Numero e figura
Idee per un’epistemologia della ripetizione
I, § 16

Giovanni Piana

16

- Considerazioni sui calcoli aritmetici nel senso comune del termine
- Il calcolo e la macchina
- La possibilità di un uso generalizzato del termine di «calcolo» (algoritmo)
- Il calcolo come manipolazione di segni secondo regole
- La singolare vicenda della parola «assioma»
- I segni come figure
- Pensieri e segni
- Passaggio dal numero alla figura


Non appena si pone il problema del numero all’interno del contare si pone nello stesso tempo il problema della sua rappresentazione, ed in una forma peculiare, dal momento che non si tratta soltanto di escogitare dei «nomi» intesi come pure etichette verbali o grafiche. |1|

Tra livello segnico e livello concettuale si impone ben presto un rapporto di interazione reciproca. Per questo si può trovare significativo il fatto che, nel linguaggio corrente, la parola «numero» possa indicare sia il segno che il concetto - anche il significante oltre che la cosa stessa significata. |2|

Di qui possiamo trarre un’importante conseguenza: se è possibile trasmettere sul piano segnico-simbolico relazioni e rapporti che si trovano sul piano concettuale, allora possiamo pensare, inversamente, che relazioni e rapporti istituiti anzitutto sul piano segnico-simbolico possano essere trasferiti su quello concettuale. |3|

Nello stesso tempo, per quanto a tutta prima ciò possa sembrare paradossale, è proprio in forza di questa interazione, e quindi di questa peculiare implicazione semantica del segno, che si può imporre in questo campo un punto di vista secondo il quale si può «prescindere dal significato» dei segni, un punto di vista che dunque può essere ritenuto una possibilità inerente alla cosa stessa, e non soltanto il risultato di una presa di posizione filosofica. Tale punto di vista viene caratterizzato con termini che si richiamano alla «forma» (formale, formalistico, formalizzazione, ecc.), dove occorre prestare attenzione che questo impiego è giustificato anzitutto dall’opposizione forma-contenuto. Passare ad un piano formale significa passare ad un piano in cui il contenuto (e quindi, il significato del segno) viene messo da parte, e di conseguenza viene preso in considerazione soltanto il livello segnico. Questo passaggio viene talora, forse non a caso, trascurato e si parla di formalismo, formalizzazione, linguaggio formalizzato e simili, volendo richiamarsi al puro e semplice impiego di un sistema di convenzioni segniche, proposto in sostituzione del linguaggio corrente - che tende a diventare l’effettivo altro polo dell’opposizione |4|

Il calcolo nel senso aritmetico, consueto ed elementare, del termine è un chiaro esempio del fatto che l’interesse dell’operazione di «prescindere dal significato» dipende proprio proprio da quella che abbiamo chiamato or ora «implicazione semantica». |5|

Effettuare un calcolo nel senso usuale - si pensi ad una semplice moltiplicazione o ad una divisione - significa mettere in opera una tecnica di trasformazione segnica, il cui apprendimento sarà in generale legato ad una giustificazione concettuale. Tuttavia nell’esecuzione questa giustificazione non entra in linea di conto e può anche essere messa del tutto da parte, come del resto normalmente accade. La coscienza del riferimento significativo sta per così dire prima e dopo il calcolo - ed eventualmente accanto ad esso, nel senso che, mentre calcolo, so quello che faccio, so di compiere, e per determinati scopi, operazioni su numeri che hanno numeri come loro risultato. Questa consapevolezza tuttavia non alcuna parte nelle azioni che io di fatto compio. |6|

Nel calcolare non si pensa e forse anzi il pensiero disturberebbe il calcolo, forse lo rallenterebbe rendendolo più faticoso. In ciò consiste, sotto l’aspetto psicologico, l’automatismo dei calcoli. Ma parlando di automatismo dei calcoli parliamo sopratutto della possibilità, che non ha niente di psicologico, della loro meccanizzazione. L’agente del calcolo può cessare di essere una soggettività umana: il calcolatore è finalmente diventato una macchina. |7|

Secondo Schopenhauer, che pure ha avuto uno spunto felice nella teoria del numero ai tempi della sua prima giovinezza[1], valutava nella sua tarda vecchiaia questa circostanza come una prova certa della bassezza dell’aritmetica come attività dello spirito: |8|

«Che la più bassa di tutte le attività dello spirito sia l’aritmetica è dimostrato dal fatto che essa è l’unica che possa essere eseguita anche da una macchina; così oggi, in Inghilterra, simili macchine calcolatrici sono, per comodità, diventate di uso frequente» [2]. |9|

 

Forse la migliore risposta a questa frase di Schopenhauer è la meticolosa attenzione che Felix Klein dedica alla Rechenmaschine chiamata «Brunsviga» della Brunsviga Maschinenwerke Grimme, Natalis &Co.: ad essa, ai suoi meravigliosi congegni ed al modo del suo funzionamento Klein dedica ben tre pagine del primo volume della sua Elementar Mathematik [3].

