Le parole della filosofia, III, 2000

Seminario di filosofia dell'immagine


La legge della cornice

Un aspetto della morfologia di Jurgis Baltrušaitis

- Maddalena Mazzocut-Mis -

Capitelli con Atlanti, XIV e XV secolo 

1. La visione morfologica di Baltrušaitis può essere definita una vera e propria scienza della deformazione. L’indagine sui luoghi dove la deformazione si fa evidente, dove le forme colpiscono per la loro apparente enigmaticità è l’aspetto privilegiato del suo modo di procedere. Non c’è forma mostruosa o semplicemente curiosa che Baltrušaitis non indaghi con il gusto dello scienziato meticoloso che dietro al caos scopre leggi intelligibili. Anche le forme all’apparenza illogiche ricevono così una loro chiara legittimità. Le prospettive depravate - siano esse quelle dell’architettura romanica o gotica, delle anamorfosi, dell’ottica, della fisiognomica o della mitologia - sono parte integrante della sua metodologia di ricerca che si sviluppa nel corso degli anni. In particolare sono le prime ricerche che qui prendiamo in considerazione, quelle nelle quali si risente ancora fortemente l’influsso del maestro Focillon e che hanno come oggetto privilegiato l’indagine del decoro Romanico e Gotico.

Non a caso il crepuscolo dell’arte romanica è ricco di mostri, di forme terrificanti e l’arte gotica ne conserva alcune, la cui vitalità si manifesta sotto nuove spoglie.

Bestiario dei margini, c.a 1340

Per Baltrušaitis, le fantasie e le illusioni non sono incidenti del pensiero come i mostri non sono scherzi dell’arte o della natura. La fantasia non genera mostri: è la ragione, paradossalmente, a crearli con consapevolezza e secondo una precisa volontà. La fantasia non è libera creatrice, ma suddita delle leggi delle forme. "Le aberrazioni contengono anche verità metafisiche" (J. Baltrušaitis, Aberrazioni, cit., p. 9) e tali verità vanno ricercate in ogni luogo e in ogni direzione, poiché la vita delle forme non ha confini.

 

Formazione-deformazione sembrano essere tutt’uno, dal momento che ogni forma formata rappresenta la genesi di una deformazione. Il regno del possibile, il regno dell’arte, si individua proprio nelle categorie contrastanti di caos e cosmo, di dinamica e statica, di ordine naturale e ordine artificiale. Contrari che sempre confluiscono l’uno nell’altro, all’interno di un continuo farsi, di un continuo movimento che garantisce la molteplicità delle sfumature. Il movimento formale, la genesi formativa, la forma in formazione, quale energia plasmante, sono essenziali tanto per l’opera d’arte quanto per la vita.

Cogliere le forze formative dell’arte, siano esse intrinseche all’opera oppure individuabili in un percorso morfologico estrinseco, è il compito che Baltrušaitis si propone. Le forze invisibili sono quelle dettate dall’ordine matematico e geometrico, dalla coerenza intrinseca delle strutture e delle masse architettoniche, dalla coercizione delle cornici, dalla stessa dinamica morfologica che si impone inesorabilmente alla fantasia dell’artista o del decoratore. Figure realistiche, oppure deformate, contorte, allungate affiorano da un universo di forze sempre calcolabili con precisione.

Si prenda ad esempio la resa della figura umana nel decoro medievale: "un ordine scultorio che non è determinato dalla figura umana, considerata come fissa e tipica, comporta inevitabilmente la sua deformazione". È proprio il bisogno di simmetria e di ritmo nella ornamentazione, che porta allo squilibrio e all’aberrazione della forma umana normale; nello stesso tempo si scopre, in tale consapevolezza deformante, una modalità di espressione del tutto originale e innovativa e un nuovo linguaggio di grande potenza ha origine. "Le bestie, deformate, divengono mostri. L’uomo, sottomesso allo stesso trattamento, acquista una straordinaria mimica. Una mano sproporzionata, un gesto convulso, un corpo piegato, curvo, disarticolato sono capaci di suggerire la minaccia, la tenerezza, il dolore, l’estasi"(J. Baltrušaitis, Etudes sur l’art médiéval en Arménie et en Géorgie, cit., p. 66).

Bestiario dei margini, 1326-27

La deformazione è paradossalmente il sintomo di una legge sottostante. Mostrando come la scultura romanica possa essere considerata un tutto, Baltrušaitis ricava infatti leggi formali all’interno delle quali l’artista deve muoversi. La legge d’attrazione della cornice, in base alla quale ogni invenzione plastica dipende dall’architettura e vi si conforma, è associata a una seconda legge, quella dello schema geometrico, per cui esiste un ordine che determina l’influenza della figura geometrica sulla materia figurativa. Siamo di fronte a una sorta di dialettica ornamentale che si gioca esclusivamente all’interno di complesse combinazioni e schemi astratti. Tutta la varietà dell’invenzione plastica (mostri scultorei compresi) può giostrarsi esclusivamente all’interno di questo sistema. Nessuna fantasia, nessuna ardita invenzione è concessa all’artista. "L’ornamento, come figura astratta, poteva essere analizzato non come un insieme di forme indipendenti, inventate secondo il capriccio, ma come una serie di combinazioni legate tra loro, tanto da sembrar nascere e derivare le une dalle altre come gli elementi del ragionamento matematico" (J. Baltrušaitis, La stylistique ornementale dans la sculpture romane, cit., p. X). Esistono per Baltrušaitis poche forme geometriche tipiche in base alle quali - e secondo un punto di vista ornamentale - sono modellati i soggetti.

