito non sono costanti e non potrebbero essere definiti una volta per tutte»[21].

La vita delle forme, al di là del loro lato «intemporale», si svolge anche nel tempo, in un interna temporalità così come nel tempo storico. Vi è infatti, in primo luogo, un «ordine interno» del tempo nell'opera d'arte, che non va identificato con il tempo generale della storia, che non è «un succedersi ben scandito di quadri armonici, ma, in ognuno dei suoi punti, diversità, scambio, conflitto»[22]. L'ambiente sociale con il suo tempo storico è senza dubbio il milieu dell'opera d'arte, la cui realtà temporale non può tuttavia venire ridotta a tale storicità sociale che non la definisce nel suo principio né nella particolarità della sua forma.

La temporalità specifica dell'opera d'arte non viene così compresa né dalle concezioni metafisico-bergsoniane né dal riduzionismo di certo positivismo o marxismo in quanto «l'artista abita una regione del tempo che non è necessariamente la storia del suo tempo»[23]: esiste invece nella sua forma una specie di struttura mobile del tempo in cui intervengono diversi ordini di rapporti secondo la diversità dei movimenti materiali, spaziali o, in modo specifico, temporali, che, in ciascuna opera d'arte, costruiscono un «ambiente umano» con una Specifica realtà storica e psicologica. L'arte non e quindi un epifenomeno, una sovrastruttura, bensì un momento costitutivo-strutturale della realtà sociale attraverso la molteplicità di fattori - linguistici, etnici ambientali, sociali, psicologici - che in essa agiscono: «proprio questa molteplicità di fattori - scrive Focillon - si oppone al rigore del determinismo e, spezzettandolo in azioni e reazioni innumerevoli, provoca da ogni parte crepe e disaccordi». In tale realtà complessa e irriducibile si situano quei «mondi immaginari» dove l'artista e «il geometra e il meccanico, il fisico e il chimico, lo psicologo e lo storico»: qui la forma, «per il gioco delle metamorfosi, va perpetuamente dalla sua necessità alla sua libertà»[24].

Focillon rende quindi possibile, come scrive Baratono, una estetica della pura forma Sensibile che sia anche ricerca attiva di uno stile. Siamo cosi usciti in modo definitivo dai problemi della psicologia della creazione, del genio e del gioco che avevano caratterizzato l'estetica francese dai pensatori del tardo positivismo sino a Delacroix, Lalo o Segond: ora il problema della creazione non riguarda più la psicologia del creatore, la sua fisiologia o i valori sociali con cui entra in rapporto ma il farsi concreto di un'oggettività autonoma svincolata dallo «psicologismo» riduttivo di quelle univoche dottrine.

Con Focillon siamo di fronte a una nuova «consapevolezza fenomenologica» all'interno della meditazione estetica, meditazione che incentra il proprio interesse sulla forma autosufficiente considerata nel suo stile e nelle sue principali determinazioni costruttive. Focillon si svincola quindi da ogni tipo di «soggettivismo» e coglie il principale valore dell'opera d'arte nella vita delle forme, attività che ha in se stessa il proprio fine. Nel compimento di questo programma egli non «ostacolato», come Souriau e Bayer, da una filosofia che pone in Primo piano istanze teoretiche poiché ha di fronte a sé solo l'opera d'arte nella sua viva realtà formale indipendente da polemiche filosofiche, la creazione tecnica dell'artista su di una materia posta nello spazio e nel tempo: «nello spirito del pittore c'e una mano che lavora e crea il concreto nell'astratto destando la forma, non al di sopra ma dentro la sua stessa sensibilità d'artista»[25]. Il valore artistico è integralmente presente nella forma sensibile dell'opera e in essa si esaurisce.

E'quindi difficile affermare con certezza se a Focillon sia o meno possibile rivolgere quella critica che Fiedler, come ricorda Banfi, lanciava a Herbart, affermando che la sua opera era un «formalismo estetico», una teoria formale del bello incapace di rendere conto della concreta oggettività dell'arte, quando invece, a parere di Fiedler, l'arte non è solo costruzione tecnico-formale ma una serie di processi, in primo luogo tecnici, che determinano

«gli assi e le dimensioni di una nuova realtà che s'offre all'intuizione; realtà che s'afferma nell'opera d'arte, ma sfuma ben oltre di essa ad involgere tutta l'esperienza; realtà che è l'incontro pacificato ed armonico in cui l'io e il mondo sembrano aver raggiunto la loro immediata verità»[26].

