Numero e figura
Idee per un’epistemologia della ripetizione
II, § 1

Giovanni Piana

Giovanni Piana
Numero e figura
Idee per un'epistemologia della ripetizione

copertina Parte Seconda
Sulla costruzione iterativa delle figure

1

- La geometria come scienza dello spazio e scienza delle forme
- Numeri e figure
- La geometria come «semantica» dell’aritmetica
- I vincoli «intuitivi» e l’istanza del loro superamento


Benché il nostro sguardo sia ora volto in altra direzione, domande e metodi restano gli stessi. Come in precedenza ci siamo mossi sulla soglia della teoria del numero, così ora, guidati dall’intenzione di avviare alcune riflessioni sul problema della «forma», e quindi su questioni che chiamano in causa la geometria, avremo cura di mantenerci nei luoghi che sono più accessibili alla natura ed al carattere della nostra considerazione epistemologica, quindi nei luoghi in cui sia più chiaramente avvertibile il nesso tra concetti geometrici elementari e i dati che possiamo attingere all’esperienza percettiva concreta. |1|

È opportuna intanto una precisazione terminologica. Nel nostro contesto di discorso, le parole forma e figura debbono potersi scambiare le parti, e in particolare dunque la parola «forma» andrà intesa per lo più secondo l’inclinazione suggerita dalla parola figura: a sua volta questa va intesa in un’accezione ampia, e quindi non deve far pensare solo a linee che si chiudono formando un contorno, ma a grafemi in genere, come del resto è già da noi stata impiegata in precedenza. |2|

Il dettaglio terminologico ed eventuali complicazioni che potrebbero sorgere può essee comunque controllato da indicazioni più precise quando queste si rendessero necessarie oppure da differenze di contesto capaci di rendere inequivoco l’impiego dei termini. |3|

Più importante è invece la questione del modo in cui si stabilisce un collegamento tra la forma-figura e la geometria. A questo proposito ci si deve chiedere anzitutto se la forma-figura possa servirci al fine di circoscrivere la specifica regione ontologica della geometria oppure se non sarebbe più giusto considerare come nozione di base quella dello spazio, a cui la precedente potrebbe essere subordinata. |4|

All’interno di una concezione in cui venisse negata scientemente qualunque specificità «ontologica» della geometria la questione sarebbe del tutto irrilevante. La domanda è invece particolarmente ricca di interesse se proposta secondo un’angolatura epistemologica che ha in certo senso come propria vocazione la tendenza alla differenziazione. |5|

Dal punto di vista della priorità della nozione di spazio, la forma verrebbe intesa essenzialmente come una sua partizione, come un ritaglio che viene effettuato in esso. Una linea ci apparirebbe come linea «divisoria» e le figure come spazio delimitato dall’intersezione di linee. |6|

Il rapporto di parte sarebbe qui determinante. Nell’esperienza della spazialità e delle forme, sembra tuttavia che si proceda dalla figura allo spazio piuttosto che inversamente dallo spazio alla figura. Si sarebbe tentati di dire: lo spazio non è dato «immediatamente», bensì attraverso i corpi che si trovano in esso. Le forme vengono colte anzitutto in quanto inerenti ai corpi, come «contorni» che possono essere poi considerati separatamente ed esaminati come tali. Inoltre le figure non solo vengono viste ed osservate, ma possono essere liberamente riprodotte: una figura può essere disegnata, e quindi costruita e ricostruita, in una libera variazione di tutti i rapporti. In questo modo si attenua ancor più il legame con il corpo nella sua fisicità, e dunque anche si indebolisce l’efficacia dell’immagine del «contorno» che rimanda proprio a questo legame. La figura tende avere la propria autonomia rispetto al corpo che essa riveste. |7|

Chi disegna una figura su un foglio di carta sperimenta tuttavia anche un’altra possibilità interessante: quella di far sorgere la figura dal tracciato di una linea che alla fine si richiude. |8|

In realtà si può parlare di un triangolo o di un quadrato, e persino di una piramide o di un cono, che nella loro tridimensionalità richiamano più direttamente lo spazio percepito e i corpi in esso, senza che la nozione della spazialità in generale sia realmente messa in questione. |9|

Si avranno allora di mira unicamente la costituzione interna delle figure, il modo in cui esse sono fatte, le loro eventuali relazioni, le loro legalità interne. Vi possono essere linee e piani che si intersecano, e le figure che sorgono da queste intersezioni, potranno essere considerate senza che lo spazio in grande debba rappresentare un effettivo tema teorico. |10|

In realtà è proprio questo l’orientamento di pensiero che troviamo alle origini della geometria. |11|