Proprio nell’allungamento antirealistico dei corpi umani costretti nelle cornici delle cattedrali medievali, Baltrušaitis cerca anche un luogo espressivo, uno spirito narrativo. Sì, perché per Baltrušaitis, al di là della deformazione, l’arte ancora sa e vuole raccontare. "Lo spirito narrativo sussiste nella scultura e lì si combina con il procedimento astratto. Può sembrare in un primo momento che essi siano in contraddizione, che ognuno abbia il suo campo e lavori per conto proprio. Ma un terzo elemento interviene: il genio deformatore. È lui che è riuscito a farli collaborare" (J. Baltrušaitis, Etudes sur l’art médiéval en Arménie et en Géorgie, p. 67).

La fascinazione del risultato può essere imprevedibile a partire dal semplice calcolo. Lo scultore romanico è quindi impegnato in sofisticati giochi di deformazioni ed incastri, costruendo e decostruendo forme e figure, secondo la logica della morfologia che non ammette deroghe. Le deformazioni fantastiche diventano deformazioni calcolate e viceversa poiché i due elementi non sono distinguibili.

 

2. Ritmo e geometria sembrano essere uno dei canoni dell’estetica di Baltrušaitis. Un ritmo e una geometria che, mai fine a se stessi, sono immediatamente espressione e danno luogo a una narrazione, a un racconto. La deformazione calcolata, i mostri prodotti dalla geometria fanno nascere sentimenti. L’artista medievale non si accontenta di una macchia accidentale, di un mostro leggibile attraverso trame casuali, ma segue e calcola sul muro un ordine, un movimento delle linee e vede così nascere nuove figure, animali e uomini le cui fattezze sono volutamente distorte, volutamente aberranti. Dietro ogni forma, sia essa anche all’apparenza casuale, si nascondono una volontà e una logica. Tuttavia nell’arte, anche in quella più ‘geometrizzante’, la narrazione evade sempre il mero esercizio tecnico. L’equilibrio di un quadro non è mai "la semplice risultante di un equilibrio geometrico delle forme o di una dosatura dei toni, delle saturazioni o dei valori". Piuttosto esso è dato da "una serie di squilibri sottili, di traslazioni, di compensazioni" (I. Meyerson, Forme, couleur, mouvement dans les arts plastiques (1953-1974), "Introduction" di B. Dorival, Adam Biro, Paris 1991, p. 41.).

Il rapporto tra geometria e arte è dunque complesso e delicato. Baltrušaitis lo analizza in un contesto particolare che è quello dell’ornamento romanico. Le forme bizzarre e mostruose sono spiegate attraverso l’utilizzo di regole geometriche ferree. Ma nel contempo la geometria diventa a suo modo un propulsore della fantasia, un luogo dove si sviluppa la sensibilità dell’artista. La geometria in questi casi convive con le leggi delle cornici architettoniche che impongono contorcimenti e schemi. Tuttavia "elaborata attorno e a partire dalle cornici architettoniche, la geometria prosegue le sue speculazioni lineari per conto proprio. Nate da labirinti ornamentali, la fauna e l’umanità fantastiche ne fuggono e continuano a moltiplicarsi in libertà. I sistemi si riproducono e si ripetono in un certo automatismo, come in virtù della velocità acquisita su un terreno sempre propizio" (J. Baltrušaitis, Formations, déformations, cit., p. 215). Per Baltrušaitis si tratta di una vera e propria visione del mondo fatta di angoli, rette e curve. "Certi pensatori non hanno visto nella geometria l’anima stessa dell’universo?" (Ibid., p. 216).

Così, qualunque linea tracciata, sia essa opera di un pittore o di un incisore che rappresenti l’effigie di un uomo o sia un semplice decoro ornamentale astratto, può ricevere due interpretazioni: è prima di tutto espressione geometrica, rapporto numerico e proporzionale, lucida e coerente organizzazione dello spazio e insieme "valore narrativo", linguaggio che traduce un racconto. Entrambi gli aspetti trovano un accordo quando, nella creazione artistica, si assiste alla necessità di legare armonicamente la struttura delle forme e il desiderio di dare vita alla qualità espressiva di un linguaggio. Nella scultura romanica le due esigenze sono per Baltrušaitis sempre associate. La geometria delle forme, le necessità della struttura, diventano i mezzi della narrazione. In tal modo le forme si modificano, si distorcono, si allungano o accorciano. La geometria diventa uno strumento sensibile.