Queste macchine «sottraggono al matematico il lavoro puramente meccanico del calcolo numerico che eseguono più celermente ed anzi in modo esente da errori in misura superiore di quanto egli stesso avrebbe potuto fare». La loro stessa esistenza contiene una conferma che nel calcolo intervengono solo regole formali, e non significati numerici che la macchina non è in grado di afferrare. Klein rammenta ancora che Leibniz, oltre ad essere il padre della matematica formale pura, fu anche l’inventore di una macchina calcolatrice - e in questa impresa si impegnò, non tanto per scopi pratici, ma perché stimolato dalla ricerca, tutta teorica, di ottenere conferme intorno alla natura essenziale dei calcoli. Il campo dei significati, ma anche il lavoro intelligente sui simbolismi, l’acquisizione di nuovi punti di vista per vecchi problemi, la capacità di delineare problemi e di prospettare soluzioni - tutto ciò è consegnato al pensiero matematico, che è tutto meno che il «pensare senza il pensiero» [4]della Brunsviga. |10|

Relativamente alla problematica che stiamo sviluppando, la nozione di calcolo non è peraltro vincolata necessariamente alle operazioni aritmetiche in senso proprio. Una qualunque manipolazione e trasformazione di segni secondo regole può essere chiamata così. In questa accezione si può convenire di usare anche la parola «algoritmo». |11|

In questo contesto la parola «segno» non ha più alcun legame con una relazione di designazione ed indica ora qualcosa di simile ad un «graffito», e per di più ad un graffito sul cui «significato» non è affatto il caso di interrogarsi: si tratta dunque di un disegno, di una configurazione di linee, quindi di un oggetto visivo, di una figura. |12|

Le operazioni che definiscono il calcolo sono operazioni di trasformazione (o di costruzione) figurale: le regole si applicano a figure e consentono di passare da una figura ad un’altra. |13|

Detto questo ci si rende subito conto che come esempi di calcoli in questa accezione generalizzata possono essere indicati gli schemi operativi precedentemente presentati per la notazione-tratto e per la notazionale posizionale. In essi vi è appunto un inizio (figura iniziale) ed una o più regole di sostituzione che possono naturalmente essere intese come regole di costruzione per figure, e quindi come regole che consentono di passare dall’una all’altra figura appartenente al calcolo [5] . |14|

Talvolta la configurazione iniziale di un calcolo viene chiamata assioma ed io credo che nulla sia più caratteristico dei mutamenti intervenuti nel nostro secolo nel campo del pensiero matematico-formale in genere dell’evoluzione subita proprio da questo termine, ed in particolare della possibilità di essere impiegata per la configurazione iniziale di un calcolo. |15|

Questa parola che è sempre stata riferita a proposizioni e che è sempre stata carica di enfasi sul tema della verità - riferita com’era ad una proposizione che si impone con il solare chiarore dell’evidenza, e come tale anche racchiudente un enigma custodito forse nelle profondità incommensurabili dell’intelletto divino - si è dapprima radicalmente attenuata nell’idea della «mera assunzione», realizzando il proprio completo declino proprio in questa possibilità di indicare con essa un qualunque grafema tracciato su un foglio di carta, uno scarabocchio sul quale non è nemmeno lecita la domanda sul senso. |16|

La giustificazione di questa estrema metamorfosi del significato sta, da un lato, nel fatto che un assioma può essere una premessa di un sistema deduttivo, e come tale si trova al suo inizio, dall’altro nel fatto che una premessa è una proposizione, e questa, «formalmente considerata», è appunto null’altro che una configurazione grafica; il sistema deduttivo può essere a sua volta concepito e trattato come un calcolo nell’accezione or ora definita. |17|

Talora proprio attraverso questi spostamenti di senso scopriamo aspetti affini che non sono subito a portata di mano. Lo spostamento di senso implica un mutamento di punto di vista, e si scoprono così nuovi modi di approccio e nuovi problemi. Questo vantaggio sarebbe tuttavia interamente compromesso se non si tenessero sempre presenti i percorsi che ci hanno condotto in questa o in quest’altra direzione e si volesse approfittare dello spostamento di senso per cancellare differenze concettuali che sono estremamente rilevanti sotto il profilo filosofico. Il campo del pensiero formale è eminentemente caratterizzato dalla possibilità di far trapassare nozioni diverse l’una nell’altra, ma ciò non significa per nulla che questo campo sia la notte in cui tutte le vacche sono nere. La filosofia della matematica, a sua volta, «non consiste nell’avvolgere la matematica con una cortina di nebbia» [6]. |18|