La geometria non si presenta senz’altro come scienza dello spazio, ma anzitutto come scienza delle forme - anche se, soprattutto nella prospettiva platonica, si impone un’ immagine dello spazio come totalità onnicomprensiva, e di conseguenza anche l’idea della forma come parte e ritaglio. Ciononostante il pensiero dello spazio passa sullo sfondo, sostanzialmente non tematizzato, rispetto a quello della forma: gli stessi costituenti ultimi ed ideali del reale sono le forme perfette dei solidi regolari. Questa circostanza, d’altra parte, rimanda alla costituzione percettiva della spazialità. Lo spazio come latenza di tutte le forme - come poteva essere suggerito dalla riflessione platonica nel Timeo - è un pensiero che non si trova affatto nei pressi dell’esperienza. E naturalmente ancora più lontana è l’idea di una figuralità interamente dominata da leggi che la inscrivono all’interno di una spazialità matematicamente determinata, secondo il senso della rappresentazione delle coordinate cartesiane. È interessante sottolineare come questa idea, che pure non è affatto priva di rapporti con la spazialità sperimentata, sia un’idea particolarmente «evoluta» e come nello stesso tempo a partire da essa prenda l’avvio una tendenza, destinata ad accentuarsi sempre più, a riportare, per dirla in breve, la forma al numero, e quindi ad attenuare il peso dell’elemento intuitivo di fronte all’elemento puramente intellettuale. |12|

In effetti tra numero e figura si impone ben presto questa differenza: parole come «cerchio», «quadrato», «triangolo» indicano cose che si vedono. La forma è appunto là, insieme alla cosa, come suo carattere o attributo. Vi sono i profili dei monti delle montagne e le linee delle coste; la curvatura visibile dell’orizzonte. La forma tondeggiante della luna. Le forme possono poi essere riprodotte e, quando siano riferite a cose del mondo circostante, esse possono essere toccate con mano; oppure possono essere date in immagine ed acquisire così la duttilità di mere parvenze che sono interamente in nostro possesso e sulle quali possiamo liberamente intervenire separando, unendo, collegando, componendo e scomponendo. |13|

Il numero cinque - o qualunque altro - invece non si vede. Nell’esperienza non ci imbattiamo mai nei numeri come oggetti, ma solo nei modi dei loro impieghi. Di fronte a noi ci possono essere molteplicità più o meno «numerose». Ad esse può essere attribuito un numero che peraltro non si può afferrare su di esse così come si afferra il colore di una cosa o il suo spessore. L’attribuzione di un numero comporta un’operazione di conteggio. Nel conteggio ci possiamo sbagliare - e questa possibilità aleggia su questa «proprietà» come un principio di instabilità. Analogamente, il numero di posizione si riferisce a determinazioni relazionali interne che sono in via di principio mutevoli in rapporto alle molteplicità empiriche; e se consideriamo infine il numero in rapporto all’iterazione di un’operazione, esso si dissolve nell’iterazione stessa senza alcuna sedimentazione obbiettiva. Il numero, appena c’è, subito scompare. |14|

Ma tutto ciò è vero soltanto se guardiamo al versante dell’empiria. Su questo versante i numeri sembrano trovarsi a disagio. Invece se consideriamo il numero come pura oggettività dovremmo esprimerci in modo del tutto diverso: il numero ci appare allora come un’oggettività intellettuale per eccellenza, come qualcosa che è solo in quanto è conforme ad una legge, e dunque un autentico modello di ciò che può essere interamente privo di contaminazioni con la pratica e l’osservazione: il separare, il collegare, il comporre e lo scomporre in rapporto ai numeri hanno un equivalente in operazioni manuali solo attraverso la mediazione delle molteplicità concrete. Prescindendo da questa mediazione queste operazioni meritano di essere caratterizzate come puramente intellettuali in un’accezione particolarmente forte. |15|

Certo, in quanto calcoli queste operazioni sono effettuate su figure e mediante figure. Su questo punto abbiamo in precedenza messo l’accento, ed anzi abbiamo approfittato di ciò per operare il passaggio a questo nuovo ambito di problemi. Ma per quanto il sospetto implicito in questo passaggio fosse proprio la possibilità di cogliere qualcosa di simile ad una componente «geometrica» nei calcoli, tuttavia resta sempre una differenza essenziale. Le «figure» di un calcolo non sono, come tali, temi di una indagine, non sono esse stesse oggetto di esame. Confermiamo così la risposta negativa che abbiamo dato alla fine della prima parte: l’aritmetica non è affatto una sorta di geometria. |16|

Ciò che ci interessa nelle figure dei calcoli sono le pure regole della loro manipolazione sintattica - e di conseguenza le loro qualità figurali vere e proprie sono per lo più fuori questione: esse vengono considerate solo in quanto agevolano od ostacolono le pratiche manipolatorie. Il fatto che poi i segni-figura di un calcolo possano essere considerati indipendentemente da qualunque riferimento significativo rappresenta indubbiamente una possibilità direttamente connessa con l’oggettività come una pura oggettività intellettuale, interamente libera da sostegni empirici, nel senso e nei modi che abbiamo in precedenza illustrato. |17|