Gli esempi di Baltrušaitis abbondano. Ne è uno lo studio che egli conduce sull’evoluzione dell’ornamento ad intreccio, in Transcaucasia, quale risultato dello sviluppo di una tendenza matematica. "È un vero culto del numero e della geometria che si impone alla forma ornamentale. Un’opera d’arte così concepita non è il risultato di un gioco. [...] Non è un’improvvisazione che ha spontaneamente trovato questa diversità di forme; è il calcolo rigoroso di una scienza maestra di tutti i suoi procedimenti. Lo scultore è un geometra. Egli cerca le soluzioni di problemi di ordine matematico e iscrive i suoi esercizi sulla pietra. I suoi procedimenti sono essenzialmente analitici. [...] Il cerchio è concepito come un sistema di raggi e di quarti di cerchio; il quadrato come sistema di diagonali e di assi; il poligono, come una combinazione di differenti figure rudimentali: due quadrati, due triangoli, ecc. La forma non è mai unità ma unione di elementi. Questi calcolatori lavorano non alla ricerca di nuove sintesi, di nuove unità, ma alla frammentazione e alla decomposizione analitica di qualche forma rudimentale" (J. Baltrušaitis, Etudes sur l’art médiéval en Arménie et en Géorgie, cit., pp. 18-19).

Uno schema geometrico, che viene elaborato dalla "matematica architettonica", può servire da base a diverse composizioni scultoree che si piegano appunto alle leggi della geometria e inventano mostri terribili che sono tutt’altro che il risultato di un capriccio ma la rigorosa applicazione di un principio assoluto. Perciò basta un cambiamento dell’ordine formale per produrre immediatamente la formazione di un organismo, di un animale, di un uomo con caratteri del tutto anomali.

L’arte si esprime quindi utilizzando strutture semplici, riducibili in poche formule elementari, spesso seguendo un modello, un piano. La riducibilità al semplice sembra rappresentare, per Baltrušaitis, un ideale ‘estetico’. Il complesso, la forma, nella sua variegata molteplicità, danno spazio a un rigore, che tende a ridurre al semplice intelligibile quella insostituibile complessità che l’arte comunque manifesta. Così, al di là di qualsiasi considerazione sul genio, anche l’immaginazione "opera con una precisione da orologeria, smontando e rimontando gli elementi su un telaio standardizzato che può servire a un’infinità di sistemazioni". Ma non si tratta di semplici manipolazioni meccaniche; al contrario qualsiasi mezzo, sia esso matematico, geometrico o tecnico-ingegneristico, ridà vita nuova a una fauna e a una flora che non si riconoscono più appartenere al regno regolare della natura. Siamo di fronte a un vero e proprio bestiario, siamo di fronte a un meccanismo visionario che deve sempre fare i conti con un geometrismo via via imperante. "Triangoli, quadrati, cerchi non compongono solo una figura animata ma la penetrano" (J. Baltrušaitis, Formations, déformations, cit., p. 232).

Forma vivente e forma astratta si combinano dando luogo a bestiari curiosi. "I personaggi e le bestie assumono un aspetto paradossale, diventano essi stessi geometria. Il bisogno di simmetria e di unità dà origine a mostri bicefali": ad esempio, le corna di uno stambecco possono descrivere un cerchio mentre il corpo risulta composto da due triangoli che si incontrano ai vertici, oppure due stambecchi possono fondersi dando origine a un corpo con due teste. Ricercando la ripetizione, l’artista moltiplica le membra dei quadrupedi oppure fa in modo che un semplice mollusco si trasformi in un fantastico centopiedi. "L’essere umano subisce lo stesso trattamento. Si sopprime la testa, si modifica l’aspetto delle sue membra e con ciò che resta si compongono varie figure ornamentali. L’artista, sovrapponendo e allineando più volte i triangoli formati dal tronco e dalle braccia, crea una nuova immagine. Anche le gambe e le braccia staccate dal corpo costituiscono curiosi ornamenti. Nulla può sottrarsi a questa metamorfosi". A volte la figura geometrica sembra affiorare in modo spontaneo dall’immagine di un essere vivente, sia esso animale o uomo; altre volte, invece, essa è imposta, deformando profondamente la figura iniziale; infine può essere eventualmente originata da una volontà di ‘deformazione simbolica’. È certo comunque che in tutti questi casi vi è una "stretta collaborazione tra l’astratto e l’anima". Tuttavia ciò che interessa maggiormente Baltrušaitis è riscontrare che quel determinato stile "che sa dare forme impersonali e schematiche a tutta la varietà della vita, che compone e combina i corpi dei personaggi e delle bestie come figure geometriche e che deforma il materiale immaginario", si può ritrovare già nelle civiltà più antiche, testimoniando che esso è parte integrante di una certa ‘volontà di forma’ (J. Baltrušaitis, Art sumérien, art roman, cit., pp. 12-13).

Nella depravazione delle figure, Baltrušaitis cerca le leggi di organizzazione delle forme stesse: il mostruoso rappresenta paradossalmente la condizione della perennità dell’ordine, di cui appare tuttavia anche la deviazione. Il mostro non è il polo negativo della bellezza, della regola, ma riassume e condensa in sé le opposizioni; perciò, nei testi di Baltrušaitis, esso allarga indefinitamente la sua capacità gnoseologica, diventando simbolo della potenza dell’arte, la quale non nasce dal caos o dal deforme, ma da calcoli e strutture. Il caos e la deformazione ne sono il risultato.

