Numero e figura
Idee per un’epistemologia della ripetizione
II, § 6

Giovanni Piana

6
- Iterazione operativa e motivo infinitario
- L’ecceterazione come strumento primario per l’ideazione di nuovi oggetti
- Il pentagono stellato dei pitagorici
- La figura infinita


Le nostre considerazioni precedenti facevano riferimento alle definizioni ed ai postulati euclidei come puro spunto ed occasione per una discussione teorica a più ampio raggio: il problema che ci interessa, in Euclide, è il fatto che la geometria ci appare qui come un complesso punto di intersezione tra la visione e il pensiero. In parte si coglie in essa la vicenda di un pensiero ancora prossimo alle sue origini, in parte questa vicenda sembra poter avere un significato esemplare che va ampiamente al di là di esse. |1|

In Euclide l’istanza che viene continuamente prospettata si trova nello spirito di un platonismo che assume tra i propri scopi il togliere terreno ai fraintendimenti empirici a cui la geometria è esposta. La riga e il compasso di Euclide sono strumenti ideali così come le figure che essi tracciano. Eppure questi strumenti sembrano talvolta, in una sorta di platonismo a rovescio, ricordare di essere copie impallidite di strumenti reali nelle mani del geometra al lavoro. |2|

Le enunciazioni prospettano non tanto degli oggetti già fatti, ma delle operazioni in cui gli oggetti appaiono come risultati. Talora diciamo che essi semplicemente sono - talaltra si intravvede su di essi l’ombra di una mano fantomatica che li fa essere nel gesto del tracciare. Nel secondo postulato si stabilisce che

una retta terminata si possa prolungare continuamente in linea retta.

Anche in questo caso possiamo asserire che un processo di idealizzazione è già in corso, ma potremmo anche dire che questo processo è, in certo senso, ancora incompleto. Intanto vi è l’espressione «retta terminata» (greco) ovvero «avente degli estremi» che indica come in Euclide non si parli affatto di retta nel senso in cui se ne parlerà nelle elaborazioni posteriori fino ai nostri giorni. E non possiamo dire nemmeno che la retta terminata corrisponda a ciò che si chiama segmento di retta per il semplice fatto che parlare di segmento di retta presuppone una idea di retta come retta infinita in un’accezione che in Euclide non c’è. |3|

Il segmento di retta è parte di una retta pensata come attualmente data e come infinita da entrambi i lati. La «retta avente degli estremi» di Euclide è invece una nozione elementare del tutto autonoma e indipendente: in conformità alla Terza Definizione (Estremi di una linea sono punti) e al Primo Postulato (Che si possa condurre una linea retta da un qualsiasi punto ad ogni altro punto) essa indica una linea finita e delimitata. Esattamente come le nostre rette che disegnamo alla lavagna e che sono tutte, invariabilmente, rette «terminate». |4|

Ma il Secondo Postulato aggiunge a questa nozione della retta qualcosa di molto importante. La linea rettilinea può essere prolungata senza restrizioni. In ciò è implicato il rimando all’operazione del tracciare. La retta è anzitutto qualcosa che si traccia. In rapporto ad essa si stabilisce una possibilità che è del tutto indipendente dagli ostacoli e dagli impedimenti pratico-concreti. Prolungare significa qui concepire (pensare) la retta terminata come una linea che è caratterizzata dalla possibilità essenziale che, dopo l’uno o l’altro dei suoi estremi, essa prosegua nella stessa direzione fino a raggiungere un nuovo estremo. Quest’ultima precisazione è particolarmente importante, dal nostro punto di vista, benché sembri cogliere una differenza abbastanza sottile. Poiché la linea è qualcosa solo in quanto è racchiusa entro i punti che sono i suoi estremi, allora il prolungare deve essere inteso come un aggiungere pezzo a pezzo, piuttosto che un’azione per così dire di semplice continuazione. Si comincia con un tratto, e poi se ne aggiunge un altro, e poi un altro ancora... |5|

Se intendiamo le cose in questo modo, approfittando certo del motivo euclideo, ma con un’accentuazione che ha mira piuttosto i prossimi sviluppi della nostra discussione, questa possibilità essenziale del prolungamento della retta viene connessa ad una regola interna della sua costruzione, e di conseguenza all’iterabilità di quella regola. |6|

Appare così subito chiara la connessione tra l’iterazione operativa e il motivo infinitario che qui si annuncia. |7|