L’importanza di un punto di vista genetico, ma vorrei dire più ampiamente: lo scopo di una riflessione epistemologica in genere sta proprio nel ristabilire le differenze concettuali una volta che, per qualche buon motivo, esse siano state tolte. |19|

Se la notte è diventata troppo fonda, se le parole hanno cominciato troppo velocemente a scambiarsi le parti, se non sappiamo più dove cominci il calcolo e dove la proposizione, allora è forse opportuno interrogarsi sul significato che quelle espressioni avevano «una volta» presso il linguaggio, presso l’esperienza. |20|

Da una proposizione posso arrivare ad una pura configurazione grafica, ma non da ogni configurazione grafica posso arrivare alla proposizione. Così è possibile considerare una teoria deduttiva dal punto di vista dell’idea del calcolo, ma un calcolo è una teoria deduttiva quanto poco lo è una qualunque moltiplicazione o divisione. |21|

Tirando le fila: la nostra esposizione ha mirato a dare il massimo risalto alla relazione interna tra il concetto di numero e quello di algoritmo e quindi anche alla generazione della serie dei numeri intesi come un calcolo generatore di configurazioni segniche peculiari. Tuttavia il percorso che abbiamo seguito mostra che non si tratta affatto di una pura cancellazione della componente logico-concettuale, quindi di una matematica senza il pensiero matematico, secondo un’obiezione che è stata spesso rivolta all’orientamento formalistico nella filosofia della matematica. |22|

Questo sospetto può sorgere solo se non si è richiamata a sufficienza l’attenzione sul fatto che ciò che rende possibile l’«astrazione dal significato» è il riconoscimento di un nesso di tipo peculiare tra significante e significato che istituisce un intreccio ricco di conseguenze tra livello concettuale e livello segnico-simbolico. |23|

Il concetto può precedere il segno, ma anche venire dopo di esso, ed anzi forse è proprio l’anticipazione del segno rispetto al concetto, che si è così spesso verificata nella storia della matematica, ad essere particolarmente significativa per la sua filosofia. |24|

Di fronte alla possibilità del segno, il pensiero matematico sospetta la possibilità del concetto anche là dove per il momento questa possibilità non solo non è logicamente garantita, ma può persino ragionevolmente essere messa in questione. Il concetto si prospetta ai margini del segno e prospetta un segno ai propri margini. |25|

Tenendo conto di ciò non si potrà essere troppo soddisfatti da una sottolineatura del simbolismo come un puro artificio pratico. Se l’introduzione di un simbolo reca qualche vantaggio «pratico» - si pensi ancora all’introduzione del segno per lo zero - allora si può essere sicuri che nuovi concetti concetti bussano alla porta. |26|

A questo intreccio tra segno e concetto è naturalmente collegato anche il problema della «figuralità» del simbolismo. I segni sono oggetti della visione. Questa circostanza può passare inosservata, se ad esempio si insistesse soprattutto sulla convenzionalità e sull’artificialità del segno; oppure potrebbe essere ritenuta relativamente irrilevante dal momento che si potrebbe pensare che si metta su carta qualcosa che sta interamente altrove. |27|

Una valutazione diversa deve invece essere data se siamo disposti ad attribuire un significato esemplare, anche sotto il profilo teorico, al problema della perspicuità nella notazione che si è presentato più volte nel corso della nostra esposizione. La perspicuità è legata ad un’evidenza che riguarda l’oggetto percepito come tale, nelle sue articolazioni e nelle sue distinzioni interne. Questo problema si pone agli inizi del numero, quando il numero trova rappresentazione in configurazioni tipiche, che vengono riconosciute in questa loro tipicità indipendentemente da un processo autentico di conteggio, ma si pone anche nel passaggio cruciale alla serie aritmetica vera e propria. |28|

In questo passaggio è ancora la questione del raggruppamento che passa in primo piano, ma essa si pone ora come una questione ghestaltica e calcolistica ad un tempo, come una questione in cui concettualità e intuitività si intrecciano formando un unico nodo. |29|