Baltrušaitis, interrogandosi sull’origine delle deformazioni fantastiche, trova la chiave interpretativa dell’enigma dell’arte. La deformazione è un segno che nasconde il carattere universale delle leggi delle forme. Se quindi l’arte non nasce deforme, essa tuttavia si sviluppa nella metamorfosi del mostruoso. L’artista possiede il dono di cogliere il deforme allo stato nascente e di svilupparlo secondo rigide regole. I grandi spettacoli della deformità animale vengono incorporati nella struttura muraria e a loro volta la plasmano profondamente fino a fondersi con essa in una sorta di linguaggio poetico.

La fantasia dello scultore romanico è quindi unicamente impegnata in sofisticati giochi di deformazioni ed incastri. Le figure vengono composte, smontate e ricostruite secondo la logica della morfologia che non ammette deroghe. "Il ragionamento delle forme dedotte le une dalle altre moltiplica i sillogismi che ne confondono i dati. Così il termine fantasia, nella misura in cui suppone una libertà e anche il desiderio di un sognatore, non si addice alla definizione di tutta questa fauna snaturata dal rigore delle convenzioni formali". Il bestiario romanico nasce e si sviluppa associando l’uniformità delle combinazioni lineari e geometriche alla varietà fornita dalle figure animate. "Uniformità e ordine diventano allora necessariamente disordine e varietà, in cui le deformazioni calcolate creano una sintassi e un linguaggio appropriati" (J. Baltrušaitis, Formations, déformations, cit., p. 198).

Quando Baltrušaitis individua lo stretto rapporto fra il tutto e le sue parti e si riferisce alle leggi di sviluppo che regolano non solo le masse architettoniche ma anche il rapporto diretto della massa scolpita con la massa architettonica, fa dunque riferimento a leggi immanenti e inderogabili. Le forme sono sempre il risultato di una logica, di una geometria, di una dialettica che ha valore nei rapporti tra le forme. Anche nella mostruosità, in un corpo mutilato o straziato, in una figura che ha perso le sue proporzioni originarie si trovano sempre reciprocamente combinati due elementi fondamentali: "l’ordine di una plastica pura che tende a bastare a se stessa e il disordine espressivo della materia figurata" (J. Baltrušaitis, Etudes sur l’art médiéval en Arménie et en Géorgie, cit., p. 66).

3. Una cattedrale è una struttura e, in quanto tale, i suoi elementi non possono che venire analizzati in base ai loro rapporti, alla loro gerarchia, alla loro disposizione. Non è necessario che una gerarchia di elementi plastici sia rappresentata come una struttura logica né come un sistema assimilabile in toto alle classificazioni anatomiche, zoologiche o botaniche. È piuttosto una gerarchia senza gradi precostituiti, che non può prescindere da un sistema nello stesso tempo sensibile e plastico. Il lavoro dell’architetto e dell’artista in generale non è quindi in nessun caso equiparabile a quello di un geometra. Esiste per Baltrušaitis una tripla concordanza che coinvolge in un tutto geometria, architettura e figurazione, le quali collaborano a temi, problemi e soluzioni comuni. "Le tre parti si trovano organicamente confuse in una stessa forma. È quasi prestidigitazione". In effetti nell’arte romanica geometria, architettura, figurazione "si ricongiungono attorno a un certo numero di problemi comuni. L’ornamento è perfettamente saldato al suo supporto di cui mette in rilievo i valori tettonici. Esso stesso è architettura nel rigore delle sue composizioni e riveste anche i tratti umani senza tradirsi" (J. Baltrušaitis, Formations, déformations, cit., p. 60).

Per Baltrušaitis la scultura romanica è quindi un sistema. Negli Etudes sur l’art médiéval en Arménie et en Géorgie, come d’altra parte ne La stylistique ornementale dans la sculpture romane - e quindi nella sua versione rivisitata Formations, déformations - egli descrive la fondamentale legge d’attrazione della cornice (adattamento della figura animata alle linee di una cornice geometrica) che, insieme alla legge dell’orrore del vuoto, esprime la grande ipotesi che sorregge il suo lavoro: ogni invenzione plastica dipende fondamentalmente dall’architettura e vi si conforma.

L’artista medievale non può quindi prescindere da alcune regole morfologiche in base alle quali la ricchezza delle forme viventi, animali e vegetali, risulta al servizio della plastica che a sua volta è al servizio dell’architettura. Uno scambio continuo si stabilisce quindi tra le figure e le forme, tra il reale e l’astrazione, creando nani, giganti, mostri di ogni sorta, che hanno un’origine morfologica e contestuale ben precisa. "Non si tratta di un gioco gratuito o di un capriccio decorativo, ma di un calcolo rigoroso. È un ragionamento lineare che si costruisce come una dialettica annodando e snodando i suoi argomenti, le sue antitesi e le sue sintesi, seguendo una logica implacabile o, se si vuole, un meccanismo ben regolato"(Ibid., p. 57).