L’infinito di cui si tratta è naturalmente l’infinito potenziale - quella retta infinita che noi assumiamo in piena ovvietà fin dall’insegnamento elementare, in Euclide non c’è, dunque non c’è nemmeno l’idea di infinito attuale di cui essa è un buon esempio. C’è invece l’idea del prolungamento, l’idea di una processualità che può proseguire indefinitamente passo dopo passo - dunque di una potenzialità che viene via via attualizzata, ma che ogni volta propone un risultato finito. |8|

Si potrebbe sostenere che la retta attualmente infinita si situi ad un superiore livello di astrazione, che essa sia caratterizzabile come un «nuovo oggetto», come un puro «oggetto del pensiero» assai più nettamente della retta prolungabile all’infinito. E così in effetti è. In quest’ultimo caso possiamo infatti contare sulla prossimità con l’esperienza. Certe configurazioni si presentano fenomenologicamente con il senso dell’andare-sempre-oltre, e tanto più possono esser investite di questo senso quanto più vengono intese come generate da una regola. Il maestro può fare alla lavagna i primi gesti, alludendo poi ad un eccetera che riapre ogni passo al passo successivo. Questa prossimità non toglie tuttavia la formidabile potenza teorica di questo eccetera. Siamo alla presenza di una straordinaria procedura del pensiero, di un strumento primario per l’ideazione di nuovi oggetti. Infinito attuale e infinito potenziale non sono due concetti che stanno l’uno accanto all’altro semplicemente come due diversi modi di concepire l’infinità. L’infinito attuale «presuppone» l’infinito potenziale e viene costituito a partire da esso. Assumiamo la retta come esempio: a partire dall’operazione concreta del tracciare, viene prospettata già su un terreno ideale la possibilità di un prolungamento illimitato. Ciò che si mantiene anche su questo terreno è tuttavia ancora il riferimento all’atto soggettivo del produrre, per quanto questo questo riferimento possa essere rarefatto. |9|

Il momento che realizza un’astrazione ulteriore è un passaggio oggettivante: la retta non viene più intesa come prodotta, ma come data, e precisamente nella sua attualità e compiutezza. A questo punto il rapporto può essere ribaltato: il tracciare una retta, la possibilità di incrementarla sempre di nuovo, diventa il modo soggettivo di acquisire di passo in passo, secondo un processo inesauribile, questa infinità attuale e compiuta: ed il processo è inesauribile non tanto in forza dell’iterabilità di principio della regola, ma in forza della cosa stessa che è inesauribile. La retta è diventata ora realmente un oggetto in sé, un ente di nuovo genere, che sta del tutto a parte rispetto gli oggetti del nostro mondo. L’infinità potenziale sta perciò prima e dopo l’infinità attuale: prima essa ha una funzione costitutiva della stessa oggettività attualmente infinita; dopo essa può essere fatta regredire ad una pura circostanza di ordine soggettivo, e pertanto irrilevante in quanto riguarda al più le accidentalità della manifestazione empirica dell’oggetto ideato. |10|

Riprendendo una frase che abbiamo già impiegato in altro contesto: l’infinito potenziale è essenziale per istituire il senso dell’infinito attuale, mentre diventa inessenziale per confermarlo. |11|

Tuttavia questo ritrarsi sullo sfondo dell’infinito potenziale o più precisamente delle procedure ecceteranti non deve far perdere di vista la potenza teorica dell’ecceterazione. |12|

Questa potenza può essere esemplificata in un lampo con il pentagono stellato dei pitagorici. Tracciando le diagonali all’interno di un pentagono regolare ottengo una stella che contiene un pentagono regolare. Tracciando le diagonali all’interno di questo pentagono ottengo un’altra stella che contiene un pentagono regolare, eccetera. (In seguito vedremo che questa descrizione potrebbe essere considerata non appropriata)

Siamo qui alla presenza di una costruzione geometrica che è realizzata sulla base di una precisa regola. E mentre nel caso della retta l’illusione di un’interpretazione «empirica» del prolungamento può essere più persistente, per il fatto che possiamo immaginare proprio di prolungare la retta andando anche molto lontano, qui invece questa illusione è subito resa inattiva dal fatto che l’iterazione della regola, come procedura concreta, si dovrà fermare quasi subito: ben presto il pentagono più interno diventerà confuso e indistinto. La pratica del disegno ci abbandona. Ma il pensiero dell’iterazione pesa ormai sulla figura, ed è la figura stessa, nel suo carattere di dato visivo, che è diventata inessenziale. Siamo sulla soglia della figura infinita, così come del numero infinito. Varcando questa soglia il pentagono stellato verrà posto come un’ oggettività fatta di infiniti pentagoni e infinite stelle, che io vado eventualmente scoprendo di passo in passo penetrando sempre più in esso in un viaggio che non avrà mai fine. |13|


  § 5

§ 7  


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