Nell’idea di calcolo non si tratta dunque soltanto dell’escogitazione di un linguaggio artificiale, di una concentrazione e una semplificazione simbolica da cui ci aspettiamo diversi vantaggi pratici. Si tratta piuttosto di una rappresentazione in cui si sedimenta e si concretizzano concetti, mettendo a punto, nello stesso tempo, un vero e proprio strumento del pensiero. La rappresentazione assume carattere di figura tracciata su un foglio di carta, dunque di una cosa visiva. In questo senso parlare della aritmetica ed in generale del pensiero matematico alla luce della nozione di calcolo contiene il riconoscimento di un ruolo dell’ «intuizione» almeno nell’accezione elementare che si richiama all’atto del vedere [7] . Questo vedere non è tuttavia un mero vedere, un puro osservare e accogliere dati della visione. Nel segno «101» riconosco una differenza rispetto al segno «100». Questa differenza è una differenza figurale. Il riconoscimento tuttavia non si limita alla mera qualità figurale, ma esso riporta la qualità figurale alla regola di costruzione secondo quale questi grafemi sono prodotti. Se con «intuizione» intendessi qualcosa di simile allo sforzo psicologico di rappresentare nella mia mente (di «figurarmi») un insieme di cento elementi e di cogliere nello stesso tempo la differenza tra esso ed un insieme di cento e uno elementi allora certamente fallirei nello scopo: la differenza concettuale tra l’uno e l’altro numero, che è perfettamente chiara, verrebbe resa confusa nello stesso momento in cui si tenta si tradurla in una immagine della mente. La parola «calcolo» si contrapporrà nettamente a «intuizione» in questa accezione del termine. Tuttavia è giusto anche dire che nel calcolo «alla cieca» bisogna tenere gli occhi bene aperti. E ciò non basta ancora: nella figuralità percettivamente colta non vengono soltanto afferrati degli oggetti, ma dei rapporti strutturali, dei nessi formali interni, delle legalità generali che da un lato vengono viste dentro la figura, dall’altro possono essere proiettate molto lontano da essa sul piano del pensiero puro. |30|

Queste nostre considerazioni conclusive, proprio insistendo su questo aspetto segnico-figurale dell’aritmetica, finiscono per suggerirci che forse è opportuno spostare la nostra attenzione proprio sul versante delle figure. Forse l’aritmetica è una specie di geometria? si chiedeva Wittgenstein [8] . No, non lo è. Ma la domanda è in se stessa molto interessante. |31|

Note

[1] Si tratta dell’inserimento della tematica filosofica del numero nel quadro del problema della terza forma del principio di ragione - quella che riguarda il fondamento d’essere (Seinsgrund) ovvero la ratio essendi. Benché Schopenhauer riprenda da Kant il richiamo alla problematica temporale, a ben vedere, questo richiamo viene indebolito, diventando la successione temporale un puro e semplice esempio efficace di ratio essendi che può essere citato accanto a quello del numero. Il fatto che un determinato istante presupponga necessariamente l’istante precedente e quello successivo rimanda ad un ordine necessario del tutto analogo a quello del numero: «Ogni numero presuppone i numeri precedenti come ragioni del suo essere: io posso giungere al numero dieci solo attraverso tutti i precedenti e solo grazie a questa conoscenza della ratio essendi so dove sono dieci, e dunque otto, sei, quattro». Cfr. A. Schopenhauer, La quadruplice radice del principio di ragione sufficiente, tr. it. di A. Vigorelli, Guerini, Milano 1990, p. 117.
[2] A. Schopenhauer, Parerga e Paralipomena, Adelphi, Milano 1983, II, p. 825.
[3] Elementarmathematik vom höheren Standpunkte aus (I ed. 1908). I, Springer Verlag, Berlin, Vierte Auflage, Nachdruck 1968. Le figure della Brunsviga sono tratte da questo testo, p. 21.
[4] Klein riprende da Thomae l’espressione Gedankenloser Denker, polemicamente rivolta al matematico formalista.
[5] In rapporto a questa nozione di calcolo, non si può non rammentare, sia pure solo di sfuggita, il fondamentale lavoro di P. Lorenzen, Einführung in die operative Logik und Mathematik, Springer, Berlin 1969.
[6] L. Wittgenstein, Philosophische Grammatik, Suhrkamp, Frankfurt am Main, 1969, p. 367 (tr. it. di M. Trinchero, La Nuova Italia, Firenze 1990, p. 326).
[7] Cfr. G. Piana, Interpretazione del «Tractatus» di Wittgenstein, cit. , p. 75 e p. 89.
[8] L. Wittgenstein, Osservazioni filosofiche, tr. it. di M. Rosso, Einaudi, Torino 1976, p. 89: «Si potrebbe dire: l’aritmetica è una specie di geometria; vale a dire, quello che in geometria sono le costruzioni sulla carta, sono in aritmetica i calcoli (sulla carta). - Si potrebbe dire che si tratta di una geometria più generale».

  § 15

Parte II, § 1  


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