Baltrušaitis, incominciando dalla considerazione degli effetti (il suo primo interesse è il decoro) procede poi allo studio delle cause. La ricerca nasce quindi dalla meraviglia, dalla constatazione di effetti sorprendenti nell’ornamento. Non è la genesi storica della cultura romanica il punto di partenza o di approdo del suo metodo; al contrario, egli procede attraverso una ricerca meramente formale che conduce sino alla ricostruzione dell’ordine, del pensiero, dei ragionamenti che hanno determinato un certo sviluppo della forma. "È il metodo dei confronti diretti dei monumenti, senza tener conto del luogo e del tempo, che ci ha permesso di seguire a passo a passo l’evoluzione delle figure e dei temi in cui si scopre un sistema coerente, una quantità di forme, che si sviluppa con una logica implacabile, un mondo che si dispiega secondo l’architettura e i suoi ornamenti"(Ibid., p. 8).

Capitelli con Atlanti

Il corpo umano, quale elemento decorativo, si sottomette con grande docilità alle leggi della cornice e dell’orrore del vuoto, allungandosi a dismisura per occupare spazi estesi o schiacciandosi inverosimilmente per prendere posto in spazi angusti. Se la prima legge mette per così dire in agitazione le forme, le modifica, le trasforma, la seconda tende invece a dare loro pienezza e stabilità. "In tal modo si vedono soggetti differenti evolversi all’interno di una cornice fissa e, inversamente, cornici differenti cambiare la forma di uno stesso soggetto. Catturata dalla rete di figure regolari, l’immagine dell’animale e dell’uomo diviene l’oggetto di una permanente metamorfosi" (Ibid., p. 28; cfr. J. Baltrušaitis, Art sumérien, art roman, cit., pp. 31 sgg.). Proprio grazie a questa procedura che consente di modellare le forme, gli ornamenti si adattano perfettamente alle strutture che ricoprono e, allo stesso tempo, rispondono anche alla necessità di mettere in risalto le grandi superfici murali, le masse e le disposizioni dell’edificio, installandovisi non come qualcosa di accessorio, come un rivestimento, ma come elementi perfettamente integrati e organici.

Droleries sulle vetrate, XIV secolo

La figura umana, utilizzata nell’ordine dell’architettura e nei suoi ornamenti, non è quindi libera nella sua genesi, ma si evolve unicamente in uno spazio costruito e misurato rigorosamente. "L’orrore del vuoto insieme alla legge della cornice pesano molto su queste composizioni. Essi rompono l’isocefalia dei personaggi allineati e influiscono sulle proporzioni della figura umana che si ingrandisce o si riduce secondo il luogo che essa occupa. Sono dei nani e dei giganti che si mostrano spesso in una stessa scena"(J. Baltrušaitis, Formations, déformations, cit., p. 14, corsivo nostro). Le cornici diventano dei contenitori onnipotenti tanto da stravolgere qualsiasi anatomia precostituita. Mentre l’uomo si trasforma in nano o gigante, ma conserva sempre la sua identità grazie ad alcuni accorgimenti tecnici, l’animale è irriconoscibile, fuori da qualsiasi classificazione in un universo in cui il cane assomiglia ad un leone e il cavallo si trasforma in grifone o in drago.

"Ad ogni istante, nella scultura romanica, si cozza contro le stesse contraddizioni delle due leggi complementari: l’orrore del vuoto, che contribuisce a una stabilità e a una pienezza delle forme, e l’attrazione della cornice, che le travolge e le agita" (Ibid., p. 28). Le forme stabili si vivacizzano o meglio rinascono a nuova vita, quando sottomesse alle due leggi. La coercizione imposta dalla cornice si traduce il più delle volte in una rinnovata vitalità delle figure che sembrano animarsi e muoversi evolvendosi in atteggiamenti strani ed innaturali. Perciò "la figura umana, introdotta nell’ordine dell’architettura e nei suoi ornamenti, non è più libera. Essa si evolve in uno spazio costruito e misurato rigorosamente all’interno delle cornici onnipotenti e dei meandri che assoggettano ogni forma che si imbatte nel loro campo. L’uomo subisce le stesse costrizioni, le stesse metamorfosi dell’animale e si ricompone nello stesso modo. I personaggi con un corpo doppio e un’unica testa di Bellegarde e di Jazeneuil si confondono con la fauna fantastica. Ma l’uomo romanico non affonda in questi vortici. Egli vi rivive, sfigurato, ma pieno di forza. L’umanità romanica possiede i suoi propri mostri, i suoi propri acrobati, le cui risorse sembrano inesauribili" (Ibid., p. 199).

Le cornici architettoniche non sono però le sole che intervengono coercitivamente sulla struttura delle forme e nella composizione del rilievo che esse rinchiudono. "Si vedono anche cornici applicate, pannelli o medaglioni che hanno una struttura loro propria. Essi si impongono in un modo anche più completo e più evidente. Così, la cornice circolare offre degli esempi sorprendenti dove la geometria e l’iconografia fanno tutt’uno. Con le sue facce arrotondate, il capitello detto cubico ne costituisce una forma rudimentale, soggetta a innumerevoli variazioni. A Como [un capitello di Sant’Abbondio] è un semicerchio regolare contornato da una modanatura che è ripresa da un drago che presenta una coda lunga e un corpo agile" (Ibid., p. 19).

Ma c’è un altro aspetto che va analizzato. All’interno delle finestre gotiche i medaglioni incorporano un gran numero di rappresentazioni. I personaggi si devono muovere entro cerchi, ovali, poligoni, polilobi, curve spezzate. In questi casi ogni composizione si adatta alla propria cornice "ma senza deformarsi, senza subirne incondizionatamente la legge.