Questa possibilità apre peraltro un problema di garanzie «semantiche» che, a partire dalla matematica greca, attraversa l’intera storia dei rapporti tra aritmetica e geometria. |18|

Proprio considerando questo punto si vede quanto sia erronea la posizione che vede nell’«aritmetico» una componente intuitiva e dinamica e nel «geometrico» l’elemento rigido, astratto. Se mai è vero l’opposto. Ciò è mostrato anche dal fatto che si è spesso avuta la sensazione che in ambito geometrico sia possibile effettuare quell’ancoramento del senso delle parole, di cui invece si potrebbe sentire il bisogno in ambito aritmetico. Procedendo attraverso i calcoli non è certo fino a che punto sia possibile mantenere la presa sul senso che era invece presente nei primi inizi. |19|

Esemplare da questo punto di vista è certamente il modo in cui vengono considerati i rapporti tra aritmetica e geometria nella matematica greca. In essa l’aritmetica assolve la parte della disciplina «matematica» eminente, di una teoria pura libera da ogni contaminazione con le indeterminazioni dell’empiria. Nello stesso tempo viene demandato alla geometria il compito di fornire quei riferimenti in mancanza dei quali si assume che l’espressione puramente calcolistica resterebbe semanticamente indeterminata[1]. Assumendo questo punto di vista questa indeterminatezza apparterrebbe anche a segni come a4 o a5 che, a differenza di a2 o a3 non hanno un possibile corrispondente geometrico[2].Analogamente è un segno aritmetico che può essere accettato solo nel momento in cui è stata assodata la corrispondenza geometrica con diagonale di un quadrato. Questo è l’oggetto a cui il segno può essere riferito e da cui esso viene legittimato. |20|

Del resto una possibile fenomenologia del numero - in qualche modo memore della matematica greca - potrebbe anche prendere le mosse, anziché dalla molteplicità come abbiamo fatto in precedenza, da un concetto di «unità» che riceverebbe la sua illustrazione diretta nel meÍtron ovvero in una lunghezza arbitrariamente scelta come (unità di) misura. Seguendo questa via si mostrerebbero aspetti che da altre angolature sarebbero più remote. Intanto il riferimento fondamentale non sarebbe rappresentato da una molteplicità disparata, sulla cui quantità ci si deve anzitutto interrogare, ma dalla nozione dell’intero e della parte, così come del rapporto tra interi che possono essere ripartiti ed in questo modo rappresentare l’uno la misura dell’altro. La stessa nozione dell’1 si distribuisce sui due poli dell’intero e della parte rappresentando ad un tempo l’intero stesso - la totalità di tutte le sue parti - e quella parte che è in grado di misurarlo: l’intero e l’unità di misura. Secondo questa angolatura risulterebbe con particolare pregnanza e immediatezza la connessione del numero con un’operazione, e in particolare con la sua iterazione possibile. Non è possibile concepire alcunché come «unità di misura» senza includere in questa concezione un riporto iterato. L’importanza del numero-di-volte ai fini della costituzione del concetto di numero non verrebbe certo diminuita da questo ordine di considerazioni. |21|

Occorre tuttavia notare che la pretesa di trovare una garanzia semantica nella geometria per le entità aritmetiche rischia di schiacciarla sulle cose di questo mondo più di quanto sia lecito fare. Il vincolo alle cose sta presso le prime origini, ma non appena i concetti sono stati costituiti la geometria, non meno dell’aritmetica, procede per vie autonome e non ha bisogno di confrontarsi ad ogni passo con la realtà. Qui come altrove nel pensiero astratto la questione del senso può risultare sospesa. Del resto proprio questa sospensione rappresenta uno dei motori essenziali di progresso e di sviluppo del pensiero astratto in genere: questo pensiero trae stimoli da evidenze ricercate e da dubbi sui significati possibili, e non certo dal compiacimento di un viaggio attraverso un universo di segni senza significato, lungo il quale sia possibile fare «assunzioni» a piacimento. |22|

Note

[1] Cfr. K. Th. Volkert, Die Krise der Anschauung, Vandenhoeck e Ruprecht, Göttingen 1986, pp. 8 sgg. Si mette qui in evidenza che i numeri venivano considerati - anche sotto gli impulsi platonici - come entità puramente ideali mentre la geometria veniva considerata assai più compromessa con l’empiria e difficile da districare da essa. All’aritmetica viene tuttavia attribuita solo una priorità teorica, dal momento che la matematica greca resta orientata dalla geometria. Volkert rammenta anche l’opinione di Reidemeister (Das exakte Denken der Griechen, Darmstadt 1972, p. 15) secondo il quale questa situazione paradossale è il Kernproblem della matematica greca.
[2] Ibid. p. 13.

  Parte I, § 16

§ 2  


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