È tuttavia indubbio che da queste basi Fiedler sviluppa la sua estetica verso una distinzione fra artistico ed estetico che Focillon (e in seguito Souriau) neppure lontanamente prospetta, forse proprio per l'incapacità di elaborare, accanto alla teoria della forma, un'analisi degli atteggiamenti soggettivi di fronte all'opera d'arte. Solo in tale contesto Focillon avrebbe compreso che il «bello», ciò che piace esteticamente, non possiede di necessità valore artistico, che è connesso a valori e norme estetiche ed extraestetiche e che deriva comunque da un movimento di genesi intenzionale fra il soggetto e l'oggetto nel loro incontro all'interno del campo percettivo. Se si elimina, come accade in Focillon, la sfera della soggettività estetica non si potrà comprendere la totalità del fenomeno artistico pur cogliendone un lato importante in un'autonomia strutturale che è sicura barriera nei confronti di più o meno dichiarate interpretazioni psicologiche. L'unione dei due campi, che è il fine dell'estetica fenomenologica di M. Dufrenne, non viene peraltro ipotizzata da Focillon né dai formalisti «filosofi» suoi contemporanei. Egli vuole soltanto spiegare lo slancio delle forme non in un indistinto divenire ma, come scriveva Baratono, in «un sano e quadro aristotelismo, che cerca nei puri valori formali (...) la realtà dei contenuti»[27].

E'quindi chiaro che le analisi di psicologia della creazione alle quali, con Delacroix e Alain, va l'indubbio merito di avere condotto la nascente estetica francese sul problema teoretico della tecnica, escono dall'ambito dell'estetica di Focillon, attento invece ai caratteri stilistico-formali del divenire dell'opera co-me insieme di contenuti che si svolgono nello spazio e nel tempo. Questo atteggiamento dì fronte all'opera d'arte, che Dessoir aveva chiamato «oggettivistico», non è tuttavia l'unico presente nel panorama dell'estetica francese del Novecento dove, come esaminato in Delacroix, ha largo spazio anche un tipo di analisi che vede ricorrere nella psicologia soggettiva dell'artista elementi e fasi immanenti alla sua vita di coscienza e allo specifico rapporto che essa instaura con la materia esterna che deve formare attraverso una prassi tecnico-produttiva.

Tali influssi, pur visibili nel pensiero di Souriau e Bayer, vivono nel corso del secolo nell'asistematicità paradossale di P. Valéry, poeta «nemico dell'estetica» e tuttavia primo presidente (con M. Ravel vicepresidente) della Società francese di Estetica, «razionalista» vicino ad Alain e nello stesso tempo creatore di metafore paradossali sul processo insieme prosaico e «sognante» della creazione artistica, stimolatore per tutta la cultura francese e, in particolare, riconosciuto maestro per lo stesso movimento del «realismo razionalista».

Così, accanto a Focillon, un altro «non filosofo» è all'origine della moderna estetica filosofica in Francia, segno indubbio del già ricordato interesse teorico degli artisti - da M. Denis a P. Claudel, da G. Apollinaire ad A. Gide, da Debussy a Valéry e Malraux - nei confronti delle tematiche estetiche, dello statuto dell'oggetto e del suo rapporto con la nostra vita interiore soggettiva.

L'estetica infatti, scrive Valéry, è una «grande ed anche irresistibile tentazione» che nasce dal fatto che «quasi tutti gli esseri che sentono vivamente le arti fanno un po' più che sentirle; non possono sfuggire al bisogno di approfondire la loro gioia»[28].

 

Note

[11] G. Morpurgo-Tagliabue, op. cit., p. 151. La passione per la tecnica era nata nel giovane Focillon, ricorda D. Formaggio nella Fenomenologia della tecnica artistica, cit., p. 67, imparando a conoscere gli strumenti di lavoro del padre, noto incisore.

[12] H. Focillon, Technique et sentiment, Paris, Laurent, 1919, p. IV.

[13] H. Focillon, Vita delle forme, cit., p. 51.

[14] A. Banfi, Introduzione a K. Fiedler, Aforismi sull'arte, cit., p. 10.

[15] K. Fiedier, Aforismi sull'arte, cit., p. 177.

[16] H. Focillon, Vita delle forme, p. 58.

[17] Ibid., pp. 71-2.

[18] Ibid., p. 116.

[19] Ibid., p. 118.

[20] D. Formaggio, Studi di estetica, Milano, Renon, 1962, p. 281.

[21] H. Focillon, Vita delle forme cit., p. 149.

[22] Ibid., p. 180. Con questa espressione Focillon non solo si presenta come erede di Delacroix ma aderisce al profondo convincimento del nascente «realismo razionalista».

[23] Ibid., p. 181. Parole simili dirà in seguito A. Malraux.

[24] Ibid., p. 184.

[25] A. Baratono, op. cit., p. 21.

[26] A. Banfi, Filosofia dell'arte, Roma, Editori Riuniti, 1962, p. 299.

[27] A. Baratono, op. cit., p. 35.

[28] P.Valéry, Introduction à la méthode de Leonard, Paris, Gallimard, 1962, p. 102. Anche il «vicepresidente» M. Ravel è, come Valery, convinto sostenitore del pnmato del mestiere sull'ispirazione. Sulla sua concezione dell'opera «combinazione» si veda V. Jankélèvitch, Ravel, Paris, Seuil, 1956.