Gli angeli incarnati che formano mezzi medaglioni ai due lati della mandorla del Cristo dell’Ascensione di Poitiers, ancora romanica, costituiscono un ultimo esempio - ispirato per altro da un timpano - di tali adeguamenti". Il nuovo sviluppo dell’arte gotica tende invece a superare la legge della cornice e appare retto da principi opposti. "Le figure si iscrivono, più o meno armoniosamente nell’ordito geometrico conservando la loro libertà. Se non vi è abbastanza spazio, ne oltrepassano i limiti, oppure vengono tagliate [...]. L’antichità classica aveva fatto ricorso allo stesso mezzo, mostrando, all’interno dei medaglioni, il suolo in una prospettiva nettamente delimitata. In certi mosaici si tratta di vere e proprie isole sospese. Nei manoscritti carolingi questi isolotti si trasformano in piattaforme, o semplicemente in barre diritte"( J. Baltrušaitis, Risvegli e prodigi, cit. p. 55). Gli esempi possono moltiplicarsi a dismisura.

Scene su ponte, Diluvio (Chartres) e Crocefissione (Canterbury)

L’attenzione di Baltrušaitis si concentra in particolare su un elemento: quello del ponte all’interno dei medaglioni. Il ponte serve da basamento sul quale si svolge la scena. Esso è una sorta di cornice interna, di piattaforma delimitante, un supporto per le rappresentazioni di cui gli artisti dimenticano la vera funzione con effetti stranianti. Ad esempio "a Sens il fiume attraversato da sant’Eustachio scorre non già sotto ma sopra il ponte, mentre a Chartres il Diluvio vi si riversa insieme ai corpi inghiottiti. La piena che devastò il mondo passa su un acquedotto senza straripare" (Ibid.). Nei medaglioni le scene sono spesso delimitate da un soffitto costituito da arcate, trabeazioni, nuvole e cornici e, ai lati, da torrette, porte, alberi, figure in piedi. "Il procedimento rompe completamente con la tradizione monumentale del XII sec." Infatti se nell’arte romanica l’immagine, l’architettura e l’ornamento sono strettamente congiunti - si ricordi la legge della tripla concordanza tra geometria, architettura e figurazione - "nella vetrata gotica l’immagine viene isolata da tramezzi in successione, con il medaglione ornamentale che la sottrae all’ordine architettonico e l’accumulo di piattaforme che la sottrae alla geometria dell’ornamento. Sono questi riquadri interni, spesso dissimulati, ad assicurarle uno sviluppo autonomo" (Ibid., pp. 56-57). La caduta della legge della tripla concordanza implica anche la caduta della rigida applicazione della legge della cornice e dell’orrore del vuoto. Siamo di fronte allo sfaldarsi della cornice che addirittura tende ad essere sopraffatta, a scomparire o ad essere assorbita nel decoro stesso nel momento in cui le figure, prima racchiuse nelle vetrate, diventano i personaggi delle miniature. Proprio l’analisi della miniatura dei secoli XIII e XIV, dimostra come le forme siano in grado di emanciparsi dalle rigide convenzioni della legge della cornice.

Scene su ponte, Nativitŕ (Chartres)

Nel gotico, per certi aspetti, questo atteggiamento di libertà della figura si ripercuote anche all’interno dell’architettura. L’edificio si fa sempre più leggero e traslucido e le forme ritornano a un "ordine anteriore" tipico di quando l’arte dell’occidente non era stata ancora sottomessa alle leggi delle masse, delle strutture, della geometria e della cornice. "La figura umana si sottrae alla legge della cornice, sistemandosi nei ridotti delle nicchie e dei baldacchini appositamente innalzati a sua gloria. All’interno dei medaglioni la figura umana è protetta da un dispositivo di ponti e di pannelli dissimulati. Il sistema si sviluppa pienamente nelle vetrate.

La pittura dei manoscritti si rinnova secondo gli stessi principi e nelle stesse circostanze. La pagina perde il suo valore murale e un sistema di aree nettamente delimitate offre spazi sempre più ampi per la libera distribuzione dei personaggi e delle scene" (Ibid., p. 65, corsivo nostro).

La cornice sembra dunque svolgere due compiti ben diversi nell’ambito dell’arte medievale. Nel romanico e in parte nel gotico, essa funge da contenitore deformante, ma allo stesso tempo vivificante. Le forme schematizzate, geometrizzate, ricevono nuova vita nella deformazione fantastica seguente alla compressione laterale o verticale della cornice. Nel cuore dell’architettura gotica e al suo declino, nelle vetrate o nei rosoni, nelle miniature, la cornice è invece una sorta di ‘pretesto’: essa deve essere sfondata, superata o assorbita. La cornice entra nel gioco fantastico delle figure, non per segnare un limite, ma paradossalmente per esaltare la potenza fantastica delle figure che non vi si adattano più. Esse o continuano sotto di essa in un luogo immaginario che il fruitore completa con la fantasia o superano la cornice stessa prevalicandola. Addirittura nella miniatura le figure assorbono la cornice e diventano esse stesse cornice della pagina scritta inventando percorsi e forme sempre nuove.

"All’inizio era l’architettura. Con i suoi volumi pieni, le sue grandi superfici murali, il movimento e l’equilibrio delle sue masse, l’edificio romanico è di per sé un blocco scolpito, depositario e promotore di un ordine. Egli detta anche la prima legge alla scultura che lo decora. Quest’ultima non è un rivestimento. Viene incorporata nel monumento di cui orna certe parti e di cui custodisce certe forme. L’orrore del vuoto e l’attrazione della cornice, che intervengono con una forza particolare, sono stati dei fattori originari dell’unione delle rappresentazioni figurative con le strutture del loro supporto. è attraverso questa scappatoia che l’astrazione si è imposta allora all’iconografia e l’ha penetrata. [...] Tale successione delle cornici esterne e interne è ancor più evidente in alcune composizioni più ricche di piccoli pannelli, di medaglioni rettangolari e circolari dove l’uomo o l’animale divengono cornice, anello o disco, in cui perfino la mandorla di un santo è riprodotta mediante il suo corpo ovoide. Si vede molto bene in queste sequenze come una figura regolare diventi un essere animato, come un corpo vivente diventi una figura regolare" (J. Baltrušaitis, Formations, déformations, cit., pp. 229-230, corsivo nostro). In questo contesto l’ornamento appare ancora come il risultato dell’applicazione metodica, da parte dell’artista medievale, delle leggi formali sul corpo umano e sull’animale.

Poi, nelle vetrate gotiche, nei rosoni e in fine nella miniatura la situazione si capovolge e il decoro pare prendere il sopravvento sulla cornice.

La duplice funzione della cornice induce quindi a una serie di considerazioni che trovano esplicita risposta nelle tesi di Baltrušaitis e nell’economia della sua riflessione, dove le forme, sempre comandate da rigide leggi geometrico-schematiche, trovano però anche la forza, in base alla legge dei ritorni e dei rimandi (per la quale le forme antiche o le modalità schematiche sopite ritornano a nuova vita), di ribellarsi e di costruire percorsi autonomi e originali imponendosi con prepotenza alla volontà dell’artista spesso ridotto a mero esecutore della loro volontà. È quindi il gioco della metamorfosi che consente alla forma di manifestare la propria libertà. Libertà non solo come distacco progressivo dalla necessità ma anche come farsi concreto di un’oggettività autonoma. Le forme si muovono, avanzano e indietreggiano, si assopiscono, si risvegliano, sopravvivono agli eventi storici seguendo un loro percorso, una loro vita. Le tipologie formali "disegnano percorsi più o meno celati, più o meno diretti, più o meno lenti. Ubbidiscono a una organizzazione e quasi a una tecnica, come tutto ciò che avviene nella storia. L’ordine dei fatti non è puramente successivo. Essi si combinano secondo certe regole, o piuttosto ciascuna via da essi intrapresa assume caratteri costanti" (H. Focillon, "Sopravvivenze e risvegli formali", in M. Mazzocut-Mis (a cura di), I percorsi delle forme, cit., p. 128). Tradizioni ed esperienza collaborano con l’attualità della storia delle forme. Essa affonda sempre le sue radici nella profondità delle origini e modella il presente in base all’esperienza del vissuto più recente. Perciò, quando il passato - sotto forma di tradizioni passive o forme fisse - si ripresenta in superficie (continuando pur sempre ad agire in profondità), allora esso subisce deformazioni e reinterpretazioni fondamentali. E’ quello che accade con le figure dei rosoni o delle miniature. L’arte gotica risveglia il fantastico romanico e l’approfondisce proprio ricuperando forme ancora più antiche che erano state deteriorate dall’avvento dell’ordine romanico. C’è una sorta di "risveglio dei fondi antichi". I cicli evolutivi, che avevano precedentemente promosso l’instaurarsi dello stile romanico, sono ora rimessi in moto in modo tale che il loro apporto si relazioni con le nuove forme gotiche, che nel frattempo si stanno sviluppando. Mentre l’universo romanico è pienamente teratologico, e per Baltrušaitis addirittura "sovrumano" - sviluppandosi "come un’Apocalisse sotto il segno della bestia, nel terrore della rivelazione e del mistero" - al contrario il regno delle immagini e delle forme gotiche si afferma "distruggendo ciò che lo precede" - sebbene mai abbandonando la suo aspetto mostruoso e tormentato. In effetti i sistemi adottati dal Gotico "non sono tutti conformi alla natura, né completamente nuovi. Essi presentano un lato meraviglioso fatto di risvegli e di prodigi che vediamo svilupparsi parallelamente all’espansione del ‘realismo’. I cicli fantastici rinascono e di continuo si rifondono in quella stessa sfera da cui sono stati virtualmente esclusi"( J. Baltrušaitis, Risvegli e prodigi, cit., p. 15).

 

4. L’arte medioevale - sebbene siano sensibili le differenze tra Romanico e Gotico - è dunque all’origine di una morfologia teratologica che sembra svilupparsi senza posa. Le deformazioni sono sia il risultato dell’applicazione delle leggi della cornice, dell’orrore del vuoto e dello schema geometrico, sia il segno evidente di un lungo periodo di sperimentazione e di travaglio. Esse paiono tornare indietro e recuperare dal passato più remoto poiché ciascun periodo di sperimentazione è contemporaneamente sopravvivenza, risveglio e rinascita.

La scultura romanica e gotica è dunque attraversata da contraddizioni evidenti che giocano tra loro opponendo forza a forza e dando come risultato forme complesse che sono contemporaneamente il risultato di strutture fisse e di disordini. Così deformazione e formazione sono per Baltrušaitis sinonimi, se visti all’interno della nascita e dello sviluppo di un mondo nuovo, nel quale alla regola imposta dalla ‘realtà vivente’ si sostituiscono le regole assolute del decoro e della cornice che prescindono dalle leggi di natura. La legge compositiva è dettata non dalla misura dell’uomo, dell’animale o del vegetale, ma da quella dello spazio imposto dalla struttura. Le lunghe figure verticali di Chartres, ad esempio, sono la conseguenza di imposizioni meccaniche inderogabili. Siamo di fronte a un rigido principio euristico la cui applicazione, senza compromessi, sembra però, almeno a parere di Schapiro, impedire la spiegazione di altre figure fortemente distorte in senso inverso (in particolare le figure su colonne con le gambe incrociate).

Non è quindi difficile accusare il metodo di Baltrušaitis di un certo apriorismo. Egli, adottando un metodo improntato su una forte autonomia formale di derivazione focilloniana, scarta una ricerca che non guarda alla storia dell’arte intesa esclusivamente come storia delle forme. Le forme stesse sopravvivono agli eventi storici seguendo un loro percorso. La storia delle forme si sviluppa per rigonfiamenti e nodi che possono stringersi e sciogliersi determinando la fine o l’inizio dello sviluppo morfologico. Perciò il susseguirsi di determinate tappe storiche viene letto solo in funzione della metamorfosi formale. Il lavoro dello storico dell’arte, propriamente detto, fa quindi da corollario a quello del morfologo. Perciò Schapiro lamenta da parte di Baltrušaitis non solo un certo apriorismo nel determinare il ruolo della cornice e degli schemi, ma anche un "atteggiamento di superiorità nei confronti del metodo storico" (Ibid., p. 311). Ma non è esattamente così. Il metodo morfologico, che non parte da una constatazione di tipo storico, dovrebbe però poter arrivare ad attribuzioni e soprattutto a filiazioni corrette. La storia delle forme, che non segue quella dell’uomo, ha comunque rigide regole e percorsi fissi. Il metodo di Baltrušaitis, almeno per uno studioso di estetica, non appare affatto come "un esempio del ‘Kunstwollen’ verbalmente formulato". Non è affatto solo un retaggio del "postimpressionismo e del cubismo francese". È vero che "per fare del Romanico un’arte moderna, o un’arte secondo i termini moderni, egli ha ridotto il contenuto a un ruolo passivo, e ha identificato la forma con schematismi geometrici e con l’architettura", ma tale passività non è affatto problematica. La ricerca di Baltrušaitis, piuttosto che essere ‘datata’, sembra non avere tempo, e per questo affascina. Quando si incammina lungo i suoi percorsi impossibili, Baltrušaitis sembra un eremita alla ricerca di una legge chimerica, unica e universale che renda intelligibili quegli aspetti della cultura dell’uomo che l’uomo stesso ha dimenticato o non ha voluto spiegare.

D’altra parte quando Baltrušaitis parla di Formations, déformations afferma essere questo uno studio strettamente formale della scultura romanica, senza altra preoccupazione iconografica o storica. Eppure, egli afferma, "nel corso delle nostre ricerche, ci siamo trovati di fronte a elementi il cui significato supera ampiamente la cornice dei valori puramente plastici che sono stati sempre presenti alla nostra mente: la formazione e la deformazione, il disordine imposto dall’ordine nell’accezione metafisica e come un meccanismo visionario e ragionato di una forma del pensiero" (J. Baltrušaitis, Formations, déformations, cit., p. 229, corsivo nostro).

A proposito dei propri processi di analisi, Baltrušaitis raccontava dunque a Chevrier, durante un colloquio pubblicato su Le Monde: "Ho un solo metodo di lavoro: andare alla fonte, cercare i testi autentici, al di là degli articoli di sintesi che presentano uno stadio particolare del problema. È andando verso la fonte che si giunge a un’esatta visione delle cose. Si segue una strada battuta più volte e alla fine si scopre un paesaggio del tutto diverso... Quando possiedo un buon bandolo, io seguo il filo e, se il punto di partenza è buono, tutto converge, tutto si convalida e tutto si arricchisce, si amplia. Sono condotto dal destino, e io vado, con gli occhi bendati, e generalmente arrivo alla meta"(J.F. Chevrier, "Un entretien avec Jurgis Baltrušaitis. La passion de l’énigme", Le Monde, 26 juillet 1979). Ma gli occhi di un ricercatore non sono mai bendati e i mezzi per raggiungere non si sa quale destinazione (questo sì) sono sempre conosciuti ed espliciti.

Le parole della filosofia, III, 2000

Seminario di filosofia dell'immagine


Torna a inizio pagina

Vai a Spazio filosofico

Torna al frontespizio della Rivista

Vai alla pagina del Seminario di filosofia dell